Rimarcando gli slogan dei conservatori statunitensi e britannici, che a casa loro hanno tutt’altro sistema, ogni tanto capita di sentir parlare del “carrozzone statale”.
‘Carrozzone’ che è in larga parte composto da insegnanti, soldati, agenti, pompieri, università, giustizia (e carceri).
La così detta burocrazia ne è una minima parte (eccetto Roma dove ci sono i ministeri, ovviamente).
Difficile che queste infrastrutture nazionali di cui ogni nazione è dotata ‘servano solo a chi ci lavora dentro‘: ogni giorno sono tra la gente per la gente.
Funzionano male, spesso o talvolta, ma polizia, pompieri e giustizia languono di risorse. I militari pure.
Potremmo discutere se 1 milione e passa di docenti debbano dipendere dai comuni e dalle regioni, anzichè dal ministero, ma questo significa – poi – tributi locali e spesa privata.
Mantenere le scuole costa e comunque il costo ‘voucher’ per alunno non è che può andare fuori dagli standard Ocse, cioè quelli attuali del nostro Stato.
La transizione durerebbe 3-5 anni tra ‘smonta e rimonta’, cosa che ha un bel costo suo proprio.
Altro aspetto per la detassazione ‘statale’ può essere il rivedere i finanziamenti alle università, ma sarebbe un serpente che si morde la cosa, dato che parliamo di redditi da ‘libera professione’: l’antitesi del liberismo che vuole ridurre le tasse.
Ma allora come si fa?
Ricordiamo che le entrate non andrebbe così male senza interessi sul buco che ci hanno lasciato nel 1994 e senza misure di spesa ‘occupazionale’ come la Buona Scuola, il Reddito di Cittadinanza, la Quota 100, come senza … le mille proroghe che messe insieme diventano miliardi.
Il ‘buco’ del bilancio statale nasce nel 1974 con l’assorbimento delle Casse e delle Mutue, convinti che quelle attive perchè più contribuite potessero sanare quelle passive meno contribuite: così nacquero INPS e SSR odierni. Sappiamo come è finita.
La verità è semplice: tra debito e interessi sul debito siamo ingessati e il gap di investimenti istituzionali tra l’Italia e le altre nazioni europee (inclusa Romania, Estonia eccetera) è del 3% del GDP sulla media e di circa il 5% sulle nazioni di punta (Ungheria inclusa).
Il GDP italiano del 2018 era di 2074 mld €: dunque ai nostri “investimenti per l’economia totale, il governo, le imprese e i settori domestici” mancano una 60ina di miliardi di euro l’anno da diversi anni.
Dunque, un’istanza condivisa di minore pressione fiscale e soprattutto di stabilità e semplificazione procedurale va a raccogliersi in un solo settore del valore forse di poco inferiore ai 500 miliardi annui (tra pubblico e privato, pensioni e salute): quello assicurativo previdenziale e assistenziale.
L’unica soluzione sono 500 miliardi annui che almeno per metà potrebbero divenire fluidità dalle assicurazioni alle banche e alle imprese, cioè per investimenti e innovazione: competitività.
Nessuno crede che i liberisti, conservatori e leghisti come del resto tutti gli altri partiti vogliano promuovere una patrimoniale da 100 miliardi (… da versarsi a rate vista la situazione, salvo attingere dai concessionari di Stato.
Ma anche tante partite iva dell’edilizia o della ristorazione o del turismo sarebbero quelle maggiormente da riconvertirsi tra i privati con l’innovazione tecnologica, tra cui la sicurezza sul lavoro e le norme tecniche.
Se vogliamo promettere realisticamente meno tasse (a Destra) o più occupazione (a Sinistra) o più reddito per tutti (insomma), non c’è altra via che la privatizzazione del settore assicurativo, ‘cedendo’ l’Inps, ripristinando il sistema di convenzioni mutuate, garantendo il SSR come era l’Inam prima, mettendo in circolo fluidità finanziaria e … vinca il più bravo, se si controlla anche che nessuno rubi o sperperi.
Quanto al “popolo delle partite iva”, dipende … basterebbe la volontà (e i soldi) per ripristinare il degrado degli edifici e dei luoghi pubblici, magari ammodernarli, e l’economia ‘basic’ respirerebbe e con lei il resto.
Demata
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