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Allarme lavoro: paese al collasso?

3 Giu

Uno studio di Riccardo Sanna dell’Ufficio economico della Cgil – “La ripresa dell’anno dopo” – annuncia che il livello del Pil pre-crisi verrebbe recuperato tra tredici anni, nel 2026, mentre l’occupazione ritornerebbe solo nel 2076 alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007.
Il livello di produttività verrebbe recuperato nel 2017 e il livello degli investimenti nel 2024.
Non si recupererà mai invece il livello dei salari reali, il che significa che è inficiata la stabilità del sistema pensionistico, almeno finchè l’INPS sarà parte della finanza pubblica, e che le tasse  non caleranno mai, visto che parliamo anche dell’IVA e dell’IRPERF.

La cura della CGIL? “Un cambio di paradigma: partire dal lavoro per produrre crescita”.

Per Raffaele Bonanni della CISL la soluzione è diversa: “possiamo uscire dalla crisi se ci sarà, l’impegno di tutti e il massimo della coesione nazionale. Nello stesso tempo, occorre incentivare fiscalmente (ndr. gli investimenti e, di conseguenza) la creazione di nuovi posti di lavoro. Sarà questa la richiesta forte che faremo al Governo.”

D’altra parte, i dati generali confermano che, dal 2008 al 2012, in Italia si è perso il 2,4% dell’occupazione e il 4,3% dei consumi delle famiglie, ma soprattutto il 20% degli investimenti, mentre le esportazioni hanno mantenuto i volumi del 2008. Inoltre, quasi la metà dei ‘nuovi disoccupati’ non arriva dall’industria, ma dall’edilizia, con meno 259.293 occupati a dicembre scorso ed altri 5-80.000 in arrivo.
Tutti da cassaintegrare e sostenere, come chiede il sindacato, senza però spiegare perchè non intervenire anche nel settore tessile o rilanciare l’elettronica.

Seguire il paradigma ed ‘attrarre investimenti’, riducendo il costo del lavoro e della governance, oppure ‘creare lavoro’, andando avanti con una spesa pubblica iperbolica?

A parte il fatto che non è pensabile di mantenere in opera fabbriche improduttive ed allo stesso tempo inquinanti, come non è sostenibile dare ulteriore ‘carta bianca’ ai nostri impreditori edili, se non per il manutentare il ‘mal fatto’, precisiamo subito che la catastrofica prospettiva annunciata dalla CGIL tiene conto dei parametri di ripresa calcolati dall’Istat, sulla base del contesto attuale. Dunque, le cose potrebbero andare molto peggio se non si imboccasse rapidamente la giusta via e potrebbero andare molto, molto meglio se la mossa risultasse azzeccata.

Innanzitutto, è proprio dai conti del sindacato che si evince che a partire dal lavoro non è che si migliori granchè la catastrofe annunciata dal rapporto CGIL: la ripresa sarebbe comunque lenta o lentissima ed il welfare insostenibile. Andando agli investimenti, non è di certo lo Stato italiano che possa provvedere, senza prima aver alienato debiti e proprieta.
Dunque, che siano dei privati cittadini o siano delle entità italiane od estere, quello che dimostra lo studio di Riccardo Sanna è che lo Stato italiano deve capitalizzare per investire sul lavoro e sull’innovazione della PA, dato che prepensionare e snellire hanno un costo iniziale, e per attrarre investitori, grazie ad una rinnovata immagine di solidità e ad un sistema legislativo, fiscale, e giudiziario semplici e compendiosi.

I calcoli della CGIL si basano sul tasso ISTAT di ‘ripresa’, previsto per il 2014 e pari a un +0,7%.

E se gli italiani la smettessero di litigare, si rimboccassero le maniche, mettessero ordine in casa propria ed, essendo un popolo talentuoso ed alacre, riuscissimo ad attrarre gli investimenti che già hanno arricchito mezza Europa e ci ritrovassimo con un 2/3% di crescita annua?

originale postato su demata