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Arrivano le elezioni. E i temi concreti?

14 Gen

Si va alle elezioni e, finora, nessuno dei nostri partiti ha finora chiarito cosa intenderà fare riguardo i ‘temi concreti’ della politica e dell’economia italiana.

Ad esempio, dove prendere i soldi con i quali far ripartire la crescita e rilanciare il paese dopo dieci anni di stagnazione economica causata dall’inadempienza dei governi e dei parlamenti alla necessità di riforme strutturali ed innovazione.

E la patrimoniale “secca”, va fatta sui redditi privati, come propone Bersani, o sugli immobili pubblici, come chiede Oscar Giannino, leader di Fare per Fermare il Declino? Come anche cosa sarà della riforma delle concessioni demaniali e cessione di aree demaniali per edilizia turistica, in agenda entro la fine della prossima legislatura?

Oppure, manteniamo il deprimente ed iniquo caos sulle pensioni oppure andremo al riordino, visto che oggi 700.000 italiani percepiscono, senza aver adeguatamente contribuito, quanto altri 20 milioni di pensionati ben più poveri, incrementando il debito pubblico di almeno 10 miliardi di euro all’anno? E per quanto tempo ancora potremo assistere all’antropofago spettacolo di pensioni ben superiori al corrente stipendio d’ingresso per la stessa qualifica/posizione?

Porremo limiti all’espansione della grande distribuzione che sta svuotando i centri abitati dagli esercizi commerciali ed imporremo un sistema di packaging che eviti ai cittadini di dover costosamente smaltire enormi quantità di plastica e plastificati? Reintrodurremo la mezzadria e riformeremo dei sistemi consortili e cooperativi nell’agricoltura, una via per abbattere costi vivi e prezzi al consumo?

Arriveremo al contingentamento delle dirigenze pubbliche e dei redditi derivanti da incarichi plurimi, come nel caso dei primari dei policlinici universitari? Privatizzeremo il sistema assicurativo dei lavoratori del settore privato? Defiscalizzeremo i premi ai lavoratori e dei contributi previdenziali od assicurativi? Attueremo una riforma del sistema delle contrattazioni sindacali con maggiore apporto per gli accordi locali?

Introdurremo nuove leggi sul conflitto di interessi e sulla Par Condicio? Arriveremo all’immissione sul mercato (ed allo smantellamento) della televisione commerciale di Stato? Attuaremo la riforma delle norme sull’editoria, sia per quanto relativo ai finanziamenti pubblici sia per quanto relativo i rapporti tra editore e comitati di redazione?

E cosa ne sarà delle inutili Province e degli inutili comuni al di sotto dei diecimila abitanti? O delle tante aziende a capitale o partecipazione pubblici, che costano diversi miliardi per stipendi e rimborsi del personale?

Troveremo una via per prepensionare il pubblico impiego, che arranca da anni e decenni dietro un’innovazione tecnologica sempre più esigente, e così poter procedere alla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione?

Fosse solo in nome dell’ambiente, avvieremo politiche fiscali che incentivino il trasporto su rotaia o via mare? Visto che almeno il 60% dei maschi adulti non è diplomato, avvieremo una campagna di formazione permanente per gli adulti e una qualche razionalizzazione della rete formativa post-diploma ed universitaria? Introdurremo l’obbligo per tutti i detenuti di attività di studio e lavorativa, in carcere per quelli pericolosi, eventualmente all’esterno per i recuperandi?

Attueremo una vera riforma della giustizia con totale separazione delle carriere tra inquirenti, giudici ed avvocati? Ci sarà la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, come organismo “interno” al sistema giudiziario e con forti poteri disciplinari? avremo una definizione degli standard di qualità e di best pactices nel sistema giudiziario? Otterremo delle sentenze “in base alle prove presentate” e non “in base a giusto convincimento”? E che dire della semplificazione dei codici di procedura giudiziaria e del sistema di notifica degli atti?

Quanto alla malasanità a macchie di leopardo, ci sarà l’istituzione di un qualche servizio ispettivo nazionale per il sistema ospedaliero e di medicina di base, visto che il monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità è palesemente poco descrittivo del disastro in corso e, soprattutto, non ha poteri di intervento?
Visto il caos burocratico e gestionale di tanti siti sanitari, a partire da certe astanterie chiamate sale d’attesa, ci sarà l’obbligo per i medici dirigenti di superare una prova giuridico-amministrativa?

Visto che in molti ospedali non si vede un volontario uno, cosa farne delle Onlus operanti nel settore sociale e salutistico? Le obbligheremo ad utilizzare almeno il 30% del fund rising in interventi diretti per i malati, come accompagno, assistenza e supporto, eccetera? Ed il mercato nero degli alloggi, vogliamo sanarlo obbligando i grandi ospedali di dotarsi, anche con convenzioni ad hoc, di strutture ricettive (bed & breakfast) per pazienti e familiari? Ed i 2-6 milioni di malati cronici e/o rari dovranno ancora macinare ore e chilometri per una fiala, oppure avranno il diritto di essere curati presso ospedali generali o poliambulatori di propria scelta, con abbattimento dei rischi terapeutici e dei costi per accertamenti e cure?

La smetteremo di inseguire il miraggio di 100-200 miliardi da recuperare dall’evasione fiscale e, piuttosto, prenderemo atto che qualche calcolo è, evidentemente, troppo ottimistico e che, probabilmente, è il sistema che utilizziamo che non funziona, visto che la pressione fiscale è esosa e sfilacciata? E come non considerare quanto stamane Oscar Giannino spiegava ai telespettatori durante la trasmissione Omnibus, ovvero che siamo in un paese dove la pressione fiscale è almeno al 43% a fronte di stipendi molto bassi e che per questo è necessario attenuare il carico sui redditi, sulla produzione e sul lavoro?

E che dire di uno Stato ‘guardone’ che pretende di analizzare persino i consumi di sapone nelle nostre case, ma non onora i propri impegni ed i propri debiti?

Alcune delle tante domande per le quali vorremmo leggere le soluzioni nei programmi elettorali e delle quali vorremmo sentir parlare nei talk show televisivi.

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Servizio pubblico televisivo: più informazione e meno fazione?

14 Gen

Il confronto tra Silvio Berlusconi e Michele Santoro, su Servizio Pubblico giorni fa, verrà forse descritto, dagli storici dei media, come il canto del cigno di un certo modo di fare televisione, che – prima sulla RAI e poi su alcune reti private – ha preso piede in Italia da oltre un decennio.

berlusconi santoro

Parliamo delle trasmissioni politiche dove è sempre necessario confortarsi con i lazzi di qualche comico (anche un vignettista va bene), dove vengono sciorinate accuse madornali senza un accettabile diritto di replica, dove il conduttore assurge a catalizzatore del basso ventre popolare.

Non è un caso che gran parte dei critici ed analisti mediatici, che si sono espressi in questi giorni, hanno puntato il dito sull’acrimonia di Santoro verso Berlusconi, sulla scaletta rigida del programma che ha permesso a Berlusconi di vincere praticamente tutti i round, sul giustizialismo ‘facile’ che si è ritorto contro, sul sarcasmo truculento che ha trovato ‘pan per i propri denti’ nell’umorismo dell’ospite/accusato.

Il tutto con uno share abissale, ovvero sotto il naso degli italiani, che hanno toccato con mano come andrebbero certe ‘trasmissioni di informazione’, se il diretto interessato può giocare ad armi pari, come ha potuto pretendere Silvio Berlusconi.

Eppure, Santoro – come tanti altri – avrebbe potuto evitare la solita saga dei processi, delle frequentazioni e delle escort, che toccano diffusamente il mondo della politica e della finanza, come raccontano le vicende dell’ex-cancelliere socialista tedesco Gerhard Schröder, nel consorzio Nord Stream AG della Gazprom russa, o quelle di Dominique Gaston André Strauss-Kahn, ex ministro socialista francese, con non poche donne a New York come altrove, per non parlare dei sospetti di rapporti tra mafia e politica addirittura nell’assassino del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy. Una realtà alla quale le popolazioni dei paesi democratici sembrano essersi rassegnate, visti i livelli di astensionismo.

dati della London School of Economics and Political Science

Ben altro avrebbe interessato i cittadini telespettatori e consumatori dal confronto Santoro-Berlusconi.

Ad esempio, le critiche a Mario Monti che ambedue hanno palesato nel corso di questi 12 mesi. Meglio ancora che l’ex premier esponesse la sua versione di come l’Italia sia finita in una tale congiuntura, prima che ‘eventuali cospirazioni’ determinassero la sua caduta/defenestrazione.
Contraddittori che avrebbero potuto toccare le cause della diffusa e costosissima malpractice che vessa Sanità e Welfare, ormai in balia di una sottocasta politica e professionale, sgradita per motivi diversi ad ambedue.

Ancora, avremmo potuto apprendere, stante il populismo di ambedue i protagonisti, se e come potrà essere raddrizzata la sbilenca barca della produttività e del lavoro italiani, su cui tutte le parti politiche non sembrano andare oltre le manifestazioni di intento nelle loro promesse.
Addirittura, si sarebbe potuto parlare di sistema televisivo e pubblicitario, che ha un bel costo anche lui e che, da come stiamo messi, ci spinge verso consumi e stili di vita che forse non possiamo permetterci.
Argomenti che avrebbero permesso di capire, a tutti noi, cosa ci aspetta dietro l’angolo delle prossime elezioni.

Dunque, quello di cui ha preso atto il pubblico dei telespettatori, futuri elettori, è che di tutto questo non se ne è parlato e che è stata di Michele Santoro la decisione di non farlo, nell’evidente tentativo di gestire una trasmissione-processo, mentre a noi tutti, inclusi gli antiberlusconiani duri e puri, interessava l’informazione-dibattito. Un discorso che vale anche per la RAI, dove andrebbe considerato il dato che una somma di fazioni non fa di certo nè libertà d’informazione nè servizio pubblico.

Preso atto che abbiamo assistito ad un programma talmente a senso unico che è stato un gioco da ragazzi ribaltare il tavolo e prevalere mediaticamente, resta solo da rimpiangere le Tribune Elettorali di  Zatterin e Iacobelli e chiedersi se Santoro abbia, involontariamente, ‘prodotto consenso’ per Silvio Berlusconi ed il PdL con meno del 5% o anche di più.

N.B. La vignetta non era dedicata dall’autore al contesto italiano, bensì alla malasanità statunitense, e ne sono state cancellate le scritte.

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Lega, Bossi, Padania: lo scandalo

5 Apr

L’elenco che  la non indagata impiegata amministrativa leghista Nadia Dagrada e l’indagato tesoriere leghista Francesco Belsito al telefono hanno sciorinato lo scorso 26 febbraio ai carabinieri in ascolto (e quello che si assomma da altre intercettazioni) comprende, secondo il Corriere della Sera:

  • i costi di tre lauree pagate con i soldi della Lega
  • i soldi per il diploma di Renzo Bossi
  • i 670.000 euro per il 2011 oltre ad altre somme ingenti per gli altri anni
  • le autovetture affittate per Riccardo Bossi, tra cui una Porsche
  • i costi per pagare i decreti ingiuntivi di Riccardo Bossi
  • le fatture pagate per l’avvocato di Riccardo Bo ssi
  • altre spese pagate anche ai tempi del precedente tesoriere Balocchi
  • una casa in affitto pagata a Brescia
  • i 300.000 euro destinati alla scuola Bosina di Varese per Manuela Marrone (moglie di Bossi)
  • l’ultima macchina del “Principe”, 50.000 euro
  • i costi liquidi della scorta di Renzo Bossi  (dai 151.000 ai  251mila euro)
  • le ristrutturazioni del terrazzo nella casa di Gem onio ( 5-6.000 euro)
  • 200.000-300.000 euro dati al sindacato padano Sinpa
  • altre spese pagate anche ai tempi del precedente tesoriere Balocchi
  • altre somme date mensilmente

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Ce ne è da far inferocire il “popolo padano” ed è arrivata l’ora dei Meridionali e del “l’avevamo detto noi” … e certo è che alle prossime elezioni al Settentrione non sapranno davvero quale partito votare.

Ma la cosa non finisce ai soliti affarucci di bottega dei partiti italiani: sempre secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, “ci sono due operazioni tra società che vengono segnalate come «sospette» dall’Uif, l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Riguardano flussi finanziari tra le società di Bonet, con la «Siram spa» a fare da capofila in uno scambio con «Polare Scarl», «Marco Polo Triveneto» e «Fin. Tecno srl». «Siram, a fronte di tale fatturato passivo, usufruirebbe di un credito d’imposta pari a 6.125.694 euro, costituente il 40 per cento dell’ammontare dei costi fatturati, pari a 15.314.235 euro».

“Le indagini sono in fase cruciale. Anche perché nel mirino degli inquirenti di Reggio Calabria ci sono una serie di operazioni «improduttive» che dimostrerebbero l’attività di riciclaggio svolta da Belsito con Romolo Girardelli, il suo socio, ritenuto il referente finanziario della «cosca De Stefano», con l’imprenditore Stefano Bonet. È il filone che porta alla ‘ndrangheta e al reimpiego dei soldi in Italia e all’estero.”

Dunque, esistono altri filoni d’inchiesta che coinvolgono la Lega dei “padani”, oltre all’inchiesta dei PM di Napoli, Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e John Henry Woodcock.

Uno scandalo che riguarda sia la capacità di “penetrazione commerciale” dei grandi fornitori pubblci sia il sistema “di finanziamento e di spesa” dei partiti sia la “semplicità” con cui entità criminali riescano a far affari con gli investitori del Nord se non con quelli europei. Questo lo stato dell’arte, dopo il caso Penati a Milano, le due giunte regionali in Puglia, l’eterno affaire Formigoni a Milano, l’appaltone comunale di Roma, la gestione rifiuti in Campania, lo scandalo PD-Margherita del tesoriere Lusi, la “strana storia” Finmeccanica-UDC.

Da molti anni, ai bambini del Sud viene insegnato – da un nonno o da una zia un po’ anziana – che “la Mafia sta al Nord”, ma questo resta un concetto relegato alle memorie infantili di cui si dubita, visto che sono 150 anni che ci raccontano il contrario.

Ma come non dubitare se puntualmente accade che toscani, romani, veneti, lombardi, piemontesi, tedeschi, francesi preferiscano gli affari facili alla gente onesta, consolidando nel Meridione un potere malvagio ed un’oppressione insopportabile come solo la Mafia sa essere?

leggi anche:Siram e lo scandalo delle risorse energetiche

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Siram e lo scandalo delle risorse energetiche

5 Apr

“Sanità e Pubblica Amministrazione sono tradizionalmente i due principali settori del portafoglio clienti Siram rappresentando tuttora una parte importante del fatturato dell’Azienda.  220 enti tra cui la Presidenza del Consiglio e i Ministeri dell’interno, dell’economia, della giustizia, delle telecomunicazioni e della comunicazione.

A livello locale, infine, sono oltre 250 i clienti Siram tra comuni (ad esempio Roma, Venezia, Trieste, Piacenza), province (Bari, Firenze, Genova, Milano) ed enti (le Università di Pavia e Napoli, la Sapienza e l’Ente Poste di Roma).” Questo il comunicato che spicca alla pagina “enti pubblici” del sito della Siram, “un’azienda italiana con quasi 100 anni di esperienza nella gestione energetica di edifici complessi pubblici e privati”.
Ad essere esatti, Siram gestisce “770 strutture sanitarie, pubbliche e private, per un totale di 65.061 posti letto, 457 strutture sportive, culturali e di intrattenimento, 76 stabilimenti industriali, 93.050 alloggi residenziali, 2.222 edifici dedicati al terziario e al commercio pari a 4.186.140 mq, 6.300 siti di telecomunicazione, 6 reti di teleriscaldamento”.
Dal 2004 al 2010, Siram ha gestito gli impianti che producono calore al Pio Albergo Trivulzio, proprio l’edificio milanese “madre di tutte le tangenti”, come raccontano cronache e processi.

Siram nasce nel 1912 ed il suo primo contratto importante, dal 1927, è come gestore degli impianti di riscaldamento del Comune di Venezia, per poi estendersi ad altri clienti pubblici nel Veneto, in un settore (carbone) tradizionalmente controllato dai Rothschild.
Divenuta nel corso degli anni azienda leader in Italia nei servizi energetici e multitecnologici nei settori della sanità, dell’amministrazione pubblica, dal 2002 Siram, tramite Dalkia International, è controllata da Veolia Environnement, il più grande gruppo al mondo nel settore dei servizi ambientali (energia, acqua, rifiuti e trasporti), presente in 72 paesi con circa 312mila dipendenti e un fatturato 2009 di 34,5 miliardi di Euro.

Dalkia International opera a livello mondiale, gestendo tra l’altro circa 24.000 strutture sportive o culturali e oltra 6.000 centri di cura. La maggioranza del pacchetto azionario di Dalkia International è controllata – come detto – da Veolia Enviroment, ma il 37% appartiene a EDF (Électricité de France S.A.) azienda energetica di rilevo mondiale, che gestisce nella sola Francia 58 reattori nucleari ed in Italia controlla Edison Spa tramita Transalpina di Energia.

Utile sapere che Électricité de France S.A. è il principale concorrente in Francia di GDF Suez, la supercompagnia energetica che vede ai propri vertici Étienne Davignon, socialista ex padre fondatore dell’Europa e attuale presidente di quel Gruppo Bilderberg di cui Mario Monti è stato membro del comitato direttivo. Gerhard Schröder, socialista ex Cancelliere tedesco, alcuni mesi dopo la fine del mandato politico, accettò la nomina di Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG. Con la sua uscita dalla politica Angela Merkel ebbe campo libero per la formazione della Grosse Ammucchiata.

Andando a Veolia Acqua Srl, holding del’omonimo gruppo in Italia, possiamo osservare che controlla Compagnia Generale delle Acque Spa (Veneto ed Emilia-Romagna), Sagidep Spa (nord-ovest), Società dell’Acqua Potabile Srl (Liguria), Sicea Spa (Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana e Marche).
Veolia è anche in partnership con pubbliche amministrazioni, come Siba, (servizi di ingegneria), Veolia Water Solutions & Technologies Italia Srl (acque reflue), Acqualatina Spa (Latina), Geal (Lucca), Mediterranea delle Acque (Genova), Sorical (acqua all’ingrosso Calabria), Siciliacque (acqua all’ingrosso Sicilia).

Una coincidenza: dalle carte dell’inchiesta di Reggio Calabria, emergono contatti tra la Siram e Romolo Girardelli, vicino a Paolo Martino, il boss della nDrangheta arrestato nel 2011 dalla Dda di Milano.


Dunque, mentre apprendiamo che la “libera Francia” ha “esemplarmente” privatizzato acqua ed energia, che fino a 20 anni fa erano pubblici, potremmo anche chiederci se “agli squali” interessi anche l’acqua pubblica italiana ed il gas asiatico dell’ENI.

E, forse, se volessimo un’Italia meno corrotta, meno sprecona, più efficiante, più “fiscalmente” contributiva, dovremmo spostare la nostra attenzione dai commercianti di Cortina d’Ampezzo alla rendicontazione dei partiti ed al mercato dell’energia e, perchè no, delle telecomunicazioni.

Forse … ma da come è andata con lo scandalo Finmeccanica-UDC, scomparso dai notiziari, c’è ben poco da sperare. Liberatisi di Bossi e del suo entourage, ritornerà tutto come prima, o peggio, (s)venderemo le nostre risorse “al miglior offerente” perchè l’Europa lo chiede?

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