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Un ministro CGIL all’Istruzione

13 Dic

Torna a casa il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, già rettrice dell’unica Università italiana che non si occupa di discipline tecnico scientifiche, perchè specializzata nell’insegnamento e nella diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero …

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Al suo posto arriva Valeria Fedeli, già segretaria generale CGIL dei lavoratori tessili, poi presidente del sindacato tessile europeo Fse-Thc.
Nel 2012, pensionatasi dal sindacato, viene eletta  come capolista in Toscana nella coalizione «Italia bene comune» e, priva di ogni esperienza parlamentare, viene nominata vice presidente vicaria del Senato.

La domanda del giorno è duplice:

  • Valeria Fedeli (una vita nella CGIL) come potrà occuparsi dei contratti, delle mansioni e dei concorsi dei docenti italiani, confrontandosi con Aran e Sindacati, senza generare un mostruoso conflitto di interessi?
  • la sua esperienza nel settore manifatturiero porterà ad una definitiva quanto attesa strutturazione estandardizzazione della formazione professionale in Italia oppure sarà il solito flop ed ulteriore spesa pubblica per ‘aiutini’ alle Regioni e agli Enti certificati?

Demata

Ocse istruzione: l’Italia in coda, what else?

25 Nov

L’aggiornamento Ocse (Education at a Glance 2015) sullo stato dell’istruzione dei 34 paesi più industrializzati del mondo, offre un panorama nitido quanto imbarazzante della situazione a casa nostra.

What else … se la Scuola dal 1995 non attua politiche di turn over ed ha sprecato vent’anni di innovazione tecnologica e semplificazione oppure se l’Università preferisce vivere in subordine di scelte regionali – spesso dimostratesi velleitarie – piuttosto che indirizzarle.

FATTI

Solo il 17% degli adulti (25-64 anni) ha conseguito una laurea, come in Brasile, Messico e Turchia.

Solo il 42% dei diplomati si iscrive “all’università”, siamo terzultimi dopo il Lussemburgo e il Messico, mentre il 35% dei 20-24enni non ha un lavoro, non studia, né segue un corso di formazione.

Solo il 34% dei ragazzi italiani (uno su tre) consegue una laurea od un diploma di III livello, mentre la media Ocse è uno su due.

I docenti sono molto più anziani di qualsiasi altro Paese industrializzato: nel 2013 il 57% di tutti gli insegnanti della scuola primaria, il 73% degli insegnanti della scuola secondaria superiore e il 51% dei docenti dell’istruzione terziaria avevano compiuto o superato 50 anni.

L’Italia e la Repubblica Ceca sono i soli Paesi dove il tasso di occupazione tra 25 e 34 anni è più basso (di poco) tra i laureati che tra i diplomati. In particolare, nel 2014 il 62% dei nostri laureati tra 25 e 34 anni era occupato (cioè come la Grecia) e risultava il fanalino di coda dei Paesi dell’Ocse (di media all’82%).

In Italia, nel 2012, le istituzioni dell’istruzione terziaria hanno speso solo lo 0,9% del Pil nazionale e più esattamente 10.071 dollari USA per studente, cioè due terzi della spesa media Ocse.

RISULTATI

I redditi dei laureati in Italia sono superiori solo del 43% a quelli dei diplomati, mentre la media Ocse è del 160%.

Nel 2013, gli insegnanti guadagnavano due terzi del salario medio dei lavoratori con qualifiche comparabili degli altri paesi Ocse.

I nostri giovani laureati registrano anche uno dei punteggi più bassi in termini di lettura e comprensione (literacy) di un testo, ovvero molti “hanno difficoltà a sintetizzare le informazioni provenienti da testi complessi e lunghi”.

Nel 2013, meno di 16.000 studenti stranieri (N.B. immigrati permanenti inclusi) risultava iscritto a un ateneo italiano mentre – senza contare gli immigrati permanenti – la Francia vedeva ben 46.000 studenti stranieri iscritti come la Germania superava i 68.000.

CONCLUSIONI

La regressione continua e non potrà cambiare, se i docenti saranno sempre più anziani e se manco un registro elettronico si riesce a varare. Oppure se la formazione professionale e quella permanente continuerano ad essere ‘materia condivisa’ cioè terra di nessuno.

E’ davvero difficile immaginare un’inversione di tendenza sulla base delle sole assunzioni che il Governo Renzi e le Regioni stanno attuando, senza un ampio turn over del personale, avviando un percorso che incrementi in parallelo le competenze tecnologiche di base e la spesa per studente e che semplifichi la gestione amministrativa di queste risorse.

Per non parlare dello scarso appeal di una laurea che permarrà se non si andrà almeno a ridurre la pressione fiscale e/o previdenziale esistente sui già striminziti redditi dei lavoratori dipendenti laureati …

Demata

Scuola: Italia e Germania, due scioperi a confronto

17 Giu

La scuola italiana va riformata profondamente se da decenni non riusciamo a superare il tetto del 20% di laureati, a fronte del monte ore di lezione più alto d’Europa, e se ci troviamo puntalmente con l’andirivieni di supplenti e le classi scoperte, mentre abbiamo il più elefantiaco apparato scolastico del mondo.

Con l’Europa che avrà di media il 40% della popolazione laureata entro il 2020, è abissale credere di poterci permettere ancora un congruo 35% di lavoratori con la sola licenza media, mentre meno del 10% è in possesso di lauree tecnico-scientifiche e non di rado scappa all’estero.

La situazione degli edifici scolastici è molto carente, ma gli Enti Locali continuano a fare orecchie da mercante. Per non parlare della dispersione scolastica da record che ci troviamo e che alimenta criminalità, degrado, esclusione sociale.

Questa è la situazione, Invalsi o non Invalsi che sia, che ci piaccia o meno: all’Italia serve una buona scuola, non c’è che dire.

Di cosa dovrebbe essere fatta una buona scuola?

Innanzitutto da buoni ed ottimi insegnanti, ma qui da noi – superato il concorso – non c’è più nessun filtro che ce lo garantisca ed, allo stesso modo, non v’è una retribuzione od una meritocrazia che lo riconosca. E se i governi hanno finora avanzato proposte molto vaghe e, comunque, timide, l’aspetto più preoccupante è che in decenni di proteste e rivendicazioni da parte dei docenti, la questione ‘merito/premialità’ (e più in generale quella della progressione stipendiale) non è mai stata oggetto di proposte ‘congrue’ da parte dei sindacati e/o del mondo della scuola.

In secondo luogo da programmi/piani/programmazioni didattici coerenti tra di loro e non largamente ‘adattati’ e/o ridotti a seconda delle scuole o delle classi, se vogliamo contenere l’abbandono scolastico e massimizzare l’accesso alle lauree. Questo è il frutto avvelenato delle indecisioni e delle forti resistenze all’attuazione dell’Autonomia Scolastica e la creazione di una dirigenza appositamente qualificata, come di un sistema di valutazione nazionale e di uno status del personale docente ancorato ancora a norme del 1976 e contratti del 1995 …

Potremmo continuare all’infinito, passando per il concetto che le scuole dovrebbero essere sempre luogo di ‘coesione’ e non di ‘antagonismo’, e troveremmo puntualmente ambedue queste carenze di metodo e di ruoli.

Infatti, anche la Buona Scuola del ministro Giannini sta mostrando la solita incertezza dell’azione politica come la puntuale resistenza al cambiamento da parte della base.
In mezzo le famiglie che troppo spesso non percepiscono la scuola come un riferimento per la genitorialità e come una centralità dei servizi sul territorio, bensì come mero ‘punto di erogazione di un servizio’ … e come dargli torto, se la dicitura è ‘ufficiale’ ed è condivisa da amministrazione e sindacati.

Intanto – mentre in Italia continuano le agitazioni nella scuola, senza però rivendicazioni ‘concrete’, a fronte di ‘scatti triennali’ di poche decine di euro per i nostri docenti – in Germania l’efficienza è un vanto come lo è il giusto trattamento di chi lavora, mentre il politico locale di turno ci mette la faccia se la scuola cade a pezzi ma anche le maestre dei kindergarten tedeschi sono in sciopero ormai da un mese perchè chiedono aumenti stipendiali ed … ecco quanto quadagnano oggi. Quanto ai programmi ed alla ‘gerarchia’ o la ‘burocrazia’ son tutti d’accordo che sia un compito e dovere del ‘datore di lavoro’ … che, come detto, rende conto in termini di consensi elettorali se le scuole funzionano bene o meno.

Stipendi maestre kindergarten Germania

Ore, stipendi, numero di alunni, pensioni … visto che un po’ dovunque i docenti possono pensionarsi prima dei 55 anni d’età, cosa che solo da noi è un miraggio.

Nel Paese delle Api Operose contano i fatti, in quello degli Acchiappacitrulli le parole, avrebbe commentato il buon Collodi …

Demata

La riforma Gentile era fascista? E, comunque, i presidi a cosa servono?

21 Mag

Francobollo_Giovanni_GentileAborrire la ‘scuola fascista’ è un conto, altro è non ammettere che il sistema d’istruzione congegnato da Giovanni Gentile ha dato all’Italia gli ingegneri, gli economisti, i medici, gli architetti e i magistrati che hanno costruito e poi ricostruito il Bel Paese dagli Anni ’20 fino agli inizi degli Anni ’60.

E, seppur con una certa meraviglia, dobbiamo prendere atto che dalla scuola di Giovanni Gentile sono usciti pressochè tutti i partigiani e gli antifascisti, i sindacalisti e i politici del dopoguerra, salvo una parte che aveva studiato in scuole cattoliche.

Ancor più stupefacente è lo scoprire che – quando c’era lui, Giovanni e non Benito – tutta la sede di Viale Trastevere funzionava con una cinquantina di addetti. Sarà una leggenda metropolitana, ma a contar le stanze non sembrerebbe che vi fossero più di un centinaio di addetti. Certo c’erano meno persone e meno scuole, ma cosa dire se – a far due conti della serva – gli attuali ministeriali avrebbero praticamente 3 scuola a testa di cui occuparsi …

A seguir le leggende ci sarebbe anche quella che gran parte di questi ministeriali fossero più di sponda socialista che fascisti, cosa che troverebbe diverse riprove a partire dall’incredibile la quantità di nozioni scientifiche che bisognava apprendere fin dai 12-14 anni. Non solo le ‘elite’, che avevano una competenze linguistiche e storiche alla stregua di una laurea brevis di oggi: fa davvero impressione scoprire, oggi, cosa e quanto avessero da studiare gli alunni delle cosiddette scuole di ‘avviamento al lavoro’, che coprivano le attuali ‘medie’ e parte dell’istituto professionale.

E libri ed esercizi erano più o meno uguali, così non si poteva sbagliare nel valutare la qualità di una classe od  un istituto.

C’era, poi, la retorica fascista – che imperava tramite le materie letterarie alle elementari e nei licei – con i suoi Balilla, i Saggi Ginnici e una marea di stupidaggini annesse e connesse, ma … spesso e volentieri destinate al sabato, immancabilmente ‘fascista’.
C’era Giovanni Gentile, che commise errori ingiustificabili, come quello di aver firmato il Manifesto sulla Razza pur non essendo notoriamente antisemita (fonte Radio Radicale), ma che ebbe certamente il pregio di inventare un sistema di istruzione, che molti gli copiarono, a partire da Stalin e Mao.

All’epoca – e fino agli Anni’60 – c’erano i ‘presidi’ che ‘delegavano’ proprie funzioni – cosa che tutti vorrebbero – a persone di propria fiducia, dato che è il requisito essenziale per una delega e costringe il delegante a rispondere di quanto fatto dal delegato.
Nulla di fascista, si chiama delega, è uno strumento giuridico atto a distribuire il potere. E’ il sistema attuale che prevede ‘un uomo solo al comando’: la riprova è nella norma attuale che escude la nomina dei famosi ‘vicari’  sempre esistiti, prevedendo addirittura che i dirigenti scolastici non vadano sostituiti se non si ammalano per più di sessanta giorni.

Tra l’altro, a chi aborrisce la ‘riforma Gentile perchè fascista’ andrebbe ricordato che le politiche fasciste verso i bambini e i giovani non passavano dal ministero dell’Istruzione di Giovanni Gentile, ma da quello dell’Educazione di Giuseppe Bottai: fu Giovanni Gentile a creare i primi organismi paritetici (Consigli di Classe) nel1922-23.

E fu grazie a Gentile che venne creato un ruolo nazionale degli insegnanti con accesso tramite concorso e trasferimento a domanda dell’interessato, mentre fino all’anno prima (1922) erano scelti dal preside come poi rimasto per i soli supplenti.

Quei presidi avevano anche il dovere di intervenire, se qualcuno era sempre in ritardo e la classe restava scoperta o se in una classe la didattica non raggiungeva i risultati aspettati.
Oppure se qualcuno degli alunni faceva benchè minimamente il bullo o se tra i docenti non c’era la collaborazione reciproca oppure se qualche famiglia trascurava i figli

Ma questo è normale in un ambiente di lavoro qualsiasi (orari, risultati, rispetto, regole), figuriamoci se parliamo di persone che hanno la responsabilità sociale di eduare bambini e adolescenti: cosa c’entra rievocare la scuola fascista?

Demata (since 2007)

Scuola tra meritocrazia e pari opportunità

11 Mag

Il ministro Boschi e il segretario della CGIL rappresentano due mondi e due elettorati diversi e non complementari: da un lato l’ipotesi che i meritevoli abbiano uno status riconosciuto (e tutelato), dall’altra l’idea le moltitudini abbiano una effettiva capacità decisionale.

L’Italia è un paese dove la meritocrazia (a scuola) è tecnicamente vietata: nessuno può diplomarsi a 15 anni, nessun altro può laurearsi prima della maggiore età. Stop. E si è assunti per concorso, con il risultato che resterà fuori il 31esimo se i posti sono trenta, ma verrà assunto il 1.800esimo se il bando arriva a duemila.

L’Italia è anche la nazione che (per decisione di un consiglio di classe, ma non del docente preposto) promuove in classe quinta un bimbetto che ancora in quarta non conosceva (a memoria) le tabelline che già in terza avrebbe dovuto sapere a mendito. Il tutto senza tener conto di quanto potrà per lui essere deprimente trovarsi con compiti sempre più impossibile da comprendere prima che svolgere.

Altrove un concorso vale l’altro e le scuole attingono da graduatorie ‘storiche’ (ed aggiornate anno per anno) per reclutare i propri docenti.
Gli alunni sono valutati con prove nazionali e con una gamma di al massimo 4-5 ‘voti’; non superarle comporta automaticamente la permanenza nella classe.
I meritevoli sono agevolati nei percorsi di studi e ‘contesi’ dalle scuole superiori e dalle università, permettendogli di arrivare ai vertici della società anche se ‘figli di un dio minore’.
I ‘ritardatari’ sono supportati e indirizzati negli studi in modo che possano vivere del proprio lavoro e con dignità, piuttosto che puntare ad un acculturamento ed una socializzazione non ben definiti.
La ‘legge’ interviene rapidamente se famiglie, i docenti, i presidi che non fanno il proprio dovere verso i bambini / ragazzi, che in una scuola – ricordiamolo – sono il soggetto da tutelare.

E c’è una questione di ruoli: i sindacati della scuola rappresentano e tutelano il personale della scuola, il ministero dell’istruzione garantisce il diritto allo studio e le pari opportunità di tutti gli alunni.

I sindacati sono contro la Buona Scuola di Renzi, Boschi e Giannini, ma – non essendo solo una questione di spesa pubblica – cosa propongono riguardo lo status dei docenti (e dei dirigenti) e cosa riguardo la valutazione dei risultati?

Demata (blogger since 2007)