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Scuola italiana: riflessioni per migliorare

30 Ott

static1.squarespace.comPerchè l’Italia è ben declinante nella mappa Ocse sull’istruzione e formazione, cioè quanto è in salute la Scuola italiana? E’ possibile riportarla agli antichi splendori? E come?

1- IL PROBLEMA

Iniziamo a dirci quello che borbottano tutti: l’ignoranza che imperversa in Italia l’hanno prodotta – a partire da molti anni fa – i dirigenti, i docenti, le associazioni di categoria e i media che hanno permesso che di compiti a casa gli alunni ne facessero pochi o nulli oppure che hanno sorvolato sulla ammissione alla classe successiva – per l’impegno – di alunni privi dei prerequisiti risalenti non a uno, ma a tre anni (scolastici) prima, come se l’invecchiare di un anno di conferisse automaticamente le competenze minime per capirci qualcosa in matematica o storia o inglese, per non parlare delle materie di indirizzo.

Un fenomeno che ci ha costretto progressivamente a ridurre in pillole i saperi e ad accontentarci di obiettivi sempre più minimi, per cui … ‘addio eccellenze’. E, dopo più di venti anni, il problema delle effettive competenze diffuse tra la popolazione diventa strutturale. Specie se i migliori tra noi devono scappare all’estero per non ritornare.

tmp6354630000351641612- IL CONTESTO

Poi, c’è l’Era Digitale, che ha stravolto molti dei luoghi comuni dell’Ottocento e del Novecento per le discipline sia scientifiche/tecniche sia storiche/sociali.

All’estero, se la cavano perchè i docenti raramente vanno in pensione dopo i 50/55 anni e perchè gli istituti tecnico-professionali fanno capo, in un modo o nell’altro, ai ministeri e alle confederazioni del settore.
Da noi rischiamo di giocarci la capacità manifatturiera ed industriale o la qualità culturale complessiva del Paese, se continuiamo a mandare in classe docenti, laureatisi prima del balzo in avanti della genetica, dell’elettronica e della logica e … che vorrebbero pur pensionarsi. Senza parlare di chi (staff, dirigenza, uffici o altro ancora) si ritrova a doversi continuamente adattare a sistemi telematici che cambiano e aumentano oppure deve gestire la non semplice introduzione di elementi di common law e di autonomia in una nazione storicamente centralista e statalista.

Abstract-Tree-with-Flower-Patterns3- IL BLOCCO

La docenza e la dirigenza sono comparti che hanno esigenze simili all’industria e alla finanza: periodicamente è necessario un turn over, stante la velocità con cui sviluppiamo tecniche, cresciamo di numero, modifichiamo l’ambiente. Nel mondo, fatta eccezione per India e ‘Terzo’ Mondo, solo il 10-15% dei docenti ha più di 55 anni, dato che l’età media di accesso alla professione è ben sotto i 25 anni e – anche grazie alla varietà di istituzioni e privati esistente – non sono pochi che optano per part time e stare a casa o svolgere anche una professione oppure fare arte, volontariato o ricerca.

4- LA CAUSA

Il problema, dunque, è semplice: altrove un ottimo laureato di 23 anni trova facilmente un lavoro ben pagato ed anche gli stipendi iniziali dei docenti crescono, a 52 anni si ritrovano con 35 anni di contributi ‘decenti’ (ed i figli a loro volta già lavoratori), così o lasciano qualcosa sul tavolo e vanno via per dedicarsi ad altro oppure, avendo stipendi ‘decenti’ (ma anche una struttura oraria dei contratti diversa), entrano in part time e spesso svolgono funzioni di supporto con poca didattica in classe.
Allo stesso modo, i sistemi di reclutamento (cioè i contratti) facilitano l’accesso alla docenza di laureati ex studenti lavoratori o tecnici senior che vogliono lasciare l’industria.

23552126-albero-in-fiore--illustrazione-vettoreSe ripensate ai tanti film ambientati in scuole o college all’estero, sono figure che vi torneranno familiari.
Non dobbiamo tornare ai pensionamenti con 15 anni sei mesi ed un giorno, ma bisogna trovare il modo che i docenti entrino nel circuito scolastico subito dopo la laurea, se ne hanno le capacità, e che possano optare per part time o pensione ridotta a partire dai 50 anni.
Tra l’altro … è una semplice questione di matematica: se oggi le generazioni (padre-figlio, madre-figlia) si alternano ogni 30 anni, è evidente che questo è anche – grosso modo – il ciclo di turn over di un sistema che serve per trasferire conoscenze e competenze da una generazione all’altra.

5- L’OTTICA I cittadini, le persone, conoscono della scuola solo il contesto dell’aula e della classe, avendola frequentata da alunni, e tendono a limitare il tutto a quanto accade in questo ‘cubo con 20 alunni ed un docente’.

Noi sappiamo che una classe è come l’elettrone di un grande atomo in una molecola polimerica in una soluzione racemica o, più semplicemente, come un singolo fiore tra centinaia di migliaia che crescono su uno tra decine di migliaia di rami di un albero che ogni anno semina quattro milioni di frutti: il Sistema Nazionale di Istruzione.

Demata

Bomba a Brindisi: dopo il primo arresto, ancora molte ombre

7 Giu

Sarebbe un anziano benzinaio il bombarolo dell’Istituto Morvillo Falcone di Brindisi ed avrebbe agito da solo, ‘creando’ un congegno esplosivo piuttosto sofisticato per colpire il Tribunale, ma, stranamente, posizionandolo con molta precisione davanti alla scuola …

Giovanni Vantaggiato, 68 anni da Copertino in provincia di Lecce, avrebbe anche confessato: «Sì, quella bomba l’ho fatta io da solo. L’ho pensata e l’ho costruita».

A parte la confessione, durante la quale l’uomo avrebbe alternato momenti di lucidità a stati confusionali, di prove non ce ne sono ancora ad eccezione della presenza della sua autovettura nella zona dell’attentato.

Lo stesso procuratore Cataldo Motta ha tenuto a precisare che “il fermato è uno solo, ha ammesso la propria partecipazione, ma le confessioni non sono convincenti”, “non sa dire” perchè lo ha fatto, “non possiamo dire” che sia l’uomo del video, “è ancora al vaglio degli inquirenti” se è stato lui a costruire l’ordigno”.

 

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Attentato a Brindisi, un primo quadro d’insieme (con video)

19 Mag

Intorno alle 7.50 di oggi, è esploso a Brindisi un ordigno composto da tre bombole di gas, collocate su un muretto dietro un cartellone pubblicitario, davanti un istituto scolastico.
Le studentesse, assembrate lì, in attesa della campanella d’entrata sono state investite dall’esplosione e dalla “palla di fuoco” che il propano genera. L’attentatore era a vista e “scelto” le vittime.

Un attentato contro le donne, visto che la scuola è una delle poche intitolate ad una donna e gli iscritti sono in prevalenza ragazze.


fonte Google Street – il luogo dell’attentato

Una studentessa, Melissa Bassi, di 16 anni, è morta poco dopo all’ospedale Terrino di Brindisi. Un’altra, Veronica Capodieci, è tra la vita e la morte, dilaniata dall’esplosione.
Degli altri feriti, molti sono sotto shock e due hanno subito solo ferite lievi, ma gli altri quattro avrebbero riportato ustioni al 40% del corpo e due anche gravi lesioni agli arti.

L’attentato si ricollega, per la tecnica incendiaria, ad altri fatti recenti avvenuti nel Brindisino, a Mesagne in particolare, come l’esplosione e l’incendio delle autovetture del presidente della associazione antiracket, Fabio Marini, e dell’imprenditore Luigi Devicienti, più volte finito nel mirino della Sacra Corona Unita.
Utile aggiungere che a Brindisi è stato appena eletto come Sindaco, al primo turno, il giornalista Mimmo Consales, un personaggio “impegnato”, sostenuto dal centrosinistra e dai centristi dell’Udc, che dirigeva la redazione di Telenorba ed era corrispondente da Brindisi dell’agenzia Ansa.
Le sue affermazioni, riguardo l’attentato mafioso, sono dunque “ben informate dei fatti”. La collocazione dell’istituto di fronte il Tribunale di Brindisi, la sua intitolazione a Franca Morvillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone morta anche lei nella strage di Capaci, l’arrivo in città della Carovana Antimafia nel ventennale delle stragi inducono a pensare al peggio.

Trattandosi di un ordigno rudimentale dello stesso genere di altri utilizzati in attacchi a college statunitensi, di cui sono facilmente rintracciabili on line le “istruzioni”, resta aperta ancora l’ipotesi dell’atto di qualche scellerato, almeno finchè gli inquirenti non avranno una pista precisa da seguire.

Quel che è certo è che trattasi di “terror”, un’espressione statunitense che si traduce con “terrorismo”, ma senza introdurre alcuna connotazione politica od ideologica. Azioni destinate a sussitere “panico” e rivolte contro gruppi indistinti di persone.
Gravissimo che questo atto scellerato si sia rivolto contro una scuola ed eccezionalmente grave se dovesse confermarsi l’origine narcomafiosa.


fonte video di BrindisiReport su YouTube

Un “salto di qualità” che vedrebbe, secondo le dichiarazioni dei politici brindisini, la cosca di Mesagne come autrice dell’attentato, ma che potrebbe essere solo il primo atto di una “narco-insorgenza”, in tono certamente minore rispetto al Messico, che ha un territorio enorme, ma in analogia con la strategia stragista di Totò Riina.

Una preoccupazione che traspare dalle dichiarazioni di tutti – esperti, politici, inquirenti che siano – quella che la Mafia potrebbe essere “alle corde”, ovvero non aver troppo da perdere.
Certamente, infatti, la Crisi ha colpito anche chi aveva da speculare ma soprattutto per “lavare” il proprio denaro. Inoltre, dopo le norme sul tracciamento bancario e quelle in fieri contro la corruzione, per nuove norme di bilancio, di controllo del finanziamento dei partiti.

Una situazione di difficoltà ancor più accentuata dalla pochezza dei partiti e dalla difficoltà di intravedere “interlocutori” futuri, dalla presa di posizione del Papa e del Vaticano in occasione dei Vespri contro mafie e corruzione e dalla forte probabilità che l’Europa, gradualmente, decida di legalizzare e fiscalizzare le sostanze stupefacenti.


fonte video di BrindisiReport su YouTube

Una difficoltà del crimine organizzato che, a prescindere o meno dall’attentato di Brindisi e dai suoi autori, impone una maggiore celerità nelle riforme della governance (provincie, legge elettorale, demanio federale, finanziamento dei partiti, trasferimenti Stato-Regioni) e l’avvicendamento della classe politica della Seconda Repubblica.

Una celerità nel riaffermare l’esistenza e la presenza dello Stato – e del senso di  appartenenza comune e di condivisione sociale – che si renderebbe altrettanto urgente, se il vigliacco attentato fosse “un fatto anomalo”, ovvero se fosse stato attuato da qualche scellerato.

Intanto, con Mario Monti in USA, la notizia rimbalza sulle news mondiali ed anche questo è un fatto che non dipinge bene il nostro Paese.

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Lezioni sospese. Ed il monte ore annuale?

13 Feb

La buriana sembra essere passata e la neve passa loscettro del disastro al ghiaccio ed al gelo.
Intanto, nei centri abitati riaprono le scuole, dopo sette o dieci giorni di sospensione della didattica.

Il sistema scolastico italiano prevede, come tutti sanno, che le classi ed i singoli alunni svolgano un determinato numero di ore, affinchè l’anno scolastico sia “valido” e si possa essere promossi od amemssi agli esami.

Parliamo di 1056 ore annue per gran parte degli istituti, di 990 per medie, elementari e buona parte dei licei, fino al minimo di 891 ore, previsto per i classici.
Ore che vengono distribuite, quasi esclusivamente, su 33 settimane annue, con frequenze che vanno dai cinque ai sei giorni alla settimana e con una durata quotidiana delle lezioni di 5-6 ore.

La norma, così come voluta dal ministro Gelmini, non prevede deroghe al numero minimo di ore svolte dalla classe e consente ai singoli alunni un massimo di una 50 di assenze annue, salvo casi eccezionali e documentati.
D’altra parte, la norma non è altro che il recepimento delle direttive e dei trattati europei: nulla da fare, dunque, se vogliamo emettere dei titoli riconosciuti all’estero.

In due parole, se il Calendario scolastico della Regione Lazio, per il 2011-12, prevedeva 210 giorni di lezione, sabati inclusi, ne restano solo 200-202 per le scuole di Roma, ad esempio, ed ancor meno per tutte quelle località dove stamane le lezioni sono rimaste sospese.

Così andando le cose, va capito cosa accadrà, nel futuro prossimo venturo, allorchè verrà a porsi il problema che, in molti comuni del Centroitalia tra cui la Capitale, la durata dell’anno scolastico potrebbe non poter contare su un numero di giorni congruo, a fronte di un diritto costituzionalmente garantito.
Dieci, quindici giorni di sospensione delle lezioni sono tanti, tantissimi, se, poi, c’è da recuperarli.

Le scuole di pensiero a riguardo sono tante e tutte affette da una qualche “difficoltà”.

Dall’ipotesi che le ore vengano svolte “in aggiunta” all’orario “normale”, per iniziativa dei dirigenti e degli organi collegiali delle scuole, senza intaccare il calendario regionale, ma stravolgendoi trasporti e obbligando i docenti ad orari eccedenti.
A quella che le singole Regioni adottino modifiche ai rispettivi calendari scolastici, azzerando le vacanze pasquali, ipotesi impraticabile per gli esiti di forte impopolarità, mentre riforme ed elezioni incombono.

Per finire alla prevedibilissima “deroga” ministeriale, magari a mezzo circolare, anzichè decreto, sollevando tutti dall’obbligo di recupero delle ore di lezione mancanti e lanciando al paese un chiaro – e pericoloso – segno di populismo … e di “benevolenza”. Il tutto  – ancor più pericolosamente – in barba all’europeismo vantato da Mario Monti in tante sedi internazionali.

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Scuola facile per gli stranieri

9 Feb

Che “qualcosa non vada” al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, diretto dal ministro Profumo, gli addetti ai lavori l’avevano già capito da qualche giorno.
Parliamo degli Esami di Stato convocati a mezzo di una semplice circolare, anzichè con la dovuta ordinanza.

Dettagli, che dicono molto sulla competenza e sullo stile.

La conferma è di questi giorni, quando, sempre a mezzo circolare, si invitano gli istituti di istruzione secondaria, inclusi i licei, ad accettare le iscrizioni di studenti stranieri licenza di scuola media.

Qualora gli studenti con cittadinanza non italiana siano ancora, secondo l’ordinamento scolastico italiano, in età di obbligo di istruzione … vengono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto, dell’ordinamento degli studi e del corso di studi eventualmente seguito nel paese di provenienza, dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno e del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno. Qualora, invece, gli studenti stranieri che richiedono l’iscrizione ad una classe intermedia non siano più soggetti all’obbligo, almeno sedicenni, il consiglio di classe può consentire l’iscrizione di giovani provenienti dall’estero“.

Ovviamente, “l’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno” avverrà a carico del già magro “Fondo d’Istituto”, come lo saranno tutte le attività di recupero e supporto necessarie a ragazzi e ragazze che, solo in ragione dell’età, si ritrovino catapultati in una classe liceale, senza conoscere la lingua e senza aver seguito un percorso formativo minimamente omogeneo e coerente.

Molto più logico, viceversa, prevedere che le scuole medie offrano sessioni straordinarie per gli esami di licenza e, soprattutto, tenere conto che agli studenti italiani la norma vigente non permette neanche di cambiare tipo di studi superiore, dopo l’inizio delle lezioni a settembre, ovvero dopo il termine ultimo per gli esami integrativi.

Ma per fare questo, il ministro Profumo avrebbe dovuto articolare e concertare un decreto, anzichè una circolare, che, però, lascia il tempo che trova.

Il perchè è facile a dirsi.

Al di là delle risorse – finanziarie ed umane che sono necessarie – le disposizioni del ministro Profumo sono inviate a mezzo “circolare” e, in base alle norme vigenti, le istituzioni scolastiche autonome e le singole regioni sono libere di recepirla o meno … come per tutte le circolari.

Infatti, le circolari sono un “atto regolativo interno”, mentre le istituzioni scolastiche sono, per dettato costituzionale, “autonome” dal punto di vista gestionale.
Attendiamo, dunque, un’ordinanza – di nome e di fatto – per gli Esami di Stato ed un decreto – non una circolare – per quanto riguarda gli alunni stranieri.

Povera Italia.

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Flop Gelmini: ancora lassismo a scuola

4 Ott

La Repubblica (link) denuncia che i dati forniti dal ministro Gelmini, relativi all’aumento di bocciati nelle scuole superiori, è erroneo: in realtà, secondo il quotidiano romano, i promossi sarebbero stati addirittura in aumento.

Niente tolleranza zero contro studenti ignoranti, volgari e svogliati?

A leggere tanti scrutini od a sentire tante famiglie, il pugno di ferro c’è stato e, se il dato di La Repubblica, il fatto sarebbe gravissimo, dato che dimostrerebbe che una parte dei licei ed istituti sta facendo la propria parte, mentre una non precisata percentuale avrebbe addirittura incrementato il lassismo.

Ovviamente, al giornale di Scalfari ed Ezio Mauro interessa solo l’ennesimo flop del ministro lumbard e non anche l’indecenza professionale dei docenti di troppi diplomifici …

Siamo alle solite, dopo il famigerato tunnel Milano-Gran Sasso e la “riforma epocale” senza denari, arriva un altro mito (o miraggio?) sfatato.

I miraggi e gli sbandamenti sono ormai tanti più di tanti.

Tagli del personale docente mai ben quantificati, due anni di fondi insufficienti per i supplenti e per il funzionamento, il terno al lotto dei lavoratori exLSU e del loro costo, l’istruzione tecnico-professionale e le scuole materne definanziate, i fondi per il telelavoro destinati al FORMEZ, le dirigenze superfetate al punto da doverne tagliare un quinto.

Le piccole località private addirittura delle scuole elementari, gli organici dei bidelli al lumicino, gli edifici scolastici nel degrado senza che gli enti locali abbiano finanziamenti sufficienti, l’assenza di controlli sulla spesa degli enti locali per scuole e diritto allo studio.

I tagli e le assegnazioni di fondi e personale che non si sa quale prevedibile regola seguano e soprattutto “dove” siano effettivamente decisi, lo smatellamento in RAI degli educative channels  di cui è comprovata nel mondo l’efficacia didattica, la regressione delle politiche d’istruzione e culturali per gli italiani all’estero, l’assenza di un percorso pubblico e trasparente nell’individuazione degli elementi di qualità delle Istituzioni Scolastiche e soprattutto di quelli valutativi, tenuto conto che la Costituzione le rende gestionalmente autonome rispetto al MIUR.

Ormai, resta solo da chiedersi quanti anni saranno necessari per ripristinare un circuito di distribuzione delle risorse e di controlli, che sia equo, trasparente, efficiente ed efficace.

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Tagli alla scuola: si potevano evitare?

12 Set

Riaprono le scuole ed iniziano a sentirsi i tagli voluti da Tremonti ed eseguiti dalla Gelmini.

Secondo la Stampa, le attuali 10.500 istituzioni scolastiche verranno ridotte a circa 9.500 perchè hanno pochi alunni, ovvero meno di 500 che è il parametro di legge. L’intervento, che decurta del 11% l’organico dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi, comporterà, secondo i calcoli di «Tutto Scuola», anche una incomprensibile perdita di ulteriori posti (1.100) di assistente amministrativo.

Sempre in questo anno scolastico che inizia, le ore di lezione degli istituti tecnici e professionali vengono generalmente abbassate  a 32 settimanali, con un corrispettivo taglio del 10% dei docenti, che va ad aggiungersi al corposo taglio di maestre di scuola elementare (circa 50.000) determinatosi con l’abolizione dei moduli senza il subentro, specie al Sud per problemi logistici, del tempo pieno.

A questo va ad aggiungersi il taglio dei servizi per i disabili, quelli per il funzionamento delle scuole e quelli specifici per il recupero, per poi dover ancora scoprire quali saranno i tagli attuati dagli Enti Locali, se a carico dei clientes o delle scuole.

Il tutto in uno Stato che destina(va) all’istruzione, ovvero al diritto allo studio, più o meno quello che spendono gli altri paesi europei, se teniamo conto sia di quello che va al Ministero dell’istruzione, università e ricerca sia quello che va a gli Enti Locali.

Inoltre, se lo Stato investe di meno nella scuola, anche i costi per le famiglie s’incrementano (ad esempio: +2% sul prezzo degli zainetti) e le misure di contenimento del “caro libri”, che grava specialmente sugli alunni dei Trienni delle Superiori, sono inficiate dalla scarsa informatizzazione dei docenti. la scarsa diffusione degli Ebooks, la drammatica situazione dell’edilizia scolastica e dei laboratori, i tagli pesantissimi per gli assistenti tecnici, per non parlare della l’innovazione e manutenzione tecnologica, che, da quando è stata trasferita agli Enti Locali, è del tutto scomparsa in non pochi territori.

Se la scuola pubblica non fosse stata statale non avremmo subito questi tagli.

Con il sistema dei voucher e con le scuole in carico al territorio, come recita la Costituzione, il cittadino vedrebbe direttamente decurtate le risorse destinate all’istruzione dei propri figli e protesterebbe. Inoltre, i cittadini potrebbero scegliere e le scuole sarebbero costrette a diventare più efficienti o ridursi a dei diplomifici, facilmente individuabili da un qualunque sistema informativo di monitoraggio decente.

Sempre con i voucher, però, i docenti passerebbero dal posto fisso a contratti quinquennali o triennali. E nei voucher, cioè nelle mani dei cittadini, finirebbe anche buona parte di quello che gli enti locali spendono in diritto allo studio e che, non di rado, diventa festa patronale o etnica, scuolabus ed esenzione, progetto esternalizzato fine a se stesso. Infine, avendo “finalmente” gli amministratori locali la responsabilità di un servizio che “entra nelle case della gente”, assisteremmo ad una maggiore e più soddisfacente selezione del personale politico che ci viene proposto per il voto.

E’ una questione nota, esiste dai tempi della tentata Riforma di Luigi Berlinguer, l’On. Aprea (una donna che viene dalla scuola) porta avanti questa battaglia da anni, esistono progetti di legge in Parlamento che attendono da legislature e nessuno ne parla.

Ai media, evidentemente, interessano solo i tagli da sbattere in prima pagina, non le soluzioni che potevano evitarli.

Meno bidelli a settembre: scuole nel caos?

13 Lug

Due anni fa, in Italia c’erano (dati Tuttoscuola) circa 100mila bidelli di ruolo, altri 60mila precari e circa 30mila pulitori (dati MIUR).
Le istituzioni scolastiche erano circa 12mila, gli edifici oltre 40mila, non dovrebbe essere difficile fare due conti.

Innanzitutto, diciamo che serve un portiere/centralinista nelle sedi principali, che sono 12mila, e che dovrebbe essercene uno in tutti gli edifici di grandi dimensioni, almeno 10mila, visto che dieci anni fa lo Stato ha deciso di utilizzare i collaboratori scolastici (bidelli) per questo scopo.
Aggiungiamo che dovremmo garantire almeno un bidello per edificio e che ne servirebbero circa 3-4mila ulteriori per la gestione e la pulizia almeno delle palestre degli istituti superiori.

Fatto sta che dei 167mila bidelli totali esistenti, solo 140mila sono disponibili per il “servizio al piano” e, secondo i tecnici del MIUR, sono troppi.

Di questi, oltre 90mila lavorano in 6000 istituzioni scolastiche, con un numero medio pari a 15,6, mentre altri 40mila circa prestano servizio in altrettante 6000 istituzioni (in media 7,7 per istituto), dove, dopo l’orario scolastico, operano circa 30mila pulitori.
… i conti saprebbe farli anche la serva, se non fosse che i Sindacati finora hanno tutelato, nella sostanza, i docenti precari delle superiori e nessuno più …

E’ evidente che in quest’ultime la vigilanza nei corridoi ed alle uscite, il ripristino dei sanitari e la ricreazione degli alunni, il diritto alle ferie ed alle turnazioni dei lavoratori siano molto meno garantiti che nelle altre seimila fortunate.

Le istituzioni si muovono, i presidi scrivono, i prefetti chiedono riscontri, la stampa locale denuncia.

Romagna  Lombardia  Toscana  Friuli  Marche  Sicilia  Veneto  Lazio  Campania

Solo i media nazionali tacciono, pur di non ammettere che qualcuno tra gli uomini del MEF s’è sbagliato a far di conto.

Tagli ai bidelli: il bagno di sangue della scuola italiana

12 Lug

Tagli selvaggi sui bidelli delle scuole: secondo Tuttoscuola ed i tecnici finanziari del MIUR sono troppi, a ben vedere assolutamente no.

A parte il fatto che, vista la situazione, Sindacati, ARAN e/o MIUR potrebbero proporre dei “contratti di solidarietà” per il comparto scuola, questi sono i numeri del 2008, pubblicati da Tuttoscuola: 167mila bidelli, di cui il 60% di ruolo, con una spesa media pro capite, compresi gli oneri riflessi, di circa 23.500 euro all’anno per un totale di circa 4 milioni di euro. (Tuttoscuola – 2008)

Innanzitutto, per conoscere quelli disponibili per le classi, dobbiamo dedurne dal totale almeno uno per la portineria ed uno per la palestra per ognuna delle 12mila istituzioni scolastiche esistenti: da 167mila siamo già a 140mila circa.
In secundis, è necessario considerare che gli edifici scolastici erano, nel 2008, almeno 40mila e che, dislocando almeno un bidello per ogni edificio, ne resterebbero circa 100mila da distribuire su almeno 30mila edifici …

C’è, poi, la questione dei pulitori ex-LSU, veri servi della gleba del sistema scolastico, che incide sul numero dei bidelli in modo asimmetrico: 6000 scuole hanno l’organico dei bidelli dimezzato a causa delle pulizie esternalizzate.
Questo significa che esistono 6000 scuole che assorbono due terzi del personale ed altre 6mila che ne assorbono solo un terzo.

Tuttoscuola dichiarava che i bidelli sono “15,6 per ogni istituzione scolastica, distribuiti sulla sede principale e sulle sezioni o sedi distaccate (quando ci sono)”.
In realtà, escludendo il portiere-centralinista e l’assistente in palestra, ovvero partendo da una base di 140mila lavoratori, i bidelli sono effettivamente 15,6 per 6000 istituzioni scolastiche, ma diventano 7,7 di media per le restanti 6mila con i pulitori ex-LSU.

Lasciandosi alle spalle l’ovvio quesito di come Tuttoscuola abbia fatto i suoi conti, resta l’evidenza che con 7-8 “collaboratori scolastici” non si possa vigilare su 5-600 bambini o altrettanti ragazzi nè nei corridoi nè, soprattutto a ricreazione, come anche non si possa garantire l’igienicità dei sanitari, visto che i pulitori arrivano a fine orario.
Inutile parlare, poi, di controllo dei visitatori o, ancora, di gestione dei centralini e, soprattutto, di scuole aperte al pomeriggio e di recuperi estivi.

Intanto, un po’ dovunque, le scuole protestano con tanto di carte intestate, timbri e firme, segno questo che le cose stanno in un modo ben diverso da come credono a Viale Trastevere.

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Non resta che chiedersi, sperando in una opportuna inversione di tendenza,  cosa abbia fatto cambiare idea al ministro, visto che oggi stiamo così, ma l’8 Ottobre 2009, Maria Stella Gelmini dichiarava: “Sono contraria al fatto che i bidelli non puliscano le scuole e si appaltino le pulizie all’esterno. È uno spreco di risorse pubbliche”. (Il Mattino)

Codacons, MIUR e le aule troppo strette

16 Giu

Ecco la prima class action italiana contro una norma dello Stato. Il Codacons chiede al MIUR  di «emanare il piano di edilizia scolastica come stabilito dalle leggi vigenti».

Il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla class action promossa dal Codacons sulle aule sovraffollate dove il numero di alunni supera il limite previsto dalle norme.

Tutto molto giusto ma … quali norme?

Sostanzialmente una: le norme tecniche per l’edilizia scolastica del 1975, legge dello stato con tanto di progetti “fac simile”, dove, tra l’altro, furono fissate cubature, metri quadri eccetera.

Una legge che non fissa un numero massimo di alunni, ma che determina quanto spazio debba avere ogni alunno, cosa che impedisce in molte scuole di avere classi di 25 alunni, come recita la norma apposita del Ministero dell’Interno riguardo la prevenzione incendi.

Per questo i Codacons chiedono un Piano per l’edilizia scolastica e non semplicemente il ritiro di certe disposizioni dle Ministro Gelmini.

Come cittadini, però, dovremmo prendere coscienza che non dovrebbero esistere aule affollate, visto che le aule costruite prima del 1976 erano pensate per classi numerosissime e quelle fatte dopo dovrebbero essere tutte omologate per 25 alunni.

Come anche, dovremmo ricordare che dietro quegli appalti e quelle licenze edilizie, quanto meno inadeguati, ci sono delle firme, delle persone, delle responsabilità.

Perchè nessuno mai è intervenuto? Perchè i Comuni, finchè c’è stato l’ICI, e le Regioni, visto che c’è l’IRPERF, non provvedono?

Perchè, in questa Seconda Repubblica, sono rimasti pressochè intatti i fondi speciali per l’edilizia scolastica messi a disposizione in Finanziaria da molti governi?

Semplice: perchè, quando si parla di edilizia scolastica, le indagini giornalistiche languono e ci si ferma alle solite lacrime da coccodrillo sul disastro di turno od allo scandalo delle classi (N.B. mica aule …) stracolme.

Il resto, evidentemente, è noia …