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Calcio, stadi non sicuri

16 Apr

Piermario Morosini, calciatore del Pescara, è morto durante una partita di calcio.

Abbiamo visto tutti che quanto tempo ha impiegato l’ambulanza per soccorrerlo.

Se tale è il tempo di intervento nel “piccolo” stadio di Pescara per un giocatore che si accascia in campo nell’allarme generale, quali sono i tempi negli “enormi” stadi di Serie A, se a sentirsi male è uno spettatore o peggio se c’è una rissa con qualche ferito grave?

Comuni, regioni e prefetture cosa fanno?

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Lezioni sospese. Ed il monte ore annuale?

13 Feb

La buriana sembra essere passata e la neve passa loscettro del disastro al ghiaccio ed al gelo.
Intanto, nei centri abitati riaprono le scuole, dopo sette o dieci giorni di sospensione della didattica.

Il sistema scolastico italiano prevede, come tutti sanno, che le classi ed i singoli alunni svolgano un determinato numero di ore, affinchè l’anno scolastico sia “valido” e si possa essere promossi od amemssi agli esami.

Parliamo di 1056 ore annue per gran parte degli istituti, di 990 per medie, elementari e buona parte dei licei, fino al minimo di 891 ore, previsto per i classici.
Ore che vengono distribuite, quasi esclusivamente, su 33 settimane annue, con frequenze che vanno dai cinque ai sei giorni alla settimana e con una durata quotidiana delle lezioni di 5-6 ore.

La norma, così come voluta dal ministro Gelmini, non prevede deroghe al numero minimo di ore svolte dalla classe e consente ai singoli alunni un massimo di una 50 di assenze annue, salvo casi eccezionali e documentati.
D’altra parte, la norma non è altro che il recepimento delle direttive e dei trattati europei: nulla da fare, dunque, se vogliamo emettere dei titoli riconosciuti all’estero.

In due parole, se il Calendario scolastico della Regione Lazio, per il 2011-12, prevedeva 210 giorni di lezione, sabati inclusi, ne restano solo 200-202 per le scuole di Roma, ad esempio, ed ancor meno per tutte quelle località dove stamane le lezioni sono rimaste sospese.

Così andando le cose, va capito cosa accadrà, nel futuro prossimo venturo, allorchè verrà a porsi il problema che, in molti comuni del Centroitalia tra cui la Capitale, la durata dell’anno scolastico potrebbe non poter contare su un numero di giorni congruo, a fronte di un diritto costituzionalmente garantito.
Dieci, quindici giorni di sospensione delle lezioni sono tanti, tantissimi, se, poi, c’è da recuperarli.

Le scuole di pensiero a riguardo sono tante e tutte affette da una qualche “difficoltà”.

Dall’ipotesi che le ore vengano svolte “in aggiunta” all’orario “normale”, per iniziativa dei dirigenti e degli organi collegiali delle scuole, senza intaccare il calendario regionale, ma stravolgendoi trasporti e obbligando i docenti ad orari eccedenti.
A quella che le singole Regioni adottino modifiche ai rispettivi calendari scolastici, azzerando le vacanze pasquali, ipotesi impraticabile per gli esiti di forte impopolarità, mentre riforme ed elezioni incombono.

Per finire alla prevedibilissima “deroga” ministeriale, magari a mezzo circolare, anzichè decreto, sollevando tutti dall’obbligo di recupero delle ore di lezione mancanti e lanciando al paese un chiaro – e pericoloso – segno di populismo … e di “benevolenza”. Il tutto  – ancor più pericolosamente – in barba all’europeismo vantato da Mario Monti in tante sedi internazionali.

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Il Centroitalia in stato di calamità

12 Feb

L’Appennino centromeridionale è sommerso dalla neve.
Come al Passo del Furlo, dove si combatte da almeno una settimana contro una bufera ignorata dai media, oppure per le centinaia di persone sfollate dalle piccole frazioni della Romagna.

O come nell’Avellinese dove, oltre agli sgomberi di edifici,  l’accumulo di neve sui tetti ne ha messo a rischio la staticità e le strade del centro sono transennate per la caduta delle grandi lastre di ghiaccio, che si staccano dai tetti e dai balconi, con tantissime auto danneggiate.
Inoltre, almeno una ventina di comuni dell’Alta Irpinia sono senza acqua, a causa di un black out verificatosi agli impianti dell’Acquedotto Pugliese, e nella stessa situazione sono i comuni di Aquilonia, Bisaccia, Lacedonia, Monteverde, Cairano.
Praticamente isolata l’Irpinia, dove sono chiuse molte strade che servono a collegare i centri della Valle Peligna, dell’Alto Sangro,  Pescina, Villetta Barrea, Opi, Scanno, Anversa degli Abruzzi, S. Donato val di Comino (Frosinone).

Anche la Toscana ha i suoi problemi e risultano semi-isolati Gamberaldi, Lutirano, Campigno, Firenzuola, Vacchiella, Eremo Santa Maria, Greta. Mugello è semi-isolato e problemi seri si riscontrano anche a Palazzuolo. In provincia di Pistoia, ma non solo, a causa del congelamento delle tubazioni, alcune aree montane sono senz’acqua potabile.

Nel Teramano, dove la situazione è particolarmente critica, intere frazioni sono rimaste sepolte dalla neve, che è caduta ininterrottamente per circa 24 ore.
Nelle provincie di Pesaro e Urbino nevica quasi ininterrottamente dal 3 febbraio scorso e “la situazione è drammatica”, specialmente a  Mercatino Conca, Sassofeltrio, Monte Cerignone e Montegrimano, con più di 3 metri di neve nell`entroterra.
Addirittura, Urbino ha rischiato di restare isolata e la situazione è piuttosto critica nelle frazioni più periferiche di Umbertide, Preggio, Olivello, Racchiusole, Caicocci, Santa Lucia Castelvecchio, Sant’Anna e Spedalicchio.

Anche Chieti, Francavilla al Mare, Cappelle sul Tavo e Spoltore, in Abruzzo, sono senz’acqua a causa del gelo delle sorgenti e delle riduzioni di portata dell’acquedotto. E nella sola Regione Lazio, si contano ben 150.000 utenze dell’Enel distaccate per il freddo con effetti sulla telefonia, fissa e mobile.

Questa è una breve ed incompleta lista dei luoghi dove neve, vento e ghiaccio hanno raggiunto l’entità di “evento calamitoso”.

Una lunga lista alla quale va aggiunto che il blocco dei mezzi pesanti, l’impercorribilità delle strade e le enormi difficoltà per raggiungere le aziende agricole hanno fatto crollare del 40 per cento le consegne dei prodotti alimentari freschi (frutta, verdura, carne, latte, latticini, uova) dalle campagne ai mercati all’ingrosso rispetto al quantitativo medio abituale.
E che, le nevicate hanno danneggiato le colture d’olivo – appena potate – e portato i consumi energetici (ed i costi) dei vivai e delle serre alle stelle.

Oppure, ancora, che sono milioni e milioni le ore di lavoro perdute e saranno di miliardi le spese che l’Italia ed i singoli italiani dovranno affrontare per ripristinare le zone e le cose disastrate e per intervenire, soprattutto, contro il dissesto idrogeologico ed il degrado infrastrutturale, che incombe sulla sicurezza dei cittadini e delle imprese.

Un governo “iniquo” – vedi George Walker Bush a New Orleans – “non commenta” e manda l’esercito … un governo “equo” avrebbe già fatto la sua parte attivando – e sostenendo finanziariamente – le reti di solidarietà sociale e civile.

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Equità: una questione di stile, ma anche di cittadinanza.

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Roma, l’Italia in ginocchio

7 Feb

In quanto sta avvenendo a Roma, per la neve e per le polemiche derivanti, possiamo leggere nella sua dramamticità della situazione di semiparalisi non della sola Capitale, ma del Paese tutto.
Una semiparalisi dei “poteri”, in cui si è andata ad infilare l’Italia dopo 12 anni di “sospensione secondorepubblicana” ed ulteriori sei di stallo tra Prodi bis e Berlusconi ter.

Dalle centinaia di migliaia di pendolari rimasti senza mezzi di trasporto e senza, soprattutto, informazioni, venerdì scorso, agli automobilisti ed ai trasportatori che, stessa situazione, si sono trovati dinanzi alla totale non-organizzazione.
Per non parlare dei treni metropolitani di Roma che sono andati in tilt, addirittura partendo a percorso bloccato, o della stazione Termini che era rimasta con 2-3 binari percorribili, deviando il traffico TAV su Tiburtina da cui partivano solo pochi treni verso Fara Sabina e Tivoli.
Alla Protezione Civile che invia bollettini asettici, invece di mettere un bel timbro rosso con scritto “Evidenza”, come fanno in USA, o che annuncia 35mm di acqua, che, se la temperatura è sotto lo zero, solo se, diventano 35 centimetri di neve.
All’Esercito, che andrà rimborsato a carico di tanti magri bilanci comunali, alla RAI che avrebbe potuto, ma non l’ha fatto, svolgere un ruolo di informazione diffusa, come accade normalmente, altrove ed in Italia, in caso di calamità e catastrofi.
Fino alla “follia” riportata nell’atto del 14 dicembre 2011, in cui il Campidoglio stabilisce che, per una città vasta come Roma, l’AMA (l’azienda ex municipalizzata) «per le opere di spazzaneve metterà a disposizione sei mezzi, tre pale meccaniche, una lama, due spandisale».

O, come oggi, sapere della scoperta di decine di lame dimenticate in un deposito a San Saba, o del sindaco Alemanno, che a dicembre aveva tolto all’Ama il ruolo principale nella gestione di situazioni eccezionali.
E, per dirla tutta, una capitale in ginocchio, con scuole ed uffici chiusi, non per la neve, ma per l’assenza di misure idonee, visto che da sabato c’è il sole.

Con un governo “normale” e con un’Italia che “va da qualche parte”, le cose sarebbero andate molto diversamente:

  • il Partito Democratico avrebbe dovuto chiedere le dimissioni del Sindaco, chiedendo le elezioni. Cosa che al momento non ha intenzione di fare;
  • la RAI avrebbe trasmesso sia le solite new strappalacrime “dai luoghi della tragedia” ed i talk show sarebbero stati ricolmi di rissosi politici, ben attenti a rimpallarsi barili e responsabilità;
  • qualche magistrato avrebbe aperto un fascicolo contro ignoti;
  • qualcuno (sindaci ed imprese) avrebbe reclamato lo stato di calamità e finanziamenti straordinari;
  • il premier, o chi per lui, avrebbero rassicurato i cittadini visitando i luoghi disastrati;
  • la santa stampa ci avrebbe spiegato a menadito cosa andava fatto e cosa non, chi era e chi no, dove e quando se non perchè.

Di tutto questo, nulla.
Questa è l’Italia guidata da Mario Monti.

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Roma bloccata dalla neve

3 Feb

Ore 13,40: Roma è in tilt a causa della neve  e, per il momento, ne sono caduti 50 centimetri in poche decine di minuti su Roma Nord, dove le pendenze sono anche elevate.

Il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha disposto la chiusura degli uffici pubblici dalle 14 di oggi a tutta la giornata di domani per “le avverse condizioni atmosferiche che si prevedono in miglioramento solo a partire da domenica, dovranno essere comunque garantiti i servizi d’emergenza”.

In questo momento, migliaia e migliaia di impiegati sono ancora negli uffici, colti alla sprovvista lontano dalle proprie abitazioni, come anche tanti automobilisti sono sulla strada per tornare a casa propria, tra le smisurate periferie romane o, addirittura, nella provincia.

Tutti senza informazioni, eccetto il fai da te, consultando i tweet dei romani in movimento su l’unico servizio in rempo reale attualmente funzionante, ovvero la pagina Twitter di INFOATAC.

Non è per mettere la croce ad Alemanno, l’organizzazione richiede anni ed anni, ma nessuno sa quali strade siano ancora percorribili o quali mezzi pubblici, eccetto quelli ferroviari, siano ancora in funzione.

Cose anche banali, ad esempio sapere se lungo la Nomentana i bus stiano percorrendo regolarmente la corsia a loro riservata e che “non dovrebbe” avere intralci. Oppure, quali tram e quali metro siano ancora operativi. Per non parlare delle indicazioni minime agli automobilisti, visto che affrontare la neve con il traffico in tilt.

L’unica speranza, al momento, è che la “bufera” cessi per qualche ora, prima del buio, in modo da dare il tempo alle persone di rientrare a casa.

In alternativa, nessuno sa cosa racconteranno le cronache domani riguardo quel circa mezzo milione di persone che cercherà di rientrare alla propria abitazione.

In ambedue i casi, sarebbe il caso di iniziare e chiedersi se Roma è effettivamente diventata una metropoli da 4 milioni di persone, più i pendolari, o se è solo il numero, ma non il Pil e le infrastrutture, a renderla tale.

P.S. Mentre Roma iniziava a paralizzarsi per la neve “una Smart ha bloccato il passaggio dei tram all’altezza del museo d’arte moderna, in viale delle Belle arti. La macchina è parcheggiata esattamente sulle rotaie. Il volante bloccato da una sbarra antifurto. Sul posto i carabinieri già presenti per monitarare il traffico che tramite la centrale cercano di rintracciare il proprietario.
Speriamo venga denucniato e condannato per interruzione di pubblico servizio.

Intanto, il Piano Emergenza Neve per il trasporto pubblico di Roma su disposizione della Protezione civile di Roma Capitale, diffuso dall’Agenzia per la Mobilità, la linea numero 3 dei tram è tra le linee che assicurano il servizio. Peccato che  “non ce la fa a fare la salita”, lo confermano gli autisti, e che il problema sia di vecchia data …

Secondo un comunicato di TomTom, alle ore 16, c’erano 270 chilometri di code entro il Grande Raccordo Anulare.

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Tripoli è caduta: ministoria di un’insurrezione

23 Ago

Tutto iniziava il 17 febbraio 2011, il Giorno dell’Ira.

Migliaia di manifestanti scendevano in strada nelle città della Cirenaica, il regime uccide 6 persone e ferisce decine di manifestanti.

Dopo giorni di manifestazioni e dure repressioni, Bengasi e la Cirenaica insorgono il 23 febbraio . Migliaia di morti e massicce defezioni dei soldati del despota. Inizia la rivolta.

23 febbraio 2011 Un aereo con Aisha Gheddafi a bordo chiede di atterrare a Malta, ma il permesso viene negato. I media avanzano sospetti che il Colonnello stia trasferendo ed occultando capitali all’estero.

19 marzo Dopo un mese di stragi e pulizie etniche del regime, l’Aereonautica francese attacca le forze di Gheddafi in applicazione del mandato ONU.

20 marzo Alla missione si uniscono, progressivamente, gli USA, la Gran Bretagna, la Germania ed alcuni paesi della Lega Araba. L’Italia resta ai margini delle operazioni a causa dell’ambiguità delle sue relazioni con il tiranno.

26 marzo I ribelli riconquistano Brega e Ajdabija, puntando verso Ras Lanuf: inizia la ritirata dei lealisti.

11 aprile Inizia a formarsi un governo provvisorio libico e vengono fornite ampie rassicurazioni riguardo i contratti petroliferi siglati dal regime.

23 aprile Viene liberata Misurata, dopo oltre due mesi di assedi e di bombardamenti da parte dei lealisti di Gheddafi. Viene anche liberato il rimorchiatore italiano, Asso 22, rimasto bloccato lì.

30 aprile Iniziano gli attacchi missilistici al bunker del tiranno e muoiono uno dei figli dei tiranni ed alcuni nipoti. Gheddafi chiede, senza successo, di fermare i bombardamenti USA.

16 maggio Il procuratore Luis Moreno-Ocampo chiede l’emissione di mandati di cattura internazionali contro Gheddafi, il figlio Seif al Islam e il direttore dei servizi segreti libici Abdallah al Senussi.

26 giugno La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja emette mandato d’arresto contro il Colonnello Gheddafi per crimini contro l’umanità insieme al figlio primogenito ed al capo dei servizi di intelligence.

22 agosto 2011 Gli insorti entrano a Tripoli ed inizia l’assedio al bunker del tiranno.

Questi i post passati che si sono occupati del Colonnello Gheddafi:

04-mar-10 Lo stile inconfondibile della Famiglia Gheddafi
04-mar-10 Gheddafi e l’embargo alla Svizzera: dopo il petrolio tocca ai datteri
16-giu-10 Il denaro che puzza
31-ago-10 Gheddafi, dall’Europa un silenzio di tomba
21-feb-11 Gheddafi e l’amico Berlusconi
23-feb-11 Libia, scoperti corpi bruciati (video)
24-feb-11 Massacri libici, affari italiani
23-mar-11 Libia, petrolio e guerra
04-apr-11 Non solo Libia
26-apr-11 Italia in guerra senza Bossi e Bersani?
11-apr-11 Libia, chi sono gli insorti
30-mag-11 Perché Al Qaeda attacca l’Italia?

Italia in guerra senza Bossi e Bersani?

26 Apr

Sì ad «azioni aeree mirate» italiane in Libia. Questa la brief note con cui il Governo ha annunciato l’entrata in guerra dell’Italia.

Una decisione, come conferma il ministro degli Esteri Franco Frattini, che che poteva attuata ben quindici giorni fa, visti i toni tenuti dal rappresentante del governo provvisorio Jalil, in visita a Roma.
“Voi vi siete fatti ingannare dalla retorica di Gheddafi, ma noi che siamo i libici di Bengasi, i libici che dovrebbero odiare di più gli italiani, riconosciamo che voi non ci avete solo colonizzato: avete costruito il nostro Paese. E’ per questo ha continuato – che abbiamo bisogno di voi, proprio di voi, adesso: aiutateci.”
Un accorato appello, al quale Silvio Berlusconi aveva pubblicamente risposto, pochi giorni dopo, che “considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale, non sarebbe comprensibile un maggior impegno militare.”

Una mossa, imposta da Obama a nome evidentemente del Consiglio NATO, che potrebbe, almeno, riqualificare l’immagine italiana dall’imbarazzante amicizia di Gheddafi con Berlusconi, il quale, per l’appunto, si dichiara imbarazzato.

Una ripresa “obbligata” della politica italiana nel Mediterraneo, dopo 150 anni di stasi, che  riporterebbe le regioni ed i porti del Sud agli antichi fasti, con prevedibili ricadute (negative?) per le regioni padane e quelle “rosse”.

Infatti, se Calderoli annuncia un “Non con il mio voto”, aprendo un’ulteriore frattura nel governo, dalla riva opposta arriva un durissimo il comunicato di Emergency.
“Il governo italiano continua a delinquere contro la Costituzione e sceglie la data del 25 aprile per precipitare il Paese in una nuova spirale di violenza. Le bombe non sono uno strumento per proteggere i civili: infatti non sono servite a proteggere la popolazione di Misurata. La città di Misurata, assediata e bombardata da oltre due mesi, nelle ultime 24 ore ha vissuto sotto pesantissimi attacchi che hanno raso al suolo quartieri densamente popolati, anche per l’impiego di missili balistici a medio raggio”.
Intanto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa precisa che  “non si tratterà di bombardamenti indiscriminati ma di missioni con missili di precisione su obiettivi specifici” per “evitare ogni rischio di colpire la popolazione civile”.
E Frattini conferma: «Bombarderemo obiettivi mirati, per esempio batterie anticarro, carrarmati, depositi di munizioni. Obiettivi pianificati dalla Nato, che ce li indicherà di volta in volta».

Quanto al popolo padano, Berlusconi rassicura (secondo lui) che “non occorre un nuovo voto del Parlamento, dunque non ci sarà nessuna spaccatura tra noi e la Lega come spera l’opposizione”.

L’opposizione?  Tace, imbarazzatamente tace, trincerandosi dietro “i limiti posti dalla risoluzione Onu”, come se non ci siano un popolo insorto, un dittatore efferato e tremila anni di storia comune.

Intanto, a Misurata l’assedio, la fame, la sete, le morti innocenti continuano.

Non solo Libia

4 Apr

Ho scritto della crisi libica mentre accadevano i primi eventi e l’impressione è che il fenomeno in atto sia molto più ampio della sola Libia o del Nordafrica.

Come non notare che, dopo la Siria,  solo Palestina-Israele manca all’appello del “Day of rage” e che, se non avverrà, potrebbe solo significare che Hamas è ovunque e che la repressione israeliana soffoca anche i laici palestinesi.

Oppure, come non rendersi conto che il disastro nucleare di Fukushima e l’intensità di certi eventi naturali mettono in crisi sia una certa visione dello sviluppo futuro delle nostre infrastrutture ed attivano un’ancor più spietata ricerca di risorse energetiche e minerarie.

Tornando ai crucci italiani sulla Libia, esistono dei “quid” che sono del tutto disattesi dall’informazione italiana, vuoi per interessi di bottega, vuoi per formazione risorgimentale, vuoi per appartenenza militante.

Questioni, tutte squisitamente politiche ed economiche, che sottendono ai quesiti ondivaghi con cui la pubblica opinione sta lentamente e confusamente apprendendo riguardo gli eventi molto variegati e le (poco) diverse posizioni.

Ad esempio, in uno scenario di superamento degli accordi coloniali del 1884, quale può essere mai il ruolo e le garanzie dell’Italia verso i paesi emergenti se lo stesso Meridione viene tenuto nel degrado con l’aiuto delle mafie?

Oppure, quale politica possiamo mai sostenere nel Mediterraneo, se tutto è deciso a Roma (che ha ormai accettato i “patti di Yalta” tra Saladino e Federico ai tempi delle Crociate) ed a Milano, che è più svizzera che penisola? Sarà un caso che il comando NATO sta proprio a Napoli?

Come rispettare la convenzione di Ginevra per i profughi, se negammo l’asilo persino ai fiumani, oppure garantire la firma delle Carte dei diritti ONU, se 4 milioni di italiani devono ricorrere ai banchi alimentari con la spesa pubblica che abbiamo?

E’ anche da quesiti come questi, che gli altri si pongono e noi no, che nasce la marginalità italiana nel contesto africano e mediorientale.

leggi anche Libia petrolio e guerra

con le mappe petrolifere

e Massacri libici, affari italiani

con i dettagli sulle nostre aziende

Libia, petrolio e guerra

23 Mar

La Libia possiede circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti e, con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelli d’Egitto), supera la Nigeria e l’Algeria (Oil and Gas Journal). Al contrario, le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine di 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration. (fonte CoTo)

Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di metri cubi, ma la sua produzione è stata tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della capacità produttiva secondo i dati della National Oil Corporation (NOC) l’obiettivo a lungo termine è di tre milioni di b / g ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno.

E’ evidente che una invasione della Libia, anche se nel quadro di un mandato umanitario, servirebbe anche gli interessi delle imprese petrolifere angloamericane, come l’invasione del 2003 e l’occupazione dell’Iraq, in modo da prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia e privatizzare l’industria petrolifera del paese. Wall Street, i giganti petroliferi anglo-americani, i produttori di armi USA-UE ne sarebbero soli beneficiari.

 

Tra l’altro, mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo estrattivo del petrolio libico è estremamente basso, a partire da 1,00 dollari al barile: a 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà la Libia un margine di profitto 109 $ per barile” … (fonte EnergyandCapital.com 12 Marzo 2008)

 

Non sorprenderà sapere che, da qualche tempo, anche  la Cina sta giocando un ruolo centrale nel settore petrolifero libico e non a caso la China National Petroleum Corp (CNPC) ha dovuto rimpatriare dalla Libia ben 30.000 cinesi. L’unico dato certo è che l’11% delle esportazioni di petrolio libico vengono incanalate verso la Cina, ma non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza, certamente notevole,  della produzione cinese in Libia e delle trivellazioni.

La campagna militare contro la Libia è , evidentemente, volta ad escludere la Cina dal Nord Africa, che ha interessi petroliferi anche in Ciad e Sudan.

Importante è il ruolo d’Italia, dato che ENI, il consorzio petrolifero italiano, tratta 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25 per cento delle esportazioni totali della Libia. (fonte SKY News UK), come quello tedesco che, nel novembre 2010, ha firmato tramite la compagnia petrolifera nazionale, la RW Dia,  un accordo settennale con la National Oil Corporation (NOC) libica di entità paragonabile a quelli italiani e cinesi.

 

L’operazione militare in corso ha come scopo “a lungo termine” di ristabilire l’egemonia anglo-statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata da Francia e in misura minore, da Italia e Spagna.

Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington potrebbe essere quello di indebolire i legami politici di questi paesi verso la Francia e spingere per l’installazione di nuovi regimi politici che hanno un rapporto stretto con gli Stati Uniti con esclusione della Cina dalla regione. I precedenti sono noti e disastrosi: parliamo dell’Indocina-Vietnam e  delle guerre dei soldati-bambino dell’Africa equatoriale.

La Libia, inoltre, confina con molti paesi che sono sfera d’influenza della Francia tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad. Exxon, Mobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto che arriverà fino alla regione sudanese del Darfur, ricco di petrolio, ma anche la China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo di vasta portata con il governo del Ciad nel 2007.

Sempre ai confini della Libia c’è il Niger che possiede ingenti riserve di uranio, attualmente controllate dal gruppo francese Areva nucleare, precedentemente conosciuto come Cogema ed anche la Cina ha una partecipazione nell’estrazione di uranio del Niger.

Dunque, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti nel suo tentativo di estendere la sua sfera di influenza in Africa francofona, una regione che faceva parte degli imperi coloniali Francia e Belgio, i cui confini sono stati stabiliti dalla Conferenza di Berlino del 1884, in cui gli USA ebbero un ruolo minore.

 

Inoltre, l’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, di cui ben l’85% viene venduto a paesi europei e, principalmente Italia e Germania attraverso il gasdotto Greenstream nel Mediterraneo.

Dunque, l’operazione statunitense ha  anche un impatto diretto sul rapporto tra Stati Uniti e l’Unione europea: considerato che gli USA e la NATO sono coinvolti in tre distinti teatri di guerra (Palestina-Libano, Afghanistan-Pakistan, Iraq-Curdistan), un attacco contro la Libia comporta il rischio di escalation militare.

Infatti, dal punto di vista di Obama e del suo staff, l’attacco in Libia non sembra essere altro che un ulteriore “teatro bellico”, nella logica del Pentagono di “multiple simultaneous theater wars”, che gli USA ritengono necessarie, come affermava il documento PNAC del 2001, dove venivano definite le strategie statunitensi nel medio periodo.

Intanto, mentre i caccia francesi difendono insorti, pozzi di petrolio e, probabilmente, la pace nel Mediterraneo, i Tornado italiani si alzano in volo, consumano un tot di carburante, monitorano dei radar che non ci sono e tornano a casa … questa è tutta la politica dell’Italia nel Mediterraneo.

Anche questi sono i frutti di uno scandaloso premier, del suo governo “de poche” e della “politica del fare” (ndr. poco e male) della Lega.

(leggi anche “Chi sono gli insorti

“Non solo Libia” “La guerra ingiusta”

e “Massacri libici, affari italiani”)

L’Italia e la guerra “ingiusta”

21 Mar

Neanche sono iniziate le azioni militari vere e proprie e già un bel po’ di italiani, tra berluscones, leghisti e sinistre, si lagnano della  guerra,  evidentemente “ingiusta” per definizione.

A quanto pare, questi italiani ed i loro cronisti hanno già dimenticato i bombardamenti sui civili, le sparatorie sui funerali, i rifugiati abbandonati a morire nel deserto, i campi di concentramento, le violazioni dei diritti umani.

Eppure, è da quando il “Capellone” ha preso il potere che accade tutto questo in Libia:  non è cronaca solo di questi giorni.

Allo stesso modo, cronisti e cittadini, trascurano l’elemento essenziale di questa vicenda: l’Italia, appoggiando spudoratamente un cotal energumeno, “ha perso” la Libia come “si giocò” la Somalia.

A questo porta l’avidità dei governi e degli imprenditori, la supinità ed il pressappochismo dei mezzi d’informazione, la faziosità e la creduloneria degli elettori.

Adesso, di fronte le nostre coste, c’è la guerra e siamo comunque coinvolti: non era meglio, non era più “politically correct” non fare affari con un aguzzino e, poi, poter mandare il nostro esercito in aiuto agli insorti libici?

Su quale “guerra ingiusta” lacrimano i nostri salotti buoni?

Eppure, la prima guerra “per il petrolio” fu l’annessione del Regno delle Due Sicilie (1861) da parte dei Savoia, con l’appoggio britannico e statunitense, che “liberò” il Mediterraneo dalla potenza navale italiana (ndr. borbonica). A seguire, il canale di Suez (1869), l’occupazione inglese dell’Egitto (1882), le rivolte fomentate da Lawrence d’Arabia (1916), le rivolte antiottomane e l’autodeterminazione del popolo arabo finita come sappiamo.

Di quale “guerra ingiusta” vogliamo parlare? E, soprattutto, di quale politica italiana nel Mare Mediterraneo?

… i peccati originali non possono scomparire con un colpo di spugna.