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Mafia, affari, politica: arrivano le rivelazioni del pentito Iovine

28 Mag

«So benissimo di quali delitti mi sono macchiato, ma posso spiegare un sistema in cui la camorra non è l’unica responsabile», queste le prime dichiarazioni di Antonio Iovine – superboss pentito – al processo che si sta celebrando a Santa Maria Capua Vetere.

Intanto, i cronisti locali iniziano a spulciare i verbali depositati dai Pm Ardituro e Sirignano e, come per le dichiarazioni di Carmine Schiavone, l’impresa criminale aveva contorni ben più ampi del Clan dei Casalesi.

«C’erano soldi per tutti, in un sistema che era completamente corrotto, in questo ambito si deve considerare anche la parte politica ed i sindaci dei comuni che avevano intesse a favorire essi stessi alcuni imprenditori in rapporto con il clan per aver vantaggi durante le campagne elettorali, in termini di voti e finanziamenti.
Generalmente io ero del tutto indifferente rispetto a chi si candidava a sindaco nel senso che chiunque avesse vinto automaticamente sarebbe entrato a far parte di questo sistema da noi gestito».

Valeva “la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che, prima ancora che i camorristi, ha diffuso nel nostro territorio proprio lo Stato che invece è stato proprio assente nell’offrire delle possibilità alternative e legali alla propria popolazione”.

Non a caso, in Campania, già da molti anni si distingueva tra ‘camorra’ e ‘sistema’ …

“Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli a loro se la gente moriva o non moriva? L’essenziale era il business.” (dichiarazione del pentito di camorra Carmine Schiavone alla Commissione Parlamentare d’inchiesta durante la seduta del 7 ottobre 1997 – pag. 25)

Un sistema che si svolgeva fino alle porte della capitale – che aveva i suoi scheletri nell’armadio con la discarica di Malagrotta – visto che, secondo il pentito, “noi arrivavamo fino alla zona di Latina; Borgo San Michele e  le zone vicine erano già di influenza bardelliniana. Anche a scendere giù, cioè non solo Latina, ma anche Gaeta, Scauri e altre zone. Questo avveniva dal 1988 a salire.”

Un sistema funzionale all’industria manifatturiera in fase di smantellamento al Settentrione, visto “che questi rifiuti dal nord dell’Italia o addirittura dall’estero non arrivavano in Campania da soli, ma che l’avvocato Chianese era in grado di organizzare il traffico attraverso circoli culturali e amici.  Erano circoli culturali che stavano al nord, al sud al centro, in tutta Italia e Europa. Faccio un solo nome: so che Cerci stava molto bene con un signore chiamato Licio Gelli … So che a Milano c’erano grosse società che raccoglievano rifiuti, anche dall’estero, rifiuti che poi venivano smaltiti al sud. So che in Lombardia c’erano queste società che gestivano i rifiuti ma non so chi erano i proprietari.”

Antonio Iovine come Carmine Schiavone sanno bene di cosa parlano (e di cosa non devono parlare): erano i ‘contabili’, i manager dell’organizzazione.

Un sistema che doveva esistere per escludere dalla governance i tanti cittadini onesti a vantaggio di saccheggiatori, prestanome e pressappochisti e che poteva esistere grazie ad un sistema di finanziamento della politica cleptocratico, confermato dall’enorme sequel di scandali e arresti da più di vent’anni a questa parte.

Un sistema che era completamente corrotto, in cui l’apporto dei mafiosi, della politica e di certa imprenditoria è da considerarsi paritetico. Esattamente come la Cosa Nostra di cui Buscetta, Falcone e Borsellino svelarono tanti ‘collegamenti’. E parliamo non solo dei rifiuti, ma anche degli appalti e delle grandi opere, di mercati ortofrutticoli e di scali portuali di rilevanza europea, di produzioni su scala nazionale per il made in Italy, eccetera … fino alle elezioni, quanto meno locali e regionali.

Se la Cosa Nostra casalese vuole dissociarsi dall’aver avuto ‘unica e sola’ la responsabilità del saccheggio e della devastazione di una nazione, ben venga. Specialmente se questo potesse portare ad una ‘pacificazione’ della Campania, che ha – tra l’altro – una capacità produttiva e commerciale enorme e potrebbe cavarsela molto meglio senza delinquenti che svendono ricchezze e deturpano bellezze in cambio di pochi spiccioli a confronto.

Una possibile ‘svolta’ su cui Matteo Renzi dovrebbe esporsi in prima persona, dare l’esempio, se rappresenta l’Italia che vuol cambiare. Una questione ‘mafia’ su cui i Cinque Stelle potrebbero essere più attenti, visto che è ‘ovunque’ ed è anche la madre di tutte le mazzette. Un sistema d’affari che – di sicuro – non ha nulla a che spartire con un Centrodestra che sappia leggere i risultati elettorali italiani ed europei.
Specialmente se – come sa chi segue il mercato azionario – il crash mondiale del fotovoltaico deriva anche dalla scoperta che bond del valore di 560 milioni di euro, posti come garanzia in Puglia e Sicilia per la creazione del fondo Global Solar Fund, erano falsi con conseguente crollo borsistico e questo è uno dei fattori che hanno determinato l’espolsione della ‘questione morale’ in Vaticano.
Come anche, chi segue la politica europea sa che, da un momento all’altro, la Germania di Angela Merkel potrebbe ricevere un avviso di infrazione per come (non) gestisce i controlli bancari sul riciclaggio di denaro sporco.

A latere, ci sarebbe anche da chiedersi quanto sarebbe costato all’industria centro-settentrionale smaltire in piena legalità quei rifiuti per anni e decenni, cosa sarebbe stato dei delicati equilibri capitolini se, andando a far luce sui rifiuti, ne andava di mezzo anche Malagrotta, o come sia avvenuto che le testate e le agenzie nazionali non si siano accorte dell’enorme mole di ‘pessime notizie’ che i loro colleghi delle testate locali puntualmente pubblicavano.

Intanto, agli atti processuali come dal lungo elenco di comuni ed enti commissariati risulta da tempo  che una sorta di narco-repubblica si sia estesa fino a pochi chilometri dalla Capitale italiana.
Sarebbe ora che – su antimafia e ripristino della legalità – qualche politico (e qualche editore) ci mettesse ‘in positivo’ la faccia …

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Lucy Riina, an honorful daughter for a ‘catholic’ Mafia boss

28 Ago

Swiss television has published on its website an interview with Lucy Riina,  daughter of mafia boss Toto Riina, who said ‘I am proud and happy to call me Riina. It ‘s the name of my father and I imagine that any child who loves his parents does not change his family name. It corresponds to my identity ‘.

‘Our mother was extremely important, because we could not go to school. She taught us to read and write’. ‘ They’re my parents, we are Catholic and I love my father and my mother’, pointing out that  every night they prayed for the boss and that the worst in his life was the arrest of his father.
So ‘worst’ that every year, for about twenty years, millions of Italians rejoice the day of his arrest and commemorate massacres and martyrs of the Mafia.

Christmas massacre to Train Rapid 904 – quotidiano.net

Almost immediately the reaction of the Italian civil society, like that of Giovanna Maggiani Chelli, president of the Victims of the Massacre of Via dei Georgofili Association: ‘His father did not kill someone in a fit, but he slaughtered and butchered scientifically made hundreds of poor souls who have found themselves even just on its way as our children. Lucia Riina appalled a good time in front of so much innocent blood spilled ‘cause those like her could have a rich life’.

Massacre of Gergofili – photos La Nazione

Toto Riina was the undisputed head of the Sicilian Cosa Nostra for about twenty years and he ordered hundreds of deaths and injuries, attacks and car bombs, massacres, conspiracies and corruptions, that will shape the future of Italy and the Mediterranean for many decades to come.
We cannot forget that Cosa Nostra (and later Ndrangheta) invaded Italy and (in part)Germany with  heroine poisoning generations and generations, creating a  parallel tax system named extortion, putting tentacles – more or less directly – in many contracts and concessions, going so far as the London Stock Exchange after that of Milan.

Capaci massacre – photo Sestini

A man responsible for the death of judges Falcone and Borsellino with their security staffs. A criminal in career who has castrated the aspirations for growth and development of his own land, Sicily, affecting even the water supply to homes and fields, as still happens. He affected the election results of the Region and the Parliament. He blackmailed and probably continues to blackmail the Italian State, one of the countries of the G8 and NATO.
He has implemented terrorist attacks against civilians with car bombs and heavy charges.
How she can be ‘honored’ by a ‘this kind’ parent is hard to understand, unless we speak of ‘men of honor’ and ‘honored society’, but it is even more difficult to understand how she could be grateful to a father that – to escape the prison and continue its sordid business – has made raising children in hiding without even being able to attend a school and find freely their friends.
A Mafia boss who has never shown signs of repentance, as it happened for the bosses Provenzano and Buscetta or the killer Brusca.

Via Amelio massacre

‘The daughter of a mobster, what we expect’ someone would say, forgetting that consciousness is something individual and not inherited from the parents, which at most can educate or plagiarize.
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A consciousness of which Lucia Riina clarifies the moral reference when she says “we are Catholics and I love my father and my mother.” A matter of conscience regarding all Catholics, if, for example, in Mexico there is a long-standing controversy for those rich donations that the Catholic Church accepts the Narcos.

Headstone of ‘thanksgiving as benefactor to Heriberto Lazcano Lazcano’, leader of the Zetas, affixed to the churchyard of a Catholic church – Tezontle in Pachuca, Mexico

In fact, the Radio Télévision Suisse types on site a title like “Une éducation catholique”.
Still, we should remember – including Mexicans – that  Sicilian episcopate imposed the penalty of excommunication from the mafia for three times – in 1944, 1955 and 1982 – and that Pope Wojtyla, lifting his finger to the Sky launched the anathema ‘Repent!’ against the mafias, called “fruit of the work of the tempter,” “social sin”, the “opposite” of ‘love civilization willed by God. Even on last May 20th, Francis Pope reiterated that ‘funeral can not be celebrated in the church for the Mafia people, because, by not accepting the Gospel message, they rank directly outside.
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The author Roberto Saviano – under fatwa by Casalesi because he wrote the book Gomorra, has recently urged the Pope to issue an excommunication Urbis et orbis, to offenders as to part of the clergy – who officiates the sacraments – because they continue to ignore the ‘lata sententia’.
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Without resorting to the very busy Vicar of Christ, it would be very appropriate and useful that someone informs Lucia Riina of what ‘god of the Underworld’ servants will do the mobsters like his father and what it provides Catholicism for families like hers, if at first repentance and shame do not replace honor.
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No mafia or supporter of any mafia can be called Catholic. Stop.

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Lucia Riina: siamo cattolici, onoro mio padre …

28 Ago

La televisione svizzera ha pubblicato sul suo sito un’intervista con Lucia Riina, figlia del capomafia Totò Riina, la quale dichiara ‘sono onorata e felice di chiamarmi così’. E’ il cognome di mio padre e immagino che qualsiasi figlio che ama i suoi genitori non cambia il cognome. Corrisponde alla mia identità’.

‘Nostra madre è stata estremamente importante, poiché non abbiamo potuto andare a scuola. E’ lei che ci ha insegnato a leggere e a scrivere’. ”Sono i miei genitori, siamo cattolici e devo dell’amore a mio padre e mia madre’, ricordando che a casa pregavano tutte le sere e che il momento piu’ brutto della sua vita fu l’arresto di suo padre.
Peccato che ogni anno, da vent’anni circa, milioni di italiani festeggino il giorno di quell’arresto e commemorino quelli delle stragi e delle morti dei martiri di mafia.

Strage di Natale al Treno Rapido 904 – quotidiano.net

Quasi immediata la reazione della società civile italiana, come quella di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione Vittime della Strage di via dei Georgofili: ‘La sua favoletta di brava figlia che ama quell’assassino di suo padre, ma che gli dispiace tanto per le vittime di mafia la vada a raccontare a qualcun altro. Suo padre non ha ucciso qualcuno durante un raptus, ma ha macellato e fatto macellare scientificamente centinaia di poveri cristi che si sono trovati anche solo sulla sua strada come i nostri figli. Inorridisca una buona volta Lucia Riina davanti a tanto sangue innocente versato perche’ quelle come lei potessero fare la bella vita’.

Strage dei Gergofili – foto La Nazione

Ricordiamo che Totò Riina è stato il capo indiscusso di Cosa Nostra siciliana per circa un ventennio ed a lui vanno ascritti centinaia di morti e feriti, attentati e autobomba, stragi, corruttele e cospirazioni, che condizioneranno il futuro dell’Italia e del Mediterraneo per molti decenni a venire.
Ricordiamo che Cosa Nostra (e la Ndrangheta che le è subentrata) ha invaso l’Italia e (in parte) la Germania di quell’eroina che ha avvelenato intere generazioni, ha creato un sistema fiscale parallelo a quello dello Stato controllando le estorsioni, ormai è presente più o meno direttamente in tantissimi appalti e concessioni, arrivando persino alla Borsa di Londra dopo quella di Milano.

Strage di Capaci – foto Sestini

Un uomo responsabile della morte dei magistrati Falcone e Borsellino con le loro scorte. Un criminale incallito che ha castrato le aspirazioni di sviluppo e crescita delle sua stessa terra, la Sicilia, condizionando persino l’erogazione dell’acqua alle case e nei campi, come tutt’oggi accade. Che ha condizionato i risultati elettorali della Regione e del Parlamento. Che ha ricattato e, probabilmente, continua a ricattare lo Stato Italiano, uno dei paesi parte dei G8 e della NATO.
Che ha messo in atto attentati terroristici contro la popolazione civile con autobomba e carichi espolosivi.

Come si possa essere ‘onorati’ di un tale genitore è difficile da comprendere, a meno che non si parli di ‘uomini d’onore’ e di ‘onorata società’, ma è ancora più difficile capire come si possa essere grati ad un padre che per scampare al carcere e continuare nei suoi sordidi affari ha fatto crescere i figli nella latitanza senza neanche poter frequentare una scuola e farsi liberamente degli amici.
Un boss mafioso che non ha mai dato segni di pentimento, come invece accaduto per i boss Provenzano e Buscetta o per il killer Brusca.

Strage di Via Amelio

Figlia di un mafioso, cosa vogliamo aspettarci, direbbe qualcuno, dimenticando che la coscienza è qualcosa di individuale e non ereditata dai genitori, che al massimo possono educarla o plagiarla.
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Una coscienza di cui Lucia Riina chiarisce i riferimenti morali quando dice “siamo cattolici e devo dell’amore a mio padre e mia madre”. Una questione di coscienza che riguarda tutti i cattolici, se, ad esempio, in Messico sono annose le polemiche per le ricche donazioni che la Chiesa Cattolica accetta dai Narcos.

Lapide di ‘ringraziamento al benefattore Heriberto Lazcano Lazcano’, capo degli Zetas, apposta sul sagrato di una chiesa cattolcia a Tezontle in Pachuca, Mexico

Non a caso la Radio Télévision Suisse, dalla città che fu di Calvino, titola: “Une éducation catholique”.
Eppure, dovremmo ricordare tutti – messicani inclusi – che l’ episcopato siciliano ha comminato la pena della scomunica alla mafia ben tre volte – nel 1944, nel 1955 e nel 1982 – e che Papa Wojtyla, che stringendo il crocifisso e alzando il dito verso il cielo lanciò l’anatema ‘Convertitevi!’ contro i mafiosi e definì la mafia «frutto dell’opera del tentatore», «peccato sociale», il «contrario» della civilta’ dell’amore voluta da Dio. Anche il 20 maggio scorso, Papa Francesco ha ribadito che per i mafiosi i funerali non possono essere celebrati in chiesa visto che, non accettando il messaggio evangelico, si pongono direttamente fuori.
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Roberto Saviano ha esortato recentemente il Pontefice ad emettere una scomunica urbis et orbis, visto che sia i delinquenti sia una parte del clero che gli officia i sacramenti, continuano ad ignorare la ‘lata sententia’.
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Pur senza scomodare l’indaffaratissimo Vicario di Cristo, sarebbe veramente opportuno e utile che qualcuno informasse Lucia Riina di quale ‘dio degli Inferi’ si fanno servi i mafiosi come suo padre e di cosa prevede il Cattolicesimo per famiglie come la sua, se all’onore non vanno a sostituirsi pentimento e vergogna peri peccati commessi.
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Nessun mafioso o sostenitore di una qualunque mafia può definirsi cattolico. Stop.

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Grasso – Travaglio: la sfida continua

26 Mar

«L’accusa di poter essere colluso con il potere, di cercare il contatto, di fare l’inciucio è la cosa che mi ha fatto più male», questa la risposta del magistrato Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, a Marco Travaglio, che l’aveva collegato, durante la trasmissione Servizio Pubblico, alle  tre leggi votate dalla maggioranza di centrodestra che hanno fermato la candidatura a procuratore nazionale Antimafia di Gian Carlo Caselli.

Pietro Grasso ha anche paragonato le parole usate dal vicedirettore del Fatto alle minaccia ricevute dalla moglie negli anni ’80 contro il figlio in occasione del maxiprocesso contro la mafia.
In tutta onestà, però, è difficile pensare che Marco Travaglio sia al soldo della Mafia. Un confronto sproporzionato – e retorico – quello tra un organo di stampa e la criminalità organizzata., che per altro mal si addice a chi è presidente del Senato e garante della Costituzione.

«L’accusa peggiore è quella di poter essere colluso con il potere. Io inciuci con il potere? E’ stata terribile l’accusa di aver ottenuto delle leggi a mio favore – sottolinea Grasso – Questa è l’accusa che mi brucia di più. Io non ho ottenuto niente. Ottenere significa richiedere. Io non ho mai chiesto niente a nessuno e per questo nessuno ha mai potuto chiedere niente a me».

Dunque, l’inciucio anti Castelli ci fu, semplicemente non avvenne su ‘richiesta’ di Pietro Grasso? Vogliamo parlarne?

Quanto all’accusa di poter essere colluso con il potere, perchè un trentenne od un quindicenne non dovrebbero dubitare di qualunque ultrasessantenne che, oggi in Italia, si trovi in posizioni apicali nella pubblica amministrazione?
Con il verminaio che i dati nazionali espongono indecorosamente è alquanto improbabile che una persona competente, onesta e determinata sia potuta arrivare ai vertici di qualcosa nel nostro Paese e, soprattutto, restarci, almeno a voler parlare di settore pubblico.
Un mero calcolo delle probabilità.

Cosa pensare di tutta un’epoca – sempre ammantata di grandi ideali – se oggi Marcello Dell’Utri è condannato di nuovo, se la trattativa Stato-Mafia ci fu, se i reati di Andreotti esistono ma furono prescritti? Cosa chiedersi dell’antimafia, se i Casalesi hanno creato – praticamente alla luce del sole – un impero criminale esteso fino alle porte della Capitale e la Ndrangheta ha occupato capillarmente Milano?

E’ di queste ore la notizia che due pentiti, Domenico Bidognetti e Francesco Cantone – durante il processo in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede imputato Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione camorristica – coinvolgono l’ex governatore della Campania Antonio Bassolino, riguardo il  tentativo di dissociazione portato avanti da alcun clan campani all’inizio degli anni ’90, dopo il pentimento del boss Alfieri:  “l’idea partì dai Moccia di Afragola dovevamo consegnare le armi e abbandonare il clan, anche il vescovo di Acerra don Riboldi era coinvolto; in cambio non avremmo avuto l’ergastolo”.

Chi erano i consulenti della Commissione Antimafia mentre avveniva tutto questo e mentre Falcone, Borsellino e le loro scorte morivano in difesa del Meridione? E chi era ai vertici della Direzione Antimafia quando Casalesi e Ndrine si spartivano la ricchezza d’Italia: Napoli e Milano?

Uno di loro era Pietro Grasso. Impensabile che fossero collusi, ma qualcosa è andato ‘storto’.
Sempre in questi giorni, la Corte d’Assise di Caltanissetta – nel nuovo processo per la strage di via D’Amelio – ha annunciato che sentirà il Capo dello Stato attuale ed allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, su quanto a sua eventuale conoscenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, sulla sostituzione ala guida del ministero dell’Interno, nel 1992, di Vincenzo Scotti con Nicola Mancino e sulle difficoltà che incontrò in Parlamento, nel 1992, la conversione del decreto legge sul carcere duro.
Verranno ascoltati anche l’ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, gli ex ministri dell’Interno e della Giustizia, Nicola Mancino e Giovanni Conso, e l’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato.
Ed il fratello di Paolo Borsellino, stavolta, si è costituito parte civile. E’ il suo legale, Fabio Repici, che ha chiamato Giorgio Napolitano come teste al processo.
Un processo denominato Borsellino-quater. Quater … quarto tentativo.

«Non si possono estrapolare fatti singoli per sporcare la credibilità di una persona», diceva Pietro Grasso ieri sera alla trasmissione Piazza Pulita ed in questo ha pienamente ragione.
Come anche il presidente del Senato ha ricordato che «ci sono stati molti processi spettacolari che hanno portato ad assoluzioni», cosa vera e sacrosanta, ad esempio come nel caso del primo processo a John Gotti a New York, immortalato da Sidney Lumet in ‘Non provare ad incastrarmi’.

Pietro Grasso, oggi, è molto di più di un ‘semplice’ supermagistrato. Oggi, presiede il Senato: è un padre della Patria. Si è presentato da ‘galantuomo’ in Senato e nell’insediarsi ha parlato di ‘casa trasparente’: è esattamente quello che ci aspettiamo tutti da lui.

Infatti,  è ormai comprovato che Cosa Nostra ha avuto ampi, profondi e controversi rapporti con i vertici politici dell’Italia per decenni.
Un Paese che continua ad andare avanti come se non fossero ormai Storia patria i reati associativi di  Giulio Andreotti, presidente del Consiglio prescritto per i fatti accaduti fino al 1980, di Totò Cuffaro, senatore e governatore regionale condannato a sette anni di carcere, di Marcello Dell’Utri, senatore e fondatore Forza Italia condannato  per i fatti accaduti fino al 1992, di Nicola Cosentino, Sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze in carcere con processo in corso, per reati avvenuti fino a poco tempo fa.

Dopodomani, Marco Travaglio replicherà a Pietro Grasso durante la trasmissione Servizio Pubblico e vedremo se tra lui e Santoro avranno la voglia di lanciare il guanto ‘oltre’ Pietro Grasso e la sua carriera, arrivando ad una ineludibile questione morale da affontare: cosa ne facciamo, se l’Italia deve cambiare, di un’intera dirigenza apicale che ha ‘conquistato’ quelle poltrone e si è dovuta (o voluta) ‘adattare’ durante 20 anni di cleptocrazia e sbando generalizzati?

Anche perchè, come ben sappiamo tutti, qualunque riforma non avrebbe effetto – o lo avrebbe dilazionato e sfilacciato – se ‘quella’ classe dirigente gestisse il tutto come ha fatto per vent’anni.

Questa sarebbe la domanda ‘giusta’ da inviare a Pietro Grasso come presidente del Senato, visto che, come magistrato e come sessantenne, non è certo stato tra i peggiori, salvo scoop imprevedibili, ma, soprattutto, perchè nell’insediarsi al Senato ha parlato di ‘casa trasparente’.

E Pietro Grasso potrebbe raccogliere il ‘guanto’ di sfida, nella liberalità delle sue opinioni, iniziando ad aprire qualche armadio e lasciarci liberi di scoprire qualcuno dei nostri scheletri: se un magistrato come lui arriva alla presidenza del Senato è praticamente un atto dovuto, in democrazia, come lo è storicizzare l’Antimafia, valutarne gli esiti ed i limiti in questo mezzo secolo circa di esistenza.

Perchè l’Italia – che ha bisogno di stabilità, ma anche di chiari segni di cambiamento – non è mai riuscita ad anticipare, a prevenire, la Mafia, pur avendo, addirittura, una Commissione Parlamentare apposita che avrebbe dovuto dare indirizzo politico per gli interventi legislativi, per la sicurezza, per gli aspetti sociali?

Qual’è il punto di vista del presidente del Senato?

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Trattativa Stato-mafia: fu alto tradimento?

17 Lug

Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.

Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).

Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.

Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.

Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.

In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.

In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.

Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.

Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.

Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.

Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».

Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.

Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.

Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.

Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».

Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?

E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?

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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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Il debito non è pubblico: è dello Stato

20 Apr

Ferdinando Imposimato, 76 anni portati bene, è il Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Nella sua lunga carriera si è occupato della lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro (1978), l’attentato al papa Giovanni Paolo II (1981), l’omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet, e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.

Di seguito, sono riportati ampi stralci di una lunga disanima pubblicata dal “cittadino” Ferdinando Imposimato sulla sua pagina Facebook, che dovrebbero davvero far riflettere non solo l’Italia – lo “Stato” italiano non i cittadini esausti – ma l’Unione Europea tutta.

“Il debito non e’ pubblico: e’ dello Stato. Riguarda il complesso delle spese sostenute dallo Stato, che costituiscono un insieme da definire con precisione: investimenti diretti quali grandi opere pubbliche, infrastrutture nei settori strategici, costate cento volte piu’ di quello che sarebbe stato giusto spendere.”

“Il debito pubblico e’ cresciuto enormemente per alimentare la corruzione e finanziare la criminalita’ organizzata, che si e’ aggiudicata il 90 per cento degli appalti di grandi opere pubbliche.
E non e’ giusto che quel debito debba essere pagato da poveracci che di quelle spese non hanno goduto minimamente.

“Non sono state costruite scuole pubbliche, non sono stati creati fondi per i non abbienti, non sono state sostenute le piccole e medie imprese, non sono stati migliorati i servizi pubblici, non sono stati assicurati salari tali da garantire una vita libera e dignitosa.”

Nella voragine-debito bisogna inserire i fondi per gli appalti con spese dilatate a dismisura a favore delle imprese del post terremoto, la costruzione di grandi ed inutili infrastrutture per i mondiali di nuoto del 2009, la moltiplicazione per mille delle spese per le autostrade e l’Alta Velocita’, il pagamento dei debiti contratti dall’Alitalia, e gli investimenti indiretti come i finanziamenti pubblici dei partiti (usati anche per acquisti di immobili privati), crediti agevolati, le assunzioni clientelari nelle Autorithy, la pletora delle burocrazie inutili nelle Regioni, nelle provincie e nei comuni, oltre che nel Parlamento italiano. Fino alle spese per gli impegni militari in Afghanistan, in Iraq e in Libano.

Tutte spese che non producono alcun vantaggio per la comunita’ nazionale nel suo insieme, ne’ assicurano la pace nel mondo.”

“Intanto la crisi travolge milioni di persone, i dati testimoniati dalle ricerche della Caritas sono drammatici: piu’ di 8 milioni di poveri e un aumento del 20 per cento della poverta’ tra i giovani sotto i 35 anni. E le speranze di lavoro si riducono sempre piu’. “

“Nessuno ci dice la verita’ su quello che sta accadendo e sui nuovi sacrifici che ci vogliono imporre con il pretesto di dovere ridurre il debito pubblico, con il pericolo del fallimento, della bancarotta che travolgerebbe solo i piu’ deboli.”

“Il movimento degli indignati e’ stato oggetto dell’attacco di persone estranee ad esso, ed e’ stato ingiustamente delegittimato dalla violenza di pochi mascalzoni, che sono i principali alleati di questa maggioranza, responsabile di una politica scellerata e ingiusta. Noi siamo solidali con le Forze dell’Ordine e condividiamo la loro protesta, ma sarebbe un errore confondere i delinquenti che hanno sconvolto Piazza San Giovanni e altre vie di Roma mediante aggressioni e incendi, con coloro che stavano protestando pacificamente.”

“Orbene una minoranza di teppisti non puo’ oscurare le ragioni del dissenso. Essi fanno solo gli interessi di questo Governo che se ne deve andare a casa.

I movimenti, nell’assenza dei partiti, sono oggi i protagonisti di una democrazia diretta, mobilitano milioni di cittadini a sentirsi protagonisti e a spingere il governo verso scelte che non penalizzino ancora una volta i poveri e i diseredati.”

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broken English version Italy? A cleptocracy, as a Supreme Court judge wrote

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Pareggio di bilancio? Una norma che garantisce solo banche e speculatori

18 Apr

Il pareggio di bilancio diventa obbligo costituzionale per la già misera Italia, afflitta da interessati vicini (Francia e Germania) e da orribili demagoghi e cleptocrati. Il decreto ha ottenuto oggi il via libera definitiva a Palazzo Madama, dopo essere stato approvato dalla Camera.

Una decisione  foriera, secondo i suoi sostenitori, di un “nuovo ordine mondiale”, visto che si basa sull’indimostrato presupposto che svalutare la moneta sia sempre e comunque errato per la stabilità dei mercati e la pace nel mondo. Un po’ come dire che la salvaguardia degli interessi delle banche è premessa essenziale per l’esistenza del nostro “mondo”, cosa forse verosimile, ma inaccettabile.

Una decisione, quella di aderire al Fiscal Compact “senza se e senza ma”, che danneggerà ulteriormente l’Italia, mettendola in balia dei sistemi finanziari mitteleuropei – ovvero svizzeri ed alsaziani – e danneggerà l’Europa che si spacca in due: quella dell’Eurozona germanica e postcomunista e quella  angloscandinava liberale e solidale.

Fissare il pareggio di bilancio come presupposto di “buona salute” è come ammettere che non sono più gli Stati a battere moneta, ma le banche e che stiamo parlando di “limite massimo di esposizione debitoria”.

Infatti, se c’era da porre un limite all’indebitamento di uno stato, perchè non fissarlo intorno al 50% del PIL, come accade un po’ in tutto il mondo, quando si parla di nazioni libere ed in buona salute?

E sarebbe stato possibile farlo se la BCE di Mario Draghi avesse finanziato gli stati anzichè le banche che poi hanno fatto credito agli stati e se, contestualmente, la Banca Centrale Europea avesse battuto maggiore valuta.

Svalutare per risanare nazioni e governi, rovinando banche e speculatori, o garantire il “bravo creditore” per consentire alla “mano dei mercati” di governare il mondo?

Oggi, il nostri partiti hanno scelto la seconda opzione.

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Niente crescita: Monti, missione fallita

18 Apr

Anche oggi pan cotto o pan bollito.

Monti annuncia che «c’è un nuovo patto politico», il viceministro dell’Economia Grilli annucnia che «al momento  non c’è necessità di una manovra correttiva», Barbara Spinelli, finalmente, si accorge che “Matthews denuncia lottizzazioni partitiche già nel ’44. Un’altra cosa che smaschera è il ruolo della mafia nella Liberazione. Anche quest’idra è tra noi.

“La letteratura è spesso più precisa dei cronisti. Nel numero citato di Mercurio è evocato il racconto che Moravia scrisse nel ’44: L’Epidemia. Una malattia strana affligge il villaggio: gli abitanti cominciano a puzzare orribilmente, ma in assenza di cura l’odorato si corrompe e il puzzo vien presentato come profumo.

Quindici anni dopo, Ionesco proporrà lo stesso apologo nei Rinoceronti. La malattia svanisce non perché sanata, ma perché negata: “Possiamo additare una particolarità di quella nazione come un effetto indubbio della pandemia: gli individui di quella nazione, tutti senza distinzione, mancano di olfatto”. Non fanno più “differenza tra le immondizie e il resto”.

A dire il vero, gli italiani, molti italiani, la puzza non hanno mai smesso di sentirla, ma non hanno voce. Intimiditi dalle cosche, esclusi dalla politica, bloccati nelle carriere, indifesi verso malattia e povertà, nulla hanno potuto se non astenersi dalle urne o votare la cosiddetta “antipolitica” (Lega, Beppe Grillo, Di Pietro, una parte di SEL, Forza Nuova). A conti fatti sono almeno il 50% di tutti noi.

La metafora “dell’olfatto”, egregiamente richiamata da Berbara Spinelli, si applica solo ad una ristretta minoranza dei cittadini ed a una ampia  maggioranza dei “potenti” o dei “fortunati”.
Si chiama “cleptocrazia”, come racconta l’enorme messe di scandali, non fascismo, che arriva, invece, quando il malcontento popolare diventa risentimento, non avendo trovato percorsi democratici per emergere e non godendo, neanche in minima parte a causa della crisi, delle “briciole” lasciate, anzi dovendo gravosamente sobbarcarsi l’onere del continuo banchettare di alcuni.

Ovviamente, dato che la chiave delle storie di Moravia e Ionesco è la pubblica opinione che nega il tanfo, non riusciremo ad aggregare nuovi partiti, se i nostri editori non decideranno di abbandonare al proprio destino l’attuale classe dirigente italiana, selezionata con criteri affatto meritocratici.

Iniziassero a pubblicare e raccontare gli scandali che emergono ogni giorno come federo ai tempi di Tangentopoli, basterebbe questo per non lasciar soli i magistrati cme accadde per Falcone o Borsellino. Anzi, vuoi vedere che la Spinelli stesse scrivendo non a noi lettori, ma ad un paio di “grandi vecchi” della Repubblica Italiana, invitandoli ad “aprire gli occhi” e cambiar rotta rapidamente?

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