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Matteo Renzi: le frodi, il lavoro nero ed i troppi ‘affari’ di famiglia

15 Feb

Un vecchio curriculum di Matteo Renzi racconta che era “un dirigente d’azienda, nel 1994 ha fondato la Chil S.r.l., società di marketing diretto”, dove si occupava di “coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutta Italia“.

Curriculum RenziTecnicamente parliamo di “strillonaggio e ispezioni nelle edicole per i giornali ma anche di eventi e ideazione di campagne”, ma, per chi non lo avesse capito, sono quei simpatici imprenditori che per anni ci hanno riempito le cassette postali, i parabrezza delle automobili e le tasche della giacca con volantini e giornalini, utilizzando per 4-500 euro al mese scarpinatori di condomini e parcheggi o strilloni tristi e silenti agli angoli di qualche alba di periferia .

Infatti, l’azienda di famiglia Speedy, creata nel luglio 1984 e poi liquidata nel 2005, venne multata dall’Inps il 25 maggio 1998 dall’Inps per 995mila lire e sempre l’Inps multava la Chil per quasi 35 milioni di lire, perché non erano stati pagati i contributi agli strilloni, come v’erano altre cause per ‘lavoro nero’, come riporta Panorama.

Ed a comandare c’era anche il futuro premier, come conferma “Giovanni Donzelli, all’epoca studente, oggi consigliere regionale in Toscana con Fratelli d’Italia:  “Arrivava sul furgoncino bianco, da solo o con il padre, per consegnare i giornali e coordinare noi strilloni. Era come adesso: svelto, cordiale e brillante”. Peccato che il “verdetto spiega pure come venivano contrattualizzati i collaboratori: “Sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia” dettaglia il giudice Bronzini. “Ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi” … mica ‘occasionali’ come recita il curriculum del dirigente Matteo …

matteo-renzi-schiavista-by-baraldi-612580Era questa “l’Italia che vogliamo” di Romano Prodi, alla quale aderì Matteo proprio mentre ‘valorizzava’ i suoi volantinatori – strilloni – sherpa? Non lo sappiamo, ma fatto sta che è stato proprio Matteo Renzi ad attuare la deregulation del Jobs Act.

Se già così la vicenda sembra tratta da un film di … vampiri, ‘arrivati in città per succhiar sangue fresco’ con il solito cerchio magico di contorno, il resto della storia non fa altro che confermare il peggio.

Infatti, a fondare la Chil S.r.l. ci sono anche suo padre Tiziano Renzi e sua madre Laura Bovoli, mentre Matteo Renzi – otto mesi prima di entrare in politica – cede le sue quote trasformandosi in ‘dipendente’ e, in tal modo, finisce che le quote previdenziali quale dirigente vadano a carico della Provincia prima e del Comune di Firenze, dopo.

Intanto, c’è tutto un andirivieni di quote cedute in famigliae nel 2006 le ‘padrone’ sono Laura Bovoli (anche Amministratore Unico) con  Benedetta Renzi e Matilde Renzi. Sempre loro, nel 2007, costituiscono la Chil Promozioni S.r.l., che ha identica attività e identica sede della prima società e che nel giro di tre anni assorbe gran parte del mercato della Chil/Chil Post, che a tal punto sembra già destinata a fallire come poi accadrà con un buco da un milione e 200 mila euro.

Caso chil post. Raffronto fatturati Chil

Fonte ilcappellopensatore.it

Entrambe le società erano detenute da Laura Bovoli (madre di Matteo), Benedetta e Matilde Renzi (sorelle di Matteo) e la “vecchia” Chil S.r.l., a mano a mano depauperata della sua clientela e del suo fatturato, chiede un prestito alla Banca Cooperativa di Pontassieve e, contestualmente, la garanzia che Fidi Toscana ha in programma di concedere alle imprese femminili.

Il tutto con Marco Carrai (l’ombra di Matteo Renzi) nel CDA della Cassa di Risparmio di cui la Fidi Toscana è una partecipata e con il presidente della Banca cooperativa di Pontassieve, Matteo Spanò, compagno di infanzia di Matteo e che non era certo una “garanzia di terzietà”, essendo già sotto i riflettori perchè in soli tre anni (dal 2006 al 2009) la Florence Multimedia finanziata dalla Provincia di Renzi pagò ben 9,2 milioni di euro alla Arteventi di Spanò, mentre  era la “DotMedia” di Spanò e di Alessandro Conticini, cognato di Matilde Renzi, ad organizzare le “Leopolde” che hanno lanciato un oscuro politico di provincia alla ribalta politica nazionale.

In soldoni,

  • il 15 giugno 2009 viene concesso il finanziamento (80% del totale) – o meglio la concessione della garanzia di Fidi Toscana alla Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana. Ad erogarlo è la banca ma – in caso di insolvenza o fallimento – a garantire c’è Fidi Toscana, la finanziaria della Regione, ovvero soldi pubblici.
  • Il 29 Luglio 2009, però, viene redatto un unico atto notarile in cui Laura Bovoli, Benedetta Renzi e Matilde Renzi cedono le loro quote della Chil S.r.l. a Tiziano Renzi che diventa socio unico della (nuova denominazione) Chil Post S.r.l.
  • Il 13 Agosto 2009 la Banca Cooperativa di Pontassieve di Matteo Spanò delibera l’erogazione di 437mila euro, senza essere ufficialmente a conoscenza degli atti societari, che avevano trenta giorni utili per il deposito presso il Registro delle Imprese delle Camere di Commercio che avviene solo il 27 Agosto 2009.
  • L’8 Ottobre 2010 la Chil Post S.r.l. di Tiziano Renzi cede a Chil Promozioni S.r.l. di Laura Bovoli, Benedetta e Matilde Renzi quello che è considerato “il ramo sano” (auto, furgoni, muletti, capannoni e altri beni per 173mila euro complessivi e uno stato patrimoniale con 218.786 euro in attivo e 214.907 in passivo, i contratti in essere per la distribuzione dei giornali tra cui Il Messaggero e il gruppo L’Espresso), mentre i debiti restano tutti alla ‘vecchia’ azienda ad eccezione del TFR  di Matteo Renzi per 28.326,91 Euro, che secondo il papà ‘non sa nulla’.
  • Il 14 Ottobre 2010 – solo sei giorni dopo – Tiziano Renzi trasferisce la Chil Post S.r.l. – ormai depauperata – a Genova e si dimette da Amministratore Unico. Dopo pochi giorni cede l’intera partecipazione sociale ad un venditore ambulante di «mercerie,chincaglierie, scampoli e tessuti» sessantacinquenne, Gianfranco Massone, che si ritiene sia un prestanome, almeno stando al suo avvocato Vincenzo Vittorio Zagami, secondo quanto riporta Libero.
  • Il 24 Agosto 2011 la Chil Promozioni S.r.l. cambia la denominazione sociale in  “Eventi 6 S.r.l.” e si aggiunge un quarto socio, proprio quell’Alessandro Conticini cognato di Matilde Renzi e socio di Matteo Spanò in DotMedia. Proprio in quell’anno, la  Chil Post S.r.l. cessa di onorare i ratei con regolarità.
  • Il 7 Febbraio 2013 per la Chil Post S.r.l. verrà poi emessa sentenza dichiarativa di fallimento, il 19 aprile del 2013 l’ultimo atto del sequestro dei beni della Chil Post ad Alessandria, ultima sede della società, che si rivolge a Fidi Toscana per coprire ben 263.114,70 euro a carico di fondi pubblici.
  • Il 18 settembre 2014, il Fatto Quotidiano annuncia l’iscrizione di Tiziano Renzi e altri, nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta. Secondo il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il pm Marco Airoldi lo snodo della vicenda è la vendita del ramo d’azienda sano della Chil alla Eventi 6, società della madre del premier Laura Bovoli, avvenuta l’8 di ottobre del 2010, per soli 3800 euro.
  • Il 30 ottobre 2014, nonostante l’ipotesi di reato in corso, il ministero dell’Economia restituisce a Fidi Toscana 236.803,23 euro attraverso il Fondo centrale di garanzia. 
  • 20 marzo 2015 – La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva coinvolto il padre del premier, Tiziano Renzi, accusato di bancarotta fraudolenta e ha chiesto l’archiviazione per il papà del Premier ed il Gip deciderà se accoglierla o meno.
    Per gli inquirenti, Renzi negli anni in cui era amministratore avrebbe gestito correttamente la società madre e non avrebbe contribuito al fallimento, ma solo ceduto alla Eventi6, già Chil Promozioni S.r.l. di proprietà della moglie Laura Bovoli praticamente tutti i beni disponibili della Chil Post srl, nata perà Chil srl e finanziata come Chil S.r.l. – in quanto impresa femminile e toscana.
    Per gli altri due amministratori subentrati nella gestione societaria nel 2010, Antonello Gabelli e Mariano Massone, è stata viceversa confermata l’accusa.

A questo punto potremmo chiederci tantissime cose.

Ad esempio, se i rapporti tra l’azienda di famiglia ed il gruppo L’Espresso siano iniziati prima o dopo l’adesione di Matteo al progetto prodiano.
Oppure, come stiano i conti di Leopolda, di Dotcom e di tante altre operazioni ‘politiche’ di Matteo Spanò o … della Provincia e del Comune di Firenze … dato che – a tal punto della storia e ricordando anche i ‘fasti’ del berlusconiano Verdini o del democrat Della Valle – la Toscana non sembra essere meno omertosa della Sicilia.

“Nel 2008 Dotmedia fatturava 9 mila euro, nel 2009 con Renzi sindaco si sale a 137 mila euro. 215 mila euro fatturati dal 2009 (ndr al 2012) alle quattro partecipate del Comune: Firenze Parcheggi, Mukki, Publiacqua e Ataf. II Fatto ha scoperto che Dot Media ha un legame societario con la Eventi 6, la società dei Renzi (amministrata da Matilde Renzi, 28 anni, che ne controlla come l’altra sorella maggiore di Matteo, Benedetta il 36 per cento mentre la mamma, Laura, ne detiene solo l’8 per cento)”. (Fatto Quotidiano)

tiziano renzi bovoliEra l’8 ottobre 2012 quando il nucleo di polizia tributaria di Firenze, Gruppo tutela spesa pubblica, sezione accertamento danni erariali raccoglieva la testimonianza di Alessandro Maiorano, dipendente comunale, riguardo spese della provincia e delle fatture menzionate da Luigi Lusi “nei confronti della Web and Press, società che era di Patrizio Donnini, persona – come ha scoperto Il Fatto Quotidiano – in rapporti di affari con un socio delle sorelle e della mamma di Matteo Renzi. Majorano avrebbe consegnato molte fatture dal 2004 al 2009 della Provincia e di Florence Multimedia”.

Appare impossibile che Renzi ‘non sapesse’, come era stato ‘impossibile non sapere i fatti di famiglia’ per Silvio Berlusconi e/o Gianfanco Fini. E non poteva non sapere dei “contributi non pagati, lavoro irregolare, licenziamenti illegittimi, danni materiali” di cui racconta Panorama ed avvenuti proprio quando lui era lì, alla Chil srl con il padre Tiziano ed il resto della famiglia.
Specialmente se – come ha scritto il Fatto Quotidiano – la Mail Service srl, una società di cui il padre del premier era socio di maggioranza con il 60% del capitale, nel 2011 è stata dichiarata fallita con un passivo di ben 37 milioni di euro, passata nell’ottobre 2006 dalle mani di Renzi senior a quelle di Mariano Massone, figlio dell’ambulante Gian Franco, e anche lui indagato nell’inchiesta genovese per bancarotta.

Dunque, visto da ‘dove’ arriva, non resta che chiedersi ‘come’ abbia fatto Matteo Renzi ad arrivare alla Presidenza del Consiglio senza essere eletto e ‘cosa’ intenda farsene degli italiani, specie se la capacità di mantenere i patti e gli impegni politici dovesse dimostrarsi del tutto evanescente come finora è stato.

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Alba Dorata: rischi per l’Italia?

4 Nov

In Grecia sale la tensione, dopo l’attentato alla sede di Alba Dorata, con due morti e diversi feriti, che fa seguito ad attentati a giornalisti e uffici avvenuti nel 2013. Una tentata strage attuata proprio mentre la Grecia cercava di fare piazza pulita dei suoi neonazisti e con il solo scopo di gettare in paese nel caos e non per ‘vendetta’, visto che l’omicidio del rapper antifascista era scaturito da una lite da bar e non da un complotto.

In una sua lunga disanima, Harry van Versendaal – noto editorialista della versione inglese del quotidiano greco I Kathimerini – invita non solo la Destra neonazista, ma anche la Sinistra antagonista a “sviluppare una comprensione più inclusiva della violenza, condannandola in ogni sua forma: sia essa razziale, sessuale o politica“.

Un invito che andrebbe esteso anche all’Italia, dove i nostri media in questi anni ci hanno poco o punto informati sull’escalation anarco-insurrezionalista e della sinistra radicale, cui fanno da contraltare (come a Weimar) i neonazisti di Alba Dorata.

Intanto, in Italia non possiamo di certo dire che stiamo al sicuro da rischi simili, ma, nel nostro caso,  di neonazisti o neofascisti non è che se ne vedano tanti come in Grecia. Anzi, all’ennesimo anniversario mussoliniano c’erano forse 5.000 nostalgici.

E’ la minaccia anarco-insurrezionalista che rimane «estesa e multiforme», in grado di tradursi in una «gamma di interventi» che può comprendere anche «attentati spettacolari», questo il report dei servizi segreti nella Relazione annuale consegnata al Parlamento nel marzo 2013.
La sola nDrangheta, secondo il rapporto Eurispes 2008, avrebbe un giro d’affari di 44 miliardi di euro annui e potremmo stimare in almeno 150 miliardi annui il PIL (ndr. attivo o passivo?) derivante da attività crimine organizzato. Il disastro ambientale campano, le fabbrichette della moda o le rivolte degli immigrati schiavizzati comprovano una dimensione ‘messicana’ dei rapporti tra governance nazionale, sistema produttivo e cartelli locali.

La nostra governance – a differenza di quella spagnola – non è riuscita a far altro che congelare il debito interno e quello estero, mentre il Parlamento è in ostaggio di una legge elettorale indecente e di un’informazione pubblica che Freedom House nel suo report annuale considera ‘semilibera’, collocandoci alla stregua degli stati ex-satellite dell’URSS (Ungheria, Romania, Bulgaria, Serbia eccetera) o delle traballanti repubbliche africane (Egitto, Tunisia, Benin, Namibia eccetera).

Indice di Competitività UE 2013

Aggiungiamo che un malgoverno durato 150 anni ha ormai creato e sigillato tre aree geografiche ben distinte: un Settentrione con una produttività paragonabile a quella tedesca, un Meridione ormai ridotto a vicereame ispanico (come il Messico, Columbia e quant’altri), un Centro che sopravvive – oggi come ieri – di speculazioni finanziarie e immobiliari in nome del ‘paesaggio italiano’ e della ‘bona fidae’.

PIL pro capite UE 2009
Tenuto conto dell’irriducibilità di Silvio Berlusconi e di Matteo Renzi nell’anteporre una visione personale all’interesse generale, oggi, come durante la Guerra Fredda, l’Italia sta andando a porsi al centro di una serie di ‘affari internazionali’, di cui un ‘assaggio’ sono state le montagne russe dello spread del 2011.

Dunque, se la Grecia prendesse fuoco, l’Italia potrebbe non esserne esente.

In assenza di un sufficiente numero di ‘fascisti’, per ora, la furia del ‘tanto peggio tanto meglio’ non avrebbe che prendersela con le istituzioni – che non sono nè i partiti nè gli speculatori – e con chi le difende, a danno di gran parte della popolazione, che è ‘moderata’, ‘conformista’, ‘populista’ …

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Enrico Letta: ci vorrebbe una marcia in più

29 Ott

Se il Presidente traballa sotto le scelte ormai ristrette ed obbligate e se Grillo esagera, temendo un crollo dei consensi, Enrico Letta di sicuro non esulta.

Il bersaglio di Renzi e dei suoi alleati è lui ed in gioco c’è la Presidenza del Consiglio italiana nel semestre europeo, durante la quale un atteggiamento ‘disobbediente’ dell’Italia potrebbe portare effimeri benefici per la nazione, ma solidi accordi europei per le regioni ‘rosse’ e tanti piccini interessi della profonda provincia italiana.

L’idea può non sembrare del tutto balzana, almeno a vedere i risultati elettorali per la provincia di Trento dove il PD (21,5%) regge mentre Lega, PdL e M5S crollano. Peccato che gli autonomisti del PATT (17,7%) siano diventati ormai una forza comparabile allo stesso Partito Democratico.

Dunque, lo scenario più probabile è sempre lo stesso: se si andasse ad elezioni anticipate, la maggioranza al Senato resterebbe aleatoria, a meno che non si verificasse un notevole astensionismo o le opposizioni dovessero presentarsi divise e frammentate.

In ambedue i casi la stabilità diventerebbe una chimera. Ma, allo stesso modo, lo è, se la Camera dei Deputati dovesse continuare ad inseguire i fantasmi giacobini del ’68 e non decidersi a riformare quanto c’è da riformare, senza ricadere in un autolesionismo ‘di lotta e di governo’.

Tanti dicono che la colpa è delle banche, ma sarebbe bene capire quali, visto che in Grecia va agli stranieri la colpa di aver corrotto i politici e dissanguato la nazione. In Italia, non avremmo che da prendercela con due note banche ‘di sinistra’ nostrane, più l’uso scellerato di Cassa Depositi e Prestiti e dell’INPS.
Purtroppo, fronda renziana o meno, la faccenda della decadenza di Silvio Berlusconi andava presa di petto. Tanto comunque lascerà una parte dell’elettorato scontento per la clemenza e un’altra parte si lagnerà per la severità, qualunque sarà l’esito del voto parlamentare.
Di sicuro, dinanzi all’emergere di nuove forze politiche e sindacali, sarebbero servite le norme che la Costituzione prevede da 60 anni e che non abbiamo fatto sulla democrazia nelle associazioni e sulla pacificità dei cortei. Come sono evidenti le falle nel sistema giustizia, visto il ‘via vai’ di interpretazioni sui destini di Silvio Berlusconi e tanti altri condannati meno abbienti di lui.
In due parole, un Paese che arranca perchè la propria Costituzione andava riformata quasi dieci anni fa, quando si discusse se ricorrere ad una Costituente od una Bicamerale.

Il passato non ritorna e, sia che voglia inseguire l’anima forcaiola del Paese o assecondare quella moderata, Enrico Letta non ha altra scelta che rimettere in moto l’Italia: quella di ‘congelare l’instabilità’ per salvare il sistema finanziario è stata la mossa di Mario Monti.
Adesso c’è da riformare il sistema di governo che ha portato a questa disfatta nazionale.

E per farlo serve un leader carismatico, non un ‘signor qualcuno’ con l’aria dell’amministratore delegato, nel caso di Letta, o dell’imprenditore di provincia, come per Renzi.

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Grillo, Napolitano e le ragioni di nessuno

29 Ott

Grillo attacca Napolitano – “Da 60 anni in politica, un furbo” – e Letta, dimentico della spada di Damocle della decadenza del Cavaliere, parla di “Attacco assurdo, vuole instabilità”.

L’instabilità la vuole chi non procede sulla strada delle riforme che già dal 2011 erano annunciate e ormai nel 2013 non sono ancora realizzate.
Dal contenimento della spesa pubblica alla modernizzazione della pubblica amministrazione, dal nodo cruciale di Cassa depositi e prestiti alla pletora di aziende di stato e di concessioni demaniali fino all’enorme e spesso inutile patrimonio immobiliare pubblico. Come anche per la riforma elettorale, quella della giustizia o del welfare, per non parlare della sanità o del ruolo dei docenti, come dell’esercito di dipendenti ‘pubblici, ma precari’ di cui non si sa che fare, se restano in servizio quelli più anziani, spesso restii ad innovazioni e semplificazioni.

E’ la totale stasi della governance politica che rende l’Italia instabile e se c’è un rilievo da sottoporre al nostro Presidente della Repubblica è quello di recepire lo stallo come una condizione ineluttabile.
Viceversa, il Paese ha bisogno di un New Deal, di un ‘sogno di ripresa’, di una speranza di cambiamento.

Doveva essere Mario Monti a fornire la ‘scintilla’, ma sappiamo come è andata e quale sia stata la disdetta di Re Giorgio che l’aveva prescelto. Poteva essere un ‘governo per le riforme’, quello di Enrico Letta, piuttosto che tornare alle urne con una legge, il Porcellum, che proprio non va.

Forse – a posteriori – era meglio un governo tecnico per la legge elettorale fin dal 2010, quando Napolitano esitò per la prima volta.
Ma dargli del ‘furbo’ no, proprio non si può.

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Vincere le Primarie per perdere il Paese

28 Ott

C’è un motivo che dovrebbe indurre tutti gli analisti a dubitare di un successo politico del Partito Democratico nel breve o medio periodo.

Almeno 20 milioni di italiani vive in aree notevolmente urbanizzate della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia, del Lazio, della Campania e della Sicilia.
Cittadini che producono la maggior parte del PIL nazionale e del gettito fiscale, che hanno bisogno di innovazione tecnologica, semplificazione, leggi chiare e giustizia rapida, servizi locali flessibili, una P.A. ‘leggera’.

Non nascono in questi territori metropolitani e non ne rappresentano gli umori e le istanze Enrico Letta, Renzi, Bindi, Finocchiaro, Bersani, Prodi, D’Alema, Marini, Franceschini, Vendola, Boldrini, Landini, Ferrero, Damiano, Fornero (che era al governo ‘in quota riformista’, ricordiamolo), Fioroni, Marino eccetera eccetera.
Arrivano dalle ‘città metropolitane’ Civati, Veltroni, Mario Monti, Epifani, Camusso, Barca, Zingaretti e pochi altri.

Sarà anche per questo che i nostri governi non riescono a ‘volare alto’ e la nostra Sinistra resta sempre ancorata a ‘modelli patriarcali e paternalistici’. Un’Italia che vive nella perpetuazione del mito dello slow food e del paesaggio italiano, anzichè della modernità, della produzione industriale, della rivoluzione digitale eccetera eccetera?

Il Partito Democratico è un partito fortemente conservatore oppure no?

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L’appello di Marianna Madia e le primarie del PD

27 Ott

Mentre a Torino in un anno gli iscritti del PD raddoppiano a ‘ben’ trentamila e mentre Matteo Renzi esulta per il bagno di folla della Leopolda, consistente in circa 8.000 persone, balza all’occhio come ‘le primarie’ somiglino sempre più a quelle raccontate da Jules Verne ed il marchese di Tocqueville.

In ogni caso, ci sono due nobili campioni l’uno di fronte all’altro, l’onorevole Kamerfielde l’onorevole Mandiboy.  Una specie di flusso e riflusso agitava ora la marea di teste su cui le bandiere ondeggiavano, sparivano a tratti per ricomparire poi fatte a brandelli.
Ad un certo momento, mentre Fix stava per chiedere ad un vicino quale fosse la precisa ragione di tanta effervescenza popolare, un movimento più vivo si determinò. Gli «urrà» conditi di improperi raddoppiarono. L’asta delle bandiere si trasformò in arma offensiva. Non più mani: pugni dappertutto. Dall’alto delle carrozze e degli “omnibus” bloccati era uno scambio di insulti e un lancio di corpi contundenti: stivali e scarpe descrivevano in aria traiettorie molto tese.
Anche qualche colpo di revolver si frammischiò all’urlio assordante che pareva la voce del mare in tempesta. La calca si fece più sotto alla scalinata e rifluì sui primi gradini. Uno dei due partiti evidentemente era stato respinto, senza che peraltro ai semplici spettatori fosse dato capire se il vantaggio rimanesse a Mandiboy o a Kamerfield.” (Jules Verne – Il giro del mondo in 80 giorni)
“Durante i preparatvi elettorali, si registra costante agitazione dei partiti, nel tentativo di attirare gli elettori dalla propria parte.
Già molto prima del giorno prefissato, l’elezione arriva ad essere la più grande, e si potrebbe dire l’unica, vicenda che occupa le menti degli uomini … Il presidente, da parte sua, è assorbito nel compito di difendersi dinanzi alla maggioranza.” (A. de Tocqueville – Democrazia in America)
Intanto, sono circa quattro mesi che circolano on line le dichiarazioni di Marianna Madia, giovane deputata Pd alla sua seconda legislatura e veltroniana di ferro: “Nel PD a livello nazionale ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio”. (Fatto Quotidiano) “Spero che questa ipocrisia non ci sia nel futuro congresso. L’ipocrisia è pensare di parlare di linea politica senza capire che abbiamo un grossissimo problema di costituzione materiale del partito”.
Un caso che Fabrizio Barca, chiudendo la serata, ebbe ad avvalorare: “Quello che racconta Marianna Madia – in Calabria, ad esempio – lo vedi benissimo, assume toni drammatici. In quella terra il partito è diviso tra veri e propri capibastone che vengono dal passato e un 25% di partito straordinario. Quello che ci hai detto in modo molto libero la gente lo vede. Le persone a quel punto scelgono altri”.
Un esempio, quello del PD calabrese che ben viene evocato dal commento di Ferdinando Cosco, capolista nel Collegio di Soverato, per il risultato elettorale nel Collegio XII di Rosy Bindi, oggi Presidente della Commissione Antimafia : “Nel ringraziare per l’ampio consenso ricevuto, gli amici e i sostenitori che, con i candidati della lista, hanno creduto nel progetto vincente e vittorioso di Agazio Loiero, intendo assicurarli di un permanente impegno in direzione di una politica operativa e veramente prossima ai problemi della gente”. (fonte QuiCalabria)
Peccato che Agazio Loiero abbia perso le elezioni del 28 e 29 marzo 2010 e che il 2 febbraio 2011 annunciava l’abbandono del PD …
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