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Porcellum incostituzionale. Quale parlamento con il proporzionale?

5 Dic

La Legge Calderoli, comunemente chiamata Porcellum, è incostituzionale.
“La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza”.

Camera 2013 Porcellum Camera 2013 Porcellum

Dal 2006 gli italiani (sempre meno a dire il vero) sono andati a votare con una legge che gli impediva di scegliere i candidati e che dava un notevole ‘premio’ di seggi a chi, per una spanna, superava gli altri.

Nel 2006 abbiamo avuto un’Unione (Prodi) con 67 seggi in più della Casa della Libertà (Berlusconi), ma il divario era di solo 150.000 voti (0,5%).
Nel 2008, al Senato, 1,5 milioni di voti ‘regalavano al Popolo della Libertà una superiorità di ben 25 seggi sul Partito Democratico, ma più o meno gli stessi voti – presi dall’Italia dei Valori – coincidevano a 14 seggi, mentre – se presi dal’Unione Democratica di Centro non coalizzata con nessuno – accadeva addirittura che 1,85 milioni di voti corrispondessero a soli 5 seggi.
Nel 2013, alla Camera, il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle raccolgono ambedue 8,6 milioni di voti, ma al primo vanno 292 seggi e al secondo solo 108.

Norma a dir poco bizarra, la legge Calderoli, ma quello che è davvero incredibile è che, con un sistema ‘secco’:

  • nel 2006, L’Ulivo (31,3%) alla Camera avrebbe ottenuto 190 seggi e non solo 220, mentre Forza Italia (23,7%) si sarebbe ritrovata con una dozzina di seggi in più;
  • nel 2008 Silvio Berlusconi (46,81%) alla Camera avrebbe ottenuto 290 seggi e non solo 272 come avvenuto con il Porcellum, mentre Walter Veltroni ne avrebbe ottenuti 248 anzichè 239 come accaduto;
  • nel 2013, al Senato, il M5S avrebbe ottenuto ben 20 seggi in più, mentre alla Camera SEL (3,2%) avrebbe occupato 20 seggi anzichè 37 che sono tanti quanti quelli di Scelta Civica (8,3), che però di voti ne ha raccolti quasi il triplo.

Per non parlare della Camera dei Deputati …

Camera 2013 Porcellum vs Proporzionale

Parliamo di circa 15 deputati che invece di SEL avrebbero rappresentato Rivoluzione Civile, l’UdC e Scelta Civica con 20 seggi in più, sette altri per Fermare il Declino con una cinquantina di eletti ulteriori per il Movimento Cinque Stelle e una quarantina per il Popolo della Libertà.
E parleremmo di 132 deputati del Partito Democratico in meno, praticamente la metà, con tanta provincia e bassa macelleria che sarebbe rimasta a casa. Magari, alla ricerca di un lavoro.

Un altro parlamento con una ‘reale’ rappresentatività, ma visibilmente ingovernabile.

Ingovernabile perchè l’Italia ed il sistema proporzionale lo sono ‘di per se’?
Od ingovernabile perchè il Porcellum – regalando maggioranze virtuali e impedendo di scegliere i candidati – ha allontanato dalle urne quasi venti dei 50 milioni di lettori italiani, alterando irrimediabilmente gli esiti elettorali e, soprattutto, la loro futura prevedibilità?

E quanto potrà andare avanti il governo Letta con una maggioranza alla Camera che non avrebbe luogo di essere, neanche con la ‘larga intesa’ con il PdL?

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Bayern, brutte notizie per l’Italia: la CSU stravince

16 Set

Dalla Germania non arrivano buone notizie per l’Italia e l’Eurozona: la CSU, costola bavarese e di destra della CDU di Angela Merkel, ha vinto le elezioni nel land del Bayern, raggiungendo la maggioranza assoluta.

Crollano i Liberali (al 3%), Verdi (8,5%) e Socialdemocratici (21%) nell’angolo come da anni.

Franz Josef Strauss – leader storico della CSU

Come vince la Merkel – proprio quello che speravano i nostri ‘fini strateghi di partito’ – e va tutto male per noi? Certamente.

Innanzitutto, perchè più pesa il conglomerato dei partiti cristiani (CDU e CSU) e più va a farsi benedire l’ipotesi di un coinvolgimento del centro sinistra nel governo federale.

Inoltre, perchè un governo federale futuro con un ancora maggiore peso dello ‘Stato libero di Baviera’, il più ricco e industrializzato della Repubblica federale, se non del mondo – aumenterà la deriva degli altri Lander che, ricordiamolo, hanno già rigettato l’introduzione del Fiscal Compact ed erano già restii a sostenere il debito dei paesi mediterranei … ed i crediti della Goldman & Sachs, che in Baviera ha profonde radici.

Infine, perchè solo a condizione di un tot di nazionalismo e protezionismo che può funzionare il capitalismo sociale con cui la Germania ha superato il nazionalsocialismo, costruito il suo successo nel Dopoguerra e superato la corrente crisi finanziaria. Ne sanno qualcosa gli spagnoli ed i greci che contavano sul turismo giovanile tedesco, come se ne sono accorte le imprese italiane, sotto attacco da anni dalla concorrenza teutonica.

Dunque, prepariamoci a saldare qualche conticino, noi italiani, dato che mancano tra i venti ed i trenta miliardi di euro, tra cancellazione IMU (-2 mld), blocco dell’IVA (-3 mld), moratoria sul gioco d’azzardo (- 6 mld), minor gettito dal PIL (-1,5%).

Quanto al caso Berlusconi, il PD di Renzi e Bindi, l’amletico M5S, la velleitaria Lega, iniziamo a prendere atto – nelle redazioni dei cantastorie all’italiana – che non sono certamente loro a poter tenere la barra al centro delle riforme da ‘lacrime e sangue’ che servono.

Piuttosto, sarebbe ora che il PD divenisse un partito maturo ed adulto, rinunciando al codazzo della ‘base di lotta e di governo’, alimentata dai piccini interessi delle lobby di provincia e dei professionisti del welfare.
Come sarebbe il caso che il PdL si rendesse conto che la legislatura potrebbe durare altri 4 anni e che questo dipende principalmente dalle proprie scelte. Considerato che tra 4 anni, SIlvio Berlusconi sarà fin troppo anziano per la polititica, non dovrebbero esserci problemi, per una classe politica che vuole esistere, temporeggiare sul fronte ‘sentenze del premier’ e procedere su quello delle riforme del sistema ordinamentale dello Stato di ottocentesca memoria.

Intanto, attenti alla Germania, ma anche attenti alla Francia di Hollande, che ben saprà ricollocarsi, dinanzi ad una smaccata vittoria dei cristiano-popolari tedeschi e delle prevedibili conseguenze sull’Eurozona.

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Gioco d’azzardo: adesso basta!

5 Set

Gianni Letta intervistato sul canale All News Russia 24: “E’ molto importante che il governo continui a lavorare per il bene dell’Italia e degli italiani”.
Tanto che lavorano per il ‘bene’ che volevano l’apertura di nuovi centri per i giochi d’azzardo pur di ricavare 6 miliardi di gettito fiscale per continuare a foraggiare una spesa pubblica di cui poco arriva ai cittadini e troppo va alla Casta ed ai Corrotti.

Fortunatamente, la Lega Nord ha presentato al Senato un emendamento – votato ad ampia maggioranza – che vieta per i prossimi 12 mesi l’apertura di nuovi centri per i giochi d’azzardo elettronico on line e nei luoghi aperti al pubblico.

Il sottosegretario Giorgetti rimetterà la delega sui giochi. L’ex magistrato e senatore del Partito Democratico Felice Casson glissa, dichiarando che «tutto è avvenuto in un momento di grande confusione in Aula. In pratica si è trattato di un errore di votazione».
Ma è difficile parlare di ‘errore di votazione’ quando si tratta dei senatori – solitamente abbastanza esperti di iter parlamentari  – e quando i voti siano arrivati anche da Scelta Civica dal Pd e dal Pdl, oltre a Lega e M5S.

Il senatore Andrea Olivero, componente del Comitato di presidenza di Scelta Civica, ha voluto sottolineare che “oggi, per mere esigenze di cassa e con un cinismo inaccettabile, stiamo incentivando la scommessa sul nulla, che produce impoverimento, frustrazione, cancellazione del futuro. Non e’ giusto fare cassa con strumenti che sappiamo dannosi per i nostri concittadini”.

Il sottosegretario all’Economia, Alberto Giorgietti – ex Alleanza Nazionale e ritenuto da M5S ‘troppo vicino alle lobby del gioco d’azzardo – ha annunciato la restituzione della delega governativa e, giusto per non smentire le accuse dei Cinque Stelle, ha detto ai giornalisti che il documento in questione «presenta aspetti di conflitto con i diritti dei gestori che già si sono aggiudicati la concessione».
Come si siano siglate concessioni senza la piena e definitiva autorizzazione del Parlamento è davvero un mistero.

Se fin qui la storia delinea storie di degrado morale e di riscossa civica, lascia veramente attoniti un’altra precisazione del sottosegretario all’Economia riguardo il problema del ‘problema del mancato gettito per sei miliardi di euro’.

Eppure, dopo la moratoria proposta dalla Lega e approvata in Senato, il governo ha presentato – ottenendone l’approvazione a larga maggioranza – uno sconto di 1,9 miliardi per i Signori del gioco d’azzardo.
Infatti, è stata respinta una mozione el senatore Giovanni Endrizzi (M5S) che chiedeva “la cancellazione dell’articolo 14 del decreto Imu che prevede il condono per le societa’ concessionarie di slot machines” che “invece di pagare i 98 miliardi di multa, poi ‘scontati’ dalla Corte dei Conti a 2,5 miliardi, i ‘signori dell’azzardo’ grazie al Governo Letta ora dovranno restituire allo Stato solo 611 milioni di euro”.

Sul territorio italiano ci sono 400.000 macchinette e oltre 7.000 punti autorizzati, le scommesse stanno dilagando tra i giovani e distruggendo intere famiglie e caseggiati, le nostre televisioni (inclusa quella di Stato e quelle che godono di forme di sovvenzione pubblica) trasmettono in fascia protetta spot pubblicitari per incentivare le scommesse.

Inutile aspettarsi che il sottosegretario Alberto Giorgietti si dimetta. Inopportuno attendersi che l’UE intervenga con la durezza che conosciamo, se mancano sei miliardi delle scommesse ed un altro tanto per l’IMU e l’IVA incrementale.

Anche da questa vicenda una parte del nostro establishment restituisce ai cittadini un’immagine fortemente compromessa dal persistere della malizia bertoldina, sulla quale la profonda provincia italiota che tira le redini del Paese ‘da sempre’ confida per avvantaggiarsi con pannicelli caldi, mezzucci e confraternite varie.
Porte aperte a chi voglia incassare sulla dipendenza dal gioco altrui o peggio riciclare denaro sporco tramite il gioco d’azzardo, pur di mantenere sprechi e prebende pubbliche destinate ai soliti noti territori dove far arricchire ben precisi potentati sfruttando l’ingegno ed il lavoro di altri italiani, immigrati da regioni dove lo Stato, viceversa, è quasi assente.
Il caso Novara e gli F-35 ne è un modello aggiornato, lo sviluppo economico di Torino, Firenze, Roma, Bologna o Siena ne sono il rendiconto su serie storica 150ennale.

Si attendono reazioni almeno da Otto Rehn, commissario all’Economia UE, e da Papa Francesco, vescovo di Roma, città martire del gioco d’azzardo.

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Crisi di governo? Paga l’Italia …

23 Ago

Il Pdl s’attacca a Napolitano, adesso Silvio crede nell’amnistia. L’apertura del guardasigilli Cancellieri Berlusconi: “La crisi colpa del Pd”. “Letta fa il duro per battere Renzi”.
Il Cavaliere: “Molte strade per salvarmi”. Alfano preme sul Pd per stop alla decadenza, sulla durata del governo cita Lucio Battisti (vd). Dai dem solo chiusure: “Legalità non si baratta”.

Pdl, l’idea di forzare subito per le urne. Letta al Colle: governo può farcela. Napolitano al premier: “Vai avanti”.
L’Anm insorge: “Linciaggio per neutralizzare la sentenza”.

Vauro da Presseeurop.eu

Il Cavaliere rifiuta il salvagente rinvio, l’idea è di fare dimettere i parlamentari. Governo in bilico, l’ex premier vuole far saltare il banco.
Alfano: il Pd voti contro la decadenza. Alt di Franceschini: nessun baratto sulla legalità.

Grillo: “Subito ad elezioni, con il Porcellum vinciamo noi”.
Silvio spinge per il voto. Sull’Imu nasce l’asse Pdl-M5S Grillo: “L’imposta non va pagata”. Gli azzurri: “Lui meglio del Pd”.

Questi gli strilli (le testate) on line di La Repubblica, La Stampa, il Corriere della Sera, Libero.


Uno scenario ben delinato da Virginia Piccolillo del Corsera (link), per quanto relativo gli aspetti ‘tecnici’,. Un contesto politico-istituzionale che si presta a poche, ma molto deludenti, riflessioni.

Innanzitutto, i nostri Potenti dovrebbero prendere atto che a seguire sempre e comunque la via del compromesso e del volemose bene si ottengono sempre e soltanto leggi a metà e risultati a metà. Nel primo caso, da ‘completarsi con una miriade di interpetazioni autentiche, regolamenti e mille proroghe, nel secondo con esiti bizantini ogni qual volta servirebbe una regoletta semplice e chiara.
In questo sta tutta la querelle inerente la decadenza, l’ineleggibilità o la incadidabilità che sia per Silvio Berlusconi.
Le norme introdotte per impulso del ministro Cancellieri sono applicabili a chi, all’epoca della loro introduzione, era già condannato in due gradi di giudizio ad una pena superiore ai due anni di reclusione? Evidentemente no, altrimenti la Giunta del Senato avrebbe dovuto convocarsi all’istante. Probabilmente, si, come buon senso e ragione vorrebbero.

In secondo luogo, quello che è evidente oltre ogni irragionevole dubbio e che l’Italia è al palo e rischia una profonda e lunga crisi politica ed istituzionale a causa di una vicenda privata di Silvio Berlusconi, il cui interesse prevale su qualsiasi altra esigenza o emergenza del Paese.
Lo Stato italiano ha necessità di profonde riforme, se si vuole rendere il bilancio che inviamo a Bruxelles e Francoforte ‘allineato’ con la fotografia di ‘photofinish’ che arriva dal Fiscal Compact e dagli obiettivi – scelti autonomamente dal Governo o imposti dall’Eurozona – che vanno perseguiti.

Chappatte su “Le Temps”, Ginevra

Non solo, dato che l’italia ha necessità – ormai catastroficamente sedimentate – di riformare le regole del Lavoro, della Sanità e della Giustizia, dei finanziamenti all’editoria ed al settore agroalimentare, se vogliamo tentare – in futuro – di governare la spesa pubblica e l’efficienza dei servizi. Molte università andrebbero rifondate, visto il dissesto finanziario in cui alcune sono riuscite, addirittura, ad espandersi, mentre la scuola dovrebbe riformare almeno le Medie – dove servirebbero psicologi e tempi prolungati, ma de facto ferme ai primi anni Settanta – e gli Istituti Tecnici, visto che sono anni che le nostre aziende devono ricorrere a tecnici e periti dell’Est Europa.

Tutto fermo o rinviato a migliore occasione per un uomo di 77 anni, che non rischia il carcere e la cui ineleggibilità era fuori discussione già venti anni fa, essendo proprietario di un impero mediatico? Tutto appeso in attesa che il Partito Democratico irrisolva le proprie beghe interne durante il solito grigio Congresso e che elegga il nuovo segretario e/o il nuovo leader elettorale da bruciare al rogo entro due anni dal mandato?
Tutto confuso, mentre Grillo arringa senza un programma di riforme e di alleanze, senza leader esperti e noti agli italiani da proporre in squadra di governo, senza chiarezza su come mettere mano a 2 miliardi di problemi, ovvero alla spesa pubblica.

Vignetta da The Times

Una situazione determinatasi grazie ad una sola norma, il Porcellum, che Beppe Grillo oggi esalta, mentre ieri era la madre di tutti i mali.
Una norma fatta in modo da garantire maggioranze bulgare alla Camera, per pesare oltre misura sull’elezione presidenziale e sulle autorizzazioni a procedere, ed un Senato minoritario … a meno di non venire a patti con la Lega, visto che il premio di maggioranza è su base regionale e che in Lombardia vive 1/6 degli italiani.

Tutto questo facendo i conti senza l’oste: il Porcellum è costituzionale o no?
E’ una buona idea far saltare un governo a settembre per votare di fretta e furia con il Porcellum (ammesso che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere) e per trovarsi con una sentenza di incostituzionalità?
E non è scandaloso che la Magistratura intervenga/venga coinvolta solo dopo un decennio per dare l’alto là ad una legge elettorale che consegna l’Italia alle nomenclature di partito ed al voto di protesta?

It is a bit crazy.

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Diritto alla salute: l’Italia deregola l’inquinamento?

10 Lug

Non tutti si sono accorti che il Governo Letta ha inserito nel “Decreto del Fare” una modifica del Testo Unico sull’Ambiente D.lgs. 152/2006, che prevede come, “nei casi in cui le acque di falda determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione”.

Eliminazione della fonte di contaminazione, solo “ove possibile ed economicamente sostenibile”? Solo misure di “attenuazione della diffusione della contaminazione”? E se l’attenuazione non bastasse, come sembrano necessitare alcune località campane, cosa si fa? Si procede allo sgombero dei residenti che siano in “una situazione di rischio sanitario”, come a tal punto di dovere?

Una testo normativo, dunque, che afferma la prevalenza degli interessi economici sul diritto alla salute, garantito dalla Costituzione e tutelato dalle istituzioni, e ad un ambiente salubre, in contrasto con diversi principi affermati dall’Unione europea in sede di propria normativa. Vale la pena di sottolineare che persino in Danimarca accade, ormai, che la classe politica sia accusata di inerzia ed inettitudine verso i sempre maggiori problemi ambientali e le ricadute sulla salute delle persone (Rapporto Sundhed).

Il punto è che in Italia la situazione per la salute pubblica in diversi territori è particolarmente critica, come denunciato dalle autorità sanitarie e come accluso ad atti processuali, al Nord come al Sud.

Una situazione che Donato Greco, epidemiologo e consulente dell’Istituto Superiore della Sanità, – pur contrario ad allarmismi a proposito del Rapporto Balduzzi sulla situazione epidemiologica in Campania – non esita a definire “ciclo degenerato”, parlando non di ‘meridionali incivili’ bensì di “responsabilità politiche del passato”.
Infatti, nella sola Campania – secondo il rapporto Ecomafia 2010 di Legambiente – sono oltre 5.200 i siti potenzialmente inquinati, soltanto 13 siti hanno ottenuto la certificazione di avvenuta bonifica e si stima che nell’intera fascia di territorio fra Napoli e Caserta solo il 15% dei siti sia stato liberato dai rifiuti e dai loro resti. Secondo  l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC) sono almeno 461 quelli con un alto livello di inquinamento.

L’Unità del 10 dicembre 2012 raccontava come gli “scarti industriali tossici dell’Acna di Cengio finivano nelle discariche del napoletano e nella falda acquifera, inquinando acque usate per irrigare e per bere, grazie a un’azienda, la Ecologia 89, costituita appositamente dallo storico boss dei «Gomorra» Francesco Bidognetti e da altre persone contigue al clan dei Casalesi di Casal di Principe.”
Lo Studio SENTIERI dell’Istituto Superiore di Sanità ha dimostrato l’enorme impatto sanitario con migliaia di morti in più rispetto al campione di controllo nei 37 siti monitorati, per patologie causate dalle sostanze e dai materiali sversati dai clan camorristici per due decenni, con un via vai lungo la penisola di rifiuti pericolosissimi, senza colpo ferire.
Una situazione che ha avuto origine da una legge sui danni ambientali che consente la prescrizione a cinque anni ed, evidentemente, anche da criteri nazionali di controllo  inefficaci, vista l’assenza di indicatori che evidenziassero, fin da principio, la facilità ed i bassi costi con cui tante aziende del settentrione smaltivano di tutto di più in Campania.

Siti inquinati in Campania

Storia passata, ormai archiviata dai Palazzi di giustizia, spesso prescritta, ma in alcune località della Campania la situazione è gravissima, con allarme internazionale per la salute delle persone, e, passando al resto delle regioni meridionali, basta un click su Google per trovare decine di link alle news locali, che raccontano di tanti e troppi smaltimenti ‘fai da te’, come accaduto per i comuni della ‘valle del fiume Oliva’, di Cadelbosco, Gualtieri e Amantea, Bagnolo, Rende e  Rapino, Melfi e Novellara, eccetera.

Una norma, quella introdotta nel “Decreto del Fare”, particolarmente scandalosa, perchè in Campania – visto il tasso di malati di tumore e di altre patologie causate dall’inquinamento – dovrebbe essere lo Stato ad intervenire, perchè non ha adeguatamente vigilato a suo tempo, perchè, oggi, una parte dei luoghi inquinati sono sotto sequestro e, soprattutto, perchè i Comuni preposti non hanno risorse e territorio per intervenire per portare a conclusione un’emergenza in cui, ricordiamolo, è nata e cresciuta ormai un’intera generazione di bambini e di giovani aldulti.

Infatti, è accaduto che un enorme massa di rifiuti ‘classified’ si spostasse per anni e anni ‘dal Nord passando da Roma per arrivare in una delimitata area della Campania’, nonostante il «97 per cento del territorio della provincia di Napoli sotto vincolo», come scriveva, nel 2011, il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, a Gianni Letta, chiedendo poteri speciali per l’ennesima emergenza rifiuti.
Come è lo Stato che dovrebbe tutelare cittadini, famiglie, bambini, rimuovendo gli agenti inquinanti che sono collocati in aree sotto sequestro amministrativo.

Un inquinamento del sottosuolo, in alcune zone della Campania, che raggiungerà  il suo culmine nel 2064 quando le oltre 65.000 tonnellate di percolato contamineranno irrimediabilmente le falde acquifere sottostanti uno dei territori più fertili del Mondo, dove vivono circa due milioni di persone.

Un diritto alla salute che si prospetta salatissimo per le casse dello Stato se la missione della Protezione civile incaricata di chiudere la contabilità di 17 anni di emergenza si è vista presentare, due anni fa, un conto da 3,5 miliardi di auro da quasi un migliaio di creditori, tra cui in prima fila Fibe e Fisia, le imprese del gruppo Impregilo che pretendono 2 miliardi e 400mila euro, dei quali 1,5 solo per il danno d’immagine.

E’, dunque, difficile comprendere come possa uno Stato di diritto, incardinato nell’Unione Europea, legiferare di provvedere “all’eliminazione della fonte di contaminazione (solo) ove possibile ed economicamente sostenibile” e di poter adottare “misure di (sola) attenuazione della diffusione della contaminazione” in Terra di Lavoro.

Difficile da comprendere, ma non impossibile se, poi, l’Italia è anche il paese del ‘trasporto su gomma’, in cui non ha avuto nessun riflesso nè che l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) aveva proposto pedaggi stradali per i veicoli pesanti “inclusivi” dei costi/gli effetti sulla salute causati dall’inquinamento nè, soprattutto, che, dal 2011, la direttiva Eurovignette prescrive agli Stati membri dell’Ue di integrare i costi sanitari da smog per gli oneri darivanti dal traffico ‘industriale’ sulle strade di grandi dimensioni e sulle autostrade.
Secondo l’Aea, l’inquinamento atmosferico causa 3 milioni di giornate di malattia e 350 mila morti premature in Europa e, secondo gli autori del rapporto, il ‘danno’ economico in termini di salute e impatto ambientale, derivante dai soli autocarri in Europa, è quasi il 50% del totale derivante dall’inquinamento dell’aria di tutti i veicoli, imbarcazioni e velivoli. tutti i trasporti, nell’ordine dei 45 miliardi di euro annui.
I residenti di tante città letteralmente attaversate o abbarbicate da/ad autostrade sono avvisati, come lo sono gli amministratori delle loro Regioni e dei loro sistemi sanitari.

Un diritto alla salute costituzionalmente garantito, che se – in barba a qualunque elementare diritto derivante dalla cittadinanza o anche dalla mera sudditanza – non venisse tutelato, almeno nel caso campano, diventerebbe l’ennesima conferma delle tesi che, nel 1861, si trattò di annessione coloniale, specialmente dopo che i dati ‘storici’ ci raccontano come il Meridione venne deindustrializzato, agli inizi degli anni ’90, proprio mentre aveva superato il livello di produzione del Settentrione ed aveva, evidentemente, un potenziale che, oggi, farebbe comodo all’Italia tutta.
Non una pulizia etnica come quella messa in atto dagli Yankee a danno degli Indiani, diffondendo coperte infettate di vaiolo, ma la questione degli scarti industriali del Settentrione – ILVA di Taranto inclusa – porterà lacrime e lutto per troppo tempo per poter essere abbandonata al corso degli eventi.

Una questione non del tutto desueta,  se nel circuito europeo delle autonomie locali rimbalza la rivendicazione dei Meridionalisti Democratici, che ricordano ai “parlamentari eletti nel Sud” come la norma in questione “intacchi ulteriormente la salute dei loro elettori, mentre tutela le imprese del Nord che sono responsabili, secondo recenti rivelazioni di magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine, dello sversamento di rifiuti tossici che hanno causato l’inquinamento territoriale delle falde acquifere di ampie zone della Campania, Puglie e Calabria”.

Una questione – quella dell’inquinamento e della salute pubblica – in cui campani e meridionali sono accomunati ai settentrionali ed ai romani, visto che quella che crolla oggi è anche l’economia ‘drogata’ dai bassi costi di smaltimento, dalla troppa facilità operativa e dai rapporti con le Ecomafie, ma anche un sistema dei trasporti su gomma che funge da volano occupazionale e che produce ‘qualcosa’ che non solo viene respirato, ma finisce anche nei materiali che ci circondano, nelle falde acquifere e sulla nostra tavola.

A proposito, nella spesa pubblica degli stati europei, oltre a spendere meno di noi in generale, riescono anche a metterci le risorse per evitare, controllare e sanare i rischi per la salute dei cittadini derivanti dall’inquinamento dell’ambiente …

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Vivere nella Crisi

5 Lug

La prima volta che ci dissero che arrivava la Fine del Mondo era agli inizi dei Settanta: crisi petrolifera, domeniche a piedi, benzina razionata, ma dopo un po’ iniziarono a vendere le Fiat 127 agli operai.
Lo chiamarono capitalismo postindustriale, la bacchetta magica, wow!

La seconda fu pochi anni dopo: era il 1977 e fu annunciato che non c’era abbastanza posto per noi, nati nei Cinquanta: li chiamarono sacrifici, ma eravamo noi ragazzi i martiri.
Non loro, oggi come ieri.

Poi, fu la volta del 1982. Arriva Reagan, impera Tatcher e, di nuovo, la crisi incombeva. Stavolta era il Welfare a fare acqua. E così accadde che per stare meglio, ci tolsero quello che serviva per non stare peggio: formazione, politiche per le famiglie, meritocrazia.
Dopo di che incominciammo ad affastellare esistenze ai bordi delle città e le periferie diventarono una giungla d’asfalto.

Dieci anni dopo circa, un’altra mattanza. La colpa, questa volta, era delle Tigri Asiatiche e degli speculatori delle casse rurali USA. In realtà, era caduto il Muro di Berlino e s’era aperto il serraglio del Caos. Il problema si risolse iniziando a mettere all’asta CdA e cariche pubbliche; le mafie e le lobby gradirono e approfittarono.
Finì che i migliori andarono in esilio o si ritirarono progressivamente in buon ordine.

E poi accadde di restar fermi nel pantano per 20 anni con due tizi in TV – uno pelato e l’altro occhialuto – a catalizzare il (pseudo)dibattito economico e politico. Prevalsero i comici e gli imbonitori da talk show: ad ognuno la sua professione, o no?
No. La gente confuse i comici per politici e la politica per una comica: frittata fatta.

Ed oggi si presentano con l’ennesimo Armageddon, un’altra Apocalisse, come se potesse ancora farci paura e come se non sapessimo che a noi ‘nati dopo il 1955’ tocca solo lavorare – se possibile – e pagare le tasse.
La pensione? I giovani? Si vedrà …

Ritornando all’inizio della storia, a quegli Anni Settanta, non resta che chiedersi cosa ci abbiamo guadagnato da tutta questa ‘crescita’ e dalla sopportazione che abbiamo dimostrato. L’aspettativa in vita?

… ma solo a patto che la Sanità funzioni e, soprattutto, che sia una vita che valga la pena di essere vissuta.

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Disoccupazione, insolvenza, sofferenza bancaria: tre facce di una sola medaglia

19 Giu

Fa rumore il numero dei disoccupati in aumento, ma alle cause dirette di questo incremento poco si fa attenzione: l’Abi e Banca d’Italia confermano che le imprese sono sempre più in ritardo nei pagamenti dei loro debiti e che le ‘sofferenze’ delle banche italiane non sono mai state così alte.

“Ad aprile, secondo il rapporto dell’ Associazione dei banchieri, le sofferenze lorde hanno superato i 133 miliardi, 2,3 in più rispetto a marzo (+22,3% annuo). L’Abi evidenzia come resti «elevata la rischiosità dei prestiti» che per altro continuano a calare in modo significativo.” (Corsera)

Da gennaio a marzo scorso, la quantità di imprese in ritardo di massimo due mesi sui pagamenti delle fatture è salita al 45,6% ed un altro 9,2% ha ritardi di pagamento superiori ai 60 giorni, solo il 45,2% paga le fatture entro i tempi stabiliti.

Secondo i dati dell’Osservatorio Cerved, i maggiori ritardi nel pagare, si riscontrano in Calabria (17,6%), Sicilia (16,1%), Campania (14,7%), Molise (13,3%), Toscana (12,9%) e Lazio (12,6%), regioni dove è lunga la lista delle imprese individuali collegate ai settori edile, logistico, agroalimentare.
I dati sono molto migliori, viceversa, in Veneto (4,4%), che ha molto investito sul’esportazione proprio grazie ad investimenti mirati e mentalità adeguate negli stessi settori.

Il Veneto è ad un tiro di schioppo dalla Svizzera, dalla Baviera, dai valichi sloveni e dall’enorme porto di Pola, dirà qualcuno.
Ma è anche vero che Campania, Calabria e Sicilia avrebbero potuto/dovuto avere porti ed aereoporti tali da poter adeguatamente competere sui mercati mondiali, come anche che le mafie che depauperano i territori (r)esistono perchè possono riciclare il ‘mal tolto’ altrove ed incrementando il loro potere altrove, con buoni affari di ritorno.
Ed è anche vero che Lazio e Toscana non dovrebbero avere motivi per cavarsela così male, visto che sono le due regioni che maggiormente hanno influenzato la partitocrazia italiana e che molto meglio avrebbero potuto capitalizzare tale vantaggio storico.

Quali vie d’uscita?

Qui non si tratta di risollevare l’occupazione sindacalizzata dei dipendenti delle fabbriche o delle grandi aziende, come invoca la CGIL. Il problema è nell’esigenza di riconvertire professionalmente un’enorme massa di italiani che ha conseguito, a suo tempo, un diploma tecnico se va bene, poco più della terza media se va male, con un tot di persone che non sono andate molto oltre la quinta elementare.

Un macrocosmo di professionalità molto limitate (basti vedere come casca a pezzi il Paese) e di personaggi genialoidi, che finora ha vissuto delle briciole (lavoretti, contratti a tempo, convenzioni) al tavolo degli appalti, dei servizi esternalizzati, delle infrastrutture incompiute, del welfare che non c’è.
Imprese inconsistenti, come quella rappresentata dal ‘manovale Preiti’, come abbiamo scoperto dopo l’attentato a Monte Citorio. Aziende fantasma e fabbrichette schiaviste, come quelle che ogni tanto rimbalzano sulle cronache del profondo Sud, del profondo Centro e del profondo Nord.

Ma anche una certa quantità di imprese sane, dove la ‘gavetta’, l’esperienza e l’ingegno compensano adeguatamente gli studi frammentari od incompleti. Il volano …
E se abbiamo imprese che abbisognano di commesse, perchè ancora esitiamo ad attirare investitori stranieri con leggi, concessioni e sistemi tributari adeguati?

Se abbiamo tanti disoccupati, ma abbiamo anche un dissesto idrogeologico ed un sistema stradale che necessitano di manutenzioni ed interventi urgenti, perchè perpetuare un costoso sistema di sussidi, specie la CIG, che allo stato attuale servono solo a mantenere improduttivi i lavoratori in esubero?

Quanto alle mafie, esse rappresentano sia un serio problema di di sicurezza interna, ma anche un consistente buco nella leva fiscale, mentre siamo con le strade piene di ragazze arrivate da chissà dove ed in Italia si consumano più droghe che in Olanda. Ma allora ma rifiutiamo ‘a prescindere’ l’idea di introdurre un sistema normativo che legalizzi almeno parte delle droghe e la prostituzione, ovvero un giro d’affari di decine di miliardi di euro da fiscalizzare,  migliorando notevolmente il controllo del territorio e la legalità generale?

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Iva e Imu: le bugie con le gambe corte

14 Giu

Il fronte dell’Iva potrebbe essere la caporetto del Governo Letta, se si avvererà l’aumento, a partire dal primo luglio, riguardo il quale il ministro per lo Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, è perentorio: “fra 16 giorni, senza che il governo faccia nulla, visto che è stato un provvedimento già deciso dal precedente esecutivo, noi avremo l’Iva aumentata di un punto dal 21 al 22%.”

Una situazione confermata anche dal ministro per l’Economia, Fabrizio Saccomanni: “Siamo consapevoli degli effetti negativi che un aumento può provocare, anche se il reperimento delle coperture alternative potrebbe essere non meno gravoso.”

Una situazione analoga anche sull’Imu. “Si tratta di un’imposta che se dovesse essere eliminata comporterebbe un onere di finanziamento di 4 miliardi l’anno che, se si aggiungono ai 4 miliardi per l’Iva, fanno ipotizzare la necessità di interventi di tipo compensativo di estrema severità che al momento attuale non sono rinvenibili”.

Cosa accadrà alle famiglie ed alle piccole imprese, prese tra Scilla e Cariddi, Iva e Imu, è presto detto: meno consumi, più debiti.
E cosa resterà da fare, se non andare al voto dopo un brevissimo governo tecnico, per modificare il Porcellum seguendo le “prescrizioni” della Corte Costituzionale, che ha espresso ampi dubbi di costituzionalità sulla legge con cui abbiamo votato per otto anni e tre elezioni?
Perchè il Partito Democratico ha demandato ‘a diciotto mesi’ la riforma della legge elettorale, invece di adempiere subito, come chiedeva, viceversa,  il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta? E perchè il Centrodestra rifugge dal ritorno alle preferenze in scheda elettorale, mentre si rifugia in un obsoleto ‘progetto Forza Italia’?

Intanto, le bugie hanno le gambe corte e, dopo i fatti turchi, mancano solo l’Italia e la Spagna alla conta dei paesi del Mediterraneo precipitati nel caos.

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Il PD trionfa … nel deserto

11 Giu

Ve lo immaginate voi l’inesperto Ignazio Marino ad amministrare l’Urbe e la sua Suburbia con una maggioranza bulgara – e di estrema sinistra – in Campidoglio, mentre due romani su tre borbottano, diffidano e reclamano, con promesse impossibili da mantenere e un debito da record, consolidato fin dalla gestione Veltroni?

Oppure, che accadrà a Catania,  dove Enzo Bianco si accinge a diventarne sindaco per la quarta volta in sei consigliature e senza neanche le primarie ‘democratiche’ per sceglierlo, raccogliendo meno del 20% dei consensi effettivi, in una Sicilia dove l’astensionismo è arrivato al 66%.

Od a Treviso e Brescia, dove i neosindaci del Partito Democratico dovranno gestire una coalizione che va dalle liste civiche ‘moderate’ alla sinistra estrema, mentre tra astenuti e oppositori, anche lì, possiamo contare due cittadini su tre.

I giornali titolano, intanto, il Partito Democratico vince nelle città e trionfa a Roma. Peccato che nella Capitale il 51% degli elettori si sia astenuto e che il ‘trionfo’ consista in un misero 30,8% della base elettorale.

In realtà, infatti, non è il PD a vincere, bensì l’Ulivo, ovvero ritorna in auge l’idea di una coalizione antiberlusconiana, oggi ‘antidestra, che in altri tempi si sarebbe chiamata ‘fronte popolare’ e che da sempre è pervenuta ad una sola conclusione: conflitti irrisolvibili interni alla maggioranza, nuove tasse e nuove spese, incremento delle tensioni sociali.

Ed è altrettanto vero che, al momento, un elettore su due sarebbe disponibile a votare un ‘nuovo’ partito, purchè dotato di un programma credibile, del personale esperto ed un editore che voglia sostenerlo.

Molto probabile che, andando per queste vie, il Partito Democratico si ritrovi a dover fare i conti con una dura realtà: i pro ed i contro di poter contare su uno zoccolo duro, che a ben vedere è sempre più eroso.

Infatti, il 30,8% effettivo di Marino è molto lontano dal quasi 40% effettivo raccolto da Veltroni meno di dieci anni fa a Roma, senza che siano particolarmente cambiati i dati demografici od economici della città.
Certamente, ha influito l’invecchiamento del proprio elettorato e la diminuzione del numero di anziani, fedelissimi elettori dell’ex-PCI, come hanno pesato i gravi errori delle giunte ‘rosse’, se ha votato solo il 40% a Tor Bella Monaca, tra case popolari e famiglie under50.
Ma è anche vero che il ricambio generazionale è scarso e limitato – sia in termini di età anagrafica sia di mentalità – se a Siena è un funzionario del Monte dei Paschi a diventare sindaco e se a Viterbo è l’ex Presidente della Coldiretti provinciale e Presidente del Consorzio Agrario.

Il Partito Democratico ha preso “tutti i capoluoghi”, “trionfa a Roma”, si esalta per il “cappotto”, ha vinto questa tornata di elezioni amministrative, ma è il popolo italiano – quello ‘sovrano’- che ha perso anche queste elezioni. Un dato ormai certo, se in Italia siamo arrivati al 51% degli astenuti (con punte del 66%), mentre la legge elettorale (Porcellum) è incostituzionale ed, in barba al ballottaggio, ai Comuni si vota con coalizioni blindate e di cartello.
Una dura sconfitta per il PdL, ma anche una vittoria di Pirro, sia per il tipo di coalizione vincente, sia per il rifiuto di una larga parte degli elettori, sia per i deficit enormi che si dovranno affrontare – almeno fino alle elezioni tedesche ed al semestre italiano in UE – dopo aver promesso, in poche parole, la fine della Crisi ed il ritorno del Bengodi …

Intanto, dalla sponda opposta, l’esperto Fabrizio Cicchitto invoca «un salto di qualità nella costruzione di un partito che sappia tenere assieme una leadership carismatica e un partito forte, democratico, capace di discutere e scegliere, anche attraverso consultazioni interne, i suoi dirigenti», prima che sia troppo tardi.

Almeno un elettore su due sarebbe disponibile a votare un ‘nuovo’ partito, purchè dotato di un programma credibile, di personale esperto e di un editore che voglia sostenerlo.
Il conto alla rovescia è iniziato?

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Bassa affluenza, governo a termine

10 Giu

Nell’intervista concessa ieri dal Presidente Giorgio Napolitano ad Eugenio Scalfari di La Repubblica emergono tutti i non sense dell’attuale situazione italiana e le cause profonde del crollo dei consensi e dell’afflusso alle urne.

Innanzitutto, l’ammissione che quello attuale è un governo di “sopravvivenza istituzionale” che è un po’ come dire che è rimasta solo la facciata, specialmente se è il Capo dello Stato a chiarirlo.
Un governo con le gomme bucate, se per Giorgio Napolitano bisogna farlo vivere “per un’esigenza minima di stabilità” e, poi, “ognuno riprenderà la sua strada”.
Eppure, fu proprio il Presidente della Repubblica a dare mandato a Gianni Letta di formare un governo di programma, che, per altro, è sostenuto da una maggioranza ampissima.

Inoltre, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ritiene che la priorità per il Paese è di “creare le condizioni, anche con una certa discrezione, per una intesa per una nuova legge elettorale, indipendentemente dai correttivi urgenti che possa suggerire la Corte costituzionale“, precisando di non essere “intenzionato a rivivere l’incubo di quei mesi durante i quali nella commissione Affari costituzionali del Senato si è pestata l’acqua nel mortaio e non si è stati capaci di partorire nessuna riforma elettorale avendo tutti i partiti giurato che bisognava farla”.

In parole povere, sembra una conferma ‘autorevole’ che il Parlamento, creato da un sistema elettorale incostituzionale, non sia del tutto legittimato e, conseguentemente, il governo.

Napolitano da ragione a Beppe Grillo?
Forse no, non nei modi di sicuro, ma il richiamo alle responsabilità epocali di tutte le compagini politiche è chiaro: le riforme per il Paese “devono essere nella maggior misura possibile concordate, fermo restando che poi un’alleanza politica è sempre un’alleanza a termine, in modo particolare quando è un’alleanza eccezionale come lo è quella attuale”.

fotomontaggio pubblicato dal blog di Beppe Grillo

Se, dunque, è falsa la notizia “di un termine posto dal Presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo“, Giorgio Napolitano ribadisce di nuovo, dopo l’intervista a Barbara Spinelli, tutto il proprio dissenso e la propria divergenza rispetto ad una situazione di stallo generale sempre più anomala.

”Mi si permetta di dire che a circa 40 giorni, vedo serpeggiare la preoccupazione che questa alleanza possa durare troppo, anzi, per l’eternità: francamente sono un po’ sbalordito”.

E, dopo lo scarso afflusso alle urne delle amministrative, come non prendere atto che tra post democristiani e post comunisti non si raccoglie, ormai, più del 30-40% dei consensi e che il resto degli italiani è in attesa di proposte politiche diverse? Qual’è il messaggio che arriva dai cittadini se Alemanno o Marino ‘fa lo stesso’ per oltre un milione di romani?
E, viste le liste del Porcellum e gli eletti al Parlamento, come non pensare che è un’anomalia dichiarata che nel PD un terzo dei deputati sia un ‘politico di professione’ e che un parlamentare su dieci arrivi dal settore sanitario, quello dei buchi neri delle Regioni e dei circa 90.000 casi annui di malasanità? Oppure che i parlamentari (ed i candidati) esperti nella governance – provenienti dalla pubblica amministrazione, dalla magistratura e dalla carriera militare – siano davvero pochissimi, a differenza delle altre democrazie?

E quale etica, quale New Deal, quale senso di appartenenza nazionale può esserci se – ancora oggi, dopo secoli di disastri – che il messaggio evangelico ‘ama il prossimo tuo come te stesso’ si traduca – nella gestione del consenso e nelle alleanze – in un ben più prosaico e discutibile ‘volemose bene’, mentre, oprmai, ‘non c’è più trippa per gatti’?

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