Non esiste alcuna alternativa a questo governo ed a questa maggioranza, perchè, in caso di caduta, l’Italia si troverebbe i creditori alle porte e dovrebbe varare misure di arretramento dell’attuale livello dei servizi pubblici di scuola e sanità.
Questo è nella sostanza il pensiero di Silvio Berlusconi, nel discorso alla Camera.
Una catasfrofe causata dalla spendacciona gestione prodiana, ma, anche e soprattutto dall’incapacità dei governi della Seconda Repubblica nel mantener fede agli impegni finanziari presi verso il paese di anno in anno.
Un disastro causato, secondo analisi diverse ma ampiamente condivise, dalla scelelrata riforma del Titolo V della Costituzione, che introduceva il Federalismo senza far prima fronte agli squilibri di un territorio nazionale, che fu strutturato dai Savoia e da Mussolini in funzione di logiche rivelatesi, per l’appunto, disastrose.
Una riforma, quella del Titolo V, che, per altro, ridefiniva i poteri della politica, in termini territoriali, ma non ristrutturava nè i ruoli ne le gerarchie interne delle principali istituzioni affini alla politica: sindacato e magistratura.
Uno sperpero globalizzato, se pensiamo all’impennata del numero di cariche, dirigenze, sedi di rappresentanza, auto blu, consulenze, esternalizzazioni e chi più ne ha più ne metta.
Se non verrà messa fine a questa emorragia di denaro e di management, non basterà la riforma fiscale, preannunciata da Tremonti e confermata, in questi minuti, da Berlusconi.
Una riforma fiscale che, nota bene, potrebbe somigliare ad una patrimoniale se l’obiettivo è quello di alleggerire i ceti bassi o le aziende e di caricare “chi ha il gippone”, per usare un’espressione di Tremonti.
Un sistema tutto da capire, se verrà affiancato da un incremento delel tasse e tributi locali, già esosi nelle regioni più disastrate.
Senza contare che l’ipotesi di incrementare le funzioni ministeriali con sedi al Nord non può altro che portare nel tempo ad un ulteriore incremento della spesa, essendo un elemento che innalza il livello di complessità strutturale del sistema.
Infine, la spesa pubblica, che Berlusconi promette di non tagliare quando afferma che il “pubblico impiego non si tocca”, come “non si toccano” scuola e sanità. Considerato che sono in larga parte spese di personale, che potrebbero essere notevolmente alleggerite con un coraggioso prepensionamento e riducendo il costo della governance, ovvero il numero di politici e direttori.
Il problema, dunque, non è finanziario, ha ragione Tremonti a dire che l’Italia ha ancora una sua solidità.
La questione è squisitamente politica, o meglio partitica, ovvero se i partiti, attualmente rappresentati in parlamento e non, sono in grado di ristrutturarsi riducendo drasticamente il numero degli eletti, degli addetti, degli apparati.
Se ciò avverrà, potremo mantenere gli impegni presi con l’Unione Europea per il 2014, risalendo la china grazie alle minori spese, alla riforma dei sistemi assicurativo e sanitario, ad un maggiore gettito fiscale.
L’alternativa?
Nessuna.
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