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La grande bugia (che accomuna Berlinguer, Prodi e Renzi)

24 Mar

Quando avevo 20 anni, Enrico Berlinguer annunciò i ‘sacrifici’, che equivalsero a dire che noi giovani diplomati e laureati dovevamo aspettare per salvare il lavoro dei padri di famiglia con le medie e le scuole professionali.

Quando ne avevo 40, furono Romano Prodi a spiegarci che il lavoro era finito, ce lo dovevamo inventare creativamente, ma che il mondo restava solidale, così c’era pure da pagare welfare e pensioni dei nostri padri

Adesso che vado per i 60, Matteo Renzi mi spiega che va sacrificato il lavoro dei padri di famiglia diplomati e laureati, mettendoli per strada da anziani, per dar lavoro a giovani senza una professione, preavvisandomi che costoro non verseranno mai abbastanza contributi neanche per se stessi grazie alle leggi sul lavoro precario che Antonio Bassolino emanò.

Dico … ma – visto come è iniziata la ‘storia’ e la quantità di ‘balle’ che lo ‘stesso partito’ ha riservato ad un’intera generazione, almeno Renzi potrebbe rivolgersi ai padri di famiglia del 1977, che costituiscono quasi il 30% dei residenti e versarono tutto pre-inflazione e pre-contributivo, anzichè a quelli del 2007, che sono si e no il 10% e bene o male hanno versato il giusto?

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Scalfari, i lacciuoli di Guido Carli e la rottamazione che non procede

31 Mar

Eugenio Scalfari, nel suo domenicale, rievoca una delle frasi celebri di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia: «Dobbiamo liberarci dai lacci e lacciuoli che rallentano lo sviluppo dell’economia italiana».
Il tutto per annunciare che “i lacci e lacciuoli dell’epoca di Carli non esistono più ed hanno cambiato natura”, per bacchettare Ignazio Visco che “avrebbe dovuto spiegarlo alla platea che lo ascoltava” e Matteo Renzi che dimentica che “al sindacato resta anche il compito e il ruolo di controparte per quanto riguarda il nuovo welfare e i nuovi ammortizzatori sociali”.

E così, leggendo il pensiero dell’ispiratore principale della Sinistra italiana del dopo-Berlinguer, ci troviamo a prendere atto – come al solito, direbbe qualcuno – che i nostri ‘augusti’ ottuagenari sembra che da decenni vedano un film che non comprendono più.

I lacci e lacciuoli di cui Guido Carli parlava esistono ancora tutti.
Se così non fosse, la paralisi dello Stato non avrebbe nè permesso il disastro ambientale della Terra dei Fuochi nè la lavanderia delle porcherie pubbliche che sembrano essere stati per anni INPS, INPDAP e Cassa Depositi e Prestiti.
Come anche, non avremmo più uno stereotipo culturale toscano-centrico e non vedremmo crollare Pompei, avremmo frotte di turisti che sbarcano anche a Palermo anzichè solo  a Roma, Milano avrebbe l’aeroporto che merita, il Veneto non agognerebbe l’autonomia, avremmo dei sistemi di istruzione e sanitari a finanziamento pubblico come quelli che esistono nel resto d’Europa, eccetera.
E se non esistessero quei lacci e lacciuoli, non avremmo una ‘fabbrica insostenibile’ come quella degli F35 per salvare quel che resta del Piemonte, il trattato con il Vaticano sarebbe vincolato alla nostra Costituzione e non viceeversa, avremmo tanti campanili e mezzadri in meno invece che lo stallo delle province e dei piccoli comuni.

Lacciuoli, per così dire, come quelli che costringono il pontefice ad interventi ‘forti’, se non drastici, come quello che racconta lo stesso Eugenio Scalfari:  «Alle sette del mattino Papa Francesco aveva convocato a messa in San Pietro 500 membri del Parlamento e tutti i ministri del governo e li ha bistrattati di santa ragione. Non li ha abbracciati, non li ha perdonati, non li ha salutati. Li ha soltanto bastonati».

Una ‘battaglia finale’ – visto il sovraffollamento, il Climate Change, il risorgere potenziato dei network della schiavitù, la decadenza dei costumi, la corruzione del potere e la spettacolarizzazione dell’atrocità – e non una ‘nuova alba’ come il non credente  Scalfari auspicherebbe, convinto che ‘se tutti i detentori del potere lo usassero per realizzare questa finalità, il mondo affronterebbe quella che Berlinguer chiamò la questione morale. Due domeniche fa, rievocando Berlinguer, scrissi che tra lui e Francesco esistono molti punti in comune ed è vero.”

Ci scusi, dottor Scalfari, ma – a parte la differenza di ‘caratura’ con Gesù di Betlemme – Enrico Berlinguer i mercanti dal tempio proprio non li cacciò. Anzi, siglò il Compromesso Storico ed il Partito Comunista rimasto invischiato in Tangentopoli era proprio il suo, come lo fu il PCI artefice dei ‘sacrifici’ del 1977 e della ‘riforma delle pensioni’ del 1994.
Come anche la Luciana Castellina di ‘quel partito’, nel presentare un libro-film intitolato ‘Comunista’ e a lei dedicato,  su La7 nel salotto buono di Lilly Gruber, teneva a precisare, venerdì scorso, che lei mica ‘ha un’idea di come dovrebbe essere il mondo’ …

Dunque, c’è poco da dire: la generazione dei nostri ottuagenari, i giovani degli Anni ’60, passerà certamente alla Storia per l’assoluta incapacità di autocritica e, soprattutto, di farsi indietro in buon ordine.

Intanto, tramite i loro ‘discepoli’ sessantenni, continuano a condizionare le nostre esistenze. Come se qualcuno gli avesse dato il diritto di farlo …

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Vivere nella Crisi

5 Lug

La prima volta che ci dissero che arrivava la Fine del Mondo era agli inizi dei Settanta: crisi petrolifera, domeniche a piedi, benzina razionata, ma dopo un po’ iniziarono a vendere le Fiat 127 agli operai.
Lo chiamarono capitalismo postindustriale, la bacchetta magica, wow!

La seconda fu pochi anni dopo: era il 1977 e fu annunciato che non c’era abbastanza posto per noi, nati nei Cinquanta: li chiamarono sacrifici, ma eravamo noi ragazzi i martiri.
Non loro, oggi come ieri.

Poi, fu la volta del 1982. Arriva Reagan, impera Tatcher e, di nuovo, la crisi incombeva. Stavolta era il Welfare a fare acqua. E così accadde che per stare meglio, ci tolsero quello che serviva per non stare peggio: formazione, politiche per le famiglie, meritocrazia.
Dopo di che incominciammo ad affastellare esistenze ai bordi delle città e le periferie diventarono una giungla d’asfalto.

Dieci anni dopo circa, un’altra mattanza. La colpa, questa volta, era delle Tigri Asiatiche e degli speculatori delle casse rurali USA. In realtà, era caduto il Muro di Berlino e s’era aperto il serraglio del Caos. Il problema si risolse iniziando a mettere all’asta CdA e cariche pubbliche; le mafie e le lobby gradirono e approfittarono.
Finì che i migliori andarono in esilio o si ritirarono progressivamente in buon ordine.

E poi accadde di restar fermi nel pantano per 20 anni con due tizi in TV – uno pelato e l’altro occhialuto – a catalizzare il (pseudo)dibattito economico e politico. Prevalsero i comici e gli imbonitori da talk show: ad ognuno la sua professione, o no?
No. La gente confuse i comici per politici e la politica per una comica: frittata fatta.

Ed oggi si presentano con l’ennesimo Armageddon, un’altra Apocalisse, come se potesse ancora farci paura e come se non sapessimo che a noi ‘nati dopo il 1955’ tocca solo lavorare – se possibile – e pagare le tasse.
La pensione? I giovani? Si vedrà …

Ritornando all’inizio della storia, a quegli Anni Settanta, non resta che chiedersi cosa ci abbiamo guadagnato da tutta questa ‘crescita’ e dalla sopportazione che abbiamo dimostrato. L’aspettativa in vita?

… ma solo a patto che la Sanità funzioni e, soprattutto, che sia una vita che valga la pena di essere vissuta.

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Il Presidente fa quello che può …

1 Ott

In rete e su Facebook, imperversano i commenti e le proposte su cosa dovrebbe fare il nostro Presidente Giorgio Napolitano, dalla legge anti-corruzione, a quella elettorale, al ruolo di Mario Monti, alla legittimità di alcune norme varate dalla ministra Elsa Fornero e da lui avallate, la trattativa Stato-mafia, eccetera eccetera eccetera e chi più ne ha più ne metta.

Penso che ognuno di noi non possa far altro che quello che è nella sua natura, entro i propri limiti e secondo i propri talenti. Ciò a maggior ragione se si tratta di un politico ottuagenario, che, seppur tenutosi al passo dei tempi, difficilmente può smentire logiche, stili e metodi d’altri tempi, che l’hanno caratterizzato e, come nel caso di Giorgio Napolitano o di altri VIP, l’hanno reso vincente per una vita.

Toccherebbe al Parlamento eleggere un Presidente della Repubblica men che settantenne ed, al possibile, ancora in età lavorativa.

Per caratterizzare ‘logiche, stili e metodi’ il nostro Presidente Giorgio Napolitano le cronache ci propongono un incipit abbastanza clamoroso, ‘very impressive’, pubblicato da L’Unità nel 1956, quando aveva 31 anni ed iniziava ad essere il politico ‘a tutto tondo’ ce conosciamo.

Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato?

E’ assurdo oggi continuare a negare che all’interno del partito ungherese – in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese – non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E’ assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese.

Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo della nostra lotta.

Ma poi ci ha detto che l’intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere – e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato – che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo.

Un testo ‘very impressive’, dunque, ma non solo per i contenuti di cui Giorgio Napolitano ha fatto personale ammenda nel 2006 sulla tomba dell’eroe ungherese Nagy – ahimè dopo ben 50 anni dai fatti – precisando, come riportato nell’intervista del direttore della Gazeta Wyborcza, Adam Michkin, che “innanzitutto fu una tragedia, anche per il Pci, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. Poi, anche prima che si ammettesse l’errore, si comprese la lezione: per cui, quando nel 1968 (Togliatti era già deceduto da 4 anni) ebbe luogo l’intervento armato dell’Urss e degli altri paesi del blocco sovietico in Cecoslovacchia, il Pci ufficialmente si schierò contro quell’intervento”.

Un testo ‘very impressive’ non solo per chi vede gli ‘uomini d’apparato’ come il fumo negli occhi, ma anche per chi bada ai dettagli per intepretare l’animo e la logica umani, dato si tratta di ben 2.100 caratteri (una intera cartella dattilografica) con solo quattro punti. L’unico interrogativo, l’unica ‘ipotesi’, è in realtà una figura retorica, piuttosto che essere finalizzato ad introdurre ad un reale quesito o dibattito – ovvero informazione e costituzione di una pubblica opinione – su una questione gravissima come l’invasione sovietica dell’Ungheria.

Beato a chi vive di certezze.

Un testo che si conferma ‘very impressive’ per quanto accadde l’11 aprile del 1975,  quando il Comitato centrale del Pci – di cui facevano parte D’Alema e Napolitano – votò una risoluzione per esaltare «l’eroica resistenza dei popoli cambogiano e vietnamita» e invitare tutti i comunisti a «sviluppare un grande movimento di solidarietà e di appoggio ai combattenti». Peccato che, in Cambogia, i ‘combattenti’ erano i Khmer Rossi di Pol Pot, che, nell’arco di quindici anni circa, massacrarono brutalmente almeno un milione di oppositori politici.

Una ‘impressività’ che avrà il suo giusto verdetto dai posteri – a fronte dei dati sanitari attuali che raccontano un disastro ambientale ed etnico, che ancora oggi prosegue e che resterà ad imperitura memoria – per il sostegno dato al Governatore della Campania e Commissario straordinario all’emergenza rifiuti, mentre la Campania era un enorme rogo di rifiuti – e reclamassero ormai anche l’UE e la WHO – e nonostante che Bassolino fosse ormai oggetto di inchieste, denunce e processi (poi pervenuti a condanne e prescrizioni, oltre che decaduti spesso per vizi formali).

Cosa dire di più oltre il constatare che, se il Centrodestra italiano, durante tutta la Seconda Repubblica, è stato condizionato dal Berlusconismo, il Centrosinistra non è stato da meno, dato che i gli obiettivi erano (e son rimasti) la ‘conciliazione’ con i Cattolici – ovvero il Compromesso Storico di berlingueriana e fallimentare memoria – e la ‘vocazione maggioritaria, cioè la creazione di una forza politica monopolista, come il PCUS in Russia od il Partito dei Lavoratori in Norvegia.

Chiarito che gli obiettivi di fazione hanno prevalso sull’interesse generale per troppi e troppi anni – oltre che l’età anagrafica del Presidente è anch’essa, ormai, un elemento di significativa ed attesa innovazione – ricordiamo che la norma conferisce al Presidente della Repubblica un ruolo ‘quasi notarile’ con prerogative limitate e che Giorgio Napolitano, dimostrando comunque un grande senso delle istituzioni nei frangenti attuali, non è un ‘dilettante’ (come noi comuni cittadini frequentatori di salotti e bar dello sport) e ‘fa quello che può come lo sa fare’, visto, tra l’altro, che l’attuale legge elettorale ha reso le legislature più deboli ed i poteri presidenziali ancor meno espliciti.

Andrebbe chiarito anche che il senso delle istituzioni è una cosa leggermente diversa dal senso dello Stato, specialmente se sono proprio le istituzioni (ed i suoi uomini) quello che lo Stato deve riformare con antica urgenza. E specialmente se qualcuno fosse convinto che tra le istituzioni vi siano anche i partiti, che viceversa non sono altro, ormai, che delle organizzazioni finalizzate alla raccolta del consenso.

Un consenso ormai incomputabile, visto che ormai siamo ad ottobre 2012 , di partiti e colaizioni non ve ne è l’ombra ed il ‘popolo’ ed i ‘servizi pubblici’ (anche questo è Stato) non reggono più un obsoleto temporeggiare che si traduce in disoccupazione, degrado e carestia.

Ma le istituzioni vanno comunque rispettate fino a diversa riformulazione: il Caos porta solo lacrime e sangue senza alcun costrutto.

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