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Il Centroitalia in stato di calamità

12 Feb

L’Appennino centromeridionale è sommerso dalla neve.
Come al Passo del Furlo, dove si combatte da almeno una settimana contro una bufera ignorata dai media, oppure per le centinaia di persone sfollate dalle piccole frazioni della Romagna.

O come nell’Avellinese dove, oltre agli sgomberi di edifici,  l’accumulo di neve sui tetti ne ha messo a rischio la staticità e le strade del centro sono transennate per la caduta delle grandi lastre di ghiaccio, che si staccano dai tetti e dai balconi, con tantissime auto danneggiate.
Inoltre, almeno una ventina di comuni dell’Alta Irpinia sono senza acqua, a causa di un black out verificatosi agli impianti dell’Acquedotto Pugliese, e nella stessa situazione sono i comuni di Aquilonia, Bisaccia, Lacedonia, Monteverde, Cairano.
Praticamente isolata l’Irpinia, dove sono chiuse molte strade che servono a collegare i centri della Valle Peligna, dell’Alto Sangro,  Pescina, Villetta Barrea, Opi, Scanno, Anversa degli Abruzzi, S. Donato val di Comino (Frosinone).

Anche la Toscana ha i suoi problemi e risultano semi-isolati Gamberaldi, Lutirano, Campigno, Firenzuola, Vacchiella, Eremo Santa Maria, Greta. Mugello è semi-isolato e problemi seri si riscontrano anche a Palazzuolo. In provincia di Pistoia, ma non solo, a causa del congelamento delle tubazioni, alcune aree montane sono senz’acqua potabile.

Nel Teramano, dove la situazione è particolarmente critica, intere frazioni sono rimaste sepolte dalla neve, che è caduta ininterrottamente per circa 24 ore.
Nelle provincie di Pesaro e Urbino nevica quasi ininterrottamente dal 3 febbraio scorso e “la situazione è drammatica”, specialmente a  Mercatino Conca, Sassofeltrio, Monte Cerignone e Montegrimano, con più di 3 metri di neve nell`entroterra.
Addirittura, Urbino ha rischiato di restare isolata e la situazione è piuttosto critica nelle frazioni più periferiche di Umbertide, Preggio, Olivello, Racchiusole, Caicocci, Santa Lucia Castelvecchio, Sant’Anna e Spedalicchio.

Anche Chieti, Francavilla al Mare, Cappelle sul Tavo e Spoltore, in Abruzzo, sono senz’acqua a causa del gelo delle sorgenti e delle riduzioni di portata dell’acquedotto. E nella sola Regione Lazio, si contano ben 150.000 utenze dell’Enel distaccate per il freddo con effetti sulla telefonia, fissa e mobile.

Questa è una breve ed incompleta lista dei luoghi dove neve, vento e ghiaccio hanno raggiunto l’entità di “evento calamitoso”.

Una lunga lista alla quale va aggiunto che il blocco dei mezzi pesanti, l’impercorribilità delle strade e le enormi difficoltà per raggiungere le aziende agricole hanno fatto crollare del 40 per cento le consegne dei prodotti alimentari freschi (frutta, verdura, carne, latte, latticini, uova) dalle campagne ai mercati all’ingrosso rispetto al quantitativo medio abituale.
E che, le nevicate hanno danneggiato le colture d’olivo – appena potate – e portato i consumi energetici (ed i costi) dei vivai e delle serre alle stelle.

Oppure, ancora, che sono milioni e milioni le ore di lavoro perdute e saranno di miliardi le spese che l’Italia ed i singoli italiani dovranno affrontare per ripristinare le zone e le cose disastrate e per intervenire, soprattutto, contro il dissesto idrogeologico ed il degrado infrastrutturale, che incombe sulla sicurezza dei cittadini e delle imprese.

Un governo “iniquo” – vedi George Walker Bush a New Orleans – “non commenta” e manda l’esercito … un governo “equo” avrebbe già fatto la sua parte attivando – e sostenendo finanziariamente – le reti di solidarietà sociale e civile.

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Equità: una questione di stile, ma anche di cittadinanza.

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Cedere le Terre di Stato: una bella idea da verificare

22 Ott

Si inizia a parlare, finalmente, di agricoltura. Si parte dalle cosiddette “terre di Stato”, ovvero dei 338.127,51 ettari di terreno coltivabile, in termini tecnici Sau, che attualmente sono di proprietà dello Stato e sono sottoutilizzati.

“La Coldiretti ha presentato una proposta: vendete questa terra ai contadini, servirà anche a permettere l’accesso alle campagne a nuovi agricoltori, soprattutto giovani. E lo Stato, in cambio, incasserebbe una bella cifra: 6 miliardi e 221 milioni di euro.”

Lo riporta La Repubblica, confermando, stranamente sottolineature,  il “si può fare” del ministro Romano, proprio quello quello indagato per mafia, che passando dall’opposizione al PdL salvò Berlusconi tempo fa. Strano vero?

350mila ettari ceduti ad imprese in grado di investire ed essere produttive per di difendere l’occupazione ed il made in Italy o dispersi tra una miriade (centomila o quanti?) di “contadini”, “nuovi agricoltori”, “soprattutto giovani” che vivranno di sussidi e marachelle in balia dei soliti prepotenti?

L’idea di “incassare 6 miliardi e rotti di Euro” è allettante per l’Italia e per l’Europa, ma siamo sicuri che il “sistema agroalimentare”, nel tempo, non ci verrebbe a costare di più, se la cessione dovesse attuarsi senza intervenire complessivamente sull’agricoltura, sulle aziende agricole e sui sussidi, sulle leggi che normano il settore, sul necessario protezionismo che l’UE dovrà attuare a fronte di un’enorme immissione sul mercato di terreni coltivabili?

Quali aiuti ed incentivi risulteranno “sani” e quali “perversi”? Come reagiranno i mercati ed i prezzi? Quali studi di settore? Oppure ritorneremo alla mera sussistenza col pretesto di “aiutare i giovani”? Ed il rischio del riciclaggio e delle mafie?

Le prospettive, infatti, possono essere piuttosto lusinghiere od affatto, a seconda di quale impianto normativo dovesse accogliere, strutturare e rilanciare l’ingigantito sistema agroalimentare italiano che, a dire il vero, aspetta ancora le riforme promesse da Garibaldi per sollevare i Siciliani.

Basti dire che, oggi, l’agricoltura contribuisce al PIL nazionale per il solo 4% e che, con l’attuale livello di produttività, liberare 350.000 ettari significherebbe creare un ulteriore esercito di sussidiati e di sfruttati, dalle quote latte alle coop, ai consorzi ed alle “aziende familiari”, dai mercati all’ingrosso al lavoro nero dei migranti ed il caporalato.

Si pensi, ad esempio, ad una famiglia di un piccolo proprietario di 20 ettari coltivabili, che ne affitta la parte eccedente a quella per rientrare nei limiti della conduzione familiare per poi incassare ogni genere di sussidio … coltivando poco e nulla di quello che possiede. Oppure alle Coop, che a vedere l’elenco dei soci si capisce subito di trovarsi dinanzi ad una azienda di famiglia di medie dimensioni. Od, infine, alla frutta che troviamo ormai in tutti i supermercati, che è stata palesemente colta ben prima della completa maturazione e non se ne spiega il motivo, se non in una pessima distribuzione, visto che i campi da cui proviene sono spesso a meno di duecento chilometri. Per non parlare di quanto ci costano le calamità naturali a causa della scarsa consutudine a stipulare polizze assicurative. Sono tutti elementi che strutture come il MEF, Bankitalia o ISTAT, ma anche l’UE, possono, anche celermente, misurare o comunque stimare, sempre che non ne siano già in possesso.

La cessione delle terre di Stato è talmente massiva da richiedere una propedeutica riforma del sistema agroalimentare italiano.

Il modello a cui far riferimento, almeno in termini di mercato, è quello californiano, con coltivazioni al possibile estensive e sempre di buona qualità, strutture aziendali fortemente finalizzate al marketing e leggi che facilitano, ad esempio, i permessi da frontalieri per i messicani che lavorano nei campi.

La proposta di Coldiretti va ri-letta, dunque, in un’ottica che faciliti la concentrazione sia per una migliore produttività delle coltivazioni o per ottenere una maggiore e più stabile penetrazione nei marcati esteri, sia per avere quella forza contrattuale necessaria per contrastare le lobby che controllano i mercati logistici e per riassorbire i danni di calamità e crisi di mercato.

Quanto alla cessione delle “terre di Stato”, è opportuno che si obblighino  i privati ad investire in funzione degli incentivi statali ottenuti e che i controlli siano rigidi, se si vuole evitare non solo lo spadroneggiare delle mafie , gli sgravi per le holding cooperative od il sacco dei sussidi per l’agricoltura, per non parlare di potenziali nuove cementificazioni, ma soprattutto evitare lo sfruttamento di giovani ed immigrati, che possono essere tutelati solo da una norma che reintroduca la mezzadria, semplifichi i contratti “a giornata” e democratizzi associazioni, consorzi e sindacati.

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