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Roma: come sarà il nuovo Consiglio comunale

6 Giu

L’esito delle elezioni romane – andasse come andrà il ballottaggio – non risolverà i problemi di Roma (e con lei, capitale, il resto d’Italia) e, prevedibilmente, sarà necessaria almeno un’altra legislatura per convincere i romani a cambiare mentalità e ad abbandonare il ‘volemose bene’ ed il ‘panem et circenses”.

Il fotogramma finale del voto offre un quadro desolante: chiunque vincesse al ballottaggio avrà una maggioranza risicata e tutta da verificare, se da un lato vediamo i Cinque Stelle alla prima esperienza di ‘governo’ e  vedremo se faranno accordi sottobanco con PD e Sinistre varie.
Dall’altro non potrà esser altro che un’ammucchiata.

Non opinioni, ma numeri … come i 17 miliardi di debito o la Metro C bloccata, che sono solo alcuni dei tanti problemi ai quali il nuovo sindaco dovrà far fronte.

Demata

Proiezioni Consiglio comunale Roma

 

consiglieri sindaco raggi

 

consiglieri sindaco giachetti

Errore ~10%

L’Italia e la ‘deriva non autoritaria’

9 Feb

Se il Nuovo Centro Democratico, buona parte di Scelta Civica ed un tot di Cinque Stelle con tanto di ministri, sottosegretari e presidenti di commissione passa ‘armi e bagagli’ con il Partito Democratico,  non c’è nulla da fare: si chiama inciucio.

Se, poi, passano armi e bagagli con il PD anche tanti componenti di liste civiche locali, decapitando de facto i vertici di importanti associazioni e onlus, siamo oltre l’inciucio ed entriamo nel campo della cospiracy, dato che ‘contestuaalmente’ si smantellano trasparenza e accesso.

Se, per caso, ci ritrovassimo alle prossime elezioni con l’ex DC, l’ex PCI e i sindacati in coalizione per l’ennesima ‘Grande Ammucchiata’, non c’è che dire: come la Germania di Adenauer – Kohl – Merkel, anche l’Italia non può essere governata se non da De Gasperi – Andreotti – Renzi.

Solo che ‘cristiano democratico’ o ‘cristiano sociale’ sono una cosa molto diversa da ‘cattocomunista’ …

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Senatori, deputati, multinazionali, lobbisti

20 Mag

Senatori e deputati a libro paga di multinazionali e lobbisti per cifre che andrebbero dai 1.000 ai 2.500 euro al mese, più qualche ‘fortunato’ che arriva fino a 5.000 mensili di mazzetta. Questa la denuncia di Le Iene, dopo le rivelazioni di un assistente parlamentare, protetto dal segreto.

Pietro Grasso, presidente del Senato e magistrato, esorta: «Chi sa qualcosa sui parlamentari pagati farebbe bene a denunciare questi comportamenti gravissimi». E, in effetti, la denuncia a ‘mezzo stampa’ c’è e qualche magistrato dovrebbe necessariamente aprire un inchiesta d’ufficio.

I ‘cattivi’ sarebbero, sta volta, le lobbies del tabacco e del gioco d’azzardo, che premerebbero per leggi ed emendamenti a loro favorevoli. Nulla di sorprendente, va così in tutto il mondo e spesso sono finanziamenti legali per le campagne elettorali, facilitati da leggi diverse dalla nostra sul finanziamento dei partiti.
Immediate le voci per la rapida approvazione delle norme anticorruzione, ma è la riforma dei finanziamenti ai partiti quel che serve per contrastare la concussione e l’occultamento dei finanziamenti, come è necessaria una nuova visione delle concessioni governative se si vuole risolvere a monte la questione ‘tabacchi, azzardo, accise, demanio marittimo, Equitalia, Caaf’.

Dunque, il punto non sono le eventuali lobbies del tabacco o quelle dell’azzardo – in gran parte estere, si noti bene – dato che il ‘problema’ vero è che se certi nostri parlamentari si dimostrassero ‘permeabili’ per soli 2.000 euro al mese, figuriamoci quali altre ‘lobbies’ possano esserci in grado di promettere ‘premi’ migliori, in soldoni od in carriere per figli e nepoti.

Se si accettano ‘quattro spiccioli’ per sigarette e gioco d’azzardo, quanti altri (denari, favori o ‘immunità’) potrebbero essere ‘graditi’ per tutelare gli interessi della Mafia o della Casta?

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Governo Letta: il PD guarda già alle elezioni

16 Mag

Il debito pubblico italiano a marzo ha raggiunto la quota record di 2.034,725 miliardi di euro, dopo i 2.022,7 miliardi raggiunti a gennaio 2013 e, nel 2012, si è avuta una riduzione del 27,5% rispetto al 2011 per i volumi di compravendite delle case (scese a 448.364 transazioni) per un totale di circa 46,4 milioni di metri quadri (-25,4% sul 2011), con una superficie media di circa 104 mq.

Il mercato dell’auto è è al 37 esimo crollo mensile (secondo il Centro Studi Promotor), a fronte di 116.209 immatricolazioni di aprile contro una media mesnsile di 185.086 auto vendute nell’aprile 2009. Intanto, serve oltre un miliardo di ore di cassa integrazione, con mezzo milione di lavoratori a zero ore equivalenti, principalmente nel centro Italia, in Veneto ed in Lombardia.

Intanto di Meridione non se ne parla, anche se lì i disoccupati non cassaintegrati sono a bizeffe, alle scuole si promette ‘stop a tagli’, come se si possa far funzionare un istituto superiore con 15.000 euro annui e basta, nessun allarme per i crediti delle aziende che eccedono ampiamente le disponibilità di Cassa Depositi e Prestiti, niente in programma per i nati dal 1950 al 1960 finiti nel limbo delle pensioni di Elsa Fornero, che la CGIL ritiene intoccabili.

Il PIL ha perso un altro percentuale e si fa spallucce, qui da noi, ‘che tanto già lo si sapeva’, dimenticando che è bastato solo un click, quello dell’annuncio ufficiale, per avviare tutta una serie di ricomputi, di cui ci annunceranno – solo tra qualche giorno, con calma – le ricadute sul peso degli interessi, sui conti UE, sulla perdita di qualche mercato.

In attesa del test elettorale di Roma Capitale, che servirà per ‘pesare’ i giochi interni del Partito Democratico, il governo Letta se la prende comoda, aspettando speranzoso la ripresa economica – che altrove c’è – e potersi attribuire ipotetici risultati e disastrosi benefici.
Peccato che a crescere siano gli USA e il Giappone. La Francia è in recessione, la Germania raccoglie un +0,1%, cioè nulla, mentre è ferma al palo, che c’è da attendere che sia rieletta, in autunno, Angela Merkel, accusata (all’estero ma non in patria) di eccessivo rigore finanziario e di vistoso germano-centrismo.

I nostri media non ‘strillano’ disgrazie a quattro venti, i mercati non scalpitano, il denaro ha raggiunto un tasso di sconto ridicolo, l’euro non vacilla.

E così andando le cose, il nostro Parlamento non trova meglio che occuparsi del decreto intercettazioni e si legge di IMU e CGI approvati, mentre è evidente che non c’è copertura finanziaria, se INPS, INPDAP e Cassa Depositi e Prestiti stanno come stanno e la Corte dei Conti suona l’allarme da mesi e mesi.

Intanto, in televisione si dibatte di sondaggi elettorali, di leggi per l’appunto elettorali, di candidati premier del centrosinistra per le elezioni …

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Sottosegretari: Letta getta la maschera

3 Mag

Se si voleva dare un segnale preciso al Paese ed ai mercati, il governo Letta/Alfano c’è riuscito: 30 sottosegretari e 10 viceministri declinati secondo lo standard Cencelli della Prima Repubblica, che spesso  hanno se non poche o pochissime competenze negli ambiti di governance cui saranno preposti.
E che, dunque, non si spiega perchè siano lì.

Ad esempio, i sottosegretari all’Istruzione Gabriele Toccafondi, laureato in scienze politiche e dirigente di cooperativa, Marco Rossi Doria, autore di successo, e Gianluca Galletti, politico ‘di professione’ e capogruppo dell’Unione di Centro alla Camera dei deputati.

Ai Beni Culturali ed il Turismo – non all’Ambiente od alle Politiche Agricole – vediamo Simonetta Giordani, biologa, e Ilaria Borletti Buitoni, imprenditrice impegnata nella tutela ambientale. Non a caso alle Politiche Forestali, Agricole e Alimentari troviamo Maurizio Martina e Giuseppe Castiglione, ambedue politici di ‘profesisone’, mentre il sottosegretario all’Ambiente è Marco Flavio Cirillo, che arriva ai vertici dello Stato con  la sola esperienza di sindaco di Basiglio, comune del milanese lambito dal fiume Olona, notoriamente inquinato, di cui pochi giorni fa il Corsera scriveva “cascate di schiuma e melma putrescente. Depuratori ko e scarichi abusivi.”

Il Sottosegretario alla Salute c’è il poco noto Paolo Fadda, di cui la Rete riporta solo che è un “ex-Pidiessino” e, sembra, autore di due testi dal titolo significativo “Alla ricerca di capitali coraggiosi” e “Alberto Castoldi: un’esemplare figura di imprenditore minerario.”

Alle Infrastrutture vediamo Vincenzo De Luca, ex sindaco di Salerno e politico di ‘professione’, Rocco Girlanda, amministratore delegato di alcune società editoriali del Centro Italia e coinvolto (non indagato) nella maxi inchiesta sugli appalti per il G8, ma soprattutto fa scalpore la nomina a sottosegetario di Erasmo De Angelis, presidente di Publiacqua Toscana, per la quale l’ADUC denuncia che “la tariffa idrica piu’ cara d’Italia diventa ancora piu’ cara”, di “so scandalo del conflitto di interessi”, perchè “l’Aato3, che decide gli aumenti proposti da Publiacqua, e’ gestito da persone nominate dai Comuni, che sono gli stessi che detengono al 34,63% le azioni di Publiacqua”, degli “utili che vengono dalle bollette degli utenti devono andare ai Comuni e questi ne fanno l’uso che credono, mentre per l’ammodernamento del sistema idrico si chiedono piu’ soldi agli utenti”.

Alla Difesa, i sottosegretari sono il politico di “professione” Gioacchino Alfano, relatore del famigerato Decreto Milleproroghe, e Roberta Pinotti, ex docente di lettere nei licei.

Agli Esteri, Marco Giro, già Direttore delle Relazioni Internazionali della Comunità Sant’Egidio … alla Funzione Pubblica, quel Gianfranco Miccichè che, nel 1988, interrogato nell’ambito di un’inchiesta sul traffico di droga, rispose: “Non sono uno spacciatore ma solo un assuntore di cocaina”, mentre, nel 2001, precisò che “se per fare gli appalti dovessimo aspettare che finisca la criminalità mafiosa allora non partiremmo mai”.

L’acqua è poca e la papera non può galleggiare.

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Arriva un governicchio di larghe intese?

23 Apr

Giorgio Napolitano resterà in carica finché avrà forze e, poi, sferza i partiti: «Voi, sordi e sterili, non autoassolvetevi» ed i partiti, tutti, applaudono in piedi come se i rimproveri fossero per i rivali.

Stamane, su Omnibus di La7, giusto per far finta di nulla, Rosa Maria Di Giorgi (assessore PD a Firenze) continuava a parlare di ‘difficoltà di Bersani’, di ‘svolta del Capranica’, di ‘debacle orrenda’ del M5S nel Nordest, di ‘dirigenti’ che non devono farsi influenzare dalla Rete, di non confrontarsi con la base … che la fiducia è d’obbligo se il partito lo decide.

Intanto, Serracchiani vince per un pelo in Friuli Venezia Giulia, che non è una regione rappresentativa degli equilibri nazionali, Renzi è stracorteggiato, ma fino ad oggi ha amministrato solo una piccola città come Firenze, SEL appare fortemente egemone sull’ala sinistra del PD, ma in Parlamento sono tanti gli eletti che arrivano dalla nostra famigerata Malasanità, alla Camera siedono circa 100 democratici che arrivano dall’apparato di partito, alla faccia delle Primarie.

Inoltre, non sono solo Travaglio & Santoro a sospettare che PD e PdL non siano l’un l’altro opposti, ma semplicemente complementari, con la conseguenza che il Centrodestra liberale è incatenato dalla stagnante componente populista ed il Centrosinistra riformista non ha voce in un’eterna campagna elettorale che privilegia i consensi gauchisti e sindacal-azionisti.

Dunque, in questa situazione, va bene qualsiasi governo, con il rischio di vederlo impallinato al primo incrocio o bivio dal qualche fazione democratica? Oppure serve un governo di larghe intese che accetti la Rete come principale vettore di informazioni e di conformazione della pubblica opinione, ma, soprattutto, tenga in debito conto che l’azionista di maggiornza è il PD, ma anche che il controllante è il PdL?
Oppure vogliamo proporre ai cittadini un Giuliano Amato, sconosciuto a chi abbia meno di 40 anni, tesoriere di ‘quel Partito Socialista Italiano’, massacratore delle nostre pensioni e del Titolo V della nostra Costituzione, nonchè prelevatore patrimonaile dei nostri conti?

Il Patron del futuro governo è il Popolo della Libertà, il padrino è il Partito Democratico: non facciamoci abbagliare dal il fatto che una componente parlamentare sia più numerosa dell’altra, grazie agli artifici del Porcellum.

E smettiamola, a sinistra, di pensare che quanto detto in televisione sia ‘reale’ e che quanto circoli in Rete sia ‘passatempo’. Piuttosto, è il contrario. Inoltre, se il mezzo televisivo permette allo spettatore l’unica possibilità di cambiar canale – cosa del tutto inutile se andiamo avanti da anni con talk show partitici a reti unificate – va considerato che in Rete l’utilizzatore va puntualmente a cercarsi le notizie secondo l’approccio che ritiene più verosimile.
Se i talk show politici diventano intrattenimento partitico, il ‘passatempo’ è in TV, le notizie sono in Rete: è inevitabile che sia così.

Inoltre, l’idea fissa dei democratici ‘a confrontarsi con i sindacati’ appare piuttosto bizzarra -ai nostri giorni – se il persistere della Crisi è causato dall’over taxing che la sinistra pretende da anni, dal suo profondo legame con gli apparati pubblici, dalla diffidenza verso il mondo imprenditoriale e la libera iniziativa, dal basso o bassissimo livello di istruzione e di formazione professionale di tanti attuali inoccupati (manovali, camerieri, banconisti, padroncini, artigiani e operatori di basso livello, eccetera), dal limitato ruolo delle donne nella nostra società, dal famigerato Patto di Stabilità interno di centralistica e statalista memoria.

Difficile credere che la situazione attuale del Partito Democratico possa essere superata senza una chiara e profonda scissione tra la componente social-liberale delle elite metropolitane, quella cattolico-populista dei mille campanili di provincia e quella gauchista ondivaga ed il suo elettorato di lotta e di governo, attualmente ‘in carico’ a SEL ed M5S.

Far finta di nulla o, peggio, paventare ai cittadini un governicchio di ristrette intese servirebbe solo ad accentuare la sfiducia degli elettori e la rabbia dei cittadini.
A sentire i Democratici – in nome dell’emergenza, si badi bene – serve uno ‘scatto di responsabilità’ da parte del PdL e che per loro si tratta solo di ‘un cammino altanelante’, mentre i conti del governo Monti-Bersani iniziano a non tornare, serve una nuova manovra, c’è cenere sotto il tappeto, le politiche di Elsa Fornero sono palesemente un disastro, l’IMU e la TARES sono de facto delle patrimoniali.

Un governo Monti fortemente voluto da Eugenio Scalfari che, come ricorda Verderami del Corsera, si è rappresentato come un’anomalia fin dall’inizio, dal novembre 2011, quando, invece di sciogliere le Camere, Giorgio Napolitano nominò senatore a vita Mario Monti per poi indicarlo come premier di un ‘governo del presidente’ e per poi ritrovarselo come leader di partito.
Un semipresidenzialismo di cui non v’è traccia nella Costituzione, un dirigismo di cui non v’è traccia nella storia nazionale, salvo il primo gabinetto Mussolini indicato direttamente dal Re. Un errore ed un equivoco che persistono e che ‘il popolo bue’ percepisce ampiamente.

Intanto, il Financial Times scrive, oggi, di “Napolitano gigante di Roma tra i nani della farsa italiana”. Purtroppo, i nani non leggono l’inglese e la ‘base’, per loro, sono solo quelli che incontrano in piazzetta o nel salotto buono …

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Il governo del Presidente, ma anche di Grillo e Berlusconi

22 Apr

Riconfermare Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica era ormai l’unico sistema per evitare l’automatico passaggio all’opposizione del centrodestra e, soprattutto, dei moderati liberali o popolari o democratici che fossero.
Il motivo è semplice: l’aver lasciato al M5S la candidatura di Stefano Rodotà, anzichè avanzarla per primi e giocare in contropiede con ambedue le opposizioni, comportava il ritorno ‘automatico’ di Bersani alla strategia di co-governo con il movimento guidato da Beppe Grillo con un Matteo Renzi probabile premier.

Una contraddizione in termini. Come quella di riciclare nel patto per il bene comune’ con il PdL due noti nomi (Marini e Prodi) pur di evitare il Quirinale a Massimo D’Alema, che era con il PCI dall’inizio, che ha voluto la svolta centrista e che non era sgradito al Centrodestra.
In tutto questo, non c’è due senza tre, aggiungiamo la follia degli Otto Punti inderogabili, sui quali convergevano abbondantemente i programmi di Grillo e di Berlusconi, rimesti precisamente nel cassetto.

Peccato per Stefano Rodotà, che questo blog aveva già segnalato un mese fa. Troppo innovativo per una concezione dell’apparato amministrativo e contabile pubblico, che risale ad oltre 100 anni fa, e per una generazione che è passata con grande facilità dal Fascismo alla DC ed al PCI, tanto INPS, Corporazioni e IRI erano ancora tutti lì.

Dunque, il Parlamento che Napolitano – ed il Premier da lui scelto e si spera votato – dovranno gestire sarà dei più etereogenei possibili, con un centrodestra forte e compatto, quasi determinante al Senato, e con un M5S che potrebbe fare la differenza, nel bene e nel male, se i suoi eletti dimostreranno di avere la metà della capacità politica di cui dovranno aver bisogno.

Infatti, vista la situazione di ‘pericolo di crollo’ del PD, è più che opportuno che il Presidente eviti di scegliere personalità di quel gruppo parlamentare o ad esso collegate, onde non vincolare il governo a polemiche interne al Partito Democratico. Come anche, vista la situazione del sistema partitico e parlamentare, sarebbe opportuno scegliere dei profondi conoscitori di quel mondo con provate capacità di mediazione ed un comprovato senso dello Stato. Ad esempio, Gianni Letta o Emma Bonino.

Una premiership da affidare in fretta e senza incappare in ‘sorprese’, come ci ha abituati Mario Monti, dato che Scilla e Cariddi si profilano all’orizzonte.
Da un lato, l’imminente rischio di spacchettamento del centrosinistra in cristianosociali, cristianoliberali, socialisti, comunisti, post comunisti, verdi, ambientalisti, demoliberali, socialdemocratici, popolari.
Dall’altro, l’evidente necessità che servano sia i voti di Grillo sia quelli di Alfano, se vorremo una legislatura di almeno un annetto e delle buone riforme, nonché un tot di fiducia dall’estero e di ossigeno per il paese. Il rischio che qualcuno pensi di avvantaggiarsi dalle urne è elevato.

Riuscirà il Presidente Reloaded di questa strana Matrix all’amatriciana, l’ancora nostro Giorgio Napolitano, a scegliere la carta fortunata, anzichè l’asso di picche?

Speriamo di si, il lavoro dei dieci saggi si rivela, oggi, un fattore accelerante e migliorativo.
Un altro fattore “accelerante e migliorativo”, probabilmente del tutto inderogabile, è la nomina di senatori a vita di Berlusconi, Prodi, Marini, Pannella e Rodotà (come anche Bonino se non avrà incarichi di governo). I primi tre per evitare che in un modo o nell’altro continuino a condizionare, fosse solo con il oro passato carisma, la vita dei partiti e del parlamento; gli altri tre per iniziare a pacificare il paese, riconoscendo a quel partito radical-liberale di Mario Pannunzio il dono dell’onestà morale e della lungimiranza, come per tutti i minority report alla prova del tempo.

Adesso, serve un governo del Presidente, un governo di larghe intese, di unità nazionale e finalizzato ad un programma, in cui un contesto generale in cui il PdL eviti l’abbraccio fatale con il Partito Democratico, aprendo sui punti di convergenza comune al M5S, che dovrà abbandonare certe formule populiste, visto che ormai il Movimento di Beppe Grillo è determinante per le istituzioni di cui l’Italia ha febbrile bisogno.

continua in -> Partito Democratico, pericolo di crollo

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Il PD non c’è più, pericolo di crollo

22 Apr

Se Eugenio Scalfari riesce ancora a parlare di ‘motore imballato’ dinanzi a quell’ammasso di ferraglia, gomma e vetro che il Partito Democratico è riuscito ad esibire in un mese di follia, l’esigenza di rottamazione annunciata da Matteo Renzi appare più come una presa d’atto che come una proposta.

Nessuno “prevedeva che il Partito democratico crollasse su se stesso affiancando la propria ingovernabilità a quella addirittura strutturale del nuovo Parlamento”, scrive nel suo domenicale il fondatore di la Repubblica, ma i segnali c’erano tutti a volerli vedere.

A partire dalle esitazioni ad intraprendere scelte difficili quando la Sinistra era nel governo e nel fare vera opposizione quando non lo era. Parliamo di un’enormità di leggi, che il Partito Democratico non ha mai portato avanti, come il conflitto di interessi, la durata dei processi, le leggi sui sindacati, i servizi pubblici esternalizzati o convenzionati, il welfare tutto, le coppie di fatto, le carceri, la depenalizzazione, gli immigrati, gli sgravi e le premialità aziendali, un piano infrastrutturale, la Casta, i super stipendiati e pensionati, i trasporti, le mafie, la legge elettorale.

Tutte esigenze dei cittadini  che a vario titolo il PD ha escluso dalla propria agenda e dalla propria fattività.

Difficile, dunque, parlare di un partito a base popolare, specialmente se lo sanno anche i bambini che alle Primarie c’è sempre un ‘candidato del partito’ e che erano già sicuri di avere la maggioranza alla Camera con il 30%, mentre si tentava di cambiare il Porcellum in extremis.
Eh già, il Porcellum. Cosa dire adesso che è sotto gli occhi di tutti che il suo mantenimento non era vitale per il Centrodestra, che sapeva già di non vincere le elezioni e che il super premio sarebbe andato al Partito Democratico.

Una riforma elettorale che non conveniva al Partito Democratico per troppi e tanti motivi.
Come la concomitante abrogazione dei comuni con meno di 10.000 abitanti e delle province con meno di 3-400.000 abitanti, dove si può contare un’ampia presenza di ‘democratici’.
Come l’istituzione di uno sbarramento serio e del ballottaggio che avrebbe provocato la definitiva frantumazione delle correnti ‘democratiche’.
Come l’eliminazione delle liste bloccate ed il rischio che tanti big e capibastone non ritornassero in Parlamento, oltre a delle Primarie effettive se da Partito unico si diventa variegata Coalizione.

La blindatura a nido d’aquila del Partito Democratico, dei suoi vertici e del suo apparato dovevano e potevano suggerire, a chi la politica la segue da tanti anni, l’esistenza di crepe e fraintendimenti ormai irreversibili.

Un manifesta percepibilità della scollatura ‘democratica’ che il ventre del ‘popolo bue’, a differenza di tanti saggi, aveva già ampiamente percepito. Un problema che, se percepito, avrebbe dovuto far temere una vittoria ‘eccessiva’ che avrebbe comportato il pervenimento alla Camera di circa 200 neoparlamentari democratici, del tutto disorientati tra una Rete che spesso usano davvero male e ancor meno comprendono, un Partito che decide le cose ‘a prescindere’ e secondo imperscrutabili strategie, la propria ambizione e la relativa competenza che mal si conciliano con i sacrifici e le professionalità che l’Italia reale riesce ancora a garantire.

Questi sono solo alcuni dei segnali che potevano lasciar presagire la situazione di incapacità politica che il PD ha mostrato finora.
Adesso, il Partito Democratico non c’è più, il segretario Bersani è dimissionario, il Congresso da convocare a giorni non è stato ancora annunciato, la Presidente Rosy Bindi che lo doveva convocare è dimissionaria dal 10 apirle.

Motore imballato, tutto quì, dottor Scalfari?

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Perchè Rodotà al Quirinale?

18 Apr

Esattamente un mese fa, in questo post passato inosservato, si spiegava quali fossero le ragioni per un’ampia convergenza sul nome di Stefano Rodotà come presidente della Repubblica.

“Il Partito Democratico, se proprio volesse dimostrare di aver chiuso con il proprio passato comunista – che ricordiamo essere un anelito totalitario ed illiberale – non dovrebbe fare altro che ricordarsi che Stefano Rodotà potrebbe essere la persona giusta al momento (storico) giusto.

Un personaggio figlio della minoranza etnica arbëreshë, che nasce politicamente nel Partito radicale di Mario Pannunzio, sempre indipendente, che per lungo tempo ha fatto parte della Commissione Affari Costituzionali.
Tra l’altro, se proprio volessimo parlare di modernità e di nuovi diritti, Rodotà è stato il primo Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, mentre dal 1998 al 2002 ha presieduto il Gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione Europea.
Inoltre, il 29 novembre 2010 ha presentato all’Internet Governance Forum una proposta per aggiornare la Costituzione Italiana, inserendo: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.

Un personaggio stimato nel mondo e noto per equilibrio e lungimiranza, sul quale potrebbero arrivare, senza particolari sforzi, i voti dei Montiani e del M5S.
Un uomo che rappresenterebbe non il fantasma di “un’Italia giusta”, ma il futuro di “un’Italia diversa”, l’Italia 2.0, che esiste già.
Stefano Rodotà compie 80 anni a maggio, questo l’unico limite, ma, anche se ‘durasse’ 3-4 anni e volesse ritirarsi prima, difficile immaginare una soluzione migliore. Ci facciamo un pensierino?”

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L’Italia perde tempo

2 Apr

Si perde tempo, l’ha detto Angelino Alfano, in un dichiarazione che suona come una presa d’atto a nome di tutti gli italiani, piuttosto che un’opinione personale.

Si perde tempo e se ne perde tanto, tantissimo, se, ad esempio, la giunta PD-SEL-M5S della Regione Sicilia blocca i lavori nella base militare di contrada Ulmo, pilastro del nascente Mobile User Objective System, il sistema di difesa satellitare USA – proprio mentre Obama porta a casa un accordo tra Israele e Turchia, sostanziale per l’assetto del Mediterraneo.

Come ne stiamo perdendo davvero tanto, in Europa, se l’India pretende di processare soldati italiani e tedeschi, proprio mentre assolve largamente un contingente di propri militari, resosi colpevole di stupri, violenze ed omicidi in missione di peacekeeping in Africa.

Si perde tempo se, rifiutandosi di formare un governo (il Pd con il PdL ed il M5S con il PD), i nostri destini sono procastinati a luglio prossimo, con un governo dubbiamente prorogabile – quello di Mario Monti – che è limitato all’ordinaria amministrazione, ma dovrà far fronte ad una situazione eccezionale.

E nel Governo Monti sta la chiave di volta della strategia del Partito Democratico, obnubilato dai 200 parlamentari ‘che non sarebbero lì’ se non esistesse un premio di maggioranza spropositato, mentre tra gli altri almeno cento sono parte dell’apparato.

Andare al governo con il Popolo della Libertà comporterebbe diverse conseguenze ‘sgradite’, che sarebbe meglio lasciar fare ad un governo transitorio ed un presidente che accondiscenda a qualche strappo alle regole, visto che non si tratta di amministrazione ordinaria:

  1. una legge elettorale che recepisca sia il ballottaggio, sia il senato federale, sia il presidenzialismo, sancendo la fine del bipolarismo e del parlamentarismo;
  2. una riforma della Autonomie Locali, sopprimendo province e comuni sotto i 10.000 abitanti, azzerando un’infrastruttura partitica (ed una tradizione di polemisti da bar dello sport) che ci portiamo dietro dal Dopoguerra;
  3. la riforma della pubblica amministrazione, alla quale, per ovvi motivi, dovrebbe conicidere una serie di leggi sui sindacati, sulla separazione delle carriere, sull’introduzione di un sistema di bilancio ‘europeo’, sui servizi che il Servizo Sanitario Nazionale va a garantire ‘comunque’;
  4. una riduzione della leva fiscale e l’introduzione dei diritti di cittadinanza.

Tutte leggi che il Partito Democratico preferirebbe facesse qualcun altro, ma ponendo i suoi veti,  che il  Movimento Cinque Stelle sosterrebbe anche volentieri, ma che il protagonismo di Grillo impedisce, che il Popolo della Libertà voterebbe, se non fosse per i guai giudiziari di Silvio Berlusconi.

Nessuno che prenda nota del detto anglosassone per il quale se non si è un vincitore, allora non resta che prendere atto di essere un perdente.

Intanto, i dati congiunturali sconfessano la manovra elettorale del Partito Democratico, iniziata da mesi sotto la spinta di SEL e della CGIL, in nome dell’emergenza sociale: la disoccupazione registra, sddirittura, un lieve calo. Sono i giovani a preoccupare con un congruo numero di senza lavoro (37,8%), principalmente donne.

E, se parliamo di giovani e di occupazione, la soluzione non è certo prolungare l’età pensionabile, mantenere una pubblica amministrazione elefantiaca, senza investire in infrastrutture, formazione e produttività. Come il ‘modello’ non può essere di certo quello di Romano Prodi, additato -in Italia come all’estero – come uno dei padri del disastro Eurozona ed eternamente in batteria per un posto al Quirinale.

Siamo sicuri che i circa 200 deputati del Partito Democratico, che sono lì grazie al Porcellum, vogliano davvero tornare a casa con un flop del genere per sperare in una riconferma delle urne?
E cosa staranno pensando quelli del Movimento Cinque Stelle, che potrebbero non contare, alle prossime elezioni politiche, di quei 5-6 milioni di voti arrivati per protesta?
O, parlando di stabilità ed Europa, che qualcuno si sia accorto che, se PdL+Lega+Scelta Civica avessero corso coalizzati, non staremmo neanche a discutere di governi e governicchi?

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