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Cassazione: insultare un docente è oltraggio a pubblico ufficiale. Cosa cambierà?

3 Apr

Dovrà rispondere di oltraggio a pubblico ufficiale chi insulta un insegnante per questioni inerenti la sua professione (ad esempio il rendimento scolastico del proprio figlio).

Questo è quanto è stato determinato dalla sentenza della Quinta sezione penale della Cassazione annullando la decisione del giudice di pace, che assolveva una madre dal reato di ingiurie verso una docente, ed ha trasmesso gli atti alla Procura di Livorno.
“Sussistono tutti gli elementi di oltraggio a pubblico ufficiale”, “offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale” – “alla presenza di più persone” o “essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico” – e “in un momento nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni”.

Dunque, se si da ‘a muso duro’ dell’incompetente o del vessatorio ad una maestra o ad un professore, non parliamo di ingiuria, un delitto ‘contro l’onore’, previsto e disciplinato dall’art. 594 del codice penale e perseguibile su denuncia di parte.

scuola famiglia

E neanche di diffamazione (art. 595 c.p.), altro reato contro l’onore, che si realizza nel caso in cui la persona offesa sia assente, o di  calunnia (art. 368 c.p.), tanto ad esser chiari, che è un reato contro l’amministrazione della giustizia, che si verifica quando si incolpa di un reato una persona essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato, coinvolgendo l’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l’obbligo di riferire all’Autorità giudiziaria.

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.) è un “delitti dei privati contro la pubblica amministrazione“, non solo contro il dipendente offeso.
Infatti, il Codice Penale prevede che “ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.”

Il reato, originariamente previsto dall’art. 341 c.p. del codice penale italiano, era stato abrogato dall’art. 18 legge 25 giugno 1999 n. 205. Visto il rapido degenerare della situazione, specie se parliamo di ausiliari del traffico e docenti,  il reato è stato reintrodotto dall’art. 1 comma 8 della legge 15 luglio 2009 n. 94 ridenominandolo come art. 341-bis.

Nel caso di una vicenda scolastica, dunque, non è solo la docente coinvolta a dover denunciare il fatto, ma anche e soprattutto la dirigenza o comunque qualunque altra persona presente al fatto.
Questa è la maggiore (r)innovazione che già da anni doveva essere in auge e che la sentenza della Corte di Cassazione ribadisce, adesso, come ‘norma generale’ con il perseguimento d’ufficio del reato.

Infatti, per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio’ (art 357-358 c.p.) nell’esercizio delle loro funzioni o per i reati di cui vengono a conoscenza in ragione dell’esercizio che essi svolgono vige l’obbligo giuridico di denuncia.
L’omissione della denuncia (art. art 361-362  c.p.) configura un reato a carico del pubblico ufficiale e il codice specifica che sarà applicata una sanzione anche in caso di omissione o ritardo della denuncia.

In poche parole ed in termini generali, se accadesse che un dipendente pubblico – se nelle sue funzioni di pubblico ufficiale, dopo essere stato oltraggiato – presentasse ‘rapporto’ ad un suo superiore e questo non desse seguito con una denuncia, questo dirigente potrebbe a sua volta essere denunciato per omissione dal dipendente stesso, anche dopo diversi anni.
Peggio che andar di notte, se il fatto di ripetesse o peggiorasse, mentre il dipendente non viene tutelato …

Nell’inviare l’informazione di reato direttamente alla Procura, la Quinta Sezione della Cassazione ha dato un segnale importante, in un paese dove il rispetto per le istituzioni è basso e dove le scuole sono sede annuale di bivacchi e daanneggiamenti.

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Scuola italiana al crash?

27 Gen

Mentre Parlamento e Media si accapigliano per una riforma elettorale che cambierà tutto per non cambiare nulla, l’Italia va avanti. O, meglio, tenta.

Una marea di italiani ‘travolti da un insolito destino agostano’, quando – era il 2011 – il Governo Monti intervenne sulla spesa pubblica in base a conti rivelatisi poco affidabili, e rimasti in balia dei flutti – siamo ormai al 2014 – a causa dello stallo politico in cui viviamo.

Uno dei settori più vessati ‘ma invisibile’ è quello della scuola. Anzi, ad essere esatti, dell’istruzione e della formazione professionale, del diritto allo studio, delle tutele sociali verso le categorie svantaggiate. Una scuola che si arrangia senza che nessuno le dia il benchè minimo raggio di luce o filo di speranza, dato che – da Cinque Stelle a La Destra, passando per SEL o la Lega ed arrivando a PD, Scelta Civica, NCD e Forza Italia – non c’è programma o istanza ne faccia menzione.

scuola precariaA partire dagli stipendi e dallo status del personale, che vede una sequel di perequazioni a dir poco mostruose:

  1. le docenti di scuola elementare e materna (ndr. maestre) retribuite praticamente quanto un’ausiliaria, nonostante molte di loro abbiano una laurea;
  2. i docenti delle scuole medie e superiori (ndr. professori) , anch’essi con stipendi da fame, ma con un sistema di prestazioni talmente obsoleto e rabberciato che nessuno è finora riuscito a confrontarlo – nei tempi e nei compensi – con quelli stranieri;
  3. il personale amministrativo che dovrebbe essere diretto da laureati in economia (o legge), che dovrebbe rispondere a requisiti di qualità ed efficienza nazionali e che percepisce uno stipendio base in linea con quello del settore bancario;
  4. i dirigenti scolastici che sono equiparati alla dirigenza pubblica solo per le responsabilità connesse, ma senza benefit, progressioni di carriera, mobilità, tutele e, soprattutto, stipendi adeguati, dato che percepiscono 2/3 del compenso di un medico di base, pur essendo gli unici dirigenti pubblici a gestire direttamente un centinaio di lavoratori e servizi alla persona quotidiani;
  5. i tecnici (insegnanti e assistenti) nel limbo funzionale, tra contratti che non si aggiornano e, soprattutto, con finanziamenti per laboratori e innovazione che non arrivano;
  6. gli ausiliari ai quali, ridotti a mezza dozzina con il subentro delle ditte di pulizia, toccherebbe di vigilare su chilometri di corridoi o piazzali e decine di bagni, oltre a garantire aperture pomeridiane e domenicali;
  7. i precari che attendono anni prima di essere stabilizzati, dato che – con le norme pensionistiche introdotte nel corso del ventennio – a tutto si è pensato, fuorchè a gestire il turn over dei docenti nel settore scolastico e universitario, che è una nota e prevedibilissima esigenza del sistema;
  8. la formazione in servizio non esiste da almeno 15 anni e sarà un decennio che non si vedono ispettori. Nessuno verifica se si sia in grado di insegnare con lauree conseguite 40 anni fa e mai aggiornate, nessuna statistica ci racconta delle prevedibili anomalie amministrative (e finanziarie) delle scuole;
  9. gli anziani e gli invalidi che – da un tot d’anni – vedono sempre più allontanarsi la prospettiva di andare a riposo, rinviata con leggine e lacciuoli, mentre si erano ‘arruolati’ con la prospettiva di andar via dopo soli 20 anni, accettando una pensione da fame, che ancora oggi preferirebbero negoziare in vece di un ‘lauto’ TFR;
  10. sul fronte sindacale, non c’è che prendere atto che per gli statali c’è l’attestamento su benefit vecchi, datati, oblsoleti e probabilmente inutili o controproducenti, mentre il personale didattico delle scuole private, dei centri professionali e dei servizi esternalizzati è gestito con contratti di lavoro nazionali indecenti nell’indifferenza generale;
  11. i dati PISA-OCSE raccontano di un’inefficienza ed un’inefficacia del sistema di instruzione epocali (in certe aree), i dati di Confindustria e di Unioncamere sui neoassunti confermano, mentre nessuno interviene per migliorare meritocrazia e selezione in un Paese che vede ancora il 65% dei maschi adulti privo di un diploma ed ancora la metà delle donne (diplomate o laureate) a casa senza lavoro. Intanto, crescono i diplomati con il massimo dei voti (ndr. licei) e diminuiscono gli studenti non ammessi agli esami di maturità 2013 così come i bocciati;
  12. dopo la sentenza TAR del Lazio – che ha annullato la riforma dei programmi e delle cattedre degli istituti tecnici e professionali – si ritornerà a svolgere 36 ore settimanali anzichè 32 come oggi oppure arriverà in extremis la ‘soluzione’? Bello a sapersi. Intanto, le iscrizioni sono aperte e tra un po’ anche gli organici;
  13. l’ediliza scolastica la conosciamo tutti e rappresenta bene un popolo che non si preoccupa di offrire sicurezza, dignità e futuro ai propri figli, mentre le scuole pubbliche le finanziano de facto le famiglie e mentre le devastazioni di tante scuole denotano una certa illegalità diffusa e – nonostante l’esposizione di tanti ragazzi/e a modo – non hanno, finora, trovato particolare sanzione o prevenzione;
  14. scuole_precarie_bassasul fronte del ‘sociale’, basti dire che per mandare in gita un alunno indigente si va ancora avanti con le collette a scuola. Mica provvede il Comune di residenza …
  15. di status istituzionale per le scuole siamo al non sense, con la Costituzione (e qualche sentenza) che le definisce gestionalmente ‘autonome’ e il MEF che le considera meri ‘punti di erogazione del servizio’, mentre il MIUR ha risolto tutto con un decreto e gestisce tutto da un paio di uffici e poco più;
  16. per non parlare della spesa pubblica che registra almeno 100 miliardi annui (6-7% del PIL) per ‘istruzione’, ‘formazione professionale’ e ‘diritto allo studio’, di cui una quarantina vanno via in stipendi dei docenti statali, mentre il resto non si sa bene dove vada … e soprattutto a cosa serva.

In questi giorni, sta facendo scalpore la vicenda di 4.000 docenti che, pur avendo diritto alla pensione in base alla Legge Damiano, si vedono negare l’accesso per un cavillo burocratico e … per i soliti motivi di ‘cassa’. Persone che, comunque, hanno versato 35 anni di contribuzione assicurativa.
Niente paura, è solo un’avvisaglia. Dal 2015, chiunque volesse pensionarsi dovrà aver lavorato almeno 42 anni e tre mesi, ovvero non potrà avere meno di 61 anni, con buona pace degli invalidi e di quanti – vedendosi scippare l’agognata pensione a uno o due anni dalla meta – non potranno sentirsi particolarmente motivati. Per non parlare degli invalidi di una certa entità  che saranno forse 100.000, forse meno. Nessuno lo sa.

Gelmini Tremonti

Per risolvere questi problemi l’Italia non ha molto tempo, considerato che nel 2015 ci saranno le ‘annunciate’ elezioni anticipate, ma non servono chissà quanti soldi. Anzi, forse ne verrebbero anche delle economie.

Il problema è nella ‘concertazione’, ovvero portare ad un accordo ragionevole alcuni soggetti:

  1. la Conferenza Stato-Regioni ed i rapporti con l’ANCI, se si vuole razionalizzare il tesoretto di 100 mld che ‘andrebbe’ all’istruzione, formazione e diritto allo studio, trovando le risorse per l’edilizia ed il ‘welfare scolastico’ tenuto conto dei servizi ‘esternalizzati’, del ricalcolo dell’ISEE e/o il ‘così detto’ salario minimo;
  2. il tavolo di Governo che dovrebbe garantire i dovuti equilibri (ndr. ed il problema non è nè Carrozza nè fu Gelmini)  nei poteri dei diversi ministeri, visto lo strapotere del MEF – di tremontiana memoria –  come dimostrano i tanti casi di contenzioso, spesso a causa di semplici circolari che, ormai, superano l’effetto di decreti e bloccano norme e accordi, in nome di una competenza costituzionale che il Fiscal Compact, però, attribuisce al Governo e non ad un solo Ministero;
  3. i vertici sindacali (che non di rado hanno un’esperienza di lavoro effettivo di pochi anni, svolto nella scuola degli Anni ’70 /80) e la dirigenza del MIUR (tra cui non ve ne è uno che provenga dal comparto scuola), che da almeno un decennio non riescono a trovare parametri contrattuali moderni e univoci per un personale che ormai opera in un settore fortemente diversificato;
  4. il sistema assicurativo (pensionistico della scuola) – prima ENPAS, ENAM e KIRNER, ovvero semi-privatistico ed oggi meramente INPS – e l’esigenza che il Sistema di Istruzione Nazionale  che tenga conto dell’esigenza (per il tessuto produttivo, culturale e sociale) di ‘turn over’, ovvero di fornire personale con un’età media di 45 anni ed assunto subito dopo la laurea. Il contrario di un precariato decennale – da cui i migliori spesso fuggono andando all’estero – mentre si abroga la ‘Quota 96’, imponendo a tutti il pensionamento dopo 43 anni contributivi (ndr. ma non a chi ha ormai 65 anni e passa), lasciando i parametri e le pensioni da fame che abbiamo sulle invalidità e lesinando mobilità, part time o telelavoro, ma, soprattutto, impedendo ogni forma di negozialità per chi voglia optare per una pensione decurtata, ma anticipata.

laoro pensioniMissione impossibile? Di sicuro, ma iniziamo a renderci onto che è impossibile anche il contrario.

La Scuola è esausta, il suo personale non vede prospettive di riconoscimento del proprio lavoro o di completamento di una ‘eterna riforma’, i nostri alunni non sempre frequentano strutture sicure, i nostri diplomi spesso non valgono granchè e vengono conseguiti con un anno di ritardo (18 anni anzichè 17) rispetto all’estero, la questione ‘Quota 96’ e del suo blocco sta arrivando al capolinea del 2015.
Di edilizia, trasporti, formazione professionale e permanente, accessibilità per disabili e stranieri, contratti di lavoro, monitoraggio e valutazione, finanziamenti pubblici e politica locale, come dicevamo, meglio non parlarne.

scuola famigliaE sembrerebbe che tutti abbiano dimenticato che l’istruzione pubblica non fu solo istituita per ragioni di equità e solidarietà umana, ma anche e soprattutto per garantire pace e ricambio sociale, come competitività, meritocrazia e produttività, diffondendo conoscenze, competenze e regole di convivenza. Utile sapere anche che i dati comprovano come la dispersione scolastica si accompagni al bullismo e alla violenza negli stadi, alla microcriminalità e alla dipendenza da sostanze o da gioco, di disturbi comportamentali come depressione e anoressia, eccetera …

In Italia, anche quest’anno, si diplomerà circa mezzo milione di studenti, di cui circa il 20% ha ripetuto un anno (dati 2006) e quasi il 40% supererà l’esame con voti inferiori a 80/100 (dati 2011), mentre un altro 20% a scuola proprio non ci va.
Chissà perchè le agenzie di rating – che guardano al futuro oltre che al contingente – sono così restie da dar fiducia all’Italia …

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Scuola, addio causa di servizio

18 Gen

Il Decreto Monti (D.L. 201 del 6 dicembre 2011) vengono abrogati i cosiddetti “istituti per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.

Cosa significa?

Facendo, ad esempio, riferimento a casi effettivamente verificatisi, iniziamo a chiarire che parliamo anche di lavoratori anziani che, spintonati da alunno bullo e caduti malamente, si ritrovano con una frattura del femore e crisi di panico. Oppure di altri che, al rientro in servizio dopo essere stati distaccati e/o dopo un’ospitalizzazione, non trovano nè la propria sede nè quella dove avrebbero dovuti essere destinati. Oppure, ancora, quelli che dopo 20 anni in una scuola zeppa di eternit si ritrovano dopo altrettanti 20 anni con qualche tumore o malattia strana.

Non parliamo di eccezioni: ricordiamo che si tratta degli ambienti di lavoro chiamati scuole, che spesso non sono a norma e che i bulli, prima del ministro Fioroni, si chiamavano “disagio e/o delinquenza minorile”.

Tra l’altro, per la scuola e l’università non si applica l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. Infatti, il DPR 1124 del 1965 prevede che tale assicurazione sia obbligatoria solo per quei lavoratori che siano addetti od operino in ambienti organizzativi che comportano l’impiego di macchine, apparecchi o impianti. Dunque, solo i docenti che operano “in laboratorio” hanno tale copertura, come, infatti, precisa l’articolo 4 del Decreto.

E gli altri? E se i docenti di materie tecniche si dovessero infortunare in aula anzichè in laboratorio?

Cosa possono fare per tutelare i propri diritti verso un datore di lavoro che nicchia riguardo la sicurezza ed i finanziamenti necessari a garanrtirla?

Nulla, praticamente nulla.

Dal 2012, un docente che dovesse subire un danno fisico per causa di servizio non avrà altra alternativa che rivolgersi al tribunale ed avviare una costosa causa penale, che si protrarrà per anni ed anni con un farragginoso e difficoltoso accertamento delle competenze e delle responsabilità, che sono confusamente distribuite tra scuole, enti locali ed amministrazione periferica del MIUR.

Lo stesso docente, attenzione, sarà costretto a rimanere in cattedra finchè la sua vertenza non si sarà risolta, con costi rilevanti per le assenze e per le cure (aggravamento), oltre che una resa del servizio didattico decisamente inferiore, con la conseguenza diretta che la “riforma” potrebbe costare, a conti fatti, ben più delle cause di servizio che Monti ha abrogato.

La speranza? Una e sola.

Infatti, la norma va a colpire una categoria di circa 1,5 milioni di lavoratori, di cui una discreta parte dotata di buone o rilevanti competenze matematiche e sistemiche.

Sarà la volta buona che, oltre a questo blog, anche qualche accademico inizi a sollevare rilievi sul modus operandi di Mario Monti e sulla solidità dei suoi conti e dei suoi scenari?

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Tagli alla scuola: si potevano evitare?

12 Set

Riaprono le scuole ed iniziano a sentirsi i tagli voluti da Tremonti ed eseguiti dalla Gelmini.

Secondo la Stampa, le attuali 10.500 istituzioni scolastiche verranno ridotte a circa 9.500 perchè hanno pochi alunni, ovvero meno di 500 che è il parametro di legge. L’intervento, che decurta del 11% l’organico dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi, comporterà, secondo i calcoli di «Tutto Scuola», anche una incomprensibile perdita di ulteriori posti (1.100) di assistente amministrativo.

Sempre in questo anno scolastico che inizia, le ore di lezione degli istituti tecnici e professionali vengono generalmente abbassate  a 32 settimanali, con un corrispettivo taglio del 10% dei docenti, che va ad aggiungersi al corposo taglio di maestre di scuola elementare (circa 50.000) determinatosi con l’abolizione dei moduli senza il subentro, specie al Sud per problemi logistici, del tempo pieno.

A questo va ad aggiungersi il taglio dei servizi per i disabili, quelli per il funzionamento delle scuole e quelli specifici per il recupero, per poi dover ancora scoprire quali saranno i tagli attuati dagli Enti Locali, se a carico dei clientes o delle scuole.

Il tutto in uno Stato che destina(va) all’istruzione, ovvero al diritto allo studio, più o meno quello che spendono gli altri paesi europei, se teniamo conto sia di quello che va al Ministero dell’istruzione, università e ricerca sia quello che va a gli Enti Locali.

Inoltre, se lo Stato investe di meno nella scuola, anche i costi per le famiglie s’incrementano (ad esempio: +2% sul prezzo degli zainetti) e le misure di contenimento del “caro libri”, che grava specialmente sugli alunni dei Trienni delle Superiori, sono inficiate dalla scarsa informatizzazione dei docenti. la scarsa diffusione degli Ebooks, la drammatica situazione dell’edilizia scolastica e dei laboratori, i tagli pesantissimi per gli assistenti tecnici, per non parlare della l’innovazione e manutenzione tecnologica, che, da quando è stata trasferita agli Enti Locali, è del tutto scomparsa in non pochi territori.

Se la scuola pubblica non fosse stata statale non avremmo subito questi tagli.

Con il sistema dei voucher e con le scuole in carico al territorio, come recita la Costituzione, il cittadino vedrebbe direttamente decurtate le risorse destinate all’istruzione dei propri figli e protesterebbe. Inoltre, i cittadini potrebbero scegliere e le scuole sarebbero costrette a diventare più efficienti o ridursi a dei diplomifici, facilmente individuabili da un qualunque sistema informativo di monitoraggio decente.

Sempre con i voucher, però, i docenti passerebbero dal posto fisso a contratti quinquennali o triennali. E nei voucher, cioè nelle mani dei cittadini, finirebbe anche buona parte di quello che gli enti locali spendono in diritto allo studio e che, non di rado, diventa festa patronale o etnica, scuolabus ed esenzione, progetto esternalizzato fine a se stesso. Infine, avendo “finalmente” gli amministratori locali la responsabilità di un servizio che “entra nelle case della gente”, assisteremmo ad una maggiore e più soddisfacente selezione del personale politico che ci viene proposto per il voto.

E’ una questione nota, esiste dai tempi della tentata Riforma di Luigi Berlinguer, l’On. Aprea (una donna che viene dalla scuola) porta avanti questa battaglia da anni, esistono progetti di legge in Parlamento che attendono da legislature e nessuno ne parla.

Ai media, evidentemente, interessano solo i tagli da sbattere in prima pagina, non le soluzioni che potevano evitarli.

Codacons, MIUR e le aule troppo strette

16 Giu

Ecco la prima class action italiana contro una norma dello Stato. Il Codacons chiede al MIUR  di «emanare il piano di edilizia scolastica come stabilito dalle leggi vigenti».

Il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla class action promossa dal Codacons sulle aule sovraffollate dove il numero di alunni supera il limite previsto dalle norme.

Tutto molto giusto ma … quali norme?

Sostanzialmente una: le norme tecniche per l’edilizia scolastica del 1975, legge dello stato con tanto di progetti “fac simile”, dove, tra l’altro, furono fissate cubature, metri quadri eccetera.

Una legge che non fissa un numero massimo di alunni, ma che determina quanto spazio debba avere ogni alunno, cosa che impedisce in molte scuole di avere classi di 25 alunni, come recita la norma apposita del Ministero dell’Interno riguardo la prevenzione incendi.

Per questo i Codacons chiedono un Piano per l’edilizia scolastica e non semplicemente il ritiro di certe disposizioni dle Ministro Gelmini.

Come cittadini, però, dovremmo prendere coscienza che non dovrebbero esistere aule affollate, visto che le aule costruite prima del 1976 erano pensate per classi numerosissime e quelle fatte dopo dovrebbero essere tutte omologate per 25 alunni.

Come anche, dovremmo ricordare che dietro quegli appalti e quelle licenze edilizie, quanto meno inadeguati, ci sono delle firme, delle persone, delle responsabilità.

Perchè nessuno mai è intervenuto? Perchè i Comuni, finchè c’è stato l’ICI, e le Regioni, visto che c’è l’IRPERF, non provvedono?

Perchè, in questa Seconda Repubblica, sono rimasti pressochè intatti i fondi speciali per l’edilizia scolastica messi a disposizione in Finanziaria da molti governi?

Semplice: perchè, quando si parla di edilizia scolastica, le indagini giornalistiche languono e ci si ferma alle solite lacrime da coccodrillo sul disastro di turno od allo scandalo delle classi (N.B. mica aule …) stracolme.

Il resto, evidentemente, è noia …

Garagnani, la cultura ed il pensiero divergente

12 Mag

Fabio Garagnani, nato a San Giovanni in Persiceto il 15 ottobre 1951, è un deputato del PdL, in politica fin dal lontanissimo 1972, ma anche funzionario della Camera di Commercio di Bologna, attività evidentemente svolta nei ritagli di tempo lasciatigli dalla politica e che lo vedrà pensionato, ovviamente con il massimo.
Nel corso del 2010, si era distinto per la sua proposta di legge per l’abolizione del valore legale della laurea, appoggiata dai ministri Sacconi e Gelmini, che hanno presentato il piano per l’occupazione di giovani “Italia 2020”, che prevede come «al valore legale del titolo deve gradualmente sostituirsi la logica dell’accreditamento dei corsi, valutati per la loro capacità di offrire una preparazione di alto livello qualitativo».

Il solito sessantenne, senza esperienza diretta nel settore di cui si occupa, che vuole smantellare il passato senza avere idee chiare sul futuro? Forse.

Fatto sta che Garagnani ha presentato oggi una proposta di legge per modificare il Testo unico delle norme sull’istruzione, inserendo il divieto per gli insegnanti di “qualunque atto di propaganda politica o ideologica”.
In particolare, ha puntato l’indice contro i docenti italiani “accusati di “inculcare nei ragazzi ideologie e valori contrari a quelli della famiglia“.

Infatti, il nuovo articolo (il 490 bis) dovrebbe così recitare: “il docente dovrà astenersi in ogni caso da qualunque atto di propaganda politica o ideologica nell’esercizio delle attività di insegnamento anche di carattere integrativo, facoltativo od opzionale”.
La proposta, che arriva da uno dei deputati della Commissione Cultura di Montecitorio, prevede anche sanzioni abbastanza pesanti, ovvero la sospensione dall’insegnamento “per almeno 1-3 mesi.

“La propaganda politica non può trovare tutela nel principio della libertà dell’insegnamento enunciato dall’Articolo 33 della Costituzione. Un conto infatti è tutelare la libertà di espressione del docente, un’altra è quella di consentire che nella scuola si continui a fare impunemente propaganda politica. Soprattutto in Emilia Romagna tra i professori della Cgil”, questo il punto di vista di Garagnani.
Domenico Pantaleo, il segretario generale della Flc-Cgil chiamata in causa, ha così replicato: “Esternazione delirante. Abbia rispetto per gli insegnanti tutti e per la loro funzione. Si ricordi Garagnani che gli insegnanti tutti non inculcano, ma educano secondo i principi della nostra Costituzione”.

In effetti, sembrano davvero finiti i tempi dei corridoi affrescati con i Che Guevara e dei professori che “esibivano” orgogliosamente Il Manifesto. Dopo le riforme degli Anni ’90, nelle scuole di oggi pochi ancora leggono e quasi più nessuno ricorda come si faccia un disegno.

Dovrebbe essere anche ovvio che tutti (studenti, “bidelli” insegnanti e burocrati) siano “rassegnatamente coesi”, dopo un quindicennio di tagli rilevantissimi, vistosi incrementi di attività e continui cambiamenti normativi, accompagnati da continue delegittimazioni di una categoria di lavoratori pubblici che, nonostante tutto, è tra le poche di cui la popolazione non è scontenta.

A prescindere da come vada a finire, sarà interessante scoprire in qual modo la Commissione Cultura di Montecitorio riuscirà a trovare una definizione per “atto di propaganda politica o ideologica”.

Fermo restante che in ogni ufficio pubblico sono già vietati i simboli di partito e più in generale la propaganda, immaginate voi una scuola senza i temi (o saggi brevi) di attualità, o senza scrittori come D’Annunzio e Carducci (di destra), Collodi e Calvino (di sinistra), Cecco Angiolieri, Boccaccio e Dante (anticlericali) od, addirittura, Manzoni e Alfieri (filomonarchici)? Oppure una scuola “attenta ai valori della famiglia”, cioè senza Petronio ed Apuleio, senza il Macbeth, l’Edipo Re e l’Antigone, senza Garcia Lorca o Rimbaud?

La storia stessa della cultura, del sapere umano, è la storia del pensiero divergente, mentre la conoscenza è la sostanza stessa del nostro percorso esistenziale e la curiosità è null’altro che un’affermazione di libertà: non c’è censura o normalizzazione che tenga.