Da due anni circa era noto che il 31 dicembre 2012 scadessero tutte le possibilità di ulteriori proroghe o deroghe ai parametri delle acque potabili, garantendo tutti i valori delle sostanze previste dal Dlgs 31/2001 al di sotto dei valori stabiliti dalla legge.
““Le deroghe, inizialmente previste solo come misura transitoria, sono diventate purtroppo un espediente per non fare i necessari interventi di potabilizzazione. Dopo dieci anni dall’entrata in vigore della legge e a due dalla bocciatura dell’Unione Europea, in diverse regioni il problema è stato risolto, l’unica inadempiente è il Lazio“. (Giorgio Zampetti, responsabile scientifico Legambiente)
Anche i cittadini e i politici di Roma erano informati, almeno da quando, il 22 novembre 2010, l’edizione romana del Corriere della Sera aveva annunciato che “dovrà essere data la massima informazione all’utenza riguardo la nuova regolamentazione. Poi la responsabilità passerà ai sindaci che dovranno valutare se firmare le ordinanze di divieto. Nel frattempo Acea, Regione e Commissariato alle acque potabili stanno sistemando delle specie di «filtri» per abbassare la presenza dell’ arsenico e miscelare acque provenienti dagli acquedotti come quello del Simbruino – prive di arsenico – con quelle raccolte dai pozzi, i principali accusati per i valori fuori norma.”
Arsenico contenuto nell’acqua per uso umano o, peggio, resa potabile ope legis su cui verteva sia l’allarme dato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità perchè causa lesioni cutanee, malattie cardiovascolari, effetti sullo sviluppo, danni al sistema nervoso e diabete. L’Unione Europea, respingendo la leggittimità dei valori limite italiani, precisò che «30, 40 e 50 microgrammi comportano … rischi sanitari, in particolare talune forme di cancro».
“Nel 2012 sono stati poco meno di un milione i cittadini che hanno bevuto «acqua in deroga». I Comuni che hanno ottenuto nuove deroghe per i parametri di qualità dell’acqua potabile sono stati 112, concentrati nel Lazio e in Toscana. Secondo Cittadinanzattiva e Legambiente, dal 2003 al 2009 sono state 13 le Regioni che ne avevano fatto richiesta su un totale di 13 parametri (arsenico, boro, cloriti, cloruri, fluoro, magnesio, nichel, nitrati, selenio, solfato, trialometani, tricloroetilene, vanadio).” (La Stampa – 04/01/2013)
Ed, infatti, dall’inizio del 2014 molti sindaci del Lazio, hanno dovuto vietare l’uso dell’acqua del rubinetto, ma non solo per berla, ma anche il divieto di impiegarla per cucinare, lavarsi i denti e fare la doccia.
Da quanto si è scoperto nelle ultime ore doveva farlo anche Roma e lo si sapeva da tempo.
Almeno dall’estate del 2013, la Azienda USL Roma C aveva inviato diverse note (ad esempio la 351/2013) al Comune di Roma, evidenziando “acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche NON ADATTE al consumo umano”.
Dunque, non solo l’arsenico di cui si parla, ma anche qualche batterio.
Restando al problema ‘chimico’, già in estate (nota 1679/2013) il problema era stato circoscritto alle vie periferiche raggiunte da utenze ARSIAL, l’Agenzia per lo Sviluppo e l’Innovazione nell’Agricoltura del Lazio, e “sono due anni che Arsial manda le bollette con scritto ‘acqua non potabile'”, come ha dichiarato il commissario straordinario Antonio Rosati, che segue anche la dismissione del patrimonio “consegnando agli enti locali le infrastrutture, le strade, gli acquedotti, … se funzionali a progetti di valenza territoriale”, come recita il sito ARSIAL, dopo la ristrutturazione dell’ente in novembre scorso da parte della regione, a seguito di un debito di 17 milioni di euro (fonte Regione Lazio).
ARSIAL per statuto “promuove lo sviluppo e l’ innovazione del sistema agricolo laziale, sostenendone il suo carattere multifunzionale, inteso quale allargamento delle competenze del mondo agricolo alla gestione degli agroecosistemi e dei servizi ai territori rurali”.
Parliamo, dunque, da acque da destinarsi (forse) all’agricoltura, usate per ben 10 anni – ope legis – dai cittadini di quelle vie (e da quelli di altri 2-300 piccoli comuni) che da almeno due anni non ricevono forniture di acqua potabile.
Ricordiamo anche che ARSIAL aveva chiesto con largo anticipo (nota 3237 del 2011) al Sindaco di Roma Capitale “nelle more del collegamento (ndr. già avvenuto) dei due acquedotti e della loro presa in carico da parte di ACEA ATO 2 Spa, di intraprendere d’ordine richiamati nel parere della Comunità Europea del 28 ottobre 2010 e richiamati nelle raccomandazioni dell’Istituto Superiore di sanità, concernenti il superamento dei valori del parametro ‘arsenico”.
Una presa in carico definitiva che attende dal marzo 2004, quando venne sottoscritto il Protocollo d’intesa tra Regione Lazio, i Comuni di Roma e di Fiumicino e le associazioni di imprese tra cui ACEA per “interventi di sistemazione degli acquedotti ARSIAL … e loro inclusione nel Servizio Idrico”…
Precedentemente, il 21 novembre 2003, la Giunta Regione Lazio aveva previsto un apposito “stanziamento di 13,5 milioni di euro per la ristrutturazione, l’adeguamento e la manutenzione straordinaria”.
Ad ogni modo, con la nota ARSIAL 8076 del 18 dicembre 2013 si perviene a delimitare il raggio di utenza cui perviene ‘acqua non potabile’, come confermato anche dai controlli dell’Azienda USL Roma C del 17 gennaio 2014, ormai ad oltre due settimane dalla scadenza della deroga di legge.
E qui inizia il mistero delle stanze capitoline.
Infatti, l’ordinanza del Sindaco Ignazio Marino – che vieta l’uso umano di acqua (N.B. già dichiarata ‘non potabile’ da due anni dall’azienda fornitrice) nella fascia esterna di due municipi – reca un primo numero di protocollo (QN/7559) che fa data al 18 febbraio 2014, ovvero il giorno successivo al definitivo accertamento delle utenze contaminate.
Peccato che l’ordinanza sia – poi – emessa dal Segretariato in data 21 febbraio (prot. 3397) e che venga notificata (prot. Dipartimento Sviluppo 9337) solo tra il 27 ed il 28 febbraio, una settimana dopo, come ‘urgente’ …

Intanto, andando a consultare il sito ACEA è possibile scaricare un report, aggiornato a luglio 2013, in cui i valori sono dichiarati tutti nella norma, per quel settore (Report ACEA Roma – Zona_1 Peschiera_Capore_Prevalente), tra cui 1 μg/L di arsenico. Utile evidenziare che ACEA indichi come massimo di legge ben 10 μg/L As, come se OMS, Unione Europea e deroghe in scadenza non significassero granchè …
Ed è bene sapere che, in altri comuni, i Codacons hanno ottenuto dal Tar del Lazio un risarcimento in favore di quasi 2.000 famiglie, perchè il “fatto illecito costituito dall’esposizione degli utenti del servizio idrico ricorrenti ad un fattore di rischio (l’arsenico disciolto in acqua oltre i limiti consentiti in deroga dall’Unione Europea), almeno in parte riconducibile, per entità e tempi di esposizione, alla violazione delle regole di buona amministrazione, determina un danno non patrimoniale complessivamente risarcibile, a titolo di danno biologico, morale ed esistenziale, per l’aumento di probabilità di contrarre gravi infermità in futuro e per lo stress psico-fisico e l’alterazione delle abitudini di vita personali e familiari conseguenti alla ritardata ed incompleta informazione del rischio sanitario“.
Cosa possiamo imparare da tutto questo?
Molto, specialmente se viviamo a Roma.
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Ad esempio, prendiamo atto che ARSIAL c’entra ben poco, almeno per quanto finora emerso. Sono, piuttosto, il Comune di Roma, come la Azienda ASL Roma C e l’Istituto Superiore di Sanità nel doverci delle spiegazioni. Il primo per i fatti che apprendiamo, i secondi perchè è a loro che affidiamo la nostra salute, affinchè controllino e denuncino.
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Inoltre, tra decreto Salva Roma e acqua contaminata, è evidente che la Capitale debba prendere atto che è finito il tempo delle deroghe e delle proroghe ad libitum, come è finito il tempo dei governi che finanziano spericolatamente non i bisogni della capitale, ma i suoi sprechi e le sue speculazioni.
Non è una questione legata a Matteo Renzi: anche Enrico Letta ha lesinato – nonostante le ‘buone intenzioni” – dinanzi ad un’opposizione composita e transregionale.
La gestione dei terremoti di L’Aquila e di Modena, come il dissesto di Napoli o della Regione Sicilia, rappresentano – nel bene e nel male – la fine di un’epoca di finanziamenti ‘straordinari’.
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Infine, dal 2004 ad oggi è trascorso un decennio, le giunte sono passate e le ‘emergenze’ di Roma sono sempre state ‘altre’ che le infrastrutture.
Oltre allo scandalo ‘acqua contaminata’ (da anni …), pende la questione ANAS per il Grande Raccordo Anulare, che ormai è inglobato in Roma e quella della passante Civitavecchia – Pontina (ndr. un’opera biblica). Intanto, dopo le pioggie di questo inverno, ci siamo resi conto che l’infrastruttura fognaria (specie dove si è costruito tanto nell’ultimo ventennio) non ce la fa, come non ce la farà il Comune a rabberciare le nostre strade quasi ridotte a tratturro rurale.
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Peccato che proprio la manutenzione e il rinnovo delle infrastrutture potrebbe dare lavoro – invece che spesa sociale e sussidi – a quel milione circa di lavoratori inattivi (ndr. che non cercano più lavoro) segnalati dalla Provincia di Roma nel 2011, denuciando un tasso di disoccupazione maschile del 35,5% e femminile del 37% … ed oggi sono molti di più.
Se al degrado non c’è più deroga, se si vuole arrestare il declino, va anche ricordato che solo il senso dello Stato e la fiducia nelle istituzioni locali può tenere in piedi una Capitale.
originale postato su demata
* ove non citato e/o linkato, la fonte è l’Ordinanza del Sindaco di Roma stessa
Tag:ACEA ATO 2 Spa, acqua contaminata, acquedotti, arsial, ASL Roma C, Brandosa, Camuccini, Casaccia-S. Brigida, Giorgio Zampetti, Giustiniana, ignazio marino, istituto superiore di sanità, labaro, Legambiente, Malborghetto, Monte Oliviero, municipio XIV, municipio XV, Piansaccoccia, Primavalle, Roma, Santa Maria di Galeria, valle muricana, via flaminia
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