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La responsabilità civile dei magistrati e la Costituzione

12 Giu

In Italia, oggi come oggi, “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia” NON può agire contro lo Stato e contro il magistrato per ottenere il risarcimento dei danni.

Un concetto lapalissiano, se in uno stato di diritto. Un abisso della democrazia, se non attuato.

Ad oltre 60 anni dalla stesura della Costituzione italiana, ieri, finalmente, alla Camera s’è fatto un primo passo in questa direzione con un emendamento approvato con i voti del Centrodestra più un’ottantina di Demoratici, M5S astenuti.

Annotiamo alcuni singolari commenti di sponda democratica e governativa:  “al Senato modificheremo la norma”,  “un vero e proprio colpo di mano del centrodestra con la complicità del M5S”.
Eppure, è alla Camera – e non al Senato – che il PD ha praticamente la maggioranza assoluta …

Una questione controversa, quella della responsabilità civile dei magistrati, se per Giorgio Napolitano, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura,  “la tutela dell’indipendenza assicurata al giudice dagli ordinamenti non rappresenta un mero privilegio”, ma secondo il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, “è in gioco non un privilegio, ma l’indipendenza di giudizio del magistrato”. 

Per l’Associazione nazionale magistrati questo voto è “un fatto grave”, “questa norma costituisce un grave indebolimento della giurisdizione”. Per l’Associazione magistrati della Corte dei conti l’emendamento “costituisce un gravissimo vulnus all’autonomia e all’indipendenza dei giudici”. Per Anna Canepa, segretario di Magistratura democratica, “il voto arriva a indebolire la magistratura proprio nel delicato momento delle inchieste sulla corruzione”.

Eppure, per noi comuni mortali, quello che resta incomprensibile è che – se sottoposti ad eccesso, dolo o inerzia in un processo di giustizia – non ci sia qualcuno che paghi i danni.

Specialmente, se leggiamo sulla Costituzione (art. 24) che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi“, precisando che (art. 113) contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.”

L’art. 104 sancisce solo che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

 

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Decreto Imu-Bankitalia: democrazia violata?

30 Gen

Ieri, per la prima volta nella storia, il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha deciso di applicare la cosiddetta «ghigliottina» sul Decreto Imu-Bankitalia, per porre fine all’ostruzionismo, portandolo direttamente in votazione, in quanto se non fosse stato approvato entro la mezzanotte, si sarebbe dovuta pagare la seconda rata dell’Imu.

Scoppia la bagarre, forse ‘tafferugli’, poi si vota e la norma viene approvata con 236 voti favorevoli e 209 contrari.

Democrazia violata? Forse. Non nelle ‘regole’, ma nella sostanza, cosa forse anche peggiore.

Al momento dell’intervento di Laura Boldrini (ndr. la ‘ghigliottina) mancavano in aula ben 195 deputati e la proposta di legge è passata con soli 27 voti.
Quale sarebbe stato l’esito mezz’ora prima o mezz’ora dopo, quando – si ipotizza – i presenti potevano essere altri? E, soprattutto, di quale maggioranza a sostegno del governo parliamo, se circa la metà dei ‘sostenitori’ erano fuori dall’aula al momento del voto?
Si possono invocare l’ostruzionismo parlamentare e l’urgenza, se alla Camera vengono dati giorni ed ore per discutere un provvedimento così importante che riguarda le proprietà immobiliari degli italiani e la Banca d’Italia? E perchè unire due provvedimenti così critici e importanti?

Intanto, dopo un blocco delle pensioni ed un Fiscal Compact su cui – oggi – recrimina persino la Germania, ci ritroviamo con una riforma fiscale e una ristrutturazione di Bankitalia (cioè dell’Euro) approvate di fretta e furia da un Parlamento per un terzo assente.

Laura Boldrini ha adempiuto ad una esigenza nazionale e sovranazionale, poco altro poteva fare, ma il metodo, oltre ad essere potenzialmente scorretto, si è già rivelato pernicioso.

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M5S a convegno per governare?

4 Mar

Non era difficile non dare per scontato che centonove deputati e cinquantaquattro senatori avessero bisogno di un «conclave» del neonato Movimento Cinque Stelle, per decidere insieme le strategie ed i margini di accordo che vogliono attuare in Parlamento e, innanzitutto, la governabilità.

Altrettanto facile immaginare che la Premiata Ditta Grillo & Casaleggio si faccia scippare ‘al mercato delle vacche’ quelle due dozzine circa di senatori che mancano al Partito Democratico per governare.

Nel ‘conclave’ dei parlamentari del M5S, verranno chiarite anche alcune questioni essenziali, sulle quali non loro, ma gli italiani tutti stanno facendo una gran confusione.

La richiesta da parte di Grillo di un governo di minoranza senza una fiducia preventiva che contratta, di volta in volta, l’appoggio su singole leggi porrebbe inevitabilmente l’Italia in balia del Parlamento e delle Lobbies.

Anche se Bersani intima a Grillo: «Decida cosa fare o tutti a casa», il caso del capo dello Stato in scadenza – “semestre bianco” – impedisce che egli sciolga subito le Camere.

Come probabilmente sperano i sostenitori di Mario Monti, una prosecuzione “a tempo” del mandato presidenziale al Quirinale non rientra nei ‘parametri’ previsti dalla Costituzione.

Malgrado quanto sostenuto da una parte della Sinistra, nonostante il Procellum, spetta solo al Presidente della Repubblica, e solo a lui, scegliere in piena autonomia, al termine delle consultazioni, a chi affidare l’incarico per formare il governo.

Dunque, esistono solo due strade.

La prima via – quella che comunemente è chiamato ‘governo tecnico per le riforme’ – è quella che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quelli ‘tecnici’ guidati da Dini e Amato per traghettare il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con le autonomie locali riformate.
Nella sostanza è quello che sta chiedendo – con poca chiarezza – Beppe Grillo e che, ragionevolmente, chiederà il Movimento Cinque Stelle di Casaleggio.

Il secondo percorso – quello che comunemente è chiamato ‘governissimo’ -è quello che di un governo a tempo con un programma di riforme, sul genere di quello guidato da un ‘tecnico’ come Mario Monti per salvare il sistema finanziario italiano, che si concluda con delle elezioni con un nuovo sistema elettorale e con il Welfare riformato.
Nella sostanza è quello che serve alla Seconda Repubblica per guadagnare qualche anno di vita ed avere il tempo, secondo loro, di lavorarsi ai fianchi il movimento dei Grillini.

In tutto ciò, c’è da insediare il Parlamento ed eleggere, anche con una certa rapidità, sia i Presidenti della Camera e del Senato, si individuare i candidati alla presidenza della Repubblica e darsene uno.

Dunque, che Bersani la smetta di portar fretta, che non ce ne è se non per lui, che, a breve, dovrà rendere ragione ai suoi sodali di partito in ordine all’ennesima cantonata presa e conseguente bastosta incassata, illudendosi di governare con il 33% ed un voto.

Tanto, finchè non si eleggerà ed insedierà il nuovo Presidente della Repubblica, c’è il Governo Monti per ‘l’ordinaria amministrazione’ e per la buona pace di banche, governi esteri e mercati vari.

Il Movimento Cinque Stelle è a convegno ed è la loro prima prova del nove. Avranno idee, condivisione e lungimiranza per resistere al canto delle sirene democratiche-democristiane? Riusciranno a stendere un decalogo delle priorità e delle negoziabilità, con cui sostenere un governo di programma per le riforme?
Probabilmente si, ma lo sapremo tra due giorni soltanto.

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Governabilità, ma come?

27 Feb

I dati elettorali e lo stallo parlamentare sono sotto gli occhi di tutti, il mondo della politica è sgomento, i cittadini un po’ meno, M5S ha annunciato che voteranno le leggi che ritengono giuste, all’estero pazientano. Allo stesso tempo, la Lega è egemone nelle tre regioni che contano (Piemonte, Lomnbardia E Veneto), mentre la Puglia e la Campania hanno abbandonato Vendola e De Magistris.

Già questo dato dovrebbe darci una chiave di lettura della exit strategy in cui dovrebbero dedicarsi il Quirinale ed il sistema partitico, salvo apporti ed interferenze da parte del sistema giudiziario e dai media, cui siamo notoriamente avezzi.

Il PD con SEL ha alla Camera più o meno gli stessi voti del PdL-Lega e del M5S, grazie ad una legge iniqua a dire di tutti, il Porcellum, ha, però, la maggioranza assoluta. Rivendicare una primazia o, addirittura, una sorta di diritto a governare è un atto classificabile – agli occhi di un elettore che badi alle regole ed non solo alla fazione – come un enorme atto di arroganza.
Per giunta, proponendo al M5S un abbraccio suicida per non pochi motivi, visto che tra ‘ruggine storica’ e ‘pastoie governative’ Beppe Grillo rischierebbe di perdere un’enorme massa di consensi nel giro di pochi mesi da un elettorato che aborrisce il consociativismo, i capibastone, le scuderie eccetera eccetera.

Inoltre, c’è la disponibilità già dichiarata dei Grillini ad operare nel pieno, vero mandato cui ogni parlamentare dovrebbe adempiere: votare le leggi secondo coscienza.
Questo significa che esiste ampio spazio per un governo di minoranza.

Certo, in politica mai dire mai, ma la via del governo di minoranza è la prima balzata gli occhi, dato che l’abbraccio di Bersani con il Giaguaro Berlusconi è improponibile agli elettori di sinistra, come è impensabile un Mario Monti premier con un Scelta per l’Italia che è ‘quasi’ l’UDC ma ‘non è l’UDC’ e con la carenza di carisma e di opportunità politica dimostrate in quest’anno.
E’ però improponibile anche che il PdL sostenga un governo di minoranza guidato da Bersani: una comprensibilissima questione di principio.

Ed, allora, non resta che Casini, che a guardarlo bene, ha tutte le caratteristiche per assolvere alle funzioni di un Premier di minoranza o di un governo a termine, che abbia i poteri di programma e non solo tecnici, onde intervenire su alcuni aspetti costituzionali.
Le caratteristiche così ‘rare’ sono quelle di non essere sgradito all’elettorato di sinistra, non incassa troppa ostilità dal PdL, fa parte della compagine montiana, così rassicurante per i ‘mercati’, ha interesse a riformare la legge elettorale, conosce a menadito i regolamenti parlamentari, conosce molto bene vezzi e difetti di tanti suoi colleghi.
I limiti sono quelli noti: non aver mai dimostrato un carisma ‘non solo fotogenico’, non avere un gruppo di ‘cavalli di razza’ nel partito, essere indirettamente legato ad una certa ‘romanità’ di cui il cinema ha raccontato fatti e misfatti ed in tanti si è imparato a diffidare, essere additato dai Montiani come la causa del loro flop.

Ad ogni modo, Casini o non Casini ed acclarato che M5S non farà bieco ostruzionismo parlamentare, di alternative ad un governo di minoranza non sembra che se ne vedano all’orizzonte, salvo quella del Partito Democratico che forma un governo con SEL e Cinque Stelle. Ma, in tal caso, di quanto e per quanto saremo sballottolati, piallati, compressi, svalutati, massacrati, disfatti dai mercati e dalle diplomazie di mezzo mondo?
E chi si prende una responsabilità storica del genere? Pierluigi Bersani a cui, forse, il partito dovrebbe chiedere le dimissioni?

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Elezioni: gli errori dei sondaggisti

27 Feb

Quando Fini decurtò la maggioranza berlusconiana al Parlamento, era il caso di votare subito, come lo era votare l’estate scorsa, quando ‘i conti erano in sicurezza’ ed era ben chiara la memoria delle politiche tremontiane e non solo montiane, oltre ad un inquietante ricordo dei tesoretti mai esistiti e della fiscalità creativa dei governi prodiani.
Che andasse a finire così c’era da aspettarselo, chi si è illuso di governare con il 30% ha, adesso, la riprova di quanto fosse sbilenca la sua idea. Non solo per l’expolit di Beppe Grillo che si è potuto avvantaggiare una campagnia elettorale di Bersani. Anche la ripresa di Silvio Berlusconi era prevedibilissima.

Secondo Eugenio Scalfari, riferendosi a Silvio Berlusconi, certi elettori sono, purtroppo, ‘gonzi o furbi’, che corrono dietro ‘all’asino che vola’ o chiedono di entrare nella ‘clientela berlusconiana’.

In realtà, non è proprio così. Chi occupi seriamente di politica sa che la questione ‘meno tasse’ è essenziale per la propaganda. Persino Obama si è ben guardato in campagna elettorale di spiegare che all’incremento di tasse per i ricchi, sarebbe corrisposto un decremento degli sgravi per i ceti medi.
Berlusconi ha promesso meno tasse, Bersani è rimasto nel vago ed ha lasciato intendere a nuovi sacrifici.

Altra questione essenziale è quella della ‘spesa pubblica’, che si traduce commesse alle aziende e servizi ai cittadini, più lavoro e maggiore crescita, per la quale chi la attende vuole promesse chiare, magari poche, ma chiare. Berlusconi ha promesso il taglio dell’IRAP per le aziende, Bersani ha parlato di un piano di sostegno ed investimento industriale ed infrastrutturale, a carico delle (eventuali) risorse derivanti dalla lotta all’evasione.

Infine, la libertà nella propria proprietà, ovvero il diritto di modificare un proprio immobile senza troppi intoppi e con regole chiare, se lo si desidera o se si rende necessario.
Berlusconi ha promesso il ‘condono, che è una soluzione, indecente, ma soluzione, Bersani ha urlato ‘no al condono’, ma senza promettere semplificazioni e regolamenti comunali omogenei.

Era prevedibile che un bel tot di persone comuni decidesse di votare seguendo le questioni di maggiore appeal come accade in ogni luogo del mondo: tasse, lavoro, casa, investimenti. Viceversa, chi semima vento, raccoglie tempesta. Più che di un furbesco avvantaggiarsi di Berlusconi, sarebbe il caso di parlare, soprattutto, di grandi autogol di Bersani.

Ma il dato finale dei consensi era prevedibile anche per un altro, semplice motivo.
Il PdL era dato al 19% nella scorsa primavera, con la Lega sotto il 10%, mentre scoppiavano scandali e cadevano teste. La coalizione veltroniana, le scorse elezioni, non andò molto lontana dal 40% e senza Di Pietro è monca, guarda caso, di un’entità paragonabile.

Ovviamente, la storia dei consensi è trasmigratoria per eccellenza, ma quella dei grandi numeri no. Era prevedibilissimo un PdL+Lega al 29% ed un PD+SEL al 33%, come lo era supporre che larghissima parte degli ‘probabili’ astenuti si sarebbe rivolta al Movimento Cinque Stelle e non ai partiti ‘storici’.

Ilvo Diamanti spiegava, l’altra sera in televisione, che gli analisti avevano tenuto conto del dato che più si approssima il voto più gli indecisi si collocano su scelte che potremmo dire ‘moderate’, ‘affidabili’, ‘sagge’. Il punto è che più che un dato questa è una (mera) ipotesi, mentre i dati raccontavano ben altro.

Con una buona lettura della realtà, il Partito Democratico avrebbe perduto per strada Casini e/o Di Pietro, avrebbe investito su Mario Monti e sull’austerity ad oltranza, avrebbe temporeggiato sulla legge elettorale ‘che si vince anche col 30%’, avrebbe strutturato le liste superando le vecchie logiche di apparato democomunista? Avrebbe candidato Renzi?

Sempre a proposito di dati e di letture, come far emergere nei numeri la fotografia di un partito che è ‘da sempre’ al 30%, qualunque cosa accada, e che è ormai senz’anima perche troppe sono le anime che lo paralizzano.
Un partito che nasce da ‘l’importante è esserci’ – noto slogan degli Anni che furono – per cui oggi esiste, ai vertici come tra la base e tra gli elettori, un’anima demoliberale ed una postcomunista, una populista ed una socialdemocratica, una ambientalista ed una infrastrutturale, eccetera.

Dunque, l’ipotesi che si vorrebbe far passare, danneggiandoci pesantemente all’estero, è che l’Italia non è quella ‘giusta’, come campeggiava nei manifesti di Bersani, ci sono ‘gonzi e furbi’, come afferma Scalfari, dove gli abitanti sono bizarramente imprevedibili, come i flop di tante previsioni vorrebbero dimostrare a propria discolpa.
Oppure no. Non era l’Italia giusta.

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Tre, due, uno … eleggiamoli!

21 Feb

La Stampa - Shopping Elezioni 1

Siamo a tre giorni dalle elezioni ed il rancore popolare o la diffidenza della gente si sta trasformando da astensione a voto di protesta.

Giannino, stella mai nata del panorama parlamentare italiano, è knock out grazie ad un siluro lanciato da un italiano all’estero come Zingales, che di professione fa il professore come quelli che il buon Oscar, vero e colto self made man, ha beffato per anni con una piccola bugia, oggi diventata marachella imperdonabile.
Cose ordinarie in un paese che mette in carcere i ragazzini con lo spinello e prescrive noti ladri pubblici.

Come andranno a finire le elezioni, tra l’altro, lo sappiamo tutti e non ci vuole la Maga Circe o la Sibilla Cumana per fare ‘profezie’.

Il tutto inizierà con Bersani che annuncia ‘abbiamo vinto’. Probabilmente, avrà Rosy Bindi o Franceschini al fianco, forse Vendola o Renzi, il discorso è già scritto in 11 versioni differenti. Sarà colpa del Porcellum che nessuno ha riformato, ma già sappiamo che gli elettori ‘democratici’ sono avvisati che in prima fila troveremo (altro che primarie) i salvatori di province e piccoli comuni, di ospedali e aziende municipalizzate, di sistemi consortili e finto-volontaristici.

Dal PdL arriverà il fido Cicchitto, il Tallyerand della Seconda Repubblica, a spiegare che si ‘hanno vinto’, ma che senza il Berlusconi Partito non si governa neanche per un giorno senza finire in pasto ai ‘comunisti’, temuti – forse, anzi di sicuro – da Angela Merkel e Barak Obama. Intanto, sotto banco, ferveranno trattative e negozi, con colpi di mano e spostamenti di parlamentari, specie al Senato, dove Casini ha già annunciato la necessità della sua vigile ‘presenza’.

I Grillini per un bel tot staranno zitti su quello che conta, che cimentarsi con i regolamenti parlamentari comporta studio notturno, tanto tempo e grande fatica, salvo sbraitare all’inciucio su ogni tentativo di governabilità che dovesse verificarsi.
La Lega starà lì a guardare, pronta ad accettare soluzioni che le permettano definitivamente di liberarsi dall’immagine dei Bossi e dei Borghezio. Fratelli d’Italia è già pronto a far parte di una maggioranza di governa: è nato apposta con la Meloni, novella Le Pen, in testa.

Di Ingroia, poco o nulla si profila all’orizzonte, visto che – con De Magistris, Orlando e Di Pietro – non aveva altro da fare che lanciare il partito meridionalista, conquistando Campania, Sicilia e Puglia: gli errori di percorso si pagano molto cari. Se c’è una Destra che fa la destra, arriviamo a Storace, che potrebbe rivelarsi una piccola sorpresa.

Mario Monti, molto inopportunamente, non resisterà alla tentazione di ricordarci che ‘lui’ è senatore a vita e che senza di ‘lui’ l’Europa ci guarda di sbieco.

Come farà Giorgio Napoliano a conferirgli il mandato esplorativo per formare un governo senza un passo indietro di Bersani, resta un mistero. E altro mistero è come farà Monti a governare l’Italia, da premier politico e non tecnico, senza far imbestialire tutti qui da noi e deprimere tutti nell’Eurozona.

Governi possibili? Uno ed uno solo, lo si scrive da tempo: una Grosse Koalition senza Vendola, SEL ed il non-partito CGIL e senza Berlusconi e gli indagati del Centrodestra. Praticamente, la Democrazia Cristiana rediviva, con il PCI del 1966 alle porte, senza, però, nessuno dei talentuosi politici del Dopoguerra.

Facile a dirsi? Fantasie confermate o sconfessate nei prossimi giorni?
I soliti Italianer?

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Ad una settimana dal voto

18 Feb

Ad una settimana dal voto, il quadro politico italiano non manca di promettere (cattive) sorprese.

La Stampa - Shopping Elezioni 2occhiello tratto da una homepage di La Stampa

A partire da Barak Obama che si consulta sul futuro dell’Italia con l’unico di noi che futuro non ha: l’ottuagenario Giorgio Napolitano, di cui a breve si voterà l’avvicendamento. Misteri del sistema mediatico estero, che tira la volata gli antiberlusconiani? Forse. Intanto il Presidente della Repubblica, bontà sua, precisa “nessuna ingerenza sul voto, comportamento sempre impeccabile.”

Passando ad Oscar Giannino, che potrebbe superare il quorum tra le amiche mura lombarde, e portare, finalmente, un po’ di buon senso e cosmopolitismo tra le asfittiche mura delle nostre Camere, con una messe di parlamentari sufficiente a costruire un fare ed un futuro per l’Italia, quando ‘lorsignori’ ci lasceranno, finalmente, con le nostre macerie da ricostruire.

Od il Movimento Cinque Stelle che, ormai, sembra completamente fuori dal controllo del vate Beppe Grillo e che – molto prevedibilmente e con grande onta per i suoi elettori – si frammenterà e/o confluirà altrove, come tutti gli altri partiti ‘autoconvocati’ della Storia, alla prima bozza di programma di governo. Ipotesi alternativa: trovarsi con un sostanzioso aggregato di estrema sinistra (superiore al 20%) al Parlamento, con una ‘balena’ centrista al 40%. Praticamente, come ai tempi della Guerra Fredda, che, però, è finita da tempo, mentre nè Castro e nè Chavez godono di buona salute.

Del PdL c’è poco da dire, trascinato non si sa dove da un Silvio Berlusconi, che cura troppi interessi suoi per garantire anche quelli nostri. E dell’Alleanza Nazionale dei tempi che furono c’è ancor meno da dire, con Storace solitario a destra, La Russa, Gasparri e Meloni affratellati, mentre Gianfranco Fini è quasi all’estinzione. Quanto alla Lega, vedremo Maroni cosa riuscirà a portare a casa, non tanto per lo scandalo di Bossi, quanto per la concorrenza di Tremonti a Sondrio e di Gelmini a Bergamo.

Dicevamo di Oscar Giannino e del suo piacere nelle metropoli e tra i ceti acculturati post-sessantottini, finamo a parlare di Mario Monti, dei bei tempi che furono con i Beatles e la Humanae Gentium e del modesto contributo che darà ad una Scelta Civica per l’Italia che si presenta come montiana, ma in realtà sarà l’UDC e solo l’UDC, più un tot di volenterosi parrocci e qualche Club, con l’aggiunta di Fini, Baldassarri, Buongiorno e Della Vedova.

Se al Centro piove, andando a Sinistra grandina e nevica. Infatti, il quadro osservabile mostra una propaganda elettorale di sinistra, una proposta politica centro-populista, un effettivo apporto di voti ‘per Bersani’ dall’estrema sinistra, un consistente numero di eletti blindati (alla Camera) che arriveranno dalla fascia appenninica, demitiana e postcomunista. Si aggiunge un’inquietante visibilità per Rosy Bindi ed Ignazio Marino, proprio quando c’è da smontare e rimontare un sistema sanitario assurdo. Il tutto mentre D’Alema non si candida ma esiste, Renzi c’è ma è sparito dai media, Fassina con Monti sarà baruffa quotidiana e la CGIL che incombe sul futuro con il peso di un partito-ombra.

In due parole: stabilità e governabilità a rischio, mentre la Cleptocrazia guadagna mesi ed anni di linfa e vita e gli investimenti stranieri vengono – come da tradizione – gioco forza dirottati altrove.

Da un lato la vecchia Democrazia Cristiana, dall’altro il nuovo PCI, ormai ‘gruppettaro’ ad oltranza, in un Paese dove la Pubblica Amministrazione è ripiombata nel trasformismo e nell’opportunismo, grazie alla lentenzza dei processi, alla derubricazione dei falsi in bilancio e dei conflitti d’interessi, al monopolio politico-sindacale sulla previdenza sociale, allo strapotere della lobby dei ‘baroni’ universitari?

Sembra proprio di si.
Fini, Monti, Meloni, Chicchitto e Tabacci avrebbero potuto fare di meglio, riunendo in un solo ‘polo’ le anime liberali del Paese. Tanto, l’essere in minoranza era comunque assicurato e, comunque, era questo quello che chiedevano ‘i mercati’: essere l’ago della bilancia.

Se Obama cerca conferme da Giorgio Napolitano – ben sapendo che potrà solo nominare il futuro governo e poi pensionarsi – vuol dire che siamo messi male: non è solo il ritorno di Berlusconi, ma anche (e soprattutto?) il mantenimento di un centosinistra di ‘soliti noti con i soliti intenti effimeri e spreconi’ e l’affermarsi delle estreme fazioni come in Grecia, che solleva una densa (e cupa?) nebbia sul Paese del Sole.

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USA, cosa non ci raccontano sulle armi?

18 Gen

E’ corretto non spiegare agli italiani che in USA nessuno ha intenzione di mettere al bando le armi automatiche, bensì le ‘assault firearms’, cioè quelle che da noi si chiamano armi da guerra?
Magari aggiungendo che l’unica di queste armi d’assalto, che sia stata utilizzata nelle recenti stragi, è un particolare modello di pistola Glock, che spara a raffica ed usa caricatori ad elevata capacità?

Era così difficile raccontare che quasi sempre gli autori degli eccidi avevano pistole e fucili da caccia, cioè armi delle quali si può entrare in  possesso in qualunque nazione del mondo? Oppure che di ‘armi d’assalto’ (dalle mitragliette ai kalashnikov) sono ben attrezzate anche le varie mafie che operano sul territorio europeo? O, ancor peggio, che la percentuale di cittadini che possiedono armi o ne hanno accesso in casa propria tramite un parente è di gran lunga maggiore in Svizzera che in USA?

Si è spiegato perchè le autorità di polizia locali di  Wyoming, Alabama, Missouri, Montana, Texas, Carolina del Sud hanno annunciato che ignoreranno qualsiasi legge per limitare l’accesso alle armi imposta dalla Casa Bianca, dato che da quelle parti – essendo territori ex confederati od ex indiani –  ritengono che il governo federale (Washington ed il Congresso) non abbia titolo a legiferare in materia? Oppure che anche i manifestanti più radical chiedono solo il bando delle armi d’assalto e poco più?

Oppure qualcuno si è accorto che Obama chiede l’impossibile, in termini costituzionali e di diritti civili,  quando precisa che ‘nessuna legge federale limita i sanitari dal diritto di avvertire le autorità riguardo potenziali rischi di  comportamento violento’? O che sta chiedendo ‘passi più determinati verso i gruppi di studenti che mostrano comportamenti a rischio e l’invio ai servizi per gli studenti che continuano a mostrare un comportamento inquietante’?

Quando lo racconteremo agli italiani che Mr. President chiede di ‘fornire incentivi alle scuole per assumere vigilanti’ addestrati dalla polizia? E che, viceversa, sono i ‘cattivi’ della National Firearms Association a chiedere, da tempo, di ‘garantire la sicurezza nelle scuole, di strutturare un sistema di salute mentale che funzioni e di perseguire i criminali violenti con la massima severità’? (link)

Che dire dell’idea di Obama di poter monitorare tutta la filiera delle armi esistenti, ovvero tutti i possessori di armi, e di poterlo fare con successo su un territorio maggiore del continente europeo,  dove finora se ne sono vendute a bizeffe? Propaganda o provocazione?
Come quelle che aleggiano sui media italiani, che non informano del fatto che se, negli Stati Uniti, il possesso di armi nella propria proprietà è diffusamente libero, è anche vero che nella maggior parte degli stati è necessario un permesso per portarle in giro, come anche Wikipedia largamente riporta (link)?

O del dato diffuso (90 armi da fuoco ogni 100 cittadini) che rappresenta solo una media del numero delle armi esistenti e non di quanti cittadini le posseggano, che non sono il 90% degli statunitensi, ma molto meno della metà? Oppure che in Svizzera ci sono almeno 5 milioni di armi da fuoco su 7 milioni di abitanti tra cui ben 600.000 fucili d’assalto e che, fino a pochi anni fa, in molti cantoni non occorreva la licenza di porto d’armi? Oppure che solo nell’europea Ulster si contano oltre 150.000 armi?

Infatti, a leggere i numeri scopriamo che gli stati ‘più armati’ sono, come prevedibile, tra quelli più ‘selvaggi’ e meno urbanizzati, ovvero Wyoming (59,7%), Alaska (57,8%), Montana (57,7%), South Dakota (56,6%,, West Virginia (55,4%), Mississippi (55,3%), Idaho (55,3%), Arkansas (55,3%), Alabama (51,7%), North Dakota (50,7%, A contraltare, si registra che, anche senza nessun bando sulle armi, gli stati più popolosi ed urbanizzati mostrano medie piuttosto basse, come Florida (24,5%), California (21,3%), Maryland (21,3%), Illinois (20,2%), New York (18%), Connecticut (16,7%), Rhode Island (12,8%), Massachusetts (12,6%), New Jersey (12,3%).

Non era affatto difficile raccogliere queste informazioni, dato che in USA la politica usa chiedere e promettere in modo chiaro ed esteso, mica si accontentano di un programma d’intenti o di un’agenda come da noi: Obama ha predisposto e pubblicato un compendioso report di 15 pagine per convincere cittadini, media e Congresso e che è scaricabile qui (link).

Inoltre, a proposito di report e ricerche, tra i tanti ricordiamo anche gli studi dell’Università di Chicago del 1996 (J.R.Lott e B. Mustard) che dimostrarono l’esistenza di luoghi comuni sulle armi da fuoco ed il porto libero, come l’aumento della possibilità di incidenti e di atti criminali.
Addirittura, si era rilevato un minor trend dell’8% per omicidi e violenze carnali, in analogia con gli studi sviluppati a partire dagli Anni ’80, dopo l’affermarsi di teorie che collegavano il numero di armi con il numero di omicidi, come quelli pioneristici dei criminologi Wright e Rossi (National Institute of Justice), del prof. Kleck (National Academy of Sciences) e dei criminologi europei Franz Csàszàr ed Ernst Doblers. Agli stessi risultati portano le statistiche dell’autorevole Centers for Disease Control and Prevention, compilate nel 2004, al termine di un bando decennale delle armi d’assalto, decretato nel 1994 dal Congresso. Tutti gli studi confermano che non ci sono evidenze che correlano la diffusione delle armi ad un incremento dei crimini, anzi, sembra che li riducano.

L’unico dato contrario è quello relativo ai ‘mass shootings’, che sono notevolmente incrementati da quando è cessato il bando per le armi d’assalto.

Un dato anomalo, dato che, in realtà, l’incremento (impressionate) è avvenuto a partire da settembre 2011, con ben 159 tra morti e feriti in soli 13 mesi. Inoltre, gran parte dei morti nelle stragi sono stati uccisi con armi semiautomatiche e ‘solo’ 35 persone sono state uccise con armi d’assalto in mass shootings su un arco di 30 anni, dal 1982 ad oggi.

Dunque, alcune richieste di Barak Obama sembrano prevalentemente ispirate dal desiderio di incrementare il controllo federale sui cittadini statunitensi, oltre che a cogliere il momento mediatico favorevole per attaccare nel Congresso ‘quei bifolks’ del Middle West, del Sud e delle Montagne Rocciose, dato che sono otto anni che il partito democratico ripropone di vietare le armi d’assalto, senza risultati, visti gli studi scientifici che ne inficiano le motivazioni.

Riguardo l’imporre il porto d’armi, che finora è stato prerogativa dei singoli stati, è difficile non prevedere una futura sentenza di incostituzionalità, oltre ad un sensibile incremento della diffidenza popolare verso le elite metropolitane: parliamo di una nazione dove addirittura tutti i tentativi di creare una carta d’identità si sono infranti dinanzi al diritto dei cittadini a non essere schedati dal governo federale.

Figurarsi, poi, se esiste un apposito ed esplicito emendamento alla costituzione statunitense – voluto proprio da Thomas Jefferson, presidente e padre fondatore degli Stati Uniti – che sancisce che ‘non può essere infranto il diritto dei cittadini a possedere e portare armi, essendo una ben organizzata milizia indispensabile per la sicurezza di uno stato libero”.
Un emendamento, il Secondo, che venne introdotto nel 1791, ben otto anni dopo l’indipendenza dall’Inghilterra e due anni dopo l’insediamento come presidente di George Washington, cioè quando divenne chiaro a molti deputati che stava nascendo un impero e non una repubblica.

“La principale ragione per volere che la gente abbia il diritto a possedere e portare armi è quella di proteggere se stessa, come ultima risorsa, da una tirannide al governo”. (Thomas Jefferson Papers p. 334, 1950)

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Legge elettorale, la paura fa 42,5

7 Nov

La commissione Affari costituzionali ha emendato la proposta di legge elettorale prevedendo una soglia del 42,5% per conquistare il premio di maggioranza. Contrari PD ed IdV, mentre Mannheimer ci informa che solo il 36% degli elettori sarebbe a favore del premio.

Bersani sostiene che «qualcuno teme che governiamo noi» ed Anna Finocchiaro preferirebbe, tra le diverse ipotesi, addirittura «un premio al primo partito del 10-12%», che potrebbe beneficiare il PD come il M5S. Intanto, sempre il buon Mannheimer ci fa sapere (link) che un suo recente studio rileva che poco più del 50% degli intervistati sarebbe incline ad un sistema proporzionale puro.

Un premio di maggioranza con una soglia del 40% (proposta PD) o del 42,5% (emendamento in Commissione dell’on. Rutelli), praticamente irraggiungibile se esiste una terza forza, il Movimento Cinque Stelle, che potrebbe attestarsi tra il 15 ed il 25%.  Non a caso, la Commissione ed il Parlamento dovranno stabilire cosa fare delle poltrone di Palazzo Madama che resterebbero vacanti se nessuno superasse il limite fatidico.
In un Parlamento che, comunque andranno le prossime elezioni, potrà garantire la stabilità solo a patto di garantirsi la maggioranza in Senato e Camera con una Grosse Ammucchiata, dato che anche un bambino arriva a capire che i numeri prefigurano che nessuna coalizione supererà il 50,1% dei seggi alla Camera e, soprattutto, al Senato.

Non è un caso che Renato Mannheimer scriva che ‘i partiti sembrano pensare sempre più spesso a un sistema elettorale che permetta loro di vincere le prossime elezioni. Tanto che le regole che propongono mutano in relazione agli esiti dei sondaggi di cui via via vengono a disporre. Un’ottica miope e di breve periodo che non fa il bene del Paese.”

E c’è chi scommette che alla fine si voterà con il Porcellum, al massimo leggermente modificato.
Per ora, nessuno si pone il quesito più rilevante: cosa faranno gli eletti del M5S allorchè arriveranno alla Camera (come al Senato) con almeno un centinaio di onorevoli e senatori?

Siamo davvero sicuri che i lavori parlamentari riusciranno ad andare avanti e che i ‘contestatori’ – ormai soggetto politico democraticamente eletto – non godranno di ampio appoggio dell’opinione pubblica, mentre c’è un Presidente della Repubblica che è agli stralci del suo mandato?

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Non derubrichiamo la concussione

2 Ott

Sei mesi fa, scrivevo che è la concussione il ‘male originario’ della corruzione e che tale reato non andava eliminato o derubricato. Sei mesi dopo, ad iter parlamentare in fase conclusiva, apprendiamo dai media che proprio la concussione provoca i maggiori tentennamenti tra i parlamentari e che alcuni emendamenti vorrebbero limitarla ai ‘soli aspetti patrimoniali’, tagliando fuori quello che gli italiani chiamano comunemente ‘voto di scambio’, ‘conoscenze’, ‘raccomandazioni’, ‘piaceri’, ‘inciucio’, ‘amici e parenti’.

Con l’espressione “corruzione” si intende il comportamento di un pubblico ufficiale che riceve denaro od altre utilità che non gli sono dovute.  La concussione consiste nel farsi dare o nel farsi promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione.

Nel primo caso, il pubblico ufficiale è vittima “compiacente” del corruttore, nel secondo caso è corrotto e corruttore. E, se in uno stato prevalesse un sistema politico incontrollabilmente corrotto – una “cleptocrazia” – non resterebbe altro da fare che prender atto che è la concussione a dilagare, e non la corruzione.

Ad esempio, andando oltre la definizione molto limitata che il Codice Penale italiano da alla “concussione”, sia lo schema di finanziamento dei partiti emerso con Tangentopoli sia i vari scandali che stanno coinvolgendo il Partito Democratico, mostrano un quadro “operativo” in cui l’appalto, la fornitura, la promessa elettorale, il “piacere” sono sempre stati finalizzati all’ottenimento di “denaro od altra utilità” per se stessi, per sodali, per l’organizzazione di riferimento.

Per non parlare del ‘fai da te’ dei singoli o del via vai di donnine e cocaina che gli scandali della Seconda Repubblica ci narrano.

Dunque, come da tradizione latina e greca, è la concussione il male e non la corruzione, che ne è l’effetto. Il “virus” è colui che, pur avendo ottenuto fiducia, consenso, onori e prebende, si dedica all’interesse personale e del clan, piuttosto che a quello collettivo. Gli eventuali corruttori che vadano a solleticare appetiti inconfessabili sono il tessuto infetto e non l’agente primario: da bonificare, certamente, ma fisiologici in una società mercantile. Non è un caso che i pochi – anzi pochissimi – paesi dove la corruzione ha poco appeal sono quelli anglosassoni, dove, notoriamente, i politici ed i dirigenti pubblici si dimettono anche per una multa non pagata o poco più.

Non è l’incremento delle pene o l’allargamento della casistica ad incidere sul dilagare della corruzione nel nostro paese, come non lo sono le pene draconiane (lavori forzati e pena di morte) già in vigore in molti paesi più corrotti del nostro: l’unica soluzione è la rapida espulsione dal sistema del “virus”, il concusso, e questo è possibile solo grazie all’applicazione rigida di regolamenti interni e codici deontologici, come nei paesi nordeuropei, e non tramite la giustizia ordinaria, che ha tempi ben diversi.

Ma chi è il concusso?  Solo colui che trae un vantaggio patrimoniale, come vorrebbe parte del PdL?
Certamene no.

Il baratto nacque ben prima del denaro e della proprietà privata, ben prima dell’idea stessa di patrimonio e in questa prassi rientra la disponibilità di beni – come di prostitute/i – e la carriera di parenti e amici.

Do ut des, questo dicevano gli antichi romani che di corruzione e, soprattutto, di concussione se ne intendevano.

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