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Il Pd del “dopo Renzi” e il labirinto irrisolto dal 1992

12 Mar

Image5Solo pochi giorni fa il Partito Democratico ha capito che se un proprio leader annuncia di lasciare, poi deve farlo per davvero, specie se nel 2017 l’annuncio arrivava dopo tre anni di governo sprecati e dopo una bizarra riforma strutturale.

Poteva accadere già nel 2000, ma non accadde e Massimo D’alema rimase al vertice del partito, dopo aver dato le dimissioni da premier, in seguito alla sconfitta alle elezioni regionali ed al brutto pasticcio della riforma del Titolo V della Costituzione, che ancora oggi comporta l’innaturale trasferimento del comparto assicurativo sanitario alle ‘politiche’ regionali, mentre vengono dilapidate – in certi territori – l’IVA e le accise benzine che impennano la nostra fiscalità.

L’altro ieri, con le dimissioni di Matteo Renzi, il Partito Democratico ha iniziato un percorso e non è detto che lo porti a termine, se la questione rimarrà sul singolo Matteo Renzi o sull’entourage, invece che sul metodo.

Il primo candidato ad ereditare la segreteria Dem – dove nessuno è mai riuscito al completare il mandato di quattro anni previsto dallo statuto – è Graziano Delrio, ex Partito Popolare Italiano, ex sindaco di Reggio Emilia e ministro delle infrastrutture e dei trasporti dal 2015, prima nel Governo Renzi e poi nel Governo Gentiloni.
A parte l’episodio di Cutrò, proprio sotto il suo dicastero le cronache italiane sono diventate una quotidiana denuncia sullo stato delle strade, delle reti su ferro, dei mezzi di trasporto e non è detto che un ruolo più politico e meno esecutivo possa dirgli meglio.

C’è, poi, l’ipotesi di un ‘traghettatore’, con una ‘reggenza’ affidata a Maurizio Martina, in politica fin dal liceo e dal 2014 Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dei Governi Renzi e Gentiloni, con delega ad Expo.
Sappiamo tutti come stiamo messi con le frane, gli incendi, i migranti irregolari ed il lavoro nero nei campi e quanto ci costa l’agroalimentare in termini di PIL, tasse, sussidi e spesa diretta delle famiglie. Alle regionali in Lombardia, dove nasce e vive il ministro, il Centrosinistra ha perso circa 600.000 voti dal 2013 al 2018.

E, come da tradizione, ci sarebbe un ‘capitan futuro’ pronto a subentrare – almeno negli umori della base – cioè Nicola Zingaretti, dal 2012 Presidente della Regione Lazio e, precedentemente, parlamentare europeo molto attivo nella difesa della manifattura italiana e nell’accesso a fondi strutturali e programmi comunitari.
Con buona pace dei ‘soldi europei’ e della triste fine che spesso hanno fatto in Italia, noi posteri sappiamo anche che il Lazio è sempre più indebitato (se consideriamo anche i derivati e le ‘controllate’), mentre antisismicità ed accesso alle cure hanno portato la regione alla ribalta internazionale, ma in negativo, con il risultato che oltre 300mila voti migrati dal 2013 ad oggi dal PD laziale verso il Movimento Cinque Stelle.

In parole povere – pur essendo Del Rio, Martina e Zingaretti dei politici senza pendenze, blasonati e competenti – sono anche i volti di un Partito Democratico che non riesce a chiarirsi definitivamente ‘a sinistra’, evitando puntualmente lo scontro con i sindacati, mentre si allontana dal ‘ceto medio’ dei consumatori e degli assistiti, soccombenti sotto il peso dei servizi inefficienti e della burocrazia obsoleta.

Non è solo Matteo Renzi che ha fallato, bensì un apparato di partito che ha ritenuto che si potesse amministrare senza governare, nella prodiana convinzione che l’Europa fosse il toccasana di tutti i mali italici.

L’Unione Europea è, viceversa, una locomotiva e non si può stare tutta la vita aggrappati al predellino nè è piacevole viaggiare sempre più spesso nel vagone di coda, sempre che il treno non passi lasciandoci alla stazione.

Che sarà Delrio o Martina o qualcun altro (magari Carlo Calenda, ex Scelta Civica) a far da segretario, speriamo tutti (amici, nemici ed indifferenti) che il PD faccia almeno durare il proprio segretario tutti e quattro gli anni previsti dallo statuto: l’Italia ne guadagnerebbe di sicuro in stabilità.

Quanto al resto, è nei fatti che in queste elezioni il PD ha convinto solo 15% dell’elettorato attivo (7,5 milioni di voti, 22% dei votanti), cioè più o meno come 26 anni fa con il PDS di Achille Occhetto alle elezioni del 1992 (6,3 milioni di voti pari al 16% dei votanti e al 14% dell’elettorato attivo).

Il nuovo segretario del PD avrà l’arduo compito di cambiare il partito in pochi mesi, ripensando il progetto iniziatosi nel 1992, dopo il trauma della spaccatura con la Sinistra di PRC (2,2 milioni di voti pari al 5,6% dei votanti e al 5% dell’elettorato attivo).
Una frattura che è stata ignorata per venti anni trasformandosi in una falla che ha alimentato il Berlusconismo ed in una frana a favore dei populisti come Lega e Cinque Stelle: il forte ancoraggio a settori sociali e finanziari ‘resistenti al cambiamento’ ha assicurato tanto una buona rendita per un ventennio quanto, poi,  trovarsi punto e a capo?

Demata

Smart Cities e gli uomini coraggiosi

5 Dic

Mario Sechi scrive, oggi e molto autorevolmente, che “a portata di mano (e di cervello) c’è per esempio la «Big Society» di David Cameron, che anche in tempi di tagli e crisi da debito resta la migliore idea sul tappeto delle politiche liberali: l’associazionismo che si sostituisce allo Stato, i cittadini che ne governano alcuni settori, la politica che delega la gestione al popolo sul territorio”.

La mente corre subito al Report sulle Smart Cities che sta circolando da un mesetto tra gli addetti ai lavori.

Potremmo letteralmente parlare di un ‘viatico’ per il futuro sviluppo delle centralità metropolitane italiane ed europee e che, come tale, non può che raccogliere consensi ed entusiasmi.

Città ‘facili’ e ‘già pronte’, in cui il pubblico finanzia, organizza e poi si fa da parte alla libera azione dei cittadini e delle imprese.

Non il vecchio sistema di esternalizzazioni di servizi a carico del Fondo Sociale Europeo, madre di sprechi ed assistenzialismo, carriere e prebende, come larga parte della nostra partitocrazia sta intendendo.
Non una Nazione affollata da forse 50.000 diverse leggi e ben di più circolari con effetto regolativo, non uno Stato che monopolizza assistenza, previdenza, istruzione e comunicazioni, quasi che il Fascismo non fosse mai finito, non un territorio afflitto da mille Poteri che ha fatto del Principe di Machiavelli il suo inno di dolore.

Difficile non dubitare che l’apporto del Movimento Cinque Stelle in Parlamento non aggiungerà caos al caos.

Difficile pensare che il Partito Democratico di Bersani, Renzi, Vendola e D’Alema possa essere culturalmente in grado di gestire questo cambimento, visto che appare ancora esser sostenuto – quasi esclusivamente – da ‘suo’ elettorato post-comunista. Una democraticità che – piuttosto che le primarie – poteva e potrebbe essere gestita tramite la scelta (da parte degli iscritti) del programma tramite il WEB. Come stanno già facendo i Piraten, come si stanno preparando a fare – in un modo o nell’altro – i grandi partiti europei, che come noto non sono affatto di massa. Come potrebbe, ad esempio, fare il PdL o qualsiasi forza politica anche in Italia.

Impossibile pensare che, senza riforme profonde ed un cambio di mentalità decisivo, Roma, per quello che è ora dopo anni disastrosi, possa (ri)diventare una capitale dignitosa e funzionale, attraendo le risorse ed i finanziamenti che le servono per ristrutturarsi.

Difficile pensare che l’Italia non abbia nomi e blasoni tali da non poter raccogliere le istanze di gran parte dell’elettorato, disposto anche a far ancora sacrifici ed a ‘non dubitare’, ma solo in nome di un programma di governo che non si limiti agli intenti, come quello del PD, ad esempio.

Difficile credere che i Poteri non si rendano conto che solo una forza politica di cultura liberale possa risolvere e semplificare il groviglio di poteri condivisi, deroghe e seconde istanze su cui vive l’Italia che muore.

L’era politica di Silvio Berlusconi è al compimento e chi sa vincere sa anche ritirarsi al tempo giusto. Il partito da lui voluto e creato si sta rivelando un gigante dalle gambe d’argilla.
Ci sarebbe tutto. Da una diffusa mentalità liberale che ormai appartiene anche agli italiani – la cui riprova sono anche i ‘fai da te’ grillini o le ‘proteste fiscali’ dei leghisti – ad un tessuto informativo e comunicativo che, salvo La Repubblica e Santoro, ha ormai traslocato sulla Rete, all’esigenza che sentiamo ormai tutti, ad esempio, che le nostre pensioni non siano più solo nelle insicure mani dello Stato e dei nostri Sindacati oppure che i nostri Enti Locali non siano sempre meno trasparenti, sempre più spreconi, senza che si possa far altro che pagare.

Con il Porcellum ed una tornata elettorale così ravvicinata è quasi impossibile che possa nascere un’aggregazione politica che andrà a raccogliere quel 20% di voti che resteranno inespressi, non per protesta, ma per consapevolezza della situazione.

Ma si potrebbe almeno tentare.

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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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Italy? A cleptocracy, as a Supreme Court judge wrote

20 Apr

Ferdinando Imposimato, 76 years old, is the Honorary President of the Supreme Court. In his long career he was involved in the fight against Mafia,  Camorra and Terrorism, including the kidnapping of Aldo Moro (1978), the attempted assassination of Pope John Paul II (1981), the murder of the vice president of the Superior Council, Vittorio Bachelet, or of judges as Ricccardo Palma and Girolamo Tartaglione, killed by Mafia. A brother killed by Camorra for revenge.

Below, extensive abstracts are reported (translated by me, I hope correctly) from a long examination published by the “citizen” Ferdinando Imposimato on his Facebook page (link).
A “brief”, which should give pause not only to Italy but to the whole European Union and the Atlantic Alliance, as Mexican situation has required.

“The debt is not ‘public’: it is of the State. It covers the total expenditure incurred by the State, as direct investments such as large public works infrastructures, costed hundred times more ‘than it would be right to spend’.

“Public debt is grown tremendously to fuel corruption and financial crime, that ‘won’ 90% of large public works contracts.
And it ‘s not true that that debt should be paid by those poor souls who have not enjoyed at all. “

“Italy have not built new public schools, no funds have been created for the indigent, small and medium enterprises were not supported, public services were not improved, wages have not been collected to guarantee a free and dignified life. “

“We need funds for debts contracted – with dilated to excess costs for firms – in the post-earthquake emergencies, in the construction of large and unnecessary infrastructures for the swimming championships in 2009, to increase per thousand of the costs of highways and high speed railroads, in the payment of debts incurred by Alitalia and in indirect investments such as public financing of political parties (also used for purchases of private property), in soft loans or in patronage hiring in Autorithies, in the plethora of unnecessary bureaucracies in Regions, provinces and municipalities, as well as in the Italian Parliament. Up to the costs of military commitments in Afghanistan, Iraq and Lebanon.

All expenses that do not produce any benefit to the community as they will not ensure peace in the world”.

“Meanwhile the crisis overwhelms millions of people, data from studies of Caritas have witnessed more than 8 million poor and an increase of 20% of poverty among young people under 35 years. Job opportunities are heavly reduced. “

“Nobody tells us the truth about what is happening and they want to impose new sacrifices with the pretext of having to reduce the public debt, with the danger of bankruptcy, the bankruptcy that will sweep only the most weak people.”

“The movement of Indignati was under  attack and it was unjustly de-legitimized by the violence of a few scoundrels, who are the main allies of the Parlamentar Majority, responsible for a iniquitous and unjust policy. We stand in solidarity with the Police and share their protest, but it would be a mistake to confuse the criminals that have rocked the Piazza San Giovanni and other streets of Rome by assaults and arsons, with those who were protesting peacefully. “

“However a minority of thugs can not obscure the reasons of the disagreement. They only do the interests of this Government that should go home.

The movements, in the absence of the parties, are now the protagonists of a direct democracy, mobilizing millions of people to feel like characters and push the government toward decisions that do not penalize again poors and dispossessed. “

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Ruby Rubacuori ed i Tea Party

14 Gen

Il bello dei Tea Party è lo spirito liberale che vi aleggia.

Un pensiero che non è di sinistra e, diciamolo, non dovrebbe neanche essere di destra, visto che la Libertà non ha segno e non ha colore. Va da se che il Liberalesimo “debba” collocarsi a destra dove hanno attecchito, cento anni fa, i partiti comunisti e  la separazione in classi, la divisione e le polarizzazioni di stile, di metodo, di forma se non addirittura di gusto da questi proclamata.

Così accade che in Gran Bretagna i Libdem abbiano raccolto molti consensi di elettori laburisti, mentre in USA è la donna “forte” dei Reps, la Palin, a raccogliere molte simpatie.

Difficile credere che il movimento liberale che si sta affermando in Italia possa, a cuor leggero, tener banco ad una storia di “favoreggiamento della prostituzione”, come ipotizza la Procura di Milano.

Non per bieco moralismo od insano giustizialismo, ma per l’immagine negativa che tutto travolge e che, anche se  risultasse infondata o non perseguibile, ripropone il tema berlusconiano delle escort e delle “amicizie pericolose”.

Riordiamo bene che lo spirito delle leggi che ha difficoltà ad aleggiare in tali contesti.

La semplificazione con cui si sta affrontando la vicenda Ruby Rubacuori è imbarazzante. Cosa possono pensarne i 4-5 milioni di italiani che lavorano od hanno lavorato nelle scuole e nei servizi sociali? Quanto ne sono rimasti colpiti gli adolescenti di oggi, che andranno a votare tra uno o due anni? E tutto il mondo parrocchiale od i genitori “all’antica”?

Parlando di Silvo Berlusconi, dov’è quel senso dello Stato e del bene comune, che nei secoli ha spinto re ed imperatori, capitani ed amministratori, profeti e briganti a fare un passo indietro?

Forse, il PdL dovrebbe vagliare le offerte di Casini che poi sono anche le richieste di Fini e chiedere al suo leader quel passo indietro che gli permetterebbe di dedicarsi ai suoi processi ed alla sua salute, oltre che ad eventuali vizi.

Tanto, è  Tremonti che governa, mica “lui” …