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Droga, decine di migliaia di detenzioni incostituzionali

13 Feb

Il 21 febbraio 2006 veniva introdotta la Legge Fini-Giovanardi,  che prevedeva l’inasprimento delle sanzioni relative a condotte di produzione e detenzione illecita  – anche solo a scopo personale – nonchè di uso di sostanze stupefacenti  e introduceva la contestuale abolizione di ogni distinzione tra droghe leggere, quali la cannabis, e droghe pesanti, quali eroina o cocaina.

Da allora sono trascorsi ben sette anni, durante i quali le patrie galere hanno accolto decine di migliaia di detenuti all’anno perchè in possesso di modiche quantità di droga.

“Nel 2012 gli ingressi per semplice detenzione sono stati oltre 19mila, mentre quelli colpiti dal ben più grave articolo 74 si sono limitati a 250.” (La Repubblica) “Solo 761 detenuti sul totale sono in galera per reati gravi quali l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.” (L’Espresso)

Ieri,  la Corte costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 73 (detenzione di sostanze stupefacenti) per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione.

Oggi, prendiamo atto che nei 2.5oo giorni trascorsi da quel febbraio 2006 sono stati indagate, sanzionate, condannate, detenute incostituzionalmente (ndr. illegalmente?) – nelle notorie condizioni disumane – decine e decine di migliaia di persone, incluso un bel tot di adoloscenti con lo spinello e di ultrasessantenni della beat-pop generation, tra cui qualcuno che in carcere c’è morto.

E domani, forse, scopriremo che lo Stato (ndr. cioè noi con le nostre tasse) dovrà pagare i danni ai diretti interessati, se vorranno e potranno far ricorso, dopo aver speso – questo è certo – un’ira di dio in carceri e sanzioni UE, distogliendo le forze dell’ordine da altri compiti e vedendo incrementare – anche grazie ad un proibizionismo ‘old style’ – il consumo di droghe e, specialmente, di cocaina.

Inutilmente ed incostituzionalmente.

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M5S a convegno per governare?

4 Mar

Non era difficile non dare per scontato che centonove deputati e cinquantaquattro senatori avessero bisogno di un «conclave» del neonato Movimento Cinque Stelle, per decidere insieme le strategie ed i margini di accordo che vogliono attuare in Parlamento e, innanzitutto, la governabilità.

Altrettanto facile immaginare che la Premiata Ditta Grillo & Casaleggio si faccia scippare ‘al mercato delle vacche’ quelle due dozzine circa di senatori che mancano al Partito Democratico per governare.

Nel ‘conclave’ dei parlamentari del M5S, verranno chiarite anche alcune questioni essenziali, sulle quali non loro, ma gli italiani tutti stanno facendo una gran confusione.

La richiesta da parte di Grillo di un governo di minoranza senza una fiducia preventiva che contratta, di volta in volta, l’appoggio su singole leggi porrebbe inevitabilmente l’Italia in balia del Parlamento e delle Lobbies.

Anche se Bersani intima a Grillo: «Decida cosa fare o tutti a casa», il caso del capo dello Stato in scadenza – “semestre bianco” – impedisce che egli sciolga subito le Camere.

Come probabilmente sperano i sostenitori di Mario Monti, una prosecuzione “a tempo” del mandato presidenziale al Quirinale non rientra nei ‘parametri’ previsti dalla Costituzione.

Malgrado quanto sostenuto da una parte della Sinistra, nonostante il Procellum, spetta solo al Presidente della Repubblica, e solo a lui, scegliere in piena autonomia, al termine delle consultazioni, a chi affidare l’incarico per formare il governo.

Dunque, esistono solo due strade.

La prima via – quella che comunemente è chiamato ‘governo tecnico per le riforme’ – è quella che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quelli ‘tecnici’ guidati da Dini e Amato per traghettare il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con le autonomie locali riformate.
Nella sostanza è quello che sta chiedendo – con poca chiarezza – Beppe Grillo e che, ragionevolmente, chiederà il Movimento Cinque Stelle di Casaleggio.

Il secondo percorso – quello che comunemente è chiamato ‘governissimo’ -è quello che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quello guidato da un ‘tecnico’ come Mario Monti per salvare il sistema finanziario italiano, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con il Welfare riformato.
Nella sostanza è quello che serve alla Seconda Repubblica per guadagnare qualche anno di vita ed avere il tempo, secondo loro, di lavorarsi ai fianchi il movimento dei Grillini.

In tutto ciò, c’è da insediare il Parlamento ed eleggere, anche con una certa rapidità, sia i Presidenti della Camera e del Senato, si individuare i candidati alla presidenza della Repubblica e darsene uno.

Dunque, che Bersani la smetta di portar fretta, che non ce ne è se non per lui, che, a breve, dovrà rendere ragione ai suoi sodali di partito in ordine all’ennesima cantonata presa e conseguente bastosta incassata, illudendosi di governare con il 33% ed un voto.

Tanto, finchè non si eleggerà ed insedierà il nuovo Presidente della Repubblica, c’è il Governo Monti per ‘l’ordinaria amministrazione’ e per la buona pace di banche, governi esteri e mercati vari.

Il Movimento Cinque Stelle è a convegno ed è la loro prima prova del nove. Avranno idee, condivisione e lungimiranza per resistere al canto delle sirene democratiche-democristiane? Riusciranno a stendere un decalogo delle priorità e delle negoziabilità, con cui sostenere un governo di programma per le riforme?
Probabilmente si, ma lo sapremo tra due giorni soltanto.

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Governabilità, ma come?

27 Feb

I dati elettorali e lo stallo parlamentare sono sotto gli occhi di tutti, il mondo della politica è sgomento, i cittadini un po’ meno, M5S ha annunciato che voteranno le leggi che ritengono giuste, all’estero pazientano. Allo stesso tempo, la Lega è egemone nelle tre regioni che contano (Piemonte, Lomnbardia E Veneto), mentre la Puglia e la Campania hanno abbandonato Vendola e De Magistris.

Già questo dato dovrebbe darci una chiave di lettura della exit strategy in cui dovrebbero dedicarsi il Quirinale ed il sistema partitico, salvo apporti ed interferenze da parte del sistema giudiziario e dai media, cui siamo notoriamente avezzi.

Il PD con SEL ha alla Camera più o meno gli stessi voti del PdL-Lega e del M5S, grazie ad una legge iniqua a dire di tutti, il Porcellum, ha, però, la maggioranza assoluta. Rivendicare una primazia o, addirittura, una sorta di diritto a governare è un atto classificabile – agli occhi di un elettore che badi alle regole ed non solo alla fazione – come un enorme atto di arroganza.
Per giunta, proponendo al M5S un abbraccio suicida per non pochi motivi, visto che tra ‘ruggine storica’ e ‘pastoie governative’ Beppe Grillo rischierebbe di perdere un’enorme massa di consensi nel giro di pochi mesi da un elettorato che aborrisce il consociativismo, i capibastone, le scuderie eccetera eccetera.

Inoltre, c’è la disponibilità già dichiarata dei Grillini ad operare nel pieno, vero mandato cui ogni parlamentare dovrebbe adempiere: votare le leggi secondo coscienza.
Questo significa che esiste ampio spazio per un governo di minoranza.

Certo, in politica mai dire mai, ma la via del governo di minoranza è la prima balzata gli occhi, dato che l’abbraccio di Bersani con il Giaguaro Berlusconi è improponibile agli elettori di sinistra, come è impensabile un Mario Monti premier con un Scelta per l’Italia che è ‘quasi’ l’UDC ma ‘non è l’UDC’ e con la carenza di carisma e di opportunità politica dimostrate in quest’anno.
E’ però improponibile anche che il PdL sostenga un governo di minoranza guidato da Bersani: una comprensibilissima questione di principio.

Ed, allora, non resta che Casini, che a guardarlo bene, ha tutte le caratteristiche per assolvere alle funzioni di un Premier di minoranza o di un governo a termine, che abbia i poteri di programma e non solo tecnici, onde intervenire su alcuni aspetti costituzionali.
Le caratteristiche così ‘rare’ sono quelle di non essere sgradito all’elettorato di sinistra, non incassa troppa ostilità dal PdL, fa parte della compagine montiana, così rassicurante per i ‘mercati’, ha interesse a riformare la legge elettorale, conosce a menadito i regolamenti parlamentari, conosce molto bene vezzi e difetti di tanti suoi colleghi.
I limiti sono quelli noti: non aver mai dimostrato un carisma ‘non solo fotogenico’, non avere un gruppo di ‘cavalli di razza’ nel partito, essere indirettamente legato ad una certa ‘romanità’ di cui il cinema ha raccontato fatti e misfatti ed in tanti si è imparato a diffidare, essere additato dai Montiani come la causa del loro flop.

Ad ogni modo, Casini o non Casini ed acclarato che M5S non farà bieco ostruzionismo parlamentare, di alternative ad un governo di minoranza non sembra che se ne vedano all’orizzonte, salvo quella del Partito Democratico che forma un governo con SEL e Cinque Stelle. Ma, in tal caso, di quanto e per quanto saremo sballottolati, piallati, compressi, svalutati, massacrati, disfatti dai mercati e dalle diplomazie di mezzo mondo?
E chi si prende una responsabilità storica del genere? Pierluigi Bersani a cui, forse, il partito dovrebbe chiedere le dimissioni?

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Elezioni: gli errori dei sondaggisti

27 Feb

Quando Fini decurtò la maggioranza berlusconiana al Parlamento, era il caso di votare subito, come lo era votare l’estate scorsa, quando ‘i conti erano in sicurezza’ ed era ben chiara la memoria delle politiche tremontiane e non solo montiane, oltre ad un inquietante ricordo dei tesoretti mai esistiti e della fiscalità creativa dei governi prodiani.
Che andasse a finire così c’era da aspettarselo, chi si è illuso di governare con il 30% ha, adesso, la riprova di quanto fosse sbilenca la sua idea. Non solo per l’expolit di Beppe Grillo che si è potuto avvantaggiare una campagnia elettorale di Bersani. Anche la ripresa di Silvio Berlusconi era prevedibilissima.

Secondo Eugenio Scalfari, riferendosi a Silvio Berlusconi, certi elettori sono, purtroppo, ‘gonzi o furbi’, che corrono dietro ‘all’asino che vola’ o chiedono di entrare nella ‘clientela berlusconiana’.

In realtà, non è proprio così. Chi occupi seriamente di politica sa che la questione ‘meno tasse’ è essenziale per la propaganda. Persino Obama si è ben guardato in campagna elettorale di spiegare che all’incremento di tasse per i ricchi, sarebbe corrisposto un decremento degli sgravi per i ceti medi.
Berlusconi ha promesso meno tasse, Bersani è rimasto nel vago ed ha lasciato intendere a nuovi sacrifici.

Altra questione essenziale è quella della ‘spesa pubblica’, che si traduce commesse alle aziende e servizi ai cittadini, più lavoro e maggiore crescita, per la quale chi la attende vuole promesse chiare, magari poche, ma chiare. Berlusconi ha promesso il taglio dell’IRAP per le aziende, Bersani ha parlato di un piano di sostegno ed investimento industriale ed infrastrutturale, a carico delle (eventuali) risorse derivanti dalla lotta all’evasione.

Infine, la libertà nella propria proprietà, ovvero il diritto di modificare un proprio immobile senza troppi intoppi e con regole chiare, se lo si desidera o se si rende necessario.
Berlusconi ha promesso il ‘condono, che è una soluzione, indecente, ma soluzione, Bersani ha urlato ‘no al condono’, ma senza promettere semplificazioni e regolamenti comunali omogenei.

Era prevedibile che un bel tot di persone comuni decidesse di votare seguendo le questioni di maggiore appeal come accade in ogni luogo del mondo: tasse, lavoro, casa, investimenti. Viceversa, chi semima vento, raccoglie tempesta. Più che di un furbesco avvantaggiarsi di Berlusconi, sarebbe il caso di parlare, soprattutto, di grandi autogol di Bersani.

Ma il dato finale dei consensi era prevedibile anche per un altro, semplice motivo.
Il PdL era dato al 19% nella scorsa primavera, con la Lega sotto il 10%, mentre scoppiavano scandali e cadevano teste. La coalizione veltroniana, le scorse elezioni, non andò molto lontana dal 40% e senza Di Pietro è monca, guarda caso, di un’entità paragonabile.

Ovviamente, la storia dei consensi è trasmigratoria per eccellenza, ma quella dei grandi numeri no. Era prevedibilissimo un PdL+Lega al 29% ed un PD+SEL al 33%, come lo era supporre che larghissima parte degli ‘probabili’ astenuti si sarebbe rivolta al Movimento Cinque Stelle e non ai partiti ‘storici’.

Ilvo Diamanti spiegava, l’altra sera in televisione, che gli analisti avevano tenuto conto del dato che più si approssima il voto più gli indecisi si collocano su scelte che potremmo dire ‘moderate’, ‘affidabili’, ‘sagge’. Il punto è che più che un dato questa è una (mera) ipotesi, mentre i dati raccontavano ben altro.

Con una buona lettura della realtà, il Partito Democratico avrebbe perduto per strada Casini e/o Di Pietro, avrebbe investito su Mario Monti e sull’austerity ad oltranza, avrebbe temporeggiato sulla legge elettorale ‘che si vince anche col 30%’, avrebbe strutturato le liste superando le vecchie logiche di apparato democomunista? Avrebbe candidato Renzi?

Sempre a proposito di dati e di letture, come far emergere nei numeri la fotografia di un partito che è ‘da sempre’ al 30%, qualunque cosa accada, e che è ormai senz’anima perche troppe sono le anime che lo paralizzano.
Un partito che nasce da ‘l’importante è esserci’ – noto slogan degli Anni che furono – per cui oggi esiste, ai vertici come tra la base e tra gli elettori, un’anima demoliberale ed una postcomunista, una populista ed una socialdemocratica, una ambientalista ed una infrastrutturale, eccetera.

Dunque, l’ipotesi che si vorrebbe far passare, danneggiandoci pesantemente all’estero, è che l’Italia non è quella ‘giusta’, come campeggiava nei manifesti di Bersani, ci sono ‘gonzi e furbi’, come afferma Scalfari, dove gli abitanti sono bizarramente imprevedibili, come i flop di tante previsioni vorrebbero dimostrare a propria discolpa.
Oppure no. Non era l’Italia giusta.

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Tre, due, uno … eleggiamoli!

21 Feb

La Stampa - Shopping Elezioni 1

Siamo a tre giorni dalle elezioni ed il rancore popolare o la diffidenza della gente si sta trasformando da astensione a voto di protesta.

Giannino, stella mai nata del panorama parlamentare italiano, è knock out grazie ad un siluro lanciato da un italiano all’estero come Zingales, che di professione fa il professore come quelli che il buon Oscar, vero e colto self made man, ha beffato per anni con una piccola bugia, oggi diventata marachella imperdonabile.
Cose ordinarie in un paese che mette in carcere i ragazzini con lo spinello e prescrive noti ladri pubblici.

Come andranno a finire le elezioni, tra l’altro, lo sappiamo tutti e non ci vuole la Maga Circe o la Sibilla Cumana per fare ‘profezie’.

Il tutto inizierà con Bersani che annuncia ‘abbiamo vinto’. Probabilmente, avrà Rosy Bindi o Franceschini al fianco, forse Vendola o Renzi, il discorso è già scritto in 11 versioni differenti. Sarà colpa del Porcellum che nessuno ha riformato, ma già sappiamo che gli elettori ‘democratici’ sono avvisati che in prima fila troveremo (altro che primarie) i salvatori di province e piccoli comuni, di ospedali e aziende municipalizzate, di sistemi consortili e finto-volontaristici.

Dal PdL arriverà il fido Cicchitto, il Tallyerand della Seconda Repubblica, a spiegare che si ‘hanno vinto’, ma che senza il Berlusconi Partito non si governa neanche per un giorno senza finire in pasto ai ‘comunisti’, temuti – forse, anzi di sicuro – da Angela Merkel e Barak Obama. Intanto, sotto banco, ferveranno trattative e negozi, con colpi di mano e spostamenti di parlamentari, specie al Senato, dove Casini ha già annunciato la necessità della sua vigile ‘presenza’.

I Grillini per un bel tot staranno zitti su quello che conta, che cimentarsi con i regolamenti parlamentari comporta studio notturno, tanto tempo e grande fatica, salvo sbraitare all’inciucio su ogni tentativo di governabilità che dovesse verificarsi.
La Lega starà lì a guardare, pronta ad accettare soluzioni che le permettano definitivamente di liberarsi dall’immagine dei Bossi e dei Borghezio. Fratelli d’Italia è già pronto a far parte di una maggioranza di governa: è nato apposta con la Meloni, novella Le Pen, in testa.

Di Ingroia, poco o nulla si profila all’orizzonte, visto che – con De Magistris, Orlando e Di Pietro – non aveva altro da fare che lanciare il partito meridionalista, conquistando Campania, Sicilia e Puglia: gli errori di percorso si pagano molto cari. Se c’è una Destra che fa la destra, arriviamo a Storace, che potrebbe rivelarsi una piccola sorpresa.

Mario Monti, molto inopportunamente, non resisterà alla tentazione di ricordarci che ‘lui’ è senatore a vita e che senza di ‘lui’ l’Europa ci guarda di sbieco.

Come farà Giorgio Napoliano a conferirgli il mandato esplorativo per formare un governo senza un passo indietro di Bersani, resta un mistero. E altro mistero è come farà Monti a governare l’Italia, da premier politico e non tecnico, senza far imbestialire tutti qui da noi e deprimere tutti nell’Eurozona.

Governi possibili? Uno ed uno solo, lo si scrive da tempo: una Grosse Koalition senza Vendola, SEL ed il non-partito CGIL e senza Berlusconi e gli indagati del Centrodestra. Praticamente, la Democrazia Cristiana rediviva, con il PCI del 1966 alle porte, senza, però, nessuno dei talentuosi politici del Dopoguerra.

Facile a dirsi? Fantasie confermate o sconfessate nei prossimi giorni?
I soliti Italianer?

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Ad una settimana dal voto

18 Feb

Ad una settimana dal voto, il quadro politico italiano non manca di promettere (cattive) sorprese.

La Stampa - Shopping Elezioni 2occhiello tratto da una homepage di La Stampa

A partire da Barak Obama che si consulta sul futuro dell’Italia con l’unico di noi che futuro non ha: l’ottuagenario Giorgio Napolitano, di cui a breve si voterà l’avvicendamento. Misteri del sistema mediatico estero, che tira la volata gli antiberlusconiani? Forse. Intanto il Presidente della Repubblica, bontà sua, precisa “nessuna ingerenza sul voto, comportamento sempre impeccabile.”

Passando ad Oscar Giannino, che potrebbe superare il quorum tra le amiche mura lombarde, e portare, finalmente, un po’ di buon senso e cosmopolitismo tra le asfittiche mura delle nostre Camere, con una messe di parlamentari sufficiente a costruire un fare ed un futuro per l’Italia, quando ‘lorsignori’ ci lasceranno, finalmente, con le nostre macerie da ricostruire.

Od il Movimento Cinque Stelle che, ormai, sembra completamente fuori dal controllo del vate Beppe Grillo e che – molto prevedibilmente e con grande onta per i suoi elettori – si frammenterà e/o confluirà altrove, come tutti gli altri partiti ‘autoconvocati’ della Storia, alla prima bozza di programma di governo. Ipotesi alternativa: trovarsi con un sostanzioso aggregato di estrema sinistra (superiore al 20%) al Parlamento, con una ‘balena’ centrista al 40%. Praticamente, come ai tempi della Guerra Fredda, che, però, è finita da tempo, mentre nè Castro e nè Chavez godono di buona salute.

Del PdL c’è poco da dire, trascinato non si sa dove da un Silvio Berlusconi, che cura troppi interessi suoi per garantire anche quelli nostri. E dell’Alleanza Nazionale dei tempi che furono c’è ancor meno da dire, con Storace solitario a destra, La Russa, Gasparri e Meloni affratellati, mentre Gianfranco Fini è quasi all’estinzione. Quanto alla Lega, vedremo Maroni cosa riuscirà a portare a casa, non tanto per lo scandalo di Bossi, quanto per la concorrenza di Tremonti a Sondrio e di Gelmini a Bergamo.

Dicevamo di Oscar Giannino e del suo piacere nelle metropoli e tra i ceti acculturati post-sessantottini, finamo a parlare di Mario Monti, dei bei tempi che furono con i Beatles e la Humanae Gentium e del modesto contributo che darà ad una Scelta Civica per l’Italia che si presenta come montiana, ma in realtà sarà l’UDC e solo l’UDC, più un tot di volenterosi parrocci e qualche Club, con l’aggiunta di Fini, Baldassarri, Buongiorno e Della Vedova.

Se al Centro piove, andando a Sinistra grandina e nevica. Infatti, il quadro osservabile mostra una propaganda elettorale di sinistra, una proposta politica centro-populista, un effettivo apporto di voti ‘per Bersani’ dall’estrema sinistra, un consistente numero di eletti blindati (alla Camera) che arriveranno dalla fascia appenninica, demitiana e postcomunista. Si aggiunge un’inquietante visibilità per Rosy Bindi ed Ignazio Marino, proprio quando c’è da smontare e rimontare un sistema sanitario assurdo. Il tutto mentre D’Alema non si candida ma esiste, Renzi c’è ma è sparito dai media, Fassina con Monti sarà baruffa quotidiana e la CGIL che incombe sul futuro con il peso di un partito-ombra.

In due parole: stabilità e governabilità a rischio, mentre la Cleptocrazia guadagna mesi ed anni di linfa e vita e gli investimenti stranieri vengono – come da tradizione – gioco forza dirottati altrove.

Da un lato la vecchia Democrazia Cristiana, dall’altro il nuovo PCI, ormai ‘gruppettaro’ ad oltranza, in un Paese dove la Pubblica Amministrazione è ripiombata nel trasformismo e nell’opportunismo, grazie alla lentenzza dei processi, alla derubricazione dei falsi in bilancio e dei conflitti d’interessi, al monopolio politico-sindacale sulla previdenza sociale, allo strapotere della lobby dei ‘baroni’ universitari?

Sembra proprio di si.
Fini, Monti, Meloni, Chicchitto e Tabacci avrebbero potuto fare di meglio, riunendo in un solo ‘polo’ le anime liberali del Paese. Tanto, l’essere in minoranza era comunque assicurato e, comunque, era questo quello che chiedevano ‘i mercati’: essere l’ago della bilancia.

Se Obama cerca conferme da Giorgio Napolitano – ben sapendo che potrà solo nominare il futuro governo e poi pensionarsi – vuol dire che siamo messi male: non è solo il ritorno di Berlusconi, ma anche (e soprattutto?) il mantenimento di un centosinistra di ‘soliti noti con i soliti intenti effimeri e spreconi’ e l’affermarsi delle estreme fazioni come in Grecia, che solleva una densa (e cupa?) nebbia sul Paese del Sole.

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Silvio alla riscossa

8 Feb

Che Silvio Berlusconi sappia come si fa una campagna elettorale è un dato che i suoi antagonisti hanno imparato a temere da tempo, ma che riuscisse ancora oggi a ribaltare il tavolo ed attrarre il consenso dei diseredati, di sicuro non se lo aspettava nessuno.

Promettere la restituzione dell’IMU, non era cosa difficile, sapendo in anticipo che il trend delle riforme, nel breve periodo, sarà quello di rimodulare le competenze Stato-Regioni-Comuni.

Annunciare 4 milioni di posti di lavoro su un quinquennio, è un rischio calcolato, se intende riconvertire in posti di lavoro ‘solidali’ i soldi attualmente spesi in cassa integrazione e sussidi ai disoccupati.
Quanto ai milioni di italiani che vivono in povertà, la ricetta è ridurre le tasse per rilanciare la produzione e l’occupazione.

In realtà, la ricetta che propone Berlusconi è l’unica misura che potrebbe arrestare la spirale recessiva e che può dare ossigeno alle nostre imprese. Praticamente, una ricetta molto simile a quella che Obama sta cercando di imporre al Congresso negli Stati Uniti.

E, attenzione, da stamane Silvio Berlusconi, al Coffee Break di La7, ha chiarito che il suo avversario è Bersani ma non Monti ed ha iniziato a ricordare agli italiani che lui le sue riforme liberiste non le potè portare a termine proprio a causa di Fini e Casini, alleati degli ‘infidi’ comunisti.
Ha anche ricordato le riforme parlamentari che aveva in programma 5 o 10 anni fa, di cui avremmo oggettivamente avuto bisogno, per le quali non ha trovato l’appoggio di tutta la sua maggioranza. Riforme che riducevano il numero dei parlamentari e snellivano i vetusti regolamenti, che, approvate, con i 2/3 del Parlamento, belle o brutte che fossero, furono cassate da un referendum convocato dalle sinistre.

Impeccabile, poi, nel tirare fuori l’asso di picche della ‘magistratura corrotta, cancro dell’Italia’, a fronte dei migliaia di procedimenti dubiti da lui e dalle sue aziende, mentre nessuno si accorgeva di quello che stiamo scoprendo nelle banche, nelle troppe agenzie o aziende locali e nei corrispettivi consigli regionali, provinciali e comunali.

Vero, verosimile o veritiero che sia, it sounds good.

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Le certezze nei sondaggi

8 Feb

Arrivati all’ultimo sondaggio, scopriamo ‘solo ora’ due rischi piuttosto gravi che si profilano all’orizzonte: il pareggio al Senato e l’espansione del M5S. Infatti, secondo i dati pubblicati dal Corriere delal Sera elaborati da Mannheimer, il Centrosinistra sarebbe al 37%, il Centrodestra al 30%, i Montiani al 13%, M5S al 14%, Ingroia e Di Pietro al 4%, Oscar Giannino oltre il 4% in alcune regioni. Numeri simili, con una maggiore rimonta di Berlusconi, li leggiamo altrove.

Purtroppo, al Senato l’unica maggioranza ‘sicura’ con il Porcellum sia nella combinazione Centro più Centrodestra, lo sapevamo da anni. E, purtroppo, è esclusiva responsabilità del Partito Democratico che si stia andando a votare con questa legge, dato che qualunque altra avrebbe drasticamente ridotto il peso elettorale (ed il numero di onorevoli) di certe zone appenniniche e sub appenniniche.
Domani, con quello che raccontano i sondaggi, non ci resta che attendere accordi di ‘bassa macelleria’ tra PD e M5S od RC.

L’altro rischio è che, di questo passo, il Partito Democratico più Rivoluzione Civile più M5S arrivino al 55% dei consensi – od almeno al 45% – e che, con Monti non coalizzato con il PdL, è già certo che più di un terzo degli eletti saranno di estrema sinistra.

Dunque, aspettiamoci un Parlamento ed un Governo ben più controversi e traballanti dei due passaggi di Romano Prodi come primo ministro di maggioranze eterocomposite.

Inutile, persino, commentare – nel caso al Senato saranno necessarie alleanze con M5S e Rivoluzione Civile – quale potrà essere il ruolo di Monti, Fini e Casini in una maggioranza così composta: saranno presi nella morsa del Senato trasformato in una trincea e della Camera ‘okkupata’ da almeno un centinaio di attivisti, regolarmente eletti.

Dunque, se il ritorno di Silvio Berlusconi al governo turba i mercati ed il bon ton internazionale – oltre a rappresentarsi un anacronismo fattuale – la vittoria di Bersani rischia di trasformarsi nel peggiore incubo per i signori che tirano i cordoni della finanza e della politica che conta.

E non c’è bisogno dei sondaggi per sapere che, questa volta, proprio se vincessero le elezioni, gli ex ‘compagni delle Botteghe Oscure’ giocheranno la loro ultima partita agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, che non ha dimenticato i drammatici flop dei due Governi Prodi, la ‘sommossa elettorale’ – alle amministrative, dei cittadini esasperati dalle tasse e dagli sprechi – che costrinse D’Alema a dimettersi, la ‘del tutto errata’ riforma delle pensioni o la riforma del Titolo V della Costituzione del ‘patrimonialista’ Giuliano Amato, la malasanità colabrodo istituzionalizzata da Rosy Bindi.

E, all’epoca, c’erano ‘solo’ Ferrero, Visco, Bertinotti e Damiano a volere che i ‘ricchi piangano’. Figuriamoci domani. E figuriamoci cosa sarebbero le future elezioni e che ira popolare si dovrà affrontare, se accadesse – come si prefigura – una volatilizzazione del M5S, con i suoi eletti cooptati dai grandi apparati partitici nazionali.

Non serve attendere l’apertura delle urne, per prevedere che in un alleanza Monti-Bersani ‘la barca tirerà pesantemente a sinistra’. Leggiamoli bene i sondaggi, dando attenzione al quadro generale e non solo ai filacci degli inciuci possibili. Tra un mese avremo un parlamento composto per oltre la metà da eletti vogliono ridurre le tasse e non attuare politiche liberiste come Lega, PD, SEL, M5S, Rivoluzione Civile, Autonomie Meridionali, parte del PdL.

Ma questo, a meno che Mario Monti non si fosse messo in disparte o schierato con il Centrodestra, lo sapevamo già dall’anno scorso. Come sappiamo già che l’unica governabilità possibile è in una Grosse Ammucchiata simil-germanica, ma Mario Monti non sembra affatto avere nè la tempra nè il talento per realizzare questo goal. Quanti indecisi sarebbero attratti da un asse PdL-Montiani?

Mala tempora currunt.

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Monti va dal lato sbagliato?

23 Gen

Nel momento in cui Berlusconi annunciava ”resto in campo, ma non mi candido a premier” – era il 28 ottobre scorso – qualunque analista politico avrebbe preso atto del via libera ad un Mario Monti candidato del Centrodestra o del Centro e della Destra. Un’attesa che veniva ribadita il 14 dicembre, sempre da Silvio Berlusconi, quando sperava «che Monti possa sciogliere la riserva e accettare l’offerta, con lui potremmo vincere le elezioni».

Come sappiamo, Mario Monti scelse di correre con l’UDC, Montezemolo (n.d.r. Chi l’ha visto?) e l’anima ‘modernista’ di Alleanza Nazionale, ovvero Fini, Della Vedova e Baldassarri.

Va da se che il tentativo era (ed è ancora) quello di collocarsi come ‘ago della bilancia’ tra i due partiti maggiori e dar luogo ad una di quelle ‘ammucchiate’ che caratterizzarono la fine della Prima Repubblica, mentre la corruzione dilagava e di riforme neanche a parlarne.

Purtroppo, Supermario non è un deus della comunicazione pubblica e neanche della politica, ha anche i suoi oltre-settantanni, tende da sempre ad affidarsi a strade note piuttosto che ignote e così accade che, mentre da noi italioti si vagheggia il passato in nome della ‘così in voga’ Grosse Ammucchiata teutonica, la Merkel incassa una dura batosta nel NiederSachsen e nel giro di un paio di anni si vedrà l’effetto sulle amministrazioni locali del mezzo milione di giovani europei immigrati in Germania durante questo scorcio di crisia’
Eh già, perchè Grosse Koalition si traduce letteralmente “ammucchiata” e perchè, quando il socialista Schoereder, vincitore delle elezioni, cedette il podio ad Angela Merkel per guidare una coalizione di centrosinistra e centrodestra assieme, in Germania e non solo molti storsero il naso, parlando di ‘soluzione all’italiana’.

Ritornando al nostro sciagurato paese, resta il dato che l’alleanza Monti-Fini-Baldassarri-Casini è diametralmente opposta a Bersani-D’Alema-Fassina-Vendola: lo è sempre stata.
Un po’ come mettere zebre e somari nello stesso recinto, illudendosi che abbiano qualcosa in comune.

Sbaglia, dunque, Mario Monti nel suo tentativo di aggirare il ‘suggerimento’ che arriva da tutti i contesti internazionali, ovvero quello di candidarsi con il suo alleato naturale – il centrodestra – e dar battaglia a Berlusconi ‘dall’interno’ con i poteri di un premier e di una salda maggioranza.
In due parole, dimostrarsi all’altezza del ruolo politico cui è stato chiamato e cui si candida.

Invece accade che, dopo il mal riuscito tentativo di sdoganamento internazionale degli (ex)comunisti italiani sulle pagine del Washington Post, un Supermario in affanno insista col ricordarci che «il Pd ha una storia gloriosa, dalla quale si è andato gradualmente affrancando, all’inizio ad esempio non ha appoggiato la costruzione europea».

Una ‘storia gloriosa’ che conosciamo tutti, come l’appoggio ai carri armati sovietici in Ungheria come altrove, il finanziamento occulto del Partito Comunista ad opera di uno stato straniero o le ‘presunte trattative con la Mafia’, che rimbalzano sui media da 30 anni circa. Ed anche – come sa chi ricorda i ‘gloriosi’ Anni 60-70 – la lottizzazione della RAI e la politicizzazione della Magistratura, delle Università e delle scuole, l’egemonia agroalimentare e distributiva delle Coop, i rapporti con la Confederazione Generale dei Lavoratori (CGIL), il partito-istituzione con decine di migliaia di lavoratori, quasi fosse un’azienda od una struttura parallela.
Quanto alla democrazia interna, il PCI-PD resta sempre un partito dalla cui segreteria escono dei nomi da votare ed è già ben visibile chi sarà il candidato ‘official’. Primarie o Comitato centrale, passando per il Centralismo democratico, è sempre stato così: raro vedere candidati che non siano ben radicati nell’entourage di partito, ancor più raro vederli emergere e raccogliere consenso.

E’ questo che Silvio Berlusconi intende ricordare agli italiani e sottolineare all’estero, quando usa l’appellativo ‘comunisti’. Non è un caso che Renzi o Tabacci non siano mai stati iscritti al PCI o ad uno dei suoi ‘partner storici’: l’impostazione liberal-democratica si vede.

Come andrà a finire? Che Bersani avrà la Camera e Berlusconi il Senato, con Monti che potrebbe ritrovarsi ‘incastrato’ nella premiership ed in balia dei due fronti opposti.

Salvo che Monti non decida di prendere atto di che razza di pasticcio va a creare sia decidendo che i Popolari italiani vadano alle elezioni non solo divisi, ma addirittura contrapposti, sia dimenticando il livello di tensione creatosi a Roma e nelle grandi città, due mesi fa, al sol tentativo di chiedere qualche sacrificio ai professori, mentre l’Italia era (ed è) in miseria.

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Washington Post, un Bersani dissuasivo

23 Gen

Giorni fa, tutti i media hanno parlato dell’intervista di Pier Luigi Bersani raccolta dal Washington Post. Dopo di che se ne è parlato poco, nonostante fosse il ‘biglietto da visita’ del candidato Bersani al mondo, investitori e potentati inclusi.

Infatti, Pier Luigi Bersani ha detto cose ‘scomode’ che non prefigurano una situazione semplice, come vorrebbero tutti, italiani e stranieri.

Berlusconi è stato responsabile della prematura caduta del governo Monti ed a Monti questo non è piaciuto per niente. Noi, invece, abbiamo mantenuto la nostra promessa di sostenere Monti fino alla fine, anche se non è stato facile. Quindi ora dobbiamo solo continuare a guardare.”
Un po’ come dire che Monti non è adatto a fare il politico e che, invece che all’interesse nazionale, il Partito Democratico attende che tra centro e destra si scannino tra di loro?

Inoltre, Bersani ha spiegato al mondo che – con la situazione drammatica della spesa sanitaria, dell’istruzione e del welfare, oltre ad un sistema pensionistico iniquo e la magistratura più lenta dell’OCSE, mentre è in miseria un italiano su sette – all’Italia servono “una legge che stabilisca regole chiare per la vita e l’attività dei partiti politici”, leggi per i “diritti civili, come il diritto dei lavoratori a partecipare in forma scritta i contratti a livello aziendale. Unione civile per le coppie omosessuali. I diritti di cittadinanza per gli immigrati“.

Diritti Legalità, moralità e cittadino sono la nostra prima missione“. All’economia, alle infrastrutture ed alla pubblica amministrazione ci pensi qualcun altro?.

Modificare la riforma delle pensioni “non è una richiesta del sindacato tanto quanto una richiesta del nostro partito, che ha reso evidente nel dibattito parlamentare, perché rischia di lasciare un sacco di cittadini senza lavoro e pensione in meno.” Forse in USA non lo sanno, ma il Partito Democratico ha votato coralmente la riforma delle pensioni, in nome dell’equità e … che in Italia non sono pochi i sindacalisti che godono di doppia pensione.

Con il Partito Democratico, “i mercati non hanno nulla da temere, a patto che accettare la fine dei monopoli e posizioni dominanti. Questo deriva dal fatto che in Italia, la destra non ha una tradizione di libero mercato, tende a dare più potere allo Stato ed è più fortemente influenzata dalle lobby professionali.”
Non ce ne eravamo accorti, a partire dalle Coop e dalle ex-municipalizzate.

Siamo il partito più europeista nel nostro paese. Non è un partito socialista, ma democratico.
Infatti, alle primarie nazionali c’erano quantro candidati quattro – scelti da non so chi – e se non era per Matteo Renzi sarebbe stato un plebiscito pro Bersani.

L’austerità deve essere resa stabile dalla combinazione con politiche di crescita intelligenti. E ‘una domanda che le forze progressiste europee stanno discutendo. Obama si sta chiedendo agli europei di affrontare la questione.
Come dire che altri, altrove, stanno provvedendo alla risposta?

La nostra politica è di essere fedeli ai nostri alleanze, ma non in silenzio. Vogliamo che il nostro paese e l’Europa siano più presenti nel Mediterraneo e vogliamo discutere a riguardo con gli Stati Uniti perché crediamo che l’Europa e l’Italia dovrebbero favorire una evoluzione positiva della “primavera araba” e il loro esito democratico.”
Un altra volta con i baci e gli abbracci con Hezbollah che fecero rabbrividire la Casa Bianca od il trattato segreto con Gheddafi, che ci impediva di attaccarlo?

La Russia dovrebbe aggiungere la sua voce in Siria per mettere più pressione verso una comune soluzione  pacifica.” Con gioa e benepalcito di USA ed Israele o anche senza?

Questa è la sostanza del Bersani-pensiero che tutto il mondo politico e finanziario ha letto, giorni fa.

Sarà un caso che, a seguire, il Financial Times – in un editoriale di fuoco, firmato a Wolfang Munchau – ha indicato Mario Monti come “non adatto a guidare l’Italia”, anche a causa dei timori derivanti da un  inciucio tra il Supermario, Pierferdy Casini e il Pd di Pier Luigi Bersani?

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