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F35, un flop annunciato: miliardi sprecati mentre si tagliavano pensioni e welfare

4 Lug

Era il 3 gennaio 2012 quando questo blog spiegava (link) perchè gli F35 erano un flop annunciato e perchè si ‘dovevano’ fare.

Tutta la storia inizia nel 1996, quando gli USA (e la NATO) avviarono il progetto di un caccia a lungo raggio con complete caratteristiche Stealth, tra cui la capacità di trasportare l’armamento in stive interne e sistemi elettronici capaci di inibire la difesa a terra: un nuovo velivolo “invisibile” da usare nella fase del “first strike”, quando le difese nemiche sono complete ed attive.
Nel 2001, il progetto Lockheed X-35 fu dichiarato vincitore e veniva avviato il programma definitivo con la sigla F-35 JSF (Joint Strike Fighter), con un costo di produzione per ciascun esemplare inizialmente valutato intorno ai 40 milioni di dollari.

Inizialmente, era prevista una produzione di circa 3.000 velivoli per USAF/US Navy/USMC e di altri 2.000 per i vari partner internazionali (fonte http://www.aereimilitari.org) tra cui l’Italia che doveva partecipare come “partner di secondo livello”, allestendo una linea di costruzione e assemblaggio, da cui sarebbe uscita buona parte degli F-35 destinati all’Europa e ad altre nazioni, come Turchia ed Israele, tra cui solo venti F35 destinati all’Italia.

Un piatto ricco e, così, accade che il 28 maggio 2007, presso il ministero della Difesa a Roma, con l’incontro tra il presidente della Provincia di Novara, Sergio Vedovato, e il sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri, per determinare l’insediamento presso l’aeroporto militare di Cameri (NO) della linea di assemblaggio degli aerei F35 Joint Strike Fighter.

C’era il Governo Prodi, con i piemontesi Damiano, Livia Turco, Bertinotti e Ferrero ai massimi vertici del potere, e, dunque, non c’è davvero da chiedersi perchè andò a Novara quel progetto industriale in cui si investì un milione di euro di denari pubblici, poi lievitati, sembra, ad oltre cinque.
Una marea di soldi e di lavoro che deve andare a beneficare l’indotto piemontese, azzerato dalla crisi dell’auto e del tessile. Non a caso, Maria Luisa Crespi, il sindaco di Cameri, dichiarò «grazie all’iniziativa della Provincia, da oggi saremo in grado di dare risposte ai nostri cittadini» e, come confermò il sindaco di Bellinzago, Mariella Bovio, «sono importanti le garanzie occupazionali per un territorio come il nostro che vive una grave crisi nel settore tessile».

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I primi dubbi sul’aereo e sugli investimenti si palesarono nel 2009, quando i costi da 40 iniziali erano schizzati prima a 62 e poi oltre i 100 milioni di dollari di media per aereo.
Come riportato da Stato-Oggi, “il raddoppio dei costi, dagli originari 65 milioni di dollari ad esemplare, ha indotto alla prudenza il governo italiano” e “il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al salone aerospaziale di Farnborough, riferendosi al programma, ha aggiunto: “Siamo molto cauti, stiamo verificando”.

Cautela massima, se, agli inizi del 2011, il Washingon Post annunciava la necessità di ricapitalizzare del 20% (10 miliardi di dollari) sperimentazione e progettazione, di cui la metà “resasi necessaria per alleggerire l’aereo, dato che volare a pieno carico inficia le performance chiave del velivolo“. Per non parlare, sempre agli inizi del 2011, della conferenza stampa  tenuta dal segretario alla Difesa americano, Robert Gates, che precisava che, “se non riusciremo a mettere a posto questa variante (ndr. la versione a decollo corto e atterraggio verticale – STOVL) in questo arco di tempo e rimetterla in carreggiata in termini di prestazioni, costi e tempi, allora credo che dovrebbe essere cancellata.”

Infatti, le commesse per la fabbrica di Novara vennero progressivamente ritirate, prima quella dei 85 F-35A per la Koninklijke Luchtmacht olandese, poi si defilarono la Flyvevåbnet danese e la la Kongelige Norske Luftforsvaret norvegese,  poi addio a 116 F-35A per la Türk Hava Kuvvetleri ed a 150 F35B per la Royal Air Force britannica che preferì optare per gli F-35C con decollo a catapulta modificando le proprie portaerei.
Intanto, il governo Berlusconi non dava il placet per la sessantina di F35 previsti oltre la prima trance di 22 F-35B per l’Aviazione Navale italiana, già ordinati, e aveva tagliato una commessa di 2 miliardi di Euro per 25 Eurofighter (Aeritalia/Finmeccanica), azzerandone la terza trance.

Subito dopo, per altre congiunture, lo spread dei titoli di Stato salì a dismisura, la colpa venne addebitata al governo in carica e subito dopo Mario Monti – che aveva tagliato qualunque spesa pubblica e anche un tot di aspettativa in vita di qualcuno – trovò decine e decine di milardi per avviare le trance in sospeso degli  F35 per l’Aereonautica Militare e aggiungerne anche una quarantina in più, visto che i costi industriali a Novara sarebbero esplosi senza le commesse nordeuropee.

Fu così che da 22 caccia per la Marina arrivammo ad un programma di aerei da combattimento che trasformava l’Italia nella terza potenza NATO per quanto relativo i caccia d’attacco con copertura Stealth ed il quinto paese del mondo (dopo USA, Gran Bretagna, Russia ed Israele)  per capacità di “first strike”, mentre la Cina Popolare aveva davanti a se almeno altri 15-20 anni dal creare un’aviazione militare temibile.

”Joint Strike Fighter e’ il miglior velivolo areo-tattico in via di sviluppo. Un areo di avanzata tecnologia che e’ nei programmi di ben dieci Paesi. E’ una scelta che permette di ridurre da tre a una le linee aero-tattiche. Consentira’ una straordinaria semplificazione operativa dello strumento militare”. (Ministro della Difesa Amm. Di Paola – fonte Vita.it 28-02-2012)

Una scommessa risicata basata sulla capacità dei progettisti di pervenire ad un aereo affidabile ed efficace, dopo che, non appena realizzato il prototipo industriale nel 2009, ci si era resi conto che qualcosa era andato storto nel concept stesso del velivolo.

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Intanto, mentre in Italia la grande stampa eludeva la querelle, ma saggiamente qualcuno iniziava a sospendere le commesse, il Washington Post raccontava di diversi incidenti tra cui quello di una perdita d’olio in volo, fino al grave incidente dei giorni scorsi, con un aereo che ha preso fuoco e perso pezzi  durante il decollo dalla base di Eglin, in Florida, e il Pentagono che mette a terra tutti gli F-35.

 

E siccome al peggio non c’è mai fine vale la pena di chiarire qualcosa sulle commesse che Mario Monti volle a tutti costi con miliardi che ci avrebbero permesso di pensionare e rilanciare l’occupazione.

L’Italia ha in programma di acquistare fino a 60 esemplari del modello A a decollo da terra e 30 del modello B a decollo verticale, per la portaerei Cavour (fonte La Repubblica), visto che il Trattato di Armistizio – quello della II Guerra Mondiale – ancora oggi non ci consente di avere portaerei a catapulta.

Il ‘peggio’ è che la variante F-35B, quella a decollo verticale, fino all’anno scorso non c’era, non funzionavano i prototipi. Il primo test di decollo con successo è stato effettuato solo il 10 maggio del 2013 al NAS Patuxent River, nel Maryland.

Ebbene, quando nel 2011 e 2012 le Leggi finanziarie andarono a prevedere assegnazioni di miliardi per gli F35-B, i prototipi di quei velivoli neanche si alzavano da terra, pardòn dalla tolda.
Soldi spesi o tenuti fermi  mentre, in nome della lotta agli sprechi, un premier non eletto – Mario Monti – negava spietatamente diritti assistenziali e previdenziali a persone anziane e malate.

Sprechi.

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Si fosse pervenuti ad un investimento teconologico e occupazionale, parleremmo dei danni collaterali della ristrutturazione del capitale – e passi pure – ma non si può transigere su chi ha sprecato denari e angariato i deboli per un aereo che non ci sarà e uno stabilimento di Cameri che rischia di andare in cassa integrazione prima ancora di aver avviato per intero la linea di produzione.

Forse è per questo motivo che i nostri media hanno finora evitato di parlare del flop F35: sarebbero la prova conclusiva di un fallimento generale delle politiche attuate da Mario Monti, oltre che un ulteriore lato oscuro su come si sia pervenuti alla sua nomina a senatore a vita prima e a premier dopo.

Se i soldi impegnati per un aereo che non c’è – frutto della reverenza di Mario Monti verso ‘certa sinistra elettoralmente utile’ e del tutto scollegati sia dal salvataggio delle banche sia dalla questione Finmeccanica – fossero stati destinati al turn over generazionale e alle imprese, avremmo avuto la dura recessione italiana, il crollo del PIL e lo sbilanciamento dell’Eurozona?

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M5S a convegno per governare?

4 Mar

Non era difficile non dare per scontato che centonove deputati e cinquantaquattro senatori avessero bisogno di un «conclave» del neonato Movimento Cinque Stelle, per decidere insieme le strategie ed i margini di accordo che vogliono attuare in Parlamento e, innanzitutto, la governabilità.

Altrettanto facile immaginare che la Premiata Ditta Grillo & Casaleggio si faccia scippare ‘al mercato delle vacche’ quelle due dozzine circa di senatori che mancano al Partito Democratico per governare.

Nel ‘conclave’ dei parlamentari del M5S, verranno chiarite anche alcune questioni essenziali, sulle quali non loro, ma gli italiani tutti stanno facendo una gran confusione.

La richiesta da parte di Grillo di un governo di minoranza senza una fiducia preventiva che contratta, di volta in volta, l’appoggio su singole leggi porrebbe inevitabilmente l’Italia in balia del Parlamento e delle Lobbies.

Anche se Bersani intima a Grillo: «Decida cosa fare o tutti a casa», il caso del capo dello Stato in scadenza – “semestre bianco” – impedisce che egli sciolga subito le Camere.

Come probabilmente sperano i sostenitori di Mario Monti, una prosecuzione “a tempo” del mandato presidenziale al Quirinale non rientra nei ‘parametri’ previsti dalla Costituzione.

Malgrado quanto sostenuto da una parte della Sinistra, nonostante il Procellum, spetta solo al Presidente della Repubblica, e solo a lui, scegliere in piena autonomia, al termine delle consultazioni, a chi affidare l’incarico per formare il governo.

Dunque, esistono solo due strade.

La prima via – quella che comunemente è chiamato ‘governo tecnico per le riforme’ – è quella che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quelli ‘tecnici’ guidati da Dini e Amato per traghettare il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con le autonomie locali riformate.
Nella sostanza è quello che sta chiedendo – con poca chiarezza – Beppe Grillo e che, ragionevolmente, chiederà il Movimento Cinque Stelle di Casaleggio.

Il secondo percorso – quello che comunemente è chiamato ‘governissimo’ -è quello che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quello guidato da un ‘tecnico’ come Mario Monti per salvare il sistema finanziario italiano, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con il Welfare riformato.
Nella sostanza è quello che serve alla Seconda Repubblica per guadagnare qualche anno di vita ed avere il tempo, secondo loro, di lavorarsi ai fianchi il movimento dei Grillini.

In tutto ciò, c’è da insediare il Parlamento ed eleggere, anche con una certa rapidità, sia i Presidenti della Camera e del Senato, si individuare i candidati alla presidenza della Repubblica e darsene uno.

Dunque, che Bersani la smetta di portar fretta, che non ce ne è se non per lui, che, a breve, dovrà rendere ragione ai suoi sodali di partito in ordine all’ennesima cantonata presa e conseguente bastosta incassata, illudendosi di governare con il 33% ed un voto.

Tanto, finchè non si eleggerà ed insedierà il nuovo Presidente della Repubblica, c’è il Governo Monti per ‘l’ordinaria amministrazione’ e per la buona pace di banche, governi esteri e mercati vari.

Il Movimento Cinque Stelle è a convegno ed è la loro prima prova del nove. Avranno idee, condivisione e lungimiranza per resistere al canto delle sirene democratiche-democristiane? Riusciranno a stendere un decalogo delle priorità e delle negoziabilità, con cui sostenere un governo di programma per le riforme?
Probabilmente si, ma lo sapremo tra due giorni soltanto.

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Eurozona: il problema Merkel

1 Mar

Non si può non essere europei, se si discende da famiglie che – nobili o non nobili – hanno mantenuto una memoria delle proprie origini – normanne, cazàre, variaghe, sassoni, celtiche, bulgare – e si è consapevoli che i propri avi hanno servito Luigi il Bello di Francia o Don Carlos di Spagna o si sono battuti nella Reconquista o nelle Guerre dei 30 anni o dei 100 anni.

Ma è altrettanto difficile accettare di essere europei in questa Europa, se accade che, dopo anni di tregenda, a causa dei debiti che si vanno accumulando, la Croce Rossa Svizzera ha deciso di tagliare le fornitura di sangue alla Grecia, dove si riscontra un’alta incidenza di casi di anemia su base genetica.

A tal punto, è evidente che la Grecia non riesca a garantire neanche i diritti essenziali (salute) dei propri cittadini, a causa della situazione di stallo finanziario causata sia dalla classe politica greca e dai prestiti facili delle banche tedesche sia dalle scelte europee di rigore e austerità necessarie a salvare, per l’appunto, banche e sistema sociale mitteleuropeo.

Se l’Unione Europea fosse stata ‘Europa’ per davvero, non sarebbe stato possibile abbandonare la macroregione greca alla miseria ed all’oblio, come non sarebbe stato possibile l’attacco portato dal sistema finanziario tedesco alle economie dei paesi mediterranei.

Infatti, se la Deutsche Bank non avesse svenduto, circa due anni fa, i titoli di Stato italiani per avvantaggiarsi nello spread e vendere bene quelli tedeschi, noi non saremmo in questa situazione, come non lo saremmo se Angela Merkel non avesse imposto la sostituzione di Silvio Berlusconi al governo con Mario Monti il recessionatore.

Come la Spagna (ma anche la Grecia) che raccoglierebbe ancora i flussi turistici di tre anni fa, se la Germania non avesse deciso, cinque anni fa, per salvare la propria economia recessiva, di ‘chiudere uno e anche due occhi sui rave e sul consumo di sostanze, con la conseguenza che i giovani germanici non volano più via per un weekend per spendere i loro risparmi in vacanza a Maiorca o Santorini.

E che dire del salvataggio di Goldman Sachs, a spese di Unicredit, con il risultato che la crisi delle banche polacche ed austriache l’ha pagata la Cassa Depositi e Prestiti italiana e non il ricco Land della Bavaria od il furbo staterello del Lussemburgo.

Das ist ganz unkorrect, Frau Merkel, non venga a dare lezioni a noi.

Allo stesso modo – ma forse dall’opportunismo siamo passati al razzismo – se andiamo a guardare l’afflato ‘etico’.
Strauss Khan ha dimostrato abitudini ‘amorose’ ben più disdicevoli di Berlusconi, ma nessuno ne parlava prima che lo facesse un’oscura cameriera newyorkese, denucniandolo per sturpo.
Nessuno ha indagato mai nè il tedesco Schroeder nè il francese Davignon. Eppure, il primo lasciò il paese alla Grosse Koalition pur avendo vinto le elezioni, andando a fare il ‘boss’ prezzolato del North Stream, l’oleodotto russo-tedesco, mentre il secondo, dopo aver legiferato in Europa sull’energia, lasciò la politica e diventò uno dei dominus francesi di acqua, gas ed elettricità.

Quanto ai clown, non Grillo e non Berlusconi, cosa dire del portoghese Barroso, presidente di commissione UE, indagato per l’acquisto nel 2004 da parte del Portogallo di due sottomarini fabbricati dalla tedesca German submarine consortium sia stato macchiato da corruzione, frode, violazione delle regole sul mercato interno e gestione impropria dei fondi pubblici.
Oppure, vogliamo parlare dello scandalo Bettencourt, l’ereditiera de L’Oreal nel mirino della giustizia francese per frode fiscale e finanziamento illecito della campagna elettorale del franco-ungherese Sarkozy?

E che dire del presidente tedesco Christian Wulff, dimessosi un anno fa, accusato di avere ottenuto un prestito di 500mila euro da un imprenditore con un tasso di favore? O del noto Zapatero, che ha consegnato la Spagna all’oblio, grazie alle sua politiche effimere, dopo che gli spagnoli, faticosamente, avevano superato in 20 anni il ritardo accumulato sotto la dittatura franchista?

Difficile credere che in queste condizioni si possa andare ad un’unione politica dell’Europa: i tedeschi non vogliono essere governati da un latino cattolico, gli italiani non voglion essere governati da un sassone riformato, gli olandesi, di sangue norreno e di tradizione evangelica, da nessuno dei due.

Difficile credere che i corruttori del Nordeuropa siano meno colpevoli dei corrotti del Sudeuropa e difficile credere che questo ‘equivoco’ non generi diffindenza tra i popoli latini e razzismo tra quelli sassoni. Impossibile pensare ad un Mario Monti ‘in Europa’ senza accentuare le diffidenze dei popoli mediterranei.

Difficile credere che il liberalesimo nazionalistico che anima le democrazie mitteleuropee possa trasformarsi da elemento separatore a fattore di confluenza, senza mettere le risorse primarie in mano ad organizzazioni finanziarie multinazionali e difficile credere che i cittadini lo vogliano.

Siamo sicuri che il problema dell’Eurozona non sia la Germania dell’Eurozona di Angela Merkel e la sua congrega di corrotti e trasformisti, come tanta parte dell’elettorato tedesco pensa?
I Piraten non sono al 25% del M5S italiano, ma esistono ed entro l’anno in Germania si vota. Stesso vale per le frange estreme della SPD come per i nazionalisti e post-comunisti dell’Est.

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Monti il consociativo?

7 Gen

Iniziato il 2013, iniziata la lunga corsa elettorale italiana, che nell’arco di sei mesi sei dovrà nominare la leadership dello Stato e delle principali regioni e comuni italiani, più una bella quantità di province che non dovrebbero esistere più da tempo. Nominare la leadeship, non sceglierla e non cambiarla: a noi italiani non è dato questo diritto, sia chiaro.

E, dunque, mentre ci accingiamo ad assistere, spettatori amaramente paganti, al solito spettacolino politico al suon di polke e walzer, tra roboanti preannunci di vittoria, arriva il buon Mannheimer a confermarci poche essenziali cose:

  1. la compagine montiana non supererà il 20% dei voti, collocandosi inevitabilmente terza, dopo PdL e PD, con l’UDC che si riconferma un lumicino al 4% fisso;
  2. il Partito Democratico è di nuovo ‘maggioritario’, dopo aver cooptato Vendola alle primarie ed aver riassobito il voto di sinistra, raggiungendo, però, un risicato 30% o poco più;
  3. il ‘ritorno di Berlusconi’ ha riportato all’ovile almeno un 5% degli elettori di centrodestra, nonostante scandali e defezioni;
  4. Italia dei Valori e SEL rischiano di scomparire senza un apparentamento che ne salvi le percentuali e ne garantisca i candidati;
  5. Grillo e M5S sono sempre lì, intorno od oltre il 15% dei consensi.

Pertanto, sarà difficile vedere un governo Monti, come risultato delle prossime elezioni, ed, ammesso che possa accadere, dovrà essere una compagine di ‘ampie convergenze’, meglio ancora se una Grosse Koalition, appoggiata da Alfano, Bersani e Casini come oggi, ma ben più determinanti di oggi.

Non è un caso che Mario Monti, ex salvatore della patria oggi su strade e per obiettivi ben più personali, ha già lasciato trapelare quale sarebbe la sua preferenza: “Io al Quirinale?: Vedremo se verrà chiesto”.

Sarà un caso che, quasi in simultanea, forse di rimando, Corrado Passera, uno dei pochi ministri montiani che non sembra cedere alle lusinghe dellapolitica, abbia a precisare: “lista di Monti, occasione persa Serviva un programma più coraggioso. Alla fine hanno vinto vecchie logiche di corrente.”

Secondo il ministro per le Infrastrutture, avremmo dovuto e dovremmo “incidere più in profondità sul costo vivo dell’apparato politico e amministrativo pubblico. Un esempio: un solo livello istituzionale e politico fra i Comuni e lo Stato centrale. Ripensamento totale di tutte le strutture intermedie, non solo le Province. Bilanci consolidati, certificati e confrontabili per ogni entità pubblica. Commissariamento, vero non finto, di ogni ente che non rispetta le regole; riduzione drastica di tutte le assemblee elettive locali e centrali. Si può fare molto, molto di più di quanto non si creda per migliorare il nostro federalismo. Le resistenze incontrate anche dal nostro governo sono state formidabili, veti a tutti i livelli, spesso eravamo circondati da sguardi divertiti e poco indulgenti dei dirigenti pubblici, ma quando si riusciva ad ottenere qualche risultato, l’effetto positivo era perfino contagioso. Nella pubblica amministrazione ci sono tanti talenti e persone fiere di servire lo Stato. Dobbiamo dare loro fiducia con il buon esempio.”

Intanto, come conferma Corrado Passera, con il nuovo governo Monti-Bersani-Berlusconi saremo ancora alle vecchie logiche di corrente, con l’alta dirigenza pubblica – quella scelta con lo spoil system e affatto inamovibile – che oppone ‘resistenze formidabili, veti a tutti i livelli, sguardi divertiti e poco indulgenti.

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I detrattori stranieri e la libera scelta degli italiani

12 Dic

I detrattori stranieri dell’Italia e della libera scelta degli italiani dovrebbero consultare più spesso l’ISTAT, ma basterebbe anche Wikipedia.

Non sanno che in Italia si spendono più soldi, tanti di più, per i costi della politica di una provincia di 100.000 abitanti, prevalentemente residenti in comuni al limite dei 5.000 abitanti, piuttosto che per una densa municipalità metropolitana con 400.000 abitanti. E non sanno, forse, che in alcune regioni e lungo la fascia appenninica gli abitanti son pochi ma i politici eletti sono, in proporzione, tanti.

Allo stesso modo, i nostri detrattori esteri non sembrano sapere che un sesto degli italiani vive in Lombardia e quasi un quinto ci lavora. Come non sembrano essersi accorti che una parte del PIL che ‘produce’ la Capitale, andrebbe sottratto e non aggiunto al PIL nazionale, visto che è da quello che attinge per servizi che dovrebbe dare (e spesso non da) al resto dell’Italia, che ‘serva di Roma Iddio la creò’. Non a caso Milano e Napoli hanno un basso peso sulle scelte nazionali decise a Roma.

Sempre dai dati, gli stranieri disinnamorati dell’Italia potrebbero accorgersi che il nostro agroalimentare proprio non va, se frutta quasi il 4% del PIL complessivo, specialmente se teniamo conto che le regioni e le province agroproduttive sono anche, spesso, quelle su cui dovrebbe abbattersi la mannaia del taglio dei costi della politica, di cui sopra, e delle ispezioni a contrasto dell’evasione fiscale e del lavoro nero.

Ci spieghino loro come possa funzionare un sistema così e ci spieghino anche perchè Mario Monti non l’abbia immediatamente ristrutturato e rioganizzato, intervenendo su Province, ex-municipalizzate, città metropolitane, leggi elettorali.

Sembrano così spaventati dalla inefficacia italiana, gli investitori esteri, ma, allora,  ci spieghino perchè Mario Monti non abbia messo al sicuro i conti, come aveva promesso, con una patrimoniale ed una riforma fiscale, invece di emettere un’enormità di titoli ad interessi svantaggiosi per l’Italia.

E che dire di Merkel ed Hollande, così afflitti dal ritorno di Berlusconi, ma dovrebbero anche spiegarci anche per quali cause questo accada, se non in conseguenza del flop politico del professor Monti e del flop delle Primarie del PD, che nonostante lo share televisivo RAI e SKY, hanno visto quasi dimezzarsi i partecipanti rispetto alla scorsa tornata.

O della Spagna che vuol convincere i suoi cittadini che la colpa è del ‘maldido Berlusconi’, che ha mandato a casa Mario Monti, ma, anche in questo caso, varrebbe la pena che ci spiegassero sia perchè la loro crisi la dovremmo pagare noi italiani, sia, soprattutto, se si siano mai chiesti se una grande nazione europea come la loro possa vivere di turismo, di movida e poco più, mentre si sorvola sull’invasione narco-camorristica nel sud della penisola iberica.

Qualcuno dice che gli italiani attendono un programma alla Hollande, con quel rigore e quella equità che Mario Monti non ha dimostrato nell’azione del suo governo, del resto formato da persone scelte da lui.
Un programma alla Hollande che il nostro Centrosinistra rifugge dal proporre e che le altre compagini minori non considerano affatto.

E se fosse proprio Silvio Berlusconi a presentarne uno così?

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Basta populismo, basta sprovveduti

12 Dic

Luca Cordero di Montezemolo, oggi leader di Italia Futura attacca il populismo e l’Italia del ’94 (quella di Berlusconi ma anche quella di Prodi) e dichiara: «Monti l’uomo giusto». Purtroppo, in parte si sbaglia, visto che Mario Monti non ha avuto neanche il tempismo politico di riformare le Province a furor di popolo, quando era un gioco da ragazzi.

Intanto, dalla Sinistra che sembrava avesse già vinto le elezioni dell’anno che verrà arrivano Bersani, con un (poco) rassicurante «Avremo numeri al Senato», e Vendola, che lancià la sua enensima fattwa su Casini, giusto per dimostrare che sinistre e governabilità sono due cose ben distinte e che per i cattolici è ancora tempo di diaspora.

Intanto, Le Figaro titola ‘La dipartita di Mario Monti preoccupa gli europei’ – ma affatto gli italiani, sarebbe da aggiungere – ed ABC lancia l’iperbolico strillo ‘La Spagna paga il caos italiano’, ribadito da El Pais che titola ‘La crisi politica italiana scuote i mercati e castiga la Spagna’. Politica, si noti bene, e non finanziaria come si racconta da noi.
Il ben informato Financial Times informa il mondo che ‘Monti è in trattativa per correre come Primo Ministro’ – cosa che i nostri media si affanano a smentire – ed in Sudafrica il deVolkskrant parla chiaro ed annuncia che ‘Il ritorno di Berlusconi spaventa gli investitori’, come altrettanto fa il Buenos Aires Herald che spiega che è ‘l’Europa (che) spinge per le riforme di Monti”. Non gli italiani.

Dunque, quello che apprendiamo dai media di paesi meglio posizionati del nostro nelle classifiche per la qualità dell’informazione è qualcosa di molto semplice:

  1. la crisi italiana è politica e non finanziaria e questo lo sapevamo anche noi italiani, prima che lo spread a reti unificate obnubilasse le nostre coscienze;
  2. il sovraccarico fiscale propinato da Mario Monti agli italiani ha anche lo scopo di sostenere l’Eurozona e la situazione spagnola
  3. gli investitori (potenziali speculatori e non benemeriti mecenati) temono il ritorno di Silvio Berlusconi
  4. i grandi poteri mondiali tifano per Mario Monti quasi che abbiano scopi diversi da quello di aiutare l’Italia a superare una crisi politica di cui Monti è ormai coprotagonista.

Una dimensione delle cose che trova conferma nell’atteggiamento tedesco.

Infatti, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, ha voluto precisare il governo tedesco non intende interferire negli affari interni italiani, essendo dell’opinione che “Né la Germania, né l’Europa sono la causa delle attuali difficoltà che attraversa l’Italia”.
Il problema, però, è che la cancelliera Angela Merkel interferisce, e come, se si dichiara “convinta che gli elettori italiani voteranno in modo tale da garantire che l’Italia resti sul cammino giusto”.
Se esiste un ‘cammino giusto’ quale è quello sbagliato? Restare, un invito a confermare l’attuale?

Dunque, se un uomo qualunque volesse avanzare dei dubbi, a leggere i titoli stranieri, potrebbe sentirsi legittimato. Potrebbe pensare che “lo spread è un imbroglio” ed esser fermamente convinto che “l’economia con Monti è solo peggiorata” o che le elezioni “sono state anticipate solo per colpa delle dimissioni anticipate di Monti”.

Del resto, è piuttosto astruso – sia per i comuni mortali sia per gli addetti ai lavori – focalizzare una crisi nazionale su un unico indicatore consistuito dal mero rapporto degli interessi sui nostri titoli rispetto a quelli sui bund tedeschi, il cosiddetto ‘spread’.

Specialmente, se si viene a sapere che Berlino aveva “ordinato a tutte le banche di vendere i buoni del Tesoro italiani, con 8-9 miliardi di vendita. Gli altri fondi hanno pensato: ‘Se la Germania vende, qualcosa ci sarà…’. E hanno ritenuto di chiedere un premio per un rischio teorico, a noi del 6%. La Germania ha approfittato di tutto questo e ha abbassato i tassi all’1%, mentre a noi importa che i nostri tassi sono aumentati del 2%, che in un anno sono 5 miliardi in più.”

Ragionando a mente fredda, qualcuno potrebbe anche convincersi che “tutto quello che è stato inventato sullo spread è un imbroglio usato per abbattere un governo e fargli perdere la maggioranza”.
Ragionando a mente fredda, si potrebbe anche mettere a fuoco che quel governo ci aveva portato in quella situazione, dopo aver ereditato una pesante situazione dal governo uscente, e che l’opposizione a quel governo per 3 anni e mezzo non s’è fatta sentire granchè.

Basta populismo: gli italiani non sono degli sprovveduti.

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Monti va(i) a casa

7 Dic

Ormai, dopo la presa di posizione del PdL al Senato, il Governo Monti è ufficialmente un governo di minoranza: il dl Sviluppo e il dl enti locali passano con poco più di un terzo dei voti dei senatori. Intanto, Angela Finocchiaro incalza con il “governo non ha più la fiducia delle Aule parlamentari. Monti salga al Quirinale” e Giorgio Napolitano chiede (o forse implora?): “Evitare fine precipitosa legislatura, non mandiamo tutto a picco”.

Al di là di alcuni dettagli – ad esempio, perchè Finocchiaro inviti Monti alle dimissioni mentre il suo partito lo sostiene oppure cosa starebbe mandando a picco il PdL e cosa, invece, hanno mandato già a picco i tecnici del governo – questa è la situazione e che lo spread o salga, con tutte le boutade degli ultimi 12 mesi, non interessa quasi più a nessuno.

Al di là di come andrà a finire, Silvio Berlusconi, con l’ennesima impuntatura, ha reso un prezioso servigio al Paese, dimostrando agli eufemisti del ‘si può fare’ che uno Stato lo si governa quando si ha almeno la metà più uno del Parlamento, quando almeno il 50% degli elettori non diffida profondamente del principale partito al potere ed, ammesso che i milioni di laccioli che la Casta ha superfetato a propria tutela, non possano tornare, questi, utili anche per bloccare la Casta nelle sue stesse pastoie.

Chi si illudeva di governare con il 30% è smentito.

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Lavoro, tasse, pensioni, previdenza: tutto da cambiare

3 Ott

La pressione fiscale in Italia è una delle più alte del mondo ed è una delle più anomale.

A partire dal sistema di accertamento e riscossione di tasse e tributi, che si perde in mille rivoli e che, come scopriamo riguardo ‘Tributi Italia’, vengono saccheggiati dai soliti furbastri della Casta oppure, come accaduto per Equitalia, degenerano in storie di mostruoso accanimento.

Per passare allo status dei lavoratori dipendenti e delle aziende che gli danno lavoro, dove la certezza dell’accertamento e la regolarità del prelievo fiscale non comportano premialità e sgravi, ma solo maggiore penalizzazione in un paese dove l’evasione fiscale si chiama mafia e lavoro nero e dove la falsa fatturazione sembra essere uno dei principali peccatucci della Politica.

Per finire ad una barca che può stare solo ferma in mezzo al guado, se 2/3 del gettito è dato da quel quinto di italiani che vivono nel lusso, nonostante- come detto sopra – i dipendenti siano presi tra l’incudine delle tasse ed il martello del lavoro.

Lavoro che in Italia è eccessivo per chi è occupato e scarso per chi non ce l’ha. Eccessivo negli orari, nelle mansioni e nell’età pensionabile. Scarso nelle opportunità, nei salari in entrata e nelle tutele contrattuali.

Dulcis in fundo, dato che al peggio non c’è mai fine, siamo il paese dove a fronte di elevati contributi previdenziali, la Sanità di alcune regioni, Lazio incluso, è tragicamente pessima e sprecona con centinaia di migliaia di malati cronici – sadicamente definiti ‘rari’ – che rinunciano alle cure per troppa burocrazia.

Tasse e tributi che prendono tante vie, poche utili al Paese e tante inutili, obsolete o sprecone, tra cui alcune fin troppo note. Parliamo della Casta della Pubblica Amministrazione e del Sistema Sanitario, delle pensioni d’annata e dei vitalizi, dei contributi all’agroalimentare che, però, produce solo il 3-4% del PIL, del financial drag superdefiscalizzato da parte delle banche e delle compagnie telefoniche, aeree ed energetiche.

Intanto, il ministro delle Politiche comunitarie, Enzo Moavero Milanesi promette che “nel 2013 già si vedranno importanti segnali di ripresa e che il 2014 e 2015 saranno anni di ripresa economica”.

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, però, è molto scettico: “non vediamo la ripresa. Salvo miglioramenti sarà verso fine 2013, ma per una vera ripresa faccio la firma per il 2015”.  E, non a caso, Susanna Camusso, Segretario Generale della Cgil,  lancia un monito da prendersi sul serio: “Questa riduzione al tema ‘lavorare di piu” che vedo fare da tutti quelli che hanno lanciato il tema della produttività senza porsi il tema dei suoi fattori strutturali, rischia di diventare per molti lavoratori anche offensiva, visto che siamo costretti a misurare le decine di milioni di ore di cig e a contare decine di migliaia di lavoratori in mobilità ai quali piacerebbe tanto poter lavorare e invece sono costretti all’inattività. Basta dunque “ricette facili” e “colpevolizzazione dei lavoratori”: “piuttosto le imprese, pubbliche e private, abbassino le retribuzioni ai grandi dirigenti e taglino le stock option.”

Almeno questa volta – anche i suoi detrattori e gli scettici dovranno ammetterlo – la CGIL ha ragione: da anni si taglia su tutto e da anni le prospettive occupazionali languono, mentre la produttività è aumentata.

E, non a caso, la ‘voce dispari’ del PD, Stefano Fassina, esperto di lavoro ed economia, richiama Mario Monti ai suoi doveri: “Chi ha responsabilità politiche ha il dovere dell’ottimismo. Tuttavia, diventa preoccupante chiudere gli occhi di fronte alla realtà come continua a fare il governo. L’Italia, come e più dell’euro-zona, è stretta in una spirale recessiva che, oltre rendere la disoccupazione e la chiusura di imprese sempre più drammatica, allontana gli obiettivi di finanza pubblica. Il debito pubblico nel 2013 sarà più elevato del 2012 e del 2011”.

Non resta altro che accettare il principio etico dell’equità ed incidere sui redditi di dirigenti e professionisti. Inclusi quelli già in pensione.

Tra l’altro, sono la classe dirigente attuale e quella già in pensione  – con le loro scelte errate od egoistiche – che ci stanno costringendo a raschiare il fondo del barile e non è pensabile che ci siano famiglie con bambini senza reddito, mentre un’orda di ultrasettantenni percepisce pensioni superiori ai 1.500 Euro al mese.

Qualcosa deve cambiare, se non vogliamo che il collante sociale e, soprattutto, generazionale venga del tutto a mancare.

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Mario Monti candidato Premier?

2 Ott

Mario Monti, per il bene dell’Italia, non deve candidarsi a Premier per le prossime Elezioni Politiche.

Non deve farlo per un essenziale motivo, al quale, incredibilmente, nessuno ha pensato finora.

Se Mario Monti  si candidasse, tutte le riforme attuate da una ‘grande maggioranza parlamentare’ diventerebbero in sol colpo ‘di destra’, ‘ultraliberiste’ ed ‘affamatrici del popolo’.

Nel caso, poi, che vincesse le elezioni nulla potrebbe impedire l’ira di esodati, malati, massaie, studenti, meridionali, disoccupati, precari eccetera. Nel caso le perdesse, sarebbe impossibile per il nuovo governo mantenere la barra del timone senza cassare tanti interventi di spending review e, soprattutto, sulle pensioni eliminando – ope legis – quelle d’annata ed  i vitalizi, che sostengono la Casta e che Elsa Fornero si è ben guardata dall’intaccare.

Altro potrebbe essere se Mario Monti si tenesse in disparte, pronto a sostenere un governo improntato alla sobrietà, alla crescita ed alla solidarietà, abbandonando al loro destino l’esercito di ‘salotti buoni’ che si è portato dietro al governo e che non sembra (salvo Cancellieri) abbiano concluso granchè.

Ma, allora, il Centrodestra non avrebbe un ‘candidato forte’ e rischieremmo di trovarci Renzi o Vendola come premier?

Beh, ci si poteva pensare prima a questo ‘finale’, piuttosto scontato, a fronte di un governo durato un anno che ha voluto salvare ‘tutte le banche a tutti i costi’ e, per non fare una patrimoniale od intaccare prebende acquisite, ha peccato di iniquità e di tecnicismo. A sinistra, ci sono anche Fassina, De Magistris, Tabacci, ma, essendo fuori dal coro, adesso è difficle proporli agli elettori in quattro e quattr’otto.

La frittata è fatta, qualcuno l’aveva detto in tempi non sospetti e non c’è tempo per rimediare, visto che, invece di smantellare la Casta e far emergere nuove leadership e nuovi metodi, questo Governo s’è forse più preoccupato – agenda alla mano – dell’Europa che dell’Italia.

Mario Monti non peggiori la situazione, dunque, dato che non è un politico nè sembra avere le doti necessaria, visti i ‘non risultati’ ottenuti finora.

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Spesa pubblica: due conti in croce

29 Giu

I dati forniti da SIOPE e diffusi mesi fa dall’Unione Province Italiane (link) descrivono la distribuzione della Spesa Pubblica italiana e forniscono – nell’estremo tentativo di salvare gli enti politici provinciali – un quadro alquanto desolante, per quanto relativo alla situazione generale, e fin troppo deludente per quanto inerente l’azione di governo esercitata da Mario Monti ed i suoi prescelti.

Infatti, mettendo in tabella i dati SIOPE-UPI sul 2011 insieme ai dati forniti dal Ministero dell’Interno e dal MIUR – riguardo le proprie spese (2010) – e dalle Regioni e Province – relativamente al numero dei consiglieri – ecco cosa ne viene fuori.

Dati che vanno letti considerando che un consigliere comunale del Comune di Sassari ci costa solo 13.338 Euro all’anno, trasferte e rimborsi inclusi. (leggi anche sui CdA, Lo scandalo degli Enti Strumentali)

Se questo è il costo dei cosiddetti ‘apparati’, ovvero dei consiglieri-parlamentari e dei rispettivi gruppi consiliari, non è che con la sommatoria – incompleta- della spesa pubblica si vada meglio.

Fatti salvi circa 11 miliardi di Euro spesi per il Ministero dell’Interno e palesemente insufficienti, non è chiaro per quali motivi l’Italia abbia una spesa per l’Amministrazione Centrale di quasi 200 miliardi a fronte di una spesa complessiva delle Amministrazioni locali di ‘soli’ 135 miliardi, in cui rientrano strade, porti, reti locali, ambiente eccetera.

Quanto ai due soli servizi (istruzione e sanità) dove Stato e Regioni hanno competenze condivise, i dati raccontano che per la scuola si spende troppo poco, mentre per la salute si spenda troppo e male.

Male non solo per i servizi scarsi o inutili che arrivano ai cittadini, ma soprattutto perchè, se le Regioni spendono tre volte tanto per ASL e ospedali di quanto spendano per tutto il resto, è presto spiegato il disastro italiano.

Infatti, con una sproporzione tale – in termini di volume finanziario e di bisogni dei cittadini da soddisfare – non è improbabile che non pochi consigli regionali siano ‘dominati’ da lobbies afferenti al settore sanitario, come non pochi scandali dimostrano, dalla Regione Puglia agli ospedali cattolici romani o milanesi.

D’altra parte, 116 miliardi di spesa sanitaria annui sono una cifra enorme che richiederebbe ben altro che una spending review, in questi tempi di crisi. Infatti, non saranno i 246.691 infermieri (10 mld di spesa annua?), i 46.510 medici di base ed 7.649 pediatri (altri 5-6 miliardi) coloro che inabissano la spesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Dei restanti 100 miliardi va cercata e chiesta ragione ai medici ospedalieri ed ai consigli di amministrazione delle ASL, non ad altri.

Sarebbe interessante sapere anche perchè quei 300 miliardi di previdenza siano congelati nelle casse dello Stato, anzichè diventare denaro circolante, con un sistema di previdenza privata sotto controllo pubblico come in Germania.

Come anche, ritornando alle ‘spese dell’Amministrazione Centrale’ per 182 sonanti miliardi di euro, sarebbe bello sapere in cosa consistano, visto che i beni monumentali languono e le infrastrutture attendono.

Sarebbe importante sapere, anche e soprattutto nell’interesse di Roma Capitale, quanta parte di questi miliardi siano andati a costituire lo strabiliante PIL che per anni fu vanto di Walter Veltroni e delle sue giunte e di cui, da che c’è crisi, non sembra esserci più l’ombra. Ma questa è un’altra storia.

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