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Il solito scandalo dei finanziamenti pubblici al cinema italiano

27 Dic

La Direzione Generale per il Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, come recita il sito istituzionale, “è stata istituita nel maggio del 2001, quando – a seguito della riforma del Ministero per i Beni e le Attività culturali – ha ereditato, insieme alla direzione generale per lo Spettacolo dal vivo funzioni e competenze del dipartimento dello Spettacolo. Il Cinema italiano ha avuto, così, per la prima volta una specifica struttura operativa di riferimento.”
“Il mandato istituzionale della Direzione generale per il Cinema consiste nella promozione, sviluppo e diffusione del cinema italiano e dell’industria cinematografica nazionale.

colpi-di-fortuna

Cinema italiano che vede, oggi, il suo ‘prodotto di punta’ in “Colpi di fortuna” di Neri Parenti, un cinepanettone di Aurelio De Laurentis, e – ‘a ribadire’ – ecco quali ‘fortunati’ troviamo nelle delibere del 9 dicembre (link)riguardanti i progetti di lungometraggio presentati rispettivamentre entro il 31 maggio e il 30 settembre 2013” di “interesse culturale” per l’Italia e gli italiani.

  • Paolo e Vittorio Taviani – “Meraviglioso Boccaccio” – 1.000.000
  • Matteo Garrone – “Il racconto dei racconti”    1.000.000
  • Ferzan Ozpetek – “Allacciate le cinture” – 900.000
  • Ermanno Olmi – “Cumm’è bella ‘a montagna stanotte” – 800.000
  • Francesca Archibugi – “Il nome del figlio” – 500.000
  • Michele Placido – “La scelta” – 400.000
  • Cristina Comencini – “Latin lover” – 400.000
  • Marco Bellocchio – “La prigione di Bobbio” – 400.000
  • Abel Ferrara – “Pasolini” – 350.000
  • Gautam Ghose – “Lala – Incontro a Bombay” – 350.000
  • Carlo Verdone – “Sotto a una buona stella” – 300.000
  • Saverio Costanzo – “Hungry Hearts” – 250.000
  • Gianni Di Gregorio – “Buoni a nulla” – 250.000

Secondo la Direzione Generale per il Cinema sono risultati di ‘interesse culturale’, ma senza contributo, anche i film:

  • “Margherita” di Nanni Moretti
  • “Sapore di te” di Carlo Vanzina
  • “Un matrimonio” da favola di Enrico Vanzina
  • “Un boss in salotto” di Luca Miniero
  • “Indovina chi viene a Natale?” di Fausto Brizzi
  • “Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese
  • “Soap opera” di Alessandro Genovesi
  • “E fuori nevica” di Vincenzo Salemme

Sola menzione di ‘interesse culturale’ per le opere prime di Diego Bianchi, alias Zoro, per “Arance e martello” e – incredibile ma vero – Walter Veltroni per “Quando c’era Berlinguer”.

A differenza di quelle di Vanzina, Salemme e gli altri, ben diciotto opere sono state ritenute “non in possesso dei requisiti” per il riconoscimento dell’interesse culturale. Quelle dei registi  Davide Barletti e Lorenzo Conte (Fluid Video Crew), Antonio Capuano, Anna di Francisca, Angelo Orlando, Giancarlo Bocchi, Marina Spada, Enrico Lando, Pierfrancesco Campanella, Stefano Calvagna, Andrea Barzini, Sabina Guzzanti, Asia Argento, Isabella Sandri, Davide Marengo,  Alessandro Piva, Rodolfo Bisatti, Giorgio Serafini, Ago Panini.

Utile sapere che la corsa ad ottenere la qualifica di ‘interesse culturale‘ è probabilmente data dall’automatismo che prevede che a questi film venga poi attribuita anche la qualifica «d’essai» in base al Decreto Legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004.

Lo stesso decreto assegna un contributo alle ‘sale d’essai’ – ovvero quella “sala cinematografica il cui titolare, con propria dichiarazione, si impegna, per un periodo non inferiore a due anni, a proiettare film d’essai ed equiparati per almeno il 70% dei giorni di effettiva programmazione cinematografica annuale”.
Gli ultimi dati ufficiali (2010) resi noti dalla Direzione Generale per il Cinema dichiarano una spesa ‘folle’ di 2 milioni di euro per le ‘sale d’essai’, che, divisi tra 871 sale, fanno ‘ben’ 2.290 euro anni di contributo medio per ogni sala che, intanto, ha proiettato i film di sicuro interesse culturale di cui sopra …

Considerato che Costanza Quatriglio, autrice del docufilm “Terramatta” nel 2012, ha ricevuto nel 2013 100.000 euro per “87 ore”, il suo nuovo lavoro, e che almeno altrettanto poteva essere dato anche alla ventina di esclusi, non resta che chiedersi quanti giovani registi avremmo potuto finanziare nel 2013 con i contributi milionari assegnati a Ozpetec, Olmi e quant’altri, che dovrebbero essere già ben inseriti nell’industria cinematografica per aver bisogno di contributi statali.
Dovrebbero …

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ZERO ORE, una storia di de-sviluppo

13 Gen

ZERO ORE è la storia del Gruppo Calzaturiero Adelchi o, meglio, il triste finale.

Una fabbrica nata, quasi per scommessa, in un piccolo cinema della provincia di Lecce e trasformatasi nel giro di 10 anni in un industria da 300.000 paia di scarpe a settimana, grazie soprattutto alla solerzia del personale.
Uomini e donne del Sud, pugliesi, anzi leccesi che avevano coltivato il “sogno” del Made in Italy, “infranto sotto i colpi della speculazione e della delocalizzazione selvaggia”, come scrive il regista Davide Barletti dei Fluid Video Crew, che sta realizzando il documentario, raccontando quel poco o tanto che è rimasto nella memoria collettiva di chi c’era. Di chi credette, investendo la propria esistenza, nel rinascere della tradizione manifatturiera del Sud, in un contesto globale di pari opportunità di accesso ai mercati.

ZERO ORE è la storia di 800 famiglie alle quali, a partire dal 2006, è stato progressivamente cancellato un futuro lavorativo e con quello la dignità.

Va precisato che il Calzaturificio Adelchi era un’azienda sana e sostanzialmente competitiva, finchè il titolare dell’impresa non decise delocalizzare all’estero la produzione privando Tricase della principale attività produttiva, come anche accadeva a Casarano per il calzaturificio Filanto.

Alcuni sindacalisti del luogo denunciarono la cosa, allorchè iniziò lo stillicidio, segnalando l’ignobile trattamento dei lavoratori albanesi, bengalesi, etiopi, rumeni, che in alune località accettano compensi giornalieri di 0,70 Euro, con una sicurezza scarsa se non nulla, come dimostrerebbe la morte di due operai “delocalizzati” in Albania, Antonio Cazzato ed Ippazio Magno.

E’ evidente che, senza le facilities di un paese avanzato come l’Italia e la qualificazione artigiana dei leccesi, l’impreditore Adelchi non avrebbe potuto realizzare i profitti che gli hanno permesso di espandersi, prima, e, poi, di delocalizzare.

La sua ricchezza è frutto, in minor parte, della sua capacità di arricchirsi, ma, per la componente rilevante, è nata e si è consolidata grazie al contesto italiano e, localmente, leccese.

Ad eccezione di quanto il dott. Adelchi versi al fisco italiano, cosa resta all’Italia dell’impresa “calzaturificio”, su cui tutti noi italiani avevamo, più o meno direttamente, investito?

Quella del Calzaturificio Adelchi è una storia di de-sviluppo, in cui un territorio viene prima industrializzato e fornito logisticamente, per poi riportare il tutto – appena si è lucrato abbastanza per consentire una conveniente espansione extranazionale – al bracciantato ed al sia arrangi chi può.

Quando si deciderà lo Stato Italiano – con opportune leggi – a difendere i propri interessi traditi, i magri investimenti da non sprecare e le modeste promesse, assolutamente da non tradire?
… non stiamo parlando di “fughe di capitali”, funzionali ad un certo sistema speculativo, ma di “fughe di posti di lavoro”. Può una democrazia liberale permettersi un tal genere di “deformazione”?

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Fine pena? Mai, anzi, riapriamo l’Asinara

27 Mar

M_ac6575a57fb54949cc10301c20d247a9Il Tempo del 23 marzo scorso riporta un’interessante notizia, che ci da tutto lo spessore di un grave fenomeno:

“La criminalità organizzata scende in campo per il voto del 13 aprile.


E lo fa apertamente attraverso esponenti di rilievo che hanno affidato a un volantino-proclama la loro scelta politica.

Una propaganda che arriva dal carcere.

«Indirizziamo i voti dei nostri familiari per quel partito o schieramento che ha messo nei primi posti della sua attenzione il problema del carcere…. per l’uscita del nuovo codice e per l’abolizione del regime di tortura 41 bis»

Ventotto righe per invitare i detenuti, che non hanno diritto di voto, a fare pubblicità presso parenti e amici per dare la loro preferenza a quei «partiti che hanno parlamentari che visitano spesso le prigioni».

E ancora «facciamo votare i partiti che sono favorevoli all’abolizione dell’ergastolo,
all’emanazione del codice penale e a una pena rieducativa».

La firma in calce è «Gli ergastolani in lotta  di Spoleto»”

La lettera è stata spedita dal carcere di Spoleto da Giovanni Spada, pugliese, boss della Sacra corona unita in regime di alta sicurezza ed intercettata a Rebibbia , dove il destinatario era Angelo Tornese, anche lui della Sacra Corona Unita, sottoposto a regime 41 bis.

Solo grazie alla censura, applicata per il 41bis e non per il regime di alta sicurezza, si è potuta scoprire la “cospirazione”.

Scrive Maurizio Piccirilli che: “I detenuti di Spoleto sono da tempo molto attivi nell’impegno «politico». Molti gli incontri con esponenti parlamentari autorizzati alle visite in carcere. Soprattutto di estrema sinistra. E infatti l’invito al voto è quanto mai esplicito: «Facciamo votare Sinistra critica e Sinistra Arcobaleno».

E’ un caso che i due partiti menzionati sono gli unici che non hanno votato le modifiche al regime carcerario speciale? Qualcuno si prenderà la briga di monitorare il voto in Puglia?