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Sanità pubblica italiana: un’analisi strutturale

16 Feb

Sulla spesa sanitaria se ne sentono tante, ma come funziona effettivamente? E, soprattutto, le norme che abbiamo sono attuali ed adeguate?

IL SISTEMA DEI CONTI

La definizione di spesa sanitaria pubblica utilizzata ai fini delle previsioni ufficiali dello Stato Italiano “include sia la spesa sanitaria corrente in senso stretto che una stima degli ammortamenti relativi agli investimenti pubblici in campo sanitario effettuati nel tempo”.
L’Ocse invece prevede “una stima dell’ammontare dei costi sanitari effettivamente sostenuti nell’anno, a prescindere se destinati a spese di consumo o di investimento”. (fonte Ragioneria Generale dello Stato)

Tra ‘ammortamenti’ e ‘costi effettivamente sostenuti’ c’è una bella differenza, come quella che esiste tra buttare la cenere sotto il tappeto e spazzare per bene una stanza …

Il dubbio viene spontaneo, se veniamo a scoprire che l’Italia – proprio a partire dal governo Monti – non utilizza più il sistema di classificazione internazionale SHA (System of Health Account) che:

  • elimina alcune componenti di spesa che non hanno una diretta valenza sanitaria, ‘cose di poco conto’ come i trasferimenti ad amministrazioni pubbliche, imprese, famiglie, istituzioni private, gli interessi passivi, i premi di assicurazione, le imposte e le tasse
  • aggiunge alcune componenti di spesa funzionali all’erogazione dei servizi sanitari, quali gli “investimenti fissi lordi”, i servizi amministrativi collettivi ed ai contributi alla produzione
  • riporta tra le spese ambientali, anziché sanitarie, le spese per il controllo del cibo, dell’acqua e dell’igiene, che nell’area Ocse sono affidate prevalentemente a biologi e piuttosto che esclusivamente ai medici e che nel 2008 ammontavano a 2,7 mld di euro.

Tutto questo significa una sola cosa: se ‘ufficialmente’ lo Stato spende in un anno 110 miliardi per la Sanità, potrebbe venir fuori dopo anni – come per altro puntualmente accade da generazioni – che in realtà ne abbiamo erogati effettivamente 75 e ce ne risultano a rimborso 150 …

IL SISTEMA DI SPESA

Sempre la Ragioneria Generale dello Stato ci informa che “la spesa sanitaria pubblica corrisponde, sostanzialmente, alle prestazioni sanitarie erogate dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL), dalle Aziende Ospedaliere (AO), dagli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) e dai Policlinici universitari”:

  1. le ASL sono aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, che – da norma vigente – sono gestite in base a  determine regionali che indicano “preventivamente, in via generale, i criteri di valutazione dell’attività dei direttori generali, avendo riguardo al raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale”
  2. i policlinici universitari sono aziende – dotate solo di autonomia organizzativa, gestionale, patrimoniale e contabile – di proprietà delle Università, che possono essere anche operatori economici affidatari di servizi sul mercato (Corte di Giustizia UE, la quale con Sent., Sez. V, del 23 Dicembre 2009)
  3. gli IRCCS sono fondazioni, cioè enti per il perseguimento di uno scopo ai quali la legge – mancando l’assemblea, prevista invece per le associazioni – permette di concentrare tutti i poteri nell’organo di amministrazione che è responsabile solo verso l’ente stesso.

In poche parole i 100 e passa miliardi che spende lo Stato per la Sanità pubblica sono gestiti da ‘aziende’ con “autonomia imprenditoriale” o da “operatori economici affidatari di servizi sul mercato” oppure da autoreferenziali organi di amministrazione di “enti per il perseguimento di uno scopo”, ma solo a condizione che siano a capitale e – soprattutto – a controllo pubblico …

Somiglia ad una partita di giro attuata tramite un sistema di matrioske …

E che sia effettivamente così oppure che soltanto gli somigli, la cosa che è a dir poco abnormale in termini di gestione finanziaria delle entrate pubbliche, tenuto conto degli ammortamenti, delle spese e degli interessi che cataloghiamo differentemente dall’Ocse, mentre a livello nazionale i ‘costi effettivamente sostenuti’ restano un’incognita.

LE ENTRATE

Dicevamo delle entrate pubbliche per la Sanità pubblica e, come al solito, al peggio non c’è mai fine …

Il nostro Ministero della Salute ci informa che il Sistema Sanitario Nazionale è finanziato da:

  1. entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale (ticket e intramoenia)
  2. fiscalità generale delle Regioni: IRAP e addizionale regionale IRPEF
  3. compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano
  4. bilancio dello Stato essenzialmente attraverso la compartecipazione all’IVA e le accise sui carburanti

Un sistema che – forse – poteva funzionare fino agli Anni ’70, quando c’erano tanti giovani, il boom economico e l’esplosione dei consumi:

  1. con una popolazione che invecchia, le esigenze di ricovero aumentano, le esenzioni aumentano, mentre la spesa aumenta anch’essa ma l’apporto dei ticket crolla
  2. senza prevenzione ed innovazione le difficoltà di accesso ai servizi e gli effetti disfunzionalizzanti si amplificano con maggiori esigenze di cura e maggiori situazioni invalidanti. Dunque, la spesa aumenta anch’essa ma l’apporto dei ticket crolla
  3. una popolazione che invecchia, che è meno istruita, che ha peggiore accesso al lavoro consolida un reddito minore e consumi molto inferiori e, se l’apporto dei ticket crolla, peggio ancora vanno i gettiti da Irpef, Irap e Iva per non parlare del calo del 5,5% nei consumi di benzine da autotrazione solo l’ultimo anno

Difficile dire che il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale si fondi su basi certe e, soprattutto, che – a tanti anni di distanza – sia pianificato in ragione delle esigenze dei servizi ai cittadini.

I SERVIZI

Secondo l’Istat, “analizzando separatamente il regime di ricovero, il tasso di dimissione ospedaliera in regime ordinario è ormai al di sotto del valore di riferimento essendo passato da 161 per 1.000 abitanti nel 2001 a 124 nel 2011. Per il day hospital il tasso di dimissione ospedaliera è dapprima aumentato tra il 2001e il 2005, passando da 53 per 1.000 abitanti a 67 e, successivamente, è diminuito fino ad assestarsi nel 2011 a 48 dimissioni per 1.000 abitanti, quindi su valori ancora superiori al valore di riferimento (36 per 1.000).

Per quanto riguarda i motivi del ricovero, il 94,5 per cento delle dimissioni in regime ordinario e il 98 per cento di quelle in day hospital sono relative a casi acuti. La riabilitazione e la lungodegenza hanno quindi ormai un ruolo marginale in ambito ospedaliero, in quanto vengono più frequentemente gestite dai servizi sanitari territoriali.”

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In termini di correttezza nell’informazione ai pazienti, prevenzione e innovazione, è significativo che:
  1. “all’aumentare dell’età decresce la prevalenza di persone che danno un giudizio positivo sul proprio stato di salute: scende al 39,5 per cento tra le persone anziane di 65-74 anni e raggiunge il 22,5 per cento tra gli ultrasettantacinquenni”,
  2. “la quota di persone che, pur dichiarando di essere affette da almeno una patologia cronica, si percepiscono in buona salute è pari al 41,5 per cento”,
  3. anche se … “il 20,0 per cento della popolazione ha dichiarato di essere affetto da due o più patologie croniche. Tra gli ultrasettantacinquenni la comorbilità si attesta al 68,1 per cento“, e … “al crescere dell’età i decessi riconducibili a malattie del sistema circolatorio aumentano, sia in termini assoluti (fino agli 89 anni di età) che relativi e, tra gli ultraottantenni, costituiscono la causa di morte più frequente”.

Nessuna mensione nel rapporto Istat per i milioni di malati rari italiani, ma almeno sappiamo che il 37,9 per cento dei residenti in Italia ha dichiarato di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche rilevate e, dunque, sappiamo che almeno 25 milioni di italiani dovrebbero recarsi dal medico di base ogni tot, far controlli e terapie ospedaliere ogni tot altro, prevenzione eccetera eccetera.

Anche se le informazioni di Istat sono minimali, alla base della piramide sanitaria emergono alcuni dati significativi:
  1. i medici di base sono oltre 45mila con una media di 1.150 assistiti ciascuno, che garantiscono un servizio di ambulatorio per tre ore su circa 250 giorni annui, che in totale fanno 750 ore annue con una media di circa 45 minuti di disponibilità per paziente ogni anno
  2. esistono solo un migliaio di ambulatori e laboratori, che sono pubblici al 48,8% nel Centro e al 21% nel Sud, con il risultato che in certe zone del paese la Sanità pubblica la fanno ‘de facto’ i privati. Ovviamente, tenuto conto che gli ambulatori saranno molto meno delle metà di mille, è ben chiaro il perchè molti malati si trascurino per poi riversarsi sugli ospedali
  3. il personale infermieristico varia da 3 unità per ogni medico nel Settentrione ad circa due nel Lazio e più a sud. Considerate le mansioni degli infermieri è ben evidente che la loro carenza sia la prima causa di disservizio per gli utenti e aggravio per il personale.

Questi anelli deboli alla base del sistema sanitario – tra cui l’assenza di dati per la biodiagnostica preventiva e i teleservizi – li ritroviamo poi, al negativo, nell’efficienza, nell’efficacia e nell’omogeneità nazionale dei servizi ospedalieri:

  1. la Lombardia ha 145 istituti di cura, con 3,9 posti letto mille abitanti, e sostiene 1.354.391 ricoveri con  10.903.676 giornate di degenza
  2. il Lazio ha più istituti di cura  (167) della Lombardia, con ben 4,1 posti letto ogni mille abitanti, ma sostiene solo 751.877 ricoveri per ben 6.711.625 giornate di degenza
  3. la Campania ha meno istituti di cura  (128) e ancor peggio per i 3,0 posti letto ogni mille abitanti, ma sostiene 700.013 ricoveri con 4.755.848 giornate di degenza.
E’ evidente che sussiste un fattore deformante (cfr. rapporto Agenas) nella delega di poteri alle Regioni senza possibilità per lo Stato  di intervenire a subentro od in sede di pianificazione, salvo i noti e disastrosi Commissariamenti. La problematica non è estesa ad altri servizi pubblici e riguarda la riforma del Titolo V della Costituzione.
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CONCLUSIONI

Il recente Rapporto Meridiano Sanità elaborato da The European House- Ambrosetti conferma che la spesa sanitaria in Italia è terzultima in Europa (rapporto spesa-Pil calato al 9,1%,, con media europea al 10,1%) e ci esorta a “tornare ad investire in sanità ( in prevenzione e in innovazione) rappresenta un “indirizzo strategico prioritario per il Paese, in considerazione del fatto che mantenere elevati livelli di salute e qualità della vita delle persone costituisce anche un elemento imprescindibile per lo sviluppo e la crescita economica”.
I Paesi Bassi ((3.915 euro) e la Germania (3.624 euro) spendono il 30% in più a persona (pro capite) dell’Italia (2.355 euro), ma soprattutto la spesa in prevenzione è stata inferiore del 20% rispetto agli obiettivi.

Il Rapporto non chiede solo di incrementare la spesa sanitaria pubblica in Italia, ma indica anche dei correttivi urgenti per razionalizzarla e finanziarla adeguatamente, come:

  • ridurre le disomogeneità regionali
  • garantire la certezza di una programmazione pluriennale e definire criteri, tempi e regole trasparenti sul finanziamento della spesa farmaceutica
  • cogliere le opportunità offerte dalla digitalizzazione delle attività e dei processi e dalla gestione dei Big Data in sanità, per migliorare l’efficacia e l’efficienza dello studio, monitoraggio, prevenzione e cura delle patologie
  • ridurre i fattori di rischio per le patologie croniche non trasmissibili ad «alto impatto» sul sistema in termini di salute e di costi sanitari
  • implementare gli strumenti di sanità digitale, telemedicina e mobile, per migliorare l’accessibilità e garantire la continuità delle cure
  • poter disporre di risorse aggiuntive necessarie per fronte ai bisogni di salute emergenti, tra cui la cura di patologie ad alto impatto economico e sociale attraverso i nuovi farmaci in arrivo sul mercato
  • trattare le spese per interventi di prevenzione come spese per investimenti, ovvero non considerarle tra le spese correnti e tra i vincoli del Patto di Stabilità, e monitorarne l’applicazione e i risultati
  • assicurare che il finanziamento della spesa sanitaria cui concorre lo Stato sia fissato in modo da mantenere (almeno) costante il rapporto spesa/PIL, a differenza invece di quanto attualmente previsto dal MEF
  • adottare forme di finanziamento della sanità integrative di quelle erogate dal SSN per la copertura delle prestazioni escluse dai LEA (oggi e in futuro) e impiegare le risorse liberate per nuovi investimenti per l’innovazione in sanità

Perchè?

Perchè tra un po’ saranno 25 anni che il Sistema Sanitario Nazionale funziona in base ad un decreto (dlgs. 30 dicembre 1992, n. 502, modificato dal dlgs 19 giugno 1999, n. 229) che risale alla frettolosa transizione tra Prima e Seconda Repubblica quando le Corti dei Conti regionali bloccavano i bilanci sanitari per anni con tanto di processi e dell’altrettanto frettolosa privatizzazione (a chiacchiere visto come è andata) dell’enorme apparato pubblico italiano pur di entrare in Europa ‘con le carte in regola’ …

Demata