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La Scuola buona e la Società dei Peggiori

15 Lug

“Quando il circolo virtuoso di una democrazia si inverte, i molti, i più, smettono di accedere alla maturità morale, che è il fine del welfare e dell’istruzione.
Ma una democrazia muore senza cittadini maturi, che capiscano cosa sono i valori universali.”
(Roberta De Monticelli – filosofa)

Infatti, la kakistocrazia è nota da oltre duemila anni: è quel sistema di governo gestito dai cittadini ‘peggiori’ (κάκιστος), quelli meno qualificati, affidabili ed esperti, che si affermano quando la Democrazia degenera e sono la causa del suo sfociare nella Tirannia, secondo  Platone in La Repubblica.

Le statistiche italiane confermano che 34% degli alunni di III Media è capace di comprendere soltanto testi semplici ed espliciti in lingua italiana, il 40,1% non comprende la matematica, il 43,7% non raggiunge un livello sufficiente nell’ascolto della lingua inglese.
E probabilmente molti lo saranno per tutta la loro vita.

Infatti, ancora nel 2001, solo 1 italiano su 3 aveva studiato oltre la III Media ed oggi (fonte Uni-Parma) sono ancora 3 elettori su 5 quelli che non hanno conseguito un diploma.

Scolarizzazione+della+popolazione+italiana

Intanto, in Italia, si stimano 240mila adolescenti VG-addicted (videogiochi >4-6 ore) ed oltre 100mila casi di Hikikomori (ritiro dalla vita sociale), mentre gli adulti tra i 20 e i 30 anni che non studiano né lavorano né sono alla ricerca di un impiego (i cosiddetti NEET) sono più di 1 giovane su 4 (28,9%).

Secondo Istat, tra il 2016 e il 2017, si sono persi oltre 350.000 posti di lavoro nelle professioni “qualificate e tecniche” e circa un milione tra “operai e tecnici”, di cui quasi la metà nelle costruzioni.
Le professioni “esecutive nel commercio e nei servizi” si sono incrementate – viceversa -di oltre 850.000 addetti, il personale non qualificato è aumentato di 400.000 unità.
Nello stesso anno, il Dossier Statistico Immigrazione annunciava che oltre 250.000 italiani emigrano all’estero, quasi quanti nel Dopoguerra, e spesso a partire erano gli eccellenti ed i qualificati.

Quale Italia resta oggi e quanta ne dovremmo salvaguardare e sviluppare oggi come ieri? L’Istruzione serve davvero solo ad acculturare?
Esiste una Meritocrazia senza prove, esami e controlli?
Quale Occupazione e quale PIL in un paese di ‘esecutivi’ e ‘non qualificati?

Quale Public Opinion se la maggior parte dei lettori e dei followers comprende solo messaggi espliciti e semplici, mescola i dati come arance con le mele e non sa bene cosa accade all’estero? Quale Democrazia?

Demata

La Storia cancellata? Quale Maturità per l’Italia?

12 Ott

370d8ebdc6165e2aa365d89c49f7c1e9--greek-statues-art-antiqueFa scalpore la proposta di abolire la traccia di storia dalla prova scritta di italiano per gli Esami di maturità. Una questione più ampia – se la Storia sembra avere una grande attrazione sui giovani se guardiamo al mercato dei videogame, documentari e serie televisive – che non è possibile affrontare in un post, ma che rappresenta una buona occasione per ricordare tre elementi ‘centrali’ almeno per quanto relativo la Scuola.

Iniziamo col dire che la scuola italiana necessita da molto tempo di qualche correttivo profondo, dato che una bella parte degli italiani ha serie difficoltà a consultare un prospetto od a spuntare una lista seguendo l’ordine prestabilito.
Se si pensa che prospetto e lista sono strumenti di comunicazione creati apposta per guidare e semplificare le operatività, onde essere utilizzati da persone poco istruite (es. i bambini delle elementari), è necessario ammettere che il problema è di ampia portata.

Gli addetti ai lavori sanno anche di cosa si tratta: in Italia – luogo dove la Riforma non ha mai attecchito – l’impianto del Liceo prefascista era ispirato a Bernardino Telesio (Umanesimo / Empirismo), anzichè a John Locke (Positivismo / Scientismo), e su questo si è forgiata la Cultura (l’identità e la mentalità) del popolo italiano, a partire dalle classi dirigenti che si formano nei licei classico.
Una cultura ‘telesiana’ che ad esempio ritroviamo nelle lauree in medicina o nel sistema di legge. In medicina, ci si laurea senza aver studiato altra matematica che quella del mondo greco antico (Pitagora) e altra fisica che quella dell’Ottocento (solo concetti, niente calcoli). Similmente, anche se con percentuali minori, per chi interviene professionalmente nelle questioni legali dei settori finanziari, fiscali, ambientali, salutistici, ingegneristici.
Possiamo dubitare che la farragine burocratica che attanaglia procedure, processi e appalti non abbia nulla a che vedere con tutto questo? E cosa dire del degrado di strutture ed infrastrutture puntualmente a corto di manutenzione? O dell’enorme accesso – a spese del cittadino – a consulenze mediche e perizie tecniche, in Europa solitamente condensate in atti singoli e spesso emessi da pubblici uffici?

In secondo luogo c’è uno ‘standard’: nella nostra società una persona attiva lavora circa 36 ore la settimana e ha due giorni da dedicare a se stesso e alle relazioni umane.
Infatti, fino a poco tempo fa negli istituti industriali l’orario scolastico settimanale era di 36 ore, come in fabbrica ed in ufficio.
Di queste 36-32 ore almeno una dozzina va dedicata ad attività in laboratorio (a volte solo in teoria, vista l’attenzione per la Teknè da parte di Telesio e discepoli, madre di tutti gli edifici scolastici scassati d’Italia).
Insomma, partiamo dal fatto che un alunno di istituto tecnico ha di base molte meno ore in classe da dedicare ad italiano e storia (al massimo cinque) ed, a casa, i compiti di matematica o elettronica o informatica sono altra cosa rispetto al commentare il brano d’antologia o al menzionare la battaglia di Austerlitz. Se non fosse così non avremmo le facoltà  umanistiche sovraffollate di diplomati tecnici e quelle scientifiche semivuote … 
Certamente, si potrebbero trarre ore dall’educazione fisica e dalla religione, destinandole alle attività pomeridiane, come nei sistemi anglosassoni, insieme a teatro, cinema e musica, che sono anche molto utili nell’insegnamento della Storia come della Lingua italiana. Si potrebbe, ma … in Europa le attività ‘integrative’ le organizzano gli Enti Locali e le Associazioni della comunità, da noi è un po’ diverso.

Terzo e ultimo. Nello specifico della Storia, un ragazzo di 18 anni non è in grado di comporre un tema storico, salvo rari casi, e se non è Pico della Mirandola è praticamente impossibile che abbia tali competenze enciclopediche da pensare e produrre qualcosa che non sia frutto di un pregiudizio suo personale o del punto di vista del docente.
Infatti, è sempre stato particolarmente raro che agli Esami qualcuno lo svolgesse e, quando agli orali la ‘tesina’ era di Storia, non s’è sentito molto di più che la ‘gioiosa’ Rivoluzione bolscevica o della ‘fascista’ Rivoluzione fascista.
Meglio i ‘quiz’ per la terza prova scritta, dove almeno era possibile monitorare se l’alunno conoscesse almeno le cause che scatenarono la WWI, ergo conoscesse  qualche dettaglio dell’Industrialesimo e del Capitalismo ottocenteschi. Dettagli utili, ad esempio, a comprendere – avanzando nell’età adulta – che le tasse servono anche per manutentare ponti e cavalcavia e che le banche non servono a darci soldi, ma a farli girare, come che lo Stato non può concedere diritti se non in cambio di doveri.

Dunque, ben venga la cancellazione della traccia storica della prima prova di Lingua italiana agli Esami di Stato delle scuole secondarie di II grado, semplicemente perchè poco scelta dagli alunni nell’arco di decenni.

Allo stesso tempo, vista la tradizione linguistica e storica dell’Italia che ha radici millenarie, l’esclusione della Storia dalla prova scritta d’italiano e la notoria difficoltà nel redigere semplici prospetti o a seguire una lista di procedure suggeriscono l’opportunità di questionari che accertino la sussistenza di “saperi essenziali” in Storia (come in Grammatica e Sintassi) nel consegnare un diploma – abilitante se parliamo di istituti – per un individuo ormai adulto che dovrebbe proseguire gli studi e/o inserirsi nel mondo del lavoro e che – soprattutto – avrà diritto al voto, basando la propria opinione su quel poco o tanto che ha studiato a scuola.

Magari, con questa riforma la Storia lascerà la postazione all’entrata ‘principale’ (Esami di Stato) per rientrare dalla porta di servizio (Invalsi), onde porsi a monitore di chi sbaglia i condizionali in televisione, mica solo i congiuntivi. E, se questo avverrà, diventerà evidente il gap tra classi che studiano la Storia anche tramite documentari da vedere a casa o nel post scuola e quelle che no. Chissà?

Quel che è certo è che tra videogame, documentari e serie televisive la Storia sembra avere una grande attrazione sui giovani (e non solo). Accontentiamoli.

Demata

 

Scuola: Italia e Germania, due scioperi a confronto

17 Giu

La scuola italiana va riformata profondamente se da decenni non riusciamo a superare il tetto del 20% di laureati, a fronte del monte ore di lezione più alto d’Europa, e se ci troviamo puntalmente con l’andirivieni di supplenti e le classi scoperte, mentre abbiamo il più elefantiaco apparato scolastico del mondo.

Con l’Europa che avrà di media il 40% della popolazione laureata entro il 2020, è abissale credere di poterci permettere ancora un congruo 35% di lavoratori con la sola licenza media, mentre meno del 10% è in possesso di lauree tecnico-scientifiche e non di rado scappa all’estero.

La situazione degli edifici scolastici è molto carente, ma gli Enti Locali continuano a fare orecchie da mercante. Per non parlare della dispersione scolastica da record che ci troviamo e che alimenta criminalità, degrado, esclusione sociale.

Questa è la situazione, Invalsi o non Invalsi che sia, che ci piaccia o meno: all’Italia serve una buona scuola, non c’è che dire.

Di cosa dovrebbe essere fatta una buona scuola?

Innanzitutto da buoni ed ottimi insegnanti, ma qui da noi – superato il concorso – non c’è più nessun filtro che ce lo garantisca ed, allo stesso modo, non v’è una retribuzione od una meritocrazia che lo riconosca. E se i governi hanno finora avanzato proposte molto vaghe e, comunque, timide, l’aspetto più preoccupante è che in decenni di proteste e rivendicazioni da parte dei docenti, la questione ‘merito/premialità’ (e più in generale quella della progressione stipendiale) non è mai stata oggetto di proposte ‘congrue’ da parte dei sindacati e/o del mondo della scuola.

In secondo luogo da programmi/piani/programmazioni didattici coerenti tra di loro e non largamente ‘adattati’ e/o ridotti a seconda delle scuole o delle classi, se vogliamo contenere l’abbandono scolastico e massimizzare l’accesso alle lauree. Questo è il frutto avvelenato delle indecisioni e delle forti resistenze all’attuazione dell’Autonomia Scolastica e la creazione di una dirigenza appositamente qualificata, come di un sistema di valutazione nazionale e di uno status del personale docente ancorato ancora a norme del 1976 e contratti del 1995 …

Potremmo continuare all’infinito, passando per il concetto che le scuole dovrebbero essere sempre luogo di ‘coesione’ e non di ‘antagonismo’, e troveremmo puntualmente ambedue queste carenze di metodo e di ruoli.

Infatti, anche la Buona Scuola del ministro Giannini sta mostrando la solita incertezza dell’azione politica come la puntuale resistenza al cambiamento da parte della base.
In mezzo le famiglie che troppo spesso non percepiscono la scuola come un riferimento per la genitorialità e come una centralità dei servizi sul territorio, bensì come mero ‘punto di erogazione di un servizio’ … e come dargli torto, se la dicitura è ‘ufficiale’ ed è condivisa da amministrazione e sindacati.

Intanto – mentre in Italia continuano le agitazioni nella scuola, senza però rivendicazioni ‘concrete’, a fronte di ‘scatti triennali’ di poche decine di euro per i nostri docenti – in Germania l’efficienza è un vanto come lo è il giusto trattamento di chi lavora, mentre il politico locale di turno ci mette la faccia se la scuola cade a pezzi ma anche le maestre dei kindergarten tedeschi sono in sciopero ormai da un mese perchè chiedono aumenti stipendiali ed … ecco quanto quadagnano oggi. Quanto ai programmi ed alla ‘gerarchia’ o la ‘burocrazia’ son tutti d’accordo che sia un compito e dovere del ‘datore di lavoro’ … che, come detto, rende conto in termini di consensi elettorali se le scuole funzionano bene o meno.

Stipendi maestre kindergarten Germania

Ore, stipendi, numero di alunni, pensioni … visto che un po’ dovunque i docenti possono pensionarsi prima dei 55 anni d’età, cosa che solo da noi è un miraggio.

Nel Paese delle Api Operose contano i fatti, in quello degli Acchiappacitrulli le parole, avrebbe commentato il buon Collodi …

Demata

Perchè il test delle elementari cinese è un rompicapo per noi?

7 Lug

Un mese fa, era il 9 giugno 2014, ha fatto scalpore un test sottoposto  ai bambini di una scuola elementare di Hong Kong come prova di ammissione e che va risolto entro 20 secondi.

test cinese scuola elementare

Nel parcheggio ci sono 6 posti auto. Ognuno è numerato: 16; 06; 68; 88 e 98. Ne manca uno. La domanda è : in quale posto è parcheggiata la macchina?

Il test ha fatto il giro del web, appassionando non solo bambini ma anche adulti, sicuramente lo conoscete già e saprete che la soluzione è il numero …

E, se per sapere perchè, basta voltare la figura al contrario.

Il punto, però, è un altro: c’è un dettaglio che nessuno ha spiegato ed è il vero motivo per il quale un bimbo cinese risolve in meno secondi un quiz che da noi avrà richiesto ben altre risorse.

Infatti, il vero trucco è talmente semplice e sofisticato quanto, evidentemente, il metodo di insegnamento ad Hong Kong, a riprova che ad Oriente – superato il colonialismo – troviamo culture dalle basi ben più antiche, longeve e solide, cioè pragmatiche, di quell’impero romano che scriveva i  numeri usando lettere.
Dunque – almeno in Italia – dovremmo porci quesiti ‘epocali’; ad esempio, riguardo la nostra convinzione che le parole possano esprimere con completezza quello che un singolo ‘segno’ può comunicare.

Infatti, l’enigma non sarebbe stato tale se al posto dell’autovettura avessimo visto una semplice casella vuota: tanti o tutti ci saremmo accorti che mancava l’87.

 

test cinese scuola elementare no car

E’ lì tutto l’enigma, non nella serie.
Liberare il problema dagli elementi inutili e porre il centro dell’osservazione dove opportuno e non dove predeterminato.

I bambini cinesi hanno visualizzato la griglia ‘vuota’, escludendo l’oggetto perchè educati ad esplorare il foglio e perchè lì usano ancora l’abaco e hanno ‘visto’ l’elemento mancante della serie.
Ecco come si sarà presentato  il nostro – ma non loro – enigma ai bambini di Hong Kong in termini cognitivi o, meglio, cosa hanno ‘visto’, non appena girato il foglio.

test cinese scuola elementare abaco demata

Qualcosa che dovrebbe farci riflettere su quale sia il gap culturale dell’Italia e su cosa significhi ‘valutazione’ di un sistema scolastico, di un docente, di una classe, di un alunno.

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Fuga di cervelli? Una buona notizia …

11 Set

(ASCA) – Chianciano Terme (Si), 8 settembre
”Fuga di cervelli, cioe’ belle teste italiane che vanno a fare ricerche in altri Paesi? Ma la fuga dei cervelli e’ innanzitutto una buona notizia: vuol dire che abbiamo cervelli e che, se ce li portano via, abbiamo buone scuole”. Lo ha detto Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico, rispondendo a una domanda dei giovani dell’Udc.

Buone scuole?

Il ministro sa che siamo il fanalino di coda dell’OCSE quanto a livello di istruzione dei nostri ragazzini e che il dato è persistente da anni ed anni, dunque stiamo parlando anche degli attuali 25enni in cerca di impiego con danni epocali per il paese.

Oppure che la quota di laureati in materie scientifiche ed ingegneria, da decenni, è una piccolissima parte del totale, forse nemmeno il 5%, mentre nei paesi avanzati si supera, di norma, il 10% della popolazione. Ovviamente, in un paese così, va progressivamente a finire che non funziona nulla come dovrebbe e diventa difficile anche il manutentare correttamente.

Ci sarebbe anche da spiegare al nostro ministro – con tutto lo staff che si sono portati dietro – che, secondo i dati più svariati, sembrerebbe proprio che all’incirca il 40% degli italiani adulti ha conseguito un diploma, che potrebbe esserci un bel 15% di popolazione che ha conseguito solo la licenza elementare.
Bisognerebbe accennare anche alle periferie e alle zone depresse/a rischio, dove i maschi diplomati a volte non superano il 20% del totale e che le donne, che arriverebbero al 40%, sono sostanzialmente disoccupate o precarie anche a causa della poca formazione ricevuta in istituti malmessi con docenti che cambiavano di anno in anno. Oppure a quel 3-4% del PIL che comunie province dovrebebro spendere per ‘il diritto allo studio’ e che, invece, diventano sagra patronale, intercultura, multimedialità, evento locale.

Dulcis in fundo, potremmo ricordare che non stiamo parlando dell’istruzione o delle scuole, ma di una infrastruttura nazionale chiamata Sistema di Istruzione Nazionale. Proprio quell’infrastruttura che lo Stato italiano, fin dal 1871, finanziò poco e male, ritardando fino al Ventennio fascista la formulazione di un quadro unitario di studi e gestendo ancora oggi il comparto come una sorta di riserva lavorativa per donne (casa, chiesa scuola) e giovani laureati precari e come un settore minore dell’edilizia pubblica nonostante si tratti di oltre 40.000 edifici, dove ospitiamo quotidianamente il futuro del nostro paese.

E se – già oggi e probabilmente domani – dovessimo prendere atto che i cervelli in fuga dall’Italia fossero gli ultimi rimasti e che non ne abbiamo abbastanza per far funzionare il paese?
Farci dirigere da francesi e tedeschi o cinesi, è questa la soluzione infrastrutturale per l’Italia?

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I reali limiti dei test Invalsi

23 Mag

Molti anni fa, ormai, nel settore industriale si fece un salto avanti epocale per quanto relativo il “controllo di qualità”.
Parliamo delle macchine a controllo automatico e della rivoluzione “italiana” degli Anni ’80 che cambiò tutto.
Il problema era che l’intersezione tra meccanica ed elettronica iniziava a farsi sentire, la complessità s’impennava ed i sistemi di controllo della qualità “pezzo per pezzo” perdevano colpi. Era l’epoca in cui qualunque “prima serie” era ormai affetta da difetti.
Noi italiani scoprimmo che applicando un controllo minuzioso alle macchine di produzione anzichè ai prodotti finiti, i risultati erano notevolmente superiori.

Macchine e uomini non sono la stessa cosa, mi direte voi … e su questo concordo. Ma i processi logici e le contestualizzazioni dei saperi/dati hanno le stesse regole negli uomini e nelle macchine che altri uomini hanno creato.

Intendo dire che i monitoraggi come INVALSI sono utili, ma lo sono quasi esclusivamente per le macro-organizzazioni come ONU, WTO, Repubblica Italiana, UE od OCSE.
Non forniscono sufficienti informazioni agli operatori su come variare il modello/modulo d’insegnamento e non le forniscono in tempo reale.

Inoltre, i dati INVALSI non vengono aggregati (almeno nella forma resa al pubblico) con i dati socioeconomici e familiari ISTAT della “foglia” monitorata, nè riportano indicazioni sui modelli organizzativi adottati. Di conseguenza, i dati non ci permettono di fare valutazioni sulle cause del gap o del successo e, diciamocelo, sulla finanziabilità di chi o di cosa.
Dunque, l’attuale stato dell’arte dei test INVALSI è il monitoraggio OCSE e servono a testare le “intelligenze”.

Bene, anzi benissimo, facciamolo.
Però, poi, forse, vediamo di realizzare un sistema di valutazione che necessiti di potenze di calcolo molto minori, che coinvolga i docenti come protagonisti e come responsabili del successo didattico, che ci fornisca dati per contrastare il disagio, la dispersione, l’insuccesso.

Questo significherebbe, però, destatalizzare la scuola pur mantenendola pubblica, obbligando (come?) gli enti locali fare il proprio dovere come negli altri paesi, gestendo scuole, aiutando famiglie, creando servizi gratuti.

E significherebbe anche intervenire sui contratti di lavoro dei docenti, ovvero stabilire il principio, ereticale, che un pubblico impiegato possa essere licenziato o possa essere “precario” a vita.
… meglio INVALSI, così mandiamo due numeri in Europa ed, intanto, restiamo con i comitati per la valutazione delle scuole, di tribunizia (e plebea) memoria.