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Immigrazione: Italia cinica e sprecona

23 Lug

Tra le tante nubi che si addensano su Mario Monti e la maggioranza che lo sostiene c’è quella dei ‘diritti umani’ e delle ‘politiche migratorie’, per le quali, anche in questo caso, c’è ormai da rendere – amaramente – conto alle agenzie internazionali ed all’Unione Europea, oltre che, come vedremo, alle tasche degli italiani.

Infatti, secondo Amnesty International, nel rapporto Sos Europe, ha confermato che  il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri e il leader del Consiglio nazionale di transizione libico Mustafa Abdul Jalil hanno sottoscritto «un patto segreto» per ‘arginare l’emigrazione dalle coste africane.

Inoltre, la Commissione Europea ha appena ricevuto il rapporto Human Cargo  – della Ong tedesca Pro Asyl e del Consiglio Greco per i Rifugiati – che dimostra come l’Italia avrebbe rispedito in Grecia arbitrariamente migliaia di extracomunitari, molti dei quali minorenni, senza alcuna valutazione individuale dei loro casi.

Le accuse sono gravissime: ai migranti non sono state richieste neanche le generalità e la nazione da cui provenivano,  numerosi minori sono stati registrati come maggiorenni e respinti, dopo essere «stati picchiati, presi a pugni e a calci dalle autorità italiane nelle stazioni di polizia»,  i migranti sono stati rinchiusi in luoghi inumani dove non erano presenti neppure i servizi igienici.

Il rapporto precisa che molti di questiextracomunitari tentavano di raggiungere i Paesi Bassi o gli Stati scandinavi dove le procedure di asilo sono più semplici, cosa che sarebbe stata loro possibile – senza particolari fastidi per alcuno – se l’Italia e la Grecia avessero rispettato gli Accordi di Schengen.

La causa di tutto ciò?
Innanzitutto, la legge Maroni sull’imigrazione ed i respingimenti, emenata giusto due anni fa, tra rilevanti proteste nazionali e soprattutto internazionali, è ancora pienamente vigente. Come è ‘di nuovo’ vigente l’accordo con la Libia e possiamo immaginare che il deserto, oggi come ieri, sia la prescritta punizione per  chi cercasse di salpare.

Ma la questione sta a monte e ce la spiega molto efficacemente il sito di Medici senza Frontiere.

“Tra l’estate e l’autunno del 2008, due equipe di MSF composti da medici, infermieri, operatori sociali e mediatori culturali, hanno visitato 21 centri per stranieri, controllato gli edifici, intervistato numerosi immigrati e personale a carico -i gestori sono associazioni private-.
Tre sono i tipi di centri che esistono in Italia: CIE: centri di identificazione ed espulsione, per immigrati senza permesso di soggiorno, CARA: centri di accoglienza per i richiedenti asilo e migranti e CDA: centri di accoglienza.

Il rapporto parla di “atteggiamento ostile (verso MSF) da parte dei gestori” in alcuni centri, di mancanza di beni di prima necessità come coperte, vestiti, carta igienica e riscaldamento, di promiscuità, episodi di violenza ed abusi, di “container fatiscenti” dove vivono gli immigrati, di insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale e psicologica.

Segnali di malessere – anche di rivolta in alcuni casi – da parte degli immigrati sono stati registrati in tutti centri dove, tra l’altro, convivono vittime di tratta, di sfruttamento, di torture, di persecuzioni, tossicodipendenti, ex detenuti, e stranieri da anni in Italia, con un lavoro non regolare, una casa e una famiglia.”

Precisiamo che i centri per l’identificazione e l’espulsione degli stranieri irregolari sono uno strumento diffuso in tutta Europa in seguito all’adozione di una politica migratoria comune sancita negli Accordi di Schengen del 1995. Il problema, dunque, non è nello ‘strumento’, ma nella funzione attribuita dalla norma nazionale e dalla gestione attuata in loco.

L’incredibile è che i Centri di Identificazione ed Espulsione non sono gestiti da brutali contractors, ma nella maggior parte dalla Croce Rossa Italiana, ma anche dalla Confraternita delle Misericordie d’Italia (Modena, Bologna, Lampedusa e Linosa) o da cooperative (Lamezia Terme, Restinco, Gradisca d’Isonzo) e da associazioni appositamente fondate (Caltanissetta), come riporta Wikipedia.


Nel 2011, erano in funzione una trentina di Centri, per un totale di 4-5.000 reclusi, nei siti di Bari-Palese area aeroportuale, Bologna Caserma Chiarini, Brindisi Loc. Restinco, Caltanissetta Contrada Pian del Lago, Lamezia Terme, Crotone S. Anna, Gorizia Gradisca d’Isonzo, Milano Via Corelli, Modena Località Sant’Anna, Roma Ponte Galeria, Torino Corso Brunelleschi, Trapani Serraino Vulpitta, Trapani loc Milo, Agrigento ASI/Contrada San Benedetto, Lecce San Foca Regina Pacis, Mineo (CT), Manduria (TA), Marsala (TP), Torretta (PA), Carapelle (FG), San Pancrazio Salentino (BR), Monghidoro (BO), Sgonico (TS), Clauzetto (PN), Castano Primo (MI), Boceda (MS), Front (TO), Ciriè (TO), Santa Maria Capua Vetere (CE), Palazzo San Gervasio (PZ), Trapani – località Kinisia.

Quanto alle spese, dai 103 milioni di euro stanziati per il 2011, siamo arrivati a più di 174 nel 2012 (cap.2351) e oltre 216 per il 2013 e per il 2014. Il prolungamento del periodo massimo di trattenimento dei migranti da 6 a diciotto mesi (legge 129/2011) aumenterà ulteriormente i costi della detenzione.

Duecentocinquanta milioni l’anno per 5.000 reclusi mediamente presenti rappresentano 50.000 euro di costo ‘pro capite’ annuo, senza contare i costi del viaggio (ndr. Alitalia, mica Ryan Air …).
Viene naturale immaginare quanti possano essere quelli che neanche identifichiamo per non doverli poi  costosamente detenere, come accaduto, a quanto pare, per quelli provenienti dalla Grecia e, probabilmente, per quant’altri che, seppur delinquenti abituali, circolano con inopportuna libertà, come le cronache delle rapine in villa, dello spaccio di strada, dello sfruttamento della prostituzione e degli incidenti stradali raccontano.

Come viene naturale chiedersi cosa ne sarà dei CIE, quando la Croce Rossa Italiana verrà abrogata ed, almeno in linea di principio, se dei centri di principio possano essere affidati a privati, come in USA, a prescindere che si tratti di contractors, fondazioni od onlus.

Non trovate che ci sia qualcosa di oscenamente errato in tutto ciò?

originale postato su demata

Alassio, bar vietato ai marocchini. Perchè?

5 Set

Alassio è la città che Ghalfi El Mohammed, immigrato marocchino trentenne, aveva scelto per il suo soggiorno in Italia.
Non aveva scelto il duro, ma onesto lavoro in fabbrica o nei campi, come tanti altri immigrati. Aveva preferito vivere alla giornata grazie a piccoli business illegali.

Ghalfi El Mohammed aveva già avuto a che fare con le forze dell’ordine per vendita di prodotti con marchio contraffatto, spaccio di stupefacenti, ricettazione. Ma non solo: era stato denunciato anche per porto abusivo d’armi e stalking.

Nessuno di questi processi è ancora pervenuto a sentenza definitiva e, pertanto, Ghalfi El Mohammed circolava liberamente per Alassio, spesso abbrutito dalla sua dipendenza, e,comunque, continuando nella sua vita borderline.
Certo, qualcuno avrebbe potuto notare un declino morale ed una escalation criminale, ma questo accade solo nei film e nei paesi diversi dal nostro.

Fatto sta che per l’italiano medio Ghalfi è “un po’ una testa calda”, “tutt’al più un po’ fuori”, ma questo non implica che il costosissmo ed inefficiente welfare si sia occupato del caso. Diamo una marea di soldi alle Onlus, ma non c’è un assistente sociale od un consultorio se si tratta di “una vita da bere”, figurarsi se straniero.
Nè è accaduto, seguendo la strada opposta, che sia stato espulso per “reati contro il soggiorno sul territorio”, anch’essi, sembra, in attesa di giudizio.

Intanto Ghalfi sta sempre peggio e viene denunciato, poche settimane fa, per resistenza durante un controllo contro l’abusivismo commerciale: aveva infatti spintonato e morso due vigili, che gli sequestravano 63 paia di occhiali contraffatti.
Era esasperato, era la quarta volta in una settimana che accadeva, ma non c’era verso di fargli capire che i “tempi d’oro” dei “vu cumprà” erano finiti e che la contraffazione di merci era duramente perseguita, visto che impoverisce il nostro paese.
Neanche si era reso conto della grande clemenza del giudice che gli sospendeva la pena dopo aver patteggiato 6 mesi di reclusione, con la condizionale, come se le altre denunce non esistessero e come se fosse un cittadino italiano od europeo.

Cosa fare? Ritornare in Marocco, evitando guai peggiori, o restare in Italia, in attesa di una dura condanna?
Ghalfi El Mohammed sceglieva la seconda e, nel fine settimana, tornava ad Alassio per vendere merce contraffatta.

Sabato notte, era completamente ubriaco e, mancava solo questa, molesta una ragazza di 21 anni che rientrava a casa dal lavoro presso il bar dei genitori.
Al suo rifiuto, l’aveva afferrata per palpeggiarla, forse stuprarla, e, quando la giovane si era divincolata, l’aveva ferita con un fondo di bottiglia ad un braccio e al collo.
Dopo di che fuggiva via, mentre la gente accorreva e, fortunatemente per lui, veniva rapidamente intercettato da una pattuglia dei carabinieri, quando parenti della vittima e cittadini qualunque stavano per scatenare una caccia all’uomo.

Ghalfi El Mohammed non doveva essere lì. Uno Stato civile non avrebbe permesso che restasse sul proprio territorio, che restasse in libertà, che restasse privo di cure.

Nel bar dove lavorava la vittima, quello di proprietà dei genitori, da oggi, c’è un cartello: “Vietato l’ingresso ai marocchini”. Sarà razzismo, ma cosa dire all’accorata madre che campeggia dal bancone, a caldo, dopo quello che è accaduto alla figlia?

E poi, perchè solo i marocchini? Al posto loro, vista la storia di Ghalfi El Mohammed, io ce l’avrei con gli italiani tutti.

Carceri troppo piene: numeri e riflessioni

29 Lug

“Nelle carceri italiane a migliaia vivono in condizioni disumane e gli ospedali psichiatrici giudiziari sono un orrore, inconcepibile in un paese civile. Questa situazione ci allarma e umilia davanti all’Europa. Bisogna trovare soluzioni politiche”. (Giorgio Napolitano)

E’ possibile che, dinanzi ad una situazione intollerabile,  il nostro Presidente non chieda anche la costruzione di più carceri e di maggiore qualità, ma solo una “soluzione politica”, che, evidentemente, riduca il numero dei reclusi?

Improbabile.

Anche perchè, nella realtà dei numeri, i  criminali detenuti non sono poi troppi, circa 100 ogni 100mila abitanti, a fronte di Una Norvegia che ne annovera 70 e gli USA che arrivano a circa 500 detenuti ogni 100.000 abitanti.
Eppure, qui da noi i direttori degli istituti di pena scendono in piazza perché non hanno fondi neanche per “comprare i materassi e la carta igienica da dare ai detenuti”, i quali sembra vivano anche in 13 per cella.

Secondo i dati diffusi in rete, i detenuti sono poco meno di 70.000, di cui circa 27.000 in attesa di giudizio, di cui circa 15.000 verranno assolti o, soprattutto, andranno prescritti.
Possono sembrare tanti, quindicimila, ma ricordiamo che in Italia, ogni anno, vanno prescritti 150-200.000 reati, a volte anche gravi e gravissimi, nonostante spesso gli indagati siano stati condannati almeno in primo grado. Nel decennio, sono stati cancellati per prescrizione due milioni di procedimenti penali.

Le persone che entrano in carcere per la prima volta sono 32mila, di cui solo un terzo (6-7.000 persone) verrà, poi, assolto.
Dunque, se i nostri tribunali potessero lavorare con maggiore celerità ed efficacia, grazie ad un codice di procedura penale più efficiente, i reati prescritti andrebbero in giudicato, oltre al beneficio di evitare tanta detenzione preventiva, e dovremmo far fronte ad una popolazione carceraria di 100-150.000 persone, almeno fino a quando la certezza della pena, attualmente “prescrivibile”, non dovesse indurre gli italiani a vivere nella legalità.

Questo quadro di lassismo è confortato dal dato che, in Lombardia, la percentuale dei detenuti che “esce nel giro di una settimana varia dal 50 al 60 per cento.”

Inoltre, sono circa 23.000 gli stranieri detenuti, spesso per reati violenti o connessi al traffico di sostanze o di persone, che grazie ad accordi internazionali potrebbero essere trasferiti nelle strutture carcerarie dei paesi d’origine. Ricordiamo anche che da loro è commesso il 23% dei reati di stampo mafioso.

I boss al 41 bis sono il 10% della popolazione carceraria, circa seimila persone, una vera goccia nel mare se pensiamo che, ormai, anche Lombardia e Veneto appaiono seriamente infiltrate. Anche in questo caso, potremmo ipotizzare la necessità di un maggior numero di posti nelle nostre carceri, forse altri 50.000.

Ed i reati per possesso di droga o per immigrazione clandestina?
Forse, è a questi ultimi che si riferiva il nostro Presidente, visto che i primi riguardano la sfera personale dei cittadini e la nozione scientifica di “droga”, mentre i secondi rappresentano un’innovazione normativa piuttosto discutibile e decisamente inefficace.

Basterebbe eliminare la parola “detiene” dall’art.73 della legge Giovanardi-Fini, per veder crollare il numero di detenuti per “detenzione di droga” e che, essendo tossicodipendenti e non spacciatori, andrebbero aiutati, piuttosto che puniti.
Tra l’altro, gran parte dei 25.000 tossicodipendenti detenuti sono stati condannati per reati diversi dalla semplice detenzione di sostanze stupefacenti.

Ricordando che il 60% degli irregolari sono ex-lavoratori regolari e che i morti alle nostre frontiere sono ormai decine di migliaia, varrebbe la pena di notare che, abroigando il reato di immigrazione clandestina introdotto dalla Legge Maroni, ridurremmo sensibilmente il numero di detenuti stranieri e, soprattutto, accogliendo le indicazioni pervenute dalla Suprema Corte, dalla Santa Sede, dall’Unione Europea, dall’ONU.

Non è di certo l’indulto o l’amnistia, che risolveranno un’infrastruttura carceraria che andrebbe ammodernata ed ampliata, nonchè deregolata, allorchè si volesse prevedere un effettivo percorso di rientro nella società produttiva.

Possiamo alleggerire l’attuale sovraffollamento (156 detenuti ogni 100 posti previsti) solo iniziando ad uniformare la nostra legislazione sui reati minori, derubricando o depenalizzando reati o, ancora, adottando quelle forme sostitutive al carcere che la Mitteleuropa ha già adottato. Non dimentichiamo che il numero di detenuti che, in Italia, conseguono un titolo di studio in carcere è davvero esiguo.

Possiamo evitare di ritrovarci con un problema analogo, tra due o tre anni, sono assicurando maggiore legalità al Sistema Italia tutto, ovvero abbattendo i reati stessi, e, ahimè, iscrivendo al debito pubblico dello Stato la costruzione di nuove carceri e l’ammodernamento delle attuali.