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Ordinaria follia sanitaria a Roma

21 Dic

La sapevate quella della Regione Lazio che per garantire cure appropriate sposta un malato acuto – astenico, iperteso e con retinopatie – da un ospedale generale con pronto soccorso a 15 minuti da casa /lavoro ad uno monospecialistico dermatologico senza pronto soccorso talmente distante, che dovrà percorrere sotto il sole e in pieno traffico romano 80 km e passa quasi due volte alla settimana, per poi svolgere in due giorni e mezzo il lavoro di cinque?

O quell’altra – sempre del Lazio – che garantisce la continuità delle cure affidando un malato raro complesso per una malattia metabolica a due specialisti pensionandi nel giro di due anni due, di cui uno gastroenterologo e l’altro dermatologo?

E quell’altra del malato over 50 che ha scoperto solo di recente alcune malattie banali (tiroide, allergie, intolleranze) che erano diventate devastanti, dato che per anni e decenni non erano state diagnosticate? E lo sapevate che per scoprire il quanto è dovuto andare – carta di credito alla mano – presso un centro privato per ottenere dei controlli concentrati in pochi giorni, sennò forse non ci si capiva ancora nulla?

O di quell’altra ancora di qualcuno che ha un gozzo enorme e che glielo aspirano ma non fanno la biopsia del liquido anche se è in impegnativa o quella del tracciato holter da allarme rosso che te lo consegnano per posta pur essendo in carico nell’ambulatorio e manco te lo spiegano, anzi ti dimetto con la minima a 120 ? O quell’altra del signore che andando dal cardiologo – ad esempio – in intramoenia paga più di una visita privata dove gli pare?
E quella del pronto soccorso che ti da il paracetammolo invece del farmaco salva vita, anche se vai con il tesserino di codice giallo fisso?

E quell’altra, pessima, dell’ambulanza che non ti porta nè nell’ospedale dove c’è il farmaco raro che ti serve e neanche quello più vicino, ma pretende di andare dove è predeterminato, magari a 30 km, anche se non avranno come curarti e tu non avrai come tornare a casa? E questo faranno se non insisti semisvenuto dalla branda?

O quell’altra tra le tante del malato seguito da un centro nazionale con cui il presidio locale nè si mette in contatto nè segue le prescrizioni?

O, infine, di essere costretti a scegliere se lasciare il lavoro o la regione o tutti e due solo perchè nel tuo municipio (da oltre 1 milione di abitanti e delimitato da due fiumi) non c’è un ospedale e neanche un centro infusionale-trasfusionale.

Adesso, provate ad immaginare che a voi sia accaduto tutto questo e forse anche di più: benvenuti a Roma, qui niente è impossibile.

E non è solo una questione di diritti elementari – non solo alle cure ma persino alla residenza, al lavoro, alla professione – ma anche una questione strutturale di Roma.

Non è un azzardo ipotizzare che tra malati rari (6-8% della popolazione) e quant’altro vi siano decine di migliaia di romani che – a rotazione ma ogni mattina – si rechino con relativo accompagnatore in un sito di cura collocato all’altro capo della città (per non parlare di quello che confluisce dalle province dopo la chiusura di reparti e ambulatori) e di altre decine di migliaia che si muovono per un accertamento o una visita medica occasionali.
Il tutto mentre hanno una ASL o un ospedale a 10 minuti da casa, che però non offre quel servizio oppure non lo pubblicizza /coordina adeguatamente o anche, banalmente, .il Recup lo spedisce chissà dove ‘per urgenza’, dato che i siti viciniori sono sovraffollati da persone che arrivano da altri chissà dove e hanno prenotato da tempo per ‘visita di controllo’.

Nessun Comune e nessuna infrastruttura della mobilità potrebbe reggere un volume di traffico così gravoso ed estemporaneo.
Nessun welfare locale può sostenere un contesto in cui la medicina regionale non si faccia carico dei bisogni dei malati al di fuori di una mera prestazione (se ricompresa) o di un cavillo (quando capita): le malattie croniche – almeno loro – hanno bisogno di precauzione, monitoraggio, coordinamento, preposti, presidi, reti, cartelle ellettroniche eccetera.
Nessun costo del lavoro può andare in pareggio se a Milano per una visita specialistica bastano due ore e da noi quasi due giorni … anche perchè di pomeriggio (quando chi lavora è di solito più libero) ci sono le attività intramoenia e non quelle del SSN /SSR.

originale postato su demata

Malattie rare, meglio abortire?

16 Feb


Continua la polemica riguardo l’aborto terapeutico con Giuliano Ferrara in prima linea e drappelli di femministe in corteo.

Eppure dovremmo tutti sapere e pretendere che, se applicassimo la 194, la struttura sanitaria dovrebbe aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza.”
Oppure che il medico “deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto” quando ha possibilità di “vita autonoma”, ovvero più di 22-24 mesi, come hanno sancito altri medici giorni fa.

E per cosa hanno manifestato le 300 donne (tale era la folta rappresentanza) l’altro ieri?

Per avere il diritto di abortire se scoprono che il nascituro sarà come Mimmo o’chiattone, un simpatico ragazzo del mio vicinato dal peso forma di 120 kg per 1,80 mt, tettuto e con peli zero, diplomatosi senza infamia e senza lode, oggi impiegato in qualche ufficio.

Di Klinefelter probabilmente ce n’era pure uno in classe mia, tal Costantino, che rimaneva incastrato col fondo schiena cicciotto nelle sedie, all’epoca abbonato ai distinti del Napoli ed oggi esimio direttore di istituto bancario felicemente sposato con prole sua (gli somigliano).

Vi ricordate quel ragazzo grasso e grosso, poco peloso ed un po’ timido che frequentava la vostra scuola?
Oggi non ne nascono più.

 

Aborto ed eugenetica

15 Feb

In Italia è consentito l’aborto terapeutico, non l’aborto eugenetico e non l’aborto libero.

La Legge 194 prevede che : “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Secondo quanto scritto dai giornali, un feto, per il quale è intervenuta la Magistratura di Napoli, sarebbe (N.B. probabilmente) diventato dopo la nascita un individuo affetto  dalla Sindrome di Klinefelter.

La domanda “legale” è questa: esistevano dei processi patologici relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro tali da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna?

No.

Il sito dell’ Unione Italiana Sindrome di Klinefelter riporta:
“Il paziente Klinefelter è un maschio che presenta testicoli piccoli e di consistenza aumentata, ginecomastia (mammella maschile più grande del normale), ipogonadismo (funzionalità testicolare ridotta) ed elevate concentrazioni di ormone follicolo stimolante (FSH). Alta statura e ridotta peluria sono altre caratteristiche frequenti. L’incidenza della Sindrome alla nascita è di circa 1 su 500 maschi.”

Nei casi più acuti parliamo del cosiddetto “ermafodita”, non di un “mostro”, dunque già mi sembra strano che la Comunità lgbt resti indifferente.

Il nascituro sarebbe stato probabilmente (80%) un maschio poco virile di salute cagionevole, tutto qui.

Aborto terapeutico o piuttosto eugenetico?