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Iraq, l’Italia entra in guerra

21 Dic

Secondo Eugenio Scalfari e la Repubblica, “quattro punti definiscono l’intera politica dell’Ue, salvo il tema della guerra all’Is, che Renzi tende ad accantonare per la ragione che lui, cioè l’Italia, a quella guerra militare ha deciso di non partecipare.”

Speriamo che nel giro di pochi giorni il quotidiano più letto dagli italiani, il suo arcinoto ex direttore e, soprattutto, il nostro capo del governo scoprano quello che Analisi Difesa spiega con semplicità: “lo stesso Renzi ha sottolineato più volte la necessità di distruggere lo Stato Islamico.”

“Le truppe italiane in Iraq supereranno tra pochi mesi il migliaio di effettivi con l’arrivo di un battaglione destinato a presidiare la diga sul fiume Tigri a nord di Mosul, contesa aspramente nell’estate del 2014 dalle milizie dell’Isis”.

Per intenderci la diga di Mosul è una sorta di ‘fosso di Helm’ intorno al quale si è combattuto per quasi un anno con l’esercito iracheno in fuga e i terroristi dell’Isis contrastati solo dalle milizie scite e dai droni USA.
Da poco tempo, le milizie curde addestrate dagli italiani e – soprattutto – l’entrata in Iraq di almeno un battaglione meccanizzato turco hanno messo in difficoltà gli Jihadisti, ma la diga è nella migliore delle ipotesi la retrovia di una zona di guerra.

“In termini militari, la disponibilità di un battaglione di paracadutisti italiani (o di altri membri della Coalizione) avrebbe più senso per condurre azioni belliche contro il Califfato, puntando sulla potenza di fuoco e sulla mobilità del reparto, che per proteggere un’installazione fissa dove la presenza di una base dei “crociati” rischia di attirare tutti i kamikaze jihadisti dal Caucaso allo Yemen.”

“L’operazione suscita inoltre perplessità perché finora il governo iracheno ha mostrato ben poca disponibilità ad accogliere forze straniere da combattimento sul territorio nazionale” e “anche le potenti milizie scite irachene hanno reso noto che qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante”.

Infatti, il controllo della diga è strategico – in termini politici – perchè fornisce acqua e corrente sia a Mosul che a Baghdad, oltre ad fungere da fortezza sul Tigri.

Come anche – riguardo l’appalto da oltre 2 miliardi di dollari affidato alla Trevi di Cesena – il Resto del Carlino scrive che “il gruppo Trevi ha mantenuto per molti anni i rapporti con il Governo dell’Iraq (in particolare con il Ministry of Water Resources), con il supporto del Governo italiano” rammentando che “la notizia era stata data in diretta televisiva dal premier Matteo Renzi sorprendendo in parte anche lo stesso cda del Gruppo Trevi che, a seguito della notizia ha visto schizzare in borsa il titolo del più 25%” …

E che si tratti di un ‘intervento militare’ e degli interessi ‘industriali’ dell’Italia –  non semplicemente ‘di protezione dell’azienda italiana che ha in appalto la ricostruzione della diga’ – è dimostrato dagli oneri per le casse dello Stato con “un costo stimabile in almeno 50 milioni annui senza contare le spese logistiche per schierare mezzi, armi ed elicotteri (finora non schierati in Iraq) necessari ad assicurare i collegamenti ed eventuali evacuazioni”. “Componenti e materiali che innalzeranno ulteriormente i costi dell’operazione Prima Parthica, che quest’anno ha richiesto finanziamenti per 200 milioni di euro”.

Poco male, siamo in guerra e del resto non l’abbiamo dichiarata noi, ma … non aspettiamo che attacchino i nostri reparti per informare la pubblica opinione e, soprattutto, per dare adeguate regole d’ingaggio e ‘reattività’ ai nostri soldati.

Demata