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Balcanizzazione siriana

25 Nov

Hollande continua ad esser solo nella guerra al Daesh in Siria, se gli USA bombardano solo in Iraq per difendere Baghdad e se la Russia attacca solo per garantire a se e agli Alawiti uno spazio ‘vitale’ intorno a Lattakia.

Peggio ancora, per pace e serenità di tutti,  se dalla Turchia passa di tutto in direzione Aleppo ma si abbatte un jet per soli 17 secondi di violazione dello spazio aereo.
Oppure se i ribelli ‘buoni’ hanno appena ricevuto nuove armi e per prima cosa attaccano una troupe di giornalisti russi o se Israele lancia bombe sulle retrovie degli Hezbollah che combattono Isis grazie ai nuovi accordi USA-Iran.

Ci aiuta a comprendere James Dobbins, inviato speciale di Barack Obama: «i negoziati di Vienna devono puntare al cessate il fuoco in tempi stretti per dare modo alla diplomazia di lavorare su una soluzione per la Siria sul modella della Germania 1945» ovvero suddividendola in quattro Stati: curdo nel Nord, sunnita nel Centro, alawita sulla costa e quindi un’«area internazionale» dove ora si trovano i territori occupati da Isis.

Syrian Balkanization

Tenuto conto che gli Alawiti sono Sciti come i Drusi, come che da oltre cent’anni la Turchia ha mire su Aleppo e Lattakia, è facile comprendere che senza patti chiari tra Russia e USA e senza unione tra gli europei si rischia un’estensione delle tensioni ad altre aree di attrito, ad esempio l’Ucraina.

Demata

Roberto Saviano e la cultura in pillole

28 Mag

Anche oggi Roberto Saviano ci illumina via Facebook con un didascalico: “in Siria i civili pagano con il sangue il lungo silenzio dell’Occidente su Assad (finanziatore di Hezbollah e Hamas). Il timore che il dopo Assad fosse peggiore, ha paralizzato l’Occidente troppo a lungo, sacrificando troppe vite.

L’autore di Gomorra è giovane, uno di quei giovani ai quali – mentre erano a scuola od all’università – abbiamo detto di ‘non dare nulla per scontato’ e di rifuggire il ‘sapere in pillole’.

Purtroppo, Saviano ha l’età che ha, la cultura che ha, il reddito e la fama che ha. Così andando le cose, capita che il nostro ‘mito antimafia nazionale’ scivoli su un paio di luoghi comuni colossali.

Infatti, prima di parlare di Occidente in Siria e riguardo la famiglia Assad, vale la pena di verificare cosa fossero i partiti Baathisti e se, per caso, non fossero filosovietici … altro che filo occidentali.

E, caso mai Roberto Saviano volesse dirci qualcosa di non ovvio e non didascalico, potrebbe anche verificare non è la Siria ma, piuttosto, l’Iran ad essere il principale finanziatore (e burattinaio) di Hamas e Hezbollah.

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La CIA nei guai a Beirut

22 Nov

Maurizio Molinari, accreditato corrispondente da New York per il quotidiano La Stampa, racconta del disastro dell’intelligence statunitense in Libano ed Iran, causato dall’individuazione di decine di migliaia di agenti e spie.

In poche parole, Hezbollah, con il supporto iraniano,  ha utilizzato strumentazioni di intelligence “made in USA” per monitorare il popolare Pizza Hut di Beirut, la capitale libanese, che era, in realtà, un ufficio di copertura della CIA, individuando un enorme numero di agenti operanti in Libano, Siria e Iran. Praticamente l’intero network CIA.

Gli Hezbollah sono arrivati alla centrale grazie ai messaggi di testo che un gruppo di agenti della CIA si scambiava tramite il messenger dei propri cellulari, facendo cenno dei luoghi dove si trovavano o dove sarebbero andati. La facile intercettabilità dei messenger e, soprattutto, il riferimento “pizza”, piuttosto inusuale in Medio Oriente, avevano messo sulla buona strada per cancellare la rete di intelligence.

Era lì, scrive Molinari, “che la Cia incontrava non uno, due o tre informatori ma dozzine di libanesi e cittadini di altri Paesi che consegnavano, o più spesso vendevano, notizie sul Partito di Dio.

“Il risultato è uno dei più pesanti bilanci per l’intelligence americana in Medio Oriente perché lo sceicco Hassan Nasrallah lo scorso giugno ha annunciato in tv la «cattura di due agenti della Cia» e ieri fonti statunitensi hanno confermato che gli agenti «smascherati e catturati» sono molti di più, «dozzine di persone».”

“E se la notizia trapela sui media degli Stati Uniti è perché l’amministrazione Obama non ha idea di che fine abbiano fatto. I miliziani hanno ascoltato, fotografato e schedato chiunque entrava e usciva per settimane, forse mesi. Il risultato è stata una mappa del network della Cia in Libano nonché la scoperta di una rete parallela di spie, questa volta in Iran.” (link all’articolo integrale)

Non poche critiche “dall’interno del Pentagono” sono arrivate sia per il grave errore di incontrare molti agenti in un solo luogo, che ha fatto compromettere l’intero network, sia per quello di aver usato gli stessi telefoni per chiamate dirette negli Stati Uniti, cosa “sospetta” da quelle parti e rilevabile di tracciati delle celle telefoniche, sia per aver confidato in una leggenda metropolitana, come quella dell’inviolabilita dei messenger.

La vicenda si trascina da mesi, dato che sembra siano stati catturati anche cittadini americani, è l’amministrazione USA vuole attendere di avere il quadro completo dei danni e, soprattutto, che i rapitori si facciano avanti.

Ad ogni modo, agiugno, lo sceicco Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, si era vantato in televisione di aver scoperto due spie della CIA, infiltrate nella sua organizzazione e l’ambasciata americana a Beirut aveva negato.

Oggi, inizia ad emergere la verità sull’ennesimo flop libanese della Central Inteligence Agency e, come da standard, i media statunitensi riportano la dichiarazione di un portavoce della agenzia d’intelligence statunitense: “La CIA non rilascia dichiarazioni, di regola, per accuse inerenti attività operative.”

Oltre a danneggiare pesantemente la possibilità per gli Stati Uniti e la Nato di acquisire informazioni in Libano, Siria ed Iran, lo smacco subito dalla CIA crea non pochi problemi e non solo per  un eventuale intervento militare in Iran.

Gli eventuali “ostaggi” americani potrebbero essere usati per influenzare l’opinione pubblica durante la corsa presidenziale di Obama, visto che i, come accade, per l’appunto in Iran, per Jimmy Carter.

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Iran, Turchia e gli errori di Israele

16 Nov

Mentre l’Europa, distratta e pacifista, si dibatte discutendo d’Euro, di debito sovrano e di declino nazionale, dall’altro lato del Mediterraneo si sta assistendo ad una rapida escalation del “problema israeliano”.

Si, “problema israeliano”, come lo percepiscono oltre un miliardo di islamici, anche detto “problema palestinese” da parte di circa 700 milioni di euro-americani e, naturalmente, gli israeliani.

In realtà, non me ne vogliano i sionisti “puri e duri”, il Medio Oriente è “di per se” conformato per essere gestito da un’autorità sovranazionale: è un impianto infrastrutturale che si perde nella notte dei tempi. Basti dire che, a ben guardare le mappe, nessuno degli stati di quei territori, ad eccezione di Turchia e Libano, può dirsi “autosufficiente”.

Ritornando alla “questione israelo-palestinese”, non possiamo trascurare che, nel 1947, gli Inglesi erano mossi da motivazioni umanitarie e non sioniste, quando concessero il permesso all’esodo in Palestina, e che l’ONU, nel 1967, fissò una ragionevole e negoziabilissima linea di demarcazione che Israele non ha mai rispettato, in ragione della necessità di difendersi dai terroristi.

Eppure, se entriamo nel campo del diritto internazionale, la Gran Bretagna non ha mai “allargato” i confini dell’Ulster, per creare una “fascia di protezione” contro i terroristi dell’IRA, che, proprio negli stessi anni, arrivavano dalle basi collocate nella repubblica irlandese. Come anche va sottolineato che i palestinesi di religione cristiana, che terroristi non sono, subiscono lo stesso trattamento degli islamici, i cui correligiosi hanno commesso stragi.

Vicende che, attenzione, sono state condannate anche da molti ebrei atei o cristiani, come, ad esempio, quelli che militano nei partiti della sinistra europea, oltre che da tanti giovani israeliani.

Ed, così andando le cose, arriviamo ai nostri giorni, quelli “in cui il governo israeliano discute i piani d’attacco ai reattori nucleari di Ahmadinejad”, come riporta il Corriere della Sera. Un’idea veramente folle, se consideriamo le ricadute internazionali, oltre che interne.

Se Israele attaccasse l’Iran, le reazioni di Hamas ed Hezbollah, con il conseguente carico di autobombe e di razzi homemade, rappresenterebbero l’aspetto più gestibile dell’impresa.

Infatti, Israele dovrà attendersi una reazione della Cina Popolare, non militare e non immediata come da tradizione orientale, ma è evidente che i cinesi non dimenticherebbero una tale “affermazione di potenza” da parte di Israele nè sottovaluteranno un’azione immotivata e unilaterale verso l’Iran, che è un alleato strategico di Pechino e che reclama il diritto a dotarsi di un’atomica, visto che ce l’hanno Israele, Russia, Pakistan, India e Cina.

In secondo luogo, un attacco senza preavviso trasformerebbe Siria, Irak, Afganistan e Pakistan in una polveriera, con il possibile risultato di unire gli integralisti sciiti e sunniti.

E nulla è dato sapere su come reagirebbero le democrazie ed i mercati europei.

Ma il male peggiore arriverebbe dalla reazione di Libia, Egitto, Tunisia eccetera, dove i Day of Rage hanno abbattuto tiranni e ribadito la legge islamica entro, per ora, i limiti di uno stato laico come avviene in Turchia, che è la potenza, industriale e militare, del Medio Oriente.

Gi attriti tra Ankara e Tel Aviv sono ormai quotidiani, le basi aeree turche  sono ai confini del Libano, a pochi minuti di volo dagli obiettivi, mentre la marina potrebbe garantire addirittura uno sbarco in forze, ad esempio a Gaza.

Senza contare il fatto che la reazione iraniana arriverebbe comunque, probabilmente sotto forma di attentato, e che, per cancellare lo stato di Israele, basterebbe rendere radioattiva la città di Tel Aviv, cosa minacciata più volte da quel pazzo di Ahmadjinejad.

Una Turchia, rifiutata dall’Europa, che ha un esercito con addestramento ed armamenti NATO, la quale, senza ricorrere a scenari apocalittici, potrebbe sospendere l’enorme fornitura di acqua potabile con cui serve Israele, visto cosa accadrebbe nelle moschee di tutto il mondo se venissero attaccate le centrali nucleari a nord di Tehran.

Infine, il mondo intero, che difficilmente perdonerebbe chi avesse dato lo start up ad un conflitto regionale di tale portata.

Israele deve fermarsi ed accettare che, con buona pace di integralisti e sionisti, l’idea di un “dio” che predilige popoli e nazioni è minoritaria e contestabilissima: la divisione dei territori deve essere “laica” e non “integralista”, da ambo le parti.
E’ anche inaccettabile l’idea di “guerra preventiva”, enunciata da Moshe Dayan e realizzata, malamente davvero, da George Walker Bush: produce un’enorme quantità di martiri e di eroi.

Le premesse di una guerra si combattono con l’ipotesi di una pace e questo non significa essere pacifisti, ma semplicemente ricordare che c’è un tempo per le armi ed un altro per le parole, come anche che uno stato assediato non è uno stato libero, nè verso l’interno nè verso l’esterno.

Quanto al futuro, il vero “nemico” dell’isolazionismo di Israele è la Turchia, visto che il Medio Oriente ha bisogno di un’autorità sovrannazionale “laica” che possa garantire la pacifica convivenza di islamici, ebrei e, non dimentichiamolo, cristiani.

Sarà lo stesso sogno cosmopolita degli ebrei dei ghetti, quello che sta trainando la globalizzazione mondiale e che accomuna i giovani di tutto il mondo su internet, a sconfiggere, prima o poi, l’isolazionismo sionista, oltre che l’integralismo islamico.

Tripoli è caduta: ministoria di un’insurrezione

23 Ago

Tutto iniziava il 17 febbraio 2011, il Giorno dell’Ira.

Migliaia di manifestanti scendevano in strada nelle città della Cirenaica, il regime uccide 6 persone e ferisce decine di manifestanti.

Dopo giorni di manifestazioni e dure repressioni, Bengasi e la Cirenaica insorgono il 23 febbraio . Migliaia di morti e massicce defezioni dei soldati del despota. Inizia la rivolta.

23 febbraio 2011 Un aereo con Aisha Gheddafi a bordo chiede di atterrare a Malta, ma il permesso viene negato. I media avanzano sospetti che il Colonnello stia trasferendo ed occultando capitali all’estero.

19 marzo Dopo un mese di stragi e pulizie etniche del regime, l’Aereonautica francese attacca le forze di Gheddafi in applicazione del mandato ONU.

20 marzo Alla missione si uniscono, progressivamente, gli USA, la Gran Bretagna, la Germania ed alcuni paesi della Lega Araba. L’Italia resta ai margini delle operazioni a causa dell’ambiguità delle sue relazioni con il tiranno.

26 marzo I ribelli riconquistano Brega e Ajdabija, puntando verso Ras Lanuf: inizia la ritirata dei lealisti.

11 aprile Inizia a formarsi un governo provvisorio libico e vengono fornite ampie rassicurazioni riguardo i contratti petroliferi siglati dal regime.

23 aprile Viene liberata Misurata, dopo oltre due mesi di assedi e di bombardamenti da parte dei lealisti di Gheddafi. Viene anche liberato il rimorchiatore italiano, Asso 22, rimasto bloccato lì.

30 aprile Iniziano gli attacchi missilistici al bunker del tiranno e muoiono uno dei figli dei tiranni ed alcuni nipoti. Gheddafi chiede, senza successo, di fermare i bombardamenti USA.

16 maggio Il procuratore Luis Moreno-Ocampo chiede l’emissione di mandati di cattura internazionali contro Gheddafi, il figlio Seif al Islam e il direttore dei servizi segreti libici Abdallah al Senussi.

26 giugno La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja emette mandato d’arresto contro il Colonnello Gheddafi per crimini contro l’umanità insieme al figlio primogenito ed al capo dei servizi di intelligence.

22 agosto 2011 Gli insorti entrano a Tripoli ed inizia l’assedio al bunker del tiranno.

Questi i post passati che si sono occupati del Colonnello Gheddafi:

04-mar-10 Lo stile inconfondibile della Famiglia Gheddafi
04-mar-10 Gheddafi e l’embargo alla Svizzera: dopo il petrolio tocca ai datteri
16-giu-10 Il denaro che puzza
31-ago-10 Gheddafi, dall’Europa un silenzio di tomba
21-feb-11 Gheddafi e l’amico Berlusconi
23-feb-11 Libia, scoperti corpi bruciati (video)
24-feb-11 Massacri libici, affari italiani
23-mar-11 Libia, petrolio e guerra
04-apr-11 Non solo Libia
26-apr-11 Italia in guerra senza Bossi e Bersani?
11-apr-11 Libia, chi sono gli insorti
30-mag-11 Perché Al Qaeda attacca l’Italia?

Perché Al Qaeda attacca l’Italia?

30 Mag

La speranza generale, dopo l’annuncio dell’uccisione di Bin Laden, era che Al Qaeda potesse frammentarsi in coordinamenti regionali sempre più autonomi e, ovviamente, deboli.

I due attacchi ai militari italiani, a 48 ore di distanza l’uno dall’altro, non lasciano ben sperare, specialmente per il fatto che l’attentato di Herat era ben studiato e programmato.

Certo, le azioni sono ininfluenti dal punto di vista strategico, come ci ricorda Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi e Difesa, ma sono i ragazzi ad essere sotto il fuoco nemico e sarebbe bene sapere il perché.

Di sicuro, la congiuntura politica ci espone notevolmente.

Agli analisti del Jihad non sarannno sfuggite le vittorie elettorali che vedono in testa candidati che hanno avuto l’appoggio di tanti circoli e “centri sociali” pacifisti e/o antiamericani e/o filopalestinesi. E, d’altro canto, a sentire la Lega, dominus di questo governo,  l’Italia è talmente al lumicino da non potersi permettere neanche 3-4mila soldati in missione …

Da questo punto di vista, il ritorno strategico per Al Qaeda sarebbe enorme, se l’Italia abbandonasse la coalizione afgana od il Libano.

Inoltre, gli Jihadisti (sunniti, sefarditi o wahabiti che siano) hanno sempre considerato la Scia come una vera e propria eresia interna all’Islam.

Non va, dunque, trascurato il dato che gli italiani siano schierati, nella sostanza, a protezione dei territori controllati da Hezbollah sciiti in Libano e di quelli controllati da Gulbuddin Hekmatyar, il leader sciita che non si è mai associato nè con né contro gli occupanti ed il governo Karzai.
La notoria vicinanza di Massimo D’Alema verso gli Hezbollah e le relazioni vaticane con gli Ayatollah possono essere un fattore da considerare.

C’è, infine, il fronte nordafricano, con la Libia, martoriata dal caos e dai bombardamenti, e l’Egitto, dove la deriva integralista sembra avere solide radici nel sud e nelle smisurate periferie.

Anche in questo caso, l’Italia non gode di una posizione facile, sia per i rapporti molto utilitaristici con Gheddafi (ndr. prioritari sugli impegni NATO) sia, molto probabilmente, per le nostre politiche di respingimento (ndr. condannate dall’ONU) e  le migliaia di morti annegati nel Canale di Sicilia o bruciati dalla sete nei deserti e carceri libici.

Naturalmente, l’ultima cosa da fare è quella di ritirare i nostri soldati, che ci renderebbe deboli, ridicoli ed inutili agli di un mondo che non ci guarda più, da anni, con particolare benevolenza.

La prima da farsi dovrebbe essere il dimostrare di essere in grado di intervenire nell’area del Mediterraneo, come soccorsi in mare e come protezione armata delle popolazioni inermi. La seconda dovrebbe consistere in una “moratoria”, per i partiti e per le redazioni nostrane, ad una maggiore distanza  ed un minore entusiasmo verso certi (cosiddetti se non autoproclamatisi) “rappresentanti del popolo”.

Ovviamente, possiamo immaginare tutti dove andranno a parare, nei prossimi giorni, i talk show e le ben-pensanti dichiarazioni dei politici.

Italia in guerra senza Bossi e Bersani?

26 Apr

Sì ad «azioni aeree mirate» italiane in Libia. Questa la brief note con cui il Governo ha annunciato l’entrata in guerra dell’Italia.

Una decisione, come conferma il ministro degli Esteri Franco Frattini, che che poteva attuata ben quindici giorni fa, visti i toni tenuti dal rappresentante del governo provvisorio Jalil, in visita a Roma.
“Voi vi siete fatti ingannare dalla retorica di Gheddafi, ma noi che siamo i libici di Bengasi, i libici che dovrebbero odiare di più gli italiani, riconosciamo che voi non ci avete solo colonizzato: avete costruito il nostro Paese. E’ per questo ha continuato – che abbiamo bisogno di voi, proprio di voi, adesso: aiutateci.”
Un accorato appello, al quale Silvio Berlusconi aveva pubblicamente risposto, pochi giorni dopo, che “considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale, non sarebbe comprensibile un maggior impegno militare.”

Una mossa, imposta da Obama a nome evidentemente del Consiglio NATO, che potrebbe, almeno, riqualificare l’immagine italiana dall’imbarazzante amicizia di Gheddafi con Berlusconi, il quale, per l’appunto, si dichiara imbarazzato.

Una ripresa “obbligata” della politica italiana nel Mediterraneo, dopo 150 anni di stasi, che  riporterebbe le regioni ed i porti del Sud agli antichi fasti, con prevedibili ricadute (negative?) per le regioni padane e quelle “rosse”.

Infatti, se Calderoli annuncia un “Non con il mio voto”, aprendo un’ulteriore frattura nel governo, dalla riva opposta arriva un durissimo il comunicato di Emergency.
“Il governo italiano continua a delinquere contro la Costituzione e sceglie la data del 25 aprile per precipitare il Paese in una nuova spirale di violenza. Le bombe non sono uno strumento per proteggere i civili: infatti non sono servite a proteggere la popolazione di Misurata. La città di Misurata, assediata e bombardata da oltre due mesi, nelle ultime 24 ore ha vissuto sotto pesantissimi attacchi che hanno raso al suolo quartieri densamente popolati, anche per l’impiego di missili balistici a medio raggio”.
Intanto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa precisa che  “non si tratterà di bombardamenti indiscriminati ma di missioni con missili di precisione su obiettivi specifici” per “evitare ogni rischio di colpire la popolazione civile”.
E Frattini conferma: «Bombarderemo obiettivi mirati, per esempio batterie anticarro, carrarmati, depositi di munizioni. Obiettivi pianificati dalla Nato, che ce li indicherà di volta in volta».

Quanto al popolo padano, Berlusconi rassicura (secondo lui) che “non occorre un nuovo voto del Parlamento, dunque non ci sarà nessuna spaccatura tra noi e la Lega come spera l’opposizione”.

L’opposizione?  Tace, imbarazzatamente tace, trincerandosi dietro “i limiti posti dalla risoluzione Onu”, come se non ci siano un popolo insorto, un dittatore efferato e tremila anni di storia comune.

Intanto, a Misurata l’assedio, la fame, la sete, le morti innocenti continuano.

Non solo Libia

4 Apr

Ho scritto della crisi libica mentre accadevano i primi eventi e l’impressione è che il fenomeno in atto sia molto più ampio della sola Libia o del Nordafrica.

Come non notare che, dopo la Siria,  solo Palestina-Israele manca all’appello del “Day of rage” e che, se non avverrà, potrebbe solo significare che Hamas è ovunque e che la repressione israeliana soffoca anche i laici palestinesi.

Oppure, come non rendersi conto che il disastro nucleare di Fukushima e l’intensità di certi eventi naturali mettono in crisi sia una certa visione dello sviluppo futuro delle nostre infrastrutture ed attivano un’ancor più spietata ricerca di risorse energetiche e minerarie.

Tornando ai crucci italiani sulla Libia, esistono dei “quid” che sono del tutto disattesi dall’informazione italiana, vuoi per interessi di bottega, vuoi per formazione risorgimentale, vuoi per appartenenza militante.

Questioni, tutte squisitamente politiche ed economiche, che sottendono ai quesiti ondivaghi con cui la pubblica opinione sta lentamente e confusamente apprendendo riguardo gli eventi molto variegati e le (poco) diverse posizioni.

Ad esempio, in uno scenario di superamento degli accordi coloniali del 1884, quale può essere mai il ruolo e le garanzie dell’Italia verso i paesi emergenti se lo stesso Meridione viene tenuto nel degrado con l’aiuto delle mafie?

Oppure, quale politica possiamo mai sostenere nel Mediterraneo, se tutto è deciso a Roma (che ha ormai accettato i “patti di Yalta” tra Saladino e Federico ai tempi delle Crociate) ed a Milano, che è più svizzera che penisola? Sarà un caso che il comando NATO sta proprio a Napoli?

Come rispettare la convenzione di Ginevra per i profughi, se negammo l’asilo persino ai fiumani, oppure garantire la firma delle Carte dei diritti ONU, se 4 milioni di italiani devono ricorrere ai banchi alimentari con la spesa pubblica che abbiamo?

E’ anche da quesiti come questi, che gli altri si pongono e noi no, che nasce la marginalità italiana nel contesto africano e mediorientale.

leggi anche Libia petrolio e guerra

con le mappe petrolifere

e Massacri libici, affari italiani

con i dettagli sulle nostre aziende

Libia, petrolio e guerra

23 Mar

La Libia possiede circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti e, con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelli d’Egitto), supera la Nigeria e l’Algeria (Oil and Gas Journal). Al contrario, le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine di 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration. (fonte CoTo)

Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di metri cubi, ma la sua produzione è stata tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della capacità produttiva secondo i dati della National Oil Corporation (NOC) l’obiettivo a lungo termine è di tre milioni di b / g ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno.

E’ evidente che una invasione della Libia, anche se nel quadro di un mandato umanitario, servirebbe anche gli interessi delle imprese petrolifere angloamericane, come l’invasione del 2003 e l’occupazione dell’Iraq, in modo da prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia e privatizzare l’industria petrolifera del paese. Wall Street, i giganti petroliferi anglo-americani, i produttori di armi USA-UE ne sarebbero soli beneficiari.

 

Tra l’altro, mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo estrattivo del petrolio libico è estremamente basso, a partire da 1,00 dollari al barile: a 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà la Libia un margine di profitto 109 $ per barile” … (fonte EnergyandCapital.com 12 Marzo 2008)

 

Non sorprenderà sapere che, da qualche tempo, anche  la Cina sta giocando un ruolo centrale nel settore petrolifero libico e non a caso la China National Petroleum Corp (CNPC) ha dovuto rimpatriare dalla Libia ben 30.000 cinesi. L’unico dato certo è che l’11% delle esportazioni di petrolio libico vengono incanalate verso la Cina, ma non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza, certamente notevole,  della produzione cinese in Libia e delle trivellazioni.

La campagna militare contro la Libia è , evidentemente, volta ad escludere la Cina dal Nord Africa, che ha interessi petroliferi anche in Ciad e Sudan.

Importante è il ruolo d’Italia, dato che ENI, il consorzio petrolifero italiano, tratta 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25 per cento delle esportazioni totali della Libia. (fonte SKY News UK), come quello tedesco che, nel novembre 2010, ha firmato tramite la compagnia petrolifera nazionale, la RW Dia,  un accordo settennale con la National Oil Corporation (NOC) libica di entità paragonabile a quelli italiani e cinesi.

 

L’operazione militare in corso ha come scopo “a lungo termine” di ristabilire l’egemonia anglo-statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata da Francia e in misura minore, da Italia e Spagna.

Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington potrebbe essere quello di indebolire i legami politici di questi paesi verso la Francia e spingere per l’installazione di nuovi regimi politici che hanno un rapporto stretto con gli Stati Uniti con esclusione della Cina dalla regione. I precedenti sono noti e disastrosi: parliamo dell’Indocina-Vietnam e  delle guerre dei soldati-bambino dell’Africa equatoriale.

La Libia, inoltre, confina con molti paesi che sono sfera d’influenza della Francia tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad. Exxon, Mobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto che arriverà fino alla regione sudanese del Darfur, ricco di petrolio, ma anche la China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo di vasta portata con il governo del Ciad nel 2007.

Sempre ai confini della Libia c’è il Niger che possiede ingenti riserve di uranio, attualmente controllate dal gruppo francese Areva nucleare, precedentemente conosciuto come Cogema ed anche la Cina ha una partecipazione nell’estrazione di uranio del Niger.

Dunque, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti nel suo tentativo di estendere la sua sfera di influenza in Africa francofona, una regione che faceva parte degli imperi coloniali Francia e Belgio, i cui confini sono stati stabiliti dalla Conferenza di Berlino del 1884, in cui gli USA ebbero un ruolo minore.

 

Inoltre, l’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, di cui ben l’85% viene venduto a paesi europei e, principalmente Italia e Germania attraverso il gasdotto Greenstream nel Mediterraneo.

Dunque, l’operazione statunitense ha  anche un impatto diretto sul rapporto tra Stati Uniti e l’Unione europea: considerato che gli USA e la NATO sono coinvolti in tre distinti teatri di guerra (Palestina-Libano, Afghanistan-Pakistan, Iraq-Curdistan), un attacco contro la Libia comporta il rischio di escalation militare.

Infatti, dal punto di vista di Obama e del suo staff, l’attacco in Libia non sembra essere altro che un ulteriore “teatro bellico”, nella logica del Pentagono di “multiple simultaneous theater wars”, che gli USA ritengono necessarie, come affermava il documento PNAC del 2001, dove venivano definite le strategie statunitensi nel medio periodo.

Intanto, mentre i caccia francesi difendono insorti, pozzi di petrolio e, probabilmente, la pace nel Mediterraneo, i Tornado italiani si alzano in volo, consumano un tot di carburante, monitorano dei radar che non ci sono e tornano a casa … questa è tutta la politica dell’Italia nel Mediterraneo.

Anche questi sono i frutti di uno scandaloso premier, del suo governo “de poche” e della “politica del fare” (ndr. poco e male) della Lega.

(leggi anche “Chi sono gli insorti

“Non solo Libia” “La guerra ingiusta”

e “Massacri libici, affari italiani”)

L’Italia e la guerra “ingiusta”

21 Mar

Neanche sono iniziate le azioni militari vere e proprie e già un bel po’ di italiani, tra berluscones, leghisti e sinistre, si lagnano della  guerra,  evidentemente “ingiusta” per definizione.

A quanto pare, questi italiani ed i loro cronisti hanno già dimenticato i bombardamenti sui civili, le sparatorie sui funerali, i rifugiati abbandonati a morire nel deserto, i campi di concentramento, le violazioni dei diritti umani.

Eppure, è da quando il “Capellone” ha preso il potere che accade tutto questo in Libia:  non è cronaca solo di questi giorni.

Allo stesso modo, cronisti e cittadini, trascurano l’elemento essenziale di questa vicenda: l’Italia, appoggiando spudoratamente un cotal energumeno, “ha perso” la Libia come “si giocò” la Somalia.

A questo porta l’avidità dei governi e degli imprenditori, la supinità ed il pressappochismo dei mezzi d’informazione, la faziosità e la creduloneria degli elettori.

Adesso, di fronte le nostre coste, c’è la guerra e siamo comunque coinvolti: non era meglio, non era più “politically correct” non fare affari con un aguzzino e, poi, poter mandare il nostro esercito in aiuto agli insorti libici?

Su quale “guerra ingiusta” lacrimano i nostri salotti buoni?

Eppure, la prima guerra “per il petrolio” fu l’annessione del Regno delle Due Sicilie (1861) da parte dei Savoia, con l’appoggio britannico e statunitense, che “liberò” il Mediterraneo dalla potenza navale italiana (ndr. borbonica). A seguire, il canale di Suez (1869), l’occupazione inglese dell’Egitto (1882), le rivolte fomentate da Lawrence d’Arabia (1916), le rivolte antiottomane e l’autodeterminazione del popolo arabo finita come sappiamo.

Di quale “guerra ingiusta” vogliamo parlare? E, soprattutto, di quale politica italiana nel Mare Mediterraneo?

… i peccati originali non possono scomparire con un colpo di spugna.