Tag Archives: diritto

Elsa Fornero? Si dimetta dal Welfare

28 Giu

Elsa Fornero ha dichiarato che ‘il lavoro non è un diritto, va conquistato con i sacrifici”. La Costituzione, invece, recita “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, una norma che, pur essendo il primo articolo della Carta costituzionale, non sembra sia stata mai pienamente attuata.

Infatti, se parlassimo di ‘diritto al lavoro’, come tanti asseriscono, allora dovremmo chiederci perchè disoccupati e disabili non siano adeguatamente ‘indennizzati’ a causa del mancato accesso a questo diritto. Ovvero, perchè non esiste un salario minimo?
Se, viceversa, si trattasse di ‘dovere al lavoro’ dovremmo farci una ragione del perchè esistano tanti disoccupati o sottoccupati – specialmente giovani ed over50enni – nel nostro Paese e di come siano stati maturati vitalizi e pensioni d’oro.

In ambedue i casi – e specialmente se si trattasse di un ‘dovere’ – il lavoro va fornito e non conquistato e , caso mai fosse parleremmo di merito e pari opportunità, non certamente di sacrifici, se non quelli che lo studio e l’esperienza richiedono.

La questione che va ben oltre la nostra Costituzione italiana e che attinge direttamente ai ‘fondamentali’ del pensiero economico.

Infatti, fu Thomas Hobbes a scrivere che «la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno Stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa». (Thomas Hobbes, Leviatano p. 167)

Lo Stato opera per la pace sociale ed a difesa di tutti i discendenti di coloro che, a suo tempo, «cedettero il diritto di governare se stessi ad un uomo o ad una assemblea di uomini», a condizione di avere pari diritti, pace e tutela.

Pensare che ‘il lavoro vada conquistato con i sacrifici” è un’idea che azzera il patto sociale sul quale si regge uno Stato.
Senza ‘pari diritti, pace sociale e difesa dei deboli’ si ritorna al mondo che esisteva prima dell’avvento degli Indoeuropei e delle prime monarchie.
Oppure, si va verso un incerto futuro, con uno Stato ridotto ad un guscio rinsecchito, e ci ritroveremmo tutti a vivere in qualche arcipelago mondiale della narco-corruzione od in uno dei tanti territori dove la ‘polizia’ sono i contractors della security di qualche multinazionale ed i ‘giudici’ sono i corrispettivi avvocati.

Dunque, Elsa Fornero si sbaglia: Stato e divisione del lavoro sono l’un l’altro connaturati.

Il lavoro è un diritto/dovere: è l’elemento contrattuale essenziale per il quale vada a costituirsi una società ove esista una specializzazione tecnica e, dunque, una divisione dei compiti.
Parliamo di aspetti della gestione sociale di cui troviamo tracce (ovvero norme e regole) nella società minoica, che racchiusa in un’isola, si trovò ben presto a dover risolvere i problemi del ‘lavoro’, derivanti dalla presenza di molte ‘industrie’ di produzione di ceramiche e terracotte e dal sistema di trasmissione ereditaria delle terre, che ne salvaguardava – guarda caso – il controllo da parte delle linee familiari proto-isolane.

Il lavoro va creato, fornito, distribuito, diversificato, cercato, richiesto, terminato, ma non conquistato. Le ‘conquiste’ si addicono alle ‘carriere’, ma essere in carriera non significa necessariamente ‘lavorare’ per uno scopo (mission) od un obiettivo comune.

La frase del ministro Fornero non è stata pronunciata durante una estemporanea intervista per strada. Erano parole ben meditate, visto che certi speech vengono, di solito, accuratamente preparati.
Certo, potremmo pensare che Elsa Fornero non abbia ancora compreso che si rivolge ad una platea di milioni di persone che vivono una vita di sacrifici e non a qualche decina di fortunati amici e conoscenti, scelti e selezionati in quella Grande Turìn, che tanti meridionali ricordano come avida, bigotta e razzista.

E sono parole – se non potenzialmente ‘eversive’ dell’ordine precostituito (lo Stato) – certamente ‘rivoluzionarie’ ed i ministri queste cose non le dicono.

Ma non solo. Stiamo parlando di un ministro del Welfare, che vede milioni di giovani, donne e padri di famiglia per strada, senza lavoro, sottoccupati o sfruttati, probabilmente indebitati (cos’altro è il mutuo o la rata dell’autovettura?) e senza un futuro almeno per i prossimi due o tre anni, se andasse tutto bene.
Ed altri milioni di cittadini elettori e contribuenti, se volessimo parlare di chi – malato, invalido od anziano – avrebbe bisogno non tanto di cure, quanto di vivibilità, ovvero di due spiccioli, un tetto sicuro e qualcuno da chiamare in caso di bisogno.

Altrove, si stava già parlando di dimissioni: il welfare aiuta chi ha bisogno, non gli chiede sacrifici per alimentare bilanci statali od aziendali. Peggio ancora se pensiamo a chi un lavoro l’ha perso a causa di qualche speculatore o di un imprenditore  incapace, troppo furbo o affossato dalle banche e dai crediti dovuti da enti pubblici.

Lasciare al Welfare una persona che non sia convinta che un qualsiasi Stato si debba reggere su un patto sociale è come mettere il lupo nell’ovile.

Come anche dovremmo prendere atto che il Wall Street Journal ha tenuto a precisare che (la riforma del lavoro del)la ministra Fornero «svuota il Lago di Como con mestolo e cannuccia».

Se Mario Monti ed il Parlamento, trascorso il vertice UE, vorranno ancora eludere la ‘problematica’, non resteremo meravigliati da questo ennesimo atto di arroganza, ma, di sicuro, i ‘mercati’ prenderanno atto che il Leviatano italiano è davvero ‘sick’ ed ‘out of order’ e che la stabilità italiana, di questo passo, è lungi da venire.

originale postato su demata

Lucio Magri, un suicidio ethically scorretto

1 Dic

Il suicidio assistito di Lucio Magri, eseguito in Svizzera, è un gesto particolarmente deprecabile e per diversi motivi.

Un “non gesto”, innanzitutto, visto che Magri non è si è suicidato da solo, lanciandosi da un dirupo o attaccandosi alla canna del gas, ma ha richiesto un assistente, un boia secondo il linguaggio di una volta.
Inoltre, come scrive Adriano Sofri, “la lezione dello stoicismo, gli amici convocati, il convito, la conversazione e il commiato, resta magnifica, ma è davvero distante.” Lucio Magri non era malato terminale, ha “semplicemente” voluto determinare da se quale fosse la durata della propria vita.

Infine, non c’era qualcosa “di peggiore” se si voleva “remare contro” la causa dell’autodeterminazione dei pazienti e del diritto a rifiutare le cure.

Mi dispiace per i tanti che in questi anni hanno letto od ammirato Lucio Magri, ma il mondo è pieno di persone, magari anziane, che arrancano sotto il peso di una vita che ha poco ormai da dare.
Eppure, lo fanno.

La scelta di Lucio Magri non è affatto esemplare, quanto, piuttosto, eticamente censurabile, quantomeno per essersi fatto suicidare in un centro a pagamento.
Da un uomo che ha sempre inneggiato alla dignità ed alla libertà, ci saremmo aspettati altro.

 

originale postato su demata

Pensioni inique, meglio lavorare a vita

30 Nov

Il Corriere della Sera annuncia che “potrebbe aumentare la soglia minima dei 40 anni di contributi necessari ora per la pensione indipendentemente dall’età anagrafica. Secondo quanto si apprende tra le ipotesi allo studio del Governo c’è un innalzamento tra i 41 e i 43 anni di contributi per uscire dal lavoro a qualsiasi età.” Eppure, solo pochi giorni fa, avevamo letto che “la riforma delle pensioni va bene così, c’è solo da accelerare i tempi”.

Dunque, se qualcuno aveva dei dubbi, è ormai chiaro a tutti che il governo Monti intende intervenire pesantemente sulle pensioni “del futuro”, senza affatto “moralizzare” il sistema pensionistico italiano, cassando le pensioni d’annata ed uniformando le spettanze.

I diritti acquisiti non si toccano se si tratta di over60, i diritti promessi sono carta straccia se parliamo di under60.

Non è un problema meramente legislativo, non solamente interno al governo Monti ed al Parlamento, dato che la magistratura potrebbe, con le proprie sentenze e contro la volontà popolare eventualmente espressa dalle leggi, annullare qualunque taglio a carico di coloro che sono già pensionati. Costituzionalità …

Cosa fa il governo Monti? Dare battaglia, consegnare il problema ad un governo eletto o trovare un escamotage, seppur vistoso, dato che portare “i nati dal 1950 al 1962” al contributivo tout court sarebbe particolarmente iniquo?

Da quello che si legge sul Corriere, sembra stia passando la scelta più semplice: violare l’ultimo margine che ci separa dallo schiavismo ed abolire il limite di 40 anni lavorativi per l’ottenimento della pensione.

Così andando, dal 1 gennaio 2012, avremo un rigorosa linea di demarcazione tra gli italiani: i nati prima o dopo il 1950. I primi fruiscono di pensioni, invalidità e case popolari, i secondi “dipende” e per gli under40 anche il lavoro è un optional. Tutto molto costituzionale …

La televisione fa miracoli, è vero, gli imbonitori sono già all’opera, a parlare nei talk show di un governo senza conoscerne il programma, ma è proprio da vedere come potranno convincere i giovani che è nel loro interesse rallentare lo svecchiamento del paese.

Se l’attuale parlamento intende avallare (e soprattutto votare) un provvedimento del genere, è difficile credere che gli stessi partiti (PDL, PD, AN, UDC, IdV) potranno pensare di andare a raccogliere voti tra i nati dopo il 1950 …

(leggi anche Pensioni, quel che propone Confindustria e Pensioni, quelle d’annata non si toccano e Pensioni – Fornero, pessime idee)

originale postato su demata

Italia: ritorna l’anafabetismo

27 Nov

Tullio De Mauro, noto glottologo ed ex ministro dell’istruzione, non ha dubbi sulla formazione degli italiani: “non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana. Ce lo dicono due recenti studi internazionali, ma qui da noi nessuno sembra voler sentire“.

Ad essere esatti, “il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà. Il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo. Un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello“.

Un dato devastante, che conferma una lunga serie negativa, su cui si sono sollevate solo le lagnanze di qualche blogger od addetto del settore.
Eh già, perchè non stiamo parlando di ortografia, grammatica e sintassi, bensì di comprensione di ciò che è scritto e della capacità di operare per ipotesi, come richiesto da un testo di terzo livello a salire.

Ma a cosa equivale una tale “ignoranza”?
All’incapacità, per circa il 40% di noi, di ben comprendere cosa preveda il codice della strada, per esempio, che richiede competenze almeno superiori al primo livello.
Oppure, all’impossibilità, per il 70% della popolazione, di comprendere ed eseguire con affidabilità le istruzioni indicate su un manuale, che è un testo almeno di terzo livello.
L’impedimento, infine, per moltissimi di noi, almeno il 20% e forse molti di più, di comprendere i termini di una proposta politica, ovvero di conformarsi un’opinione consapevole, e di votare opportunamente.

L’istruzione ed in particolare la capacità di lettura sono il primo passo per l’esercizio dei diritti.

Come “riparare” a questo danno epocale?
Serve una nuova deontologia per la scuola, visto che quella che abbiamo si valuta da sola, ormai, in base a questi infimi risultati.
Una deontologia che si basi sulla meritocrazia, sulla collaboratività e sul senso dello Stato.

Ma serve anche, e soprattutto con urgenza, un radicale cambiamento nelle politiche del welfare e della formazione professionale, fermando sprechi e prebende degli enti locali su “cultura e diritto allo studio”, visto che almeno un terzo degli italiani non è nelle condizioni, culturali e professionali, necessarie ad affrontare il Terzo Millennio.

originale postato su demata

Agenda Monti: i rapporti con la Libia …

27 Nov

Il Comando Generale delle Capitanerie di porto ha rilasciato un comunicato che i pescherecci ‘Asia’ di Mazara del Vallo e ‘Astra’ di Siracusa sono stare sequestrate da naviglio militare libico e condotte nel porto di Misurata.
A bordo dell’Asia ci sono cinque nostri connazionali, mentre sulla Astra gli italiani sono quattro insieme a tre tunisini.

Una vicenda paradossale, visto che in zona ci sono ancora squadre operative della NATO.
Una storia aspettata, che conferma come i metodi negoziali della Libia, qualunque Raiss governi, sono sempre gli stessi: violazione dei trattati e ricatti energetici.

Uno scherzo da ragazzi, poi, quello di profittarsi di un debole governo tecnico, che ha appena pagato o lasciato pagare un riscatto per la nave “Rosalia D’Amato”, in mano ai signori della guerra somali.

Si spera che i libici abbiano fatto male i loro conti, visto che adesso l’atifona dovrebbe cambiare con un fior d’ammiraglio NATO, il comandante Gianpaolo di Paola, a dirigere il Ministero della Difesa ed, alla Farnesina, un diplomatico del calibro di Giulio Terzi di Sant’Agata, ex Rappresentante Permanente d’Italia alle Nazioni Unite a New York.

Anche questo è un banco di prova per il governo Monti.

originale postato su demata

Pensioni, quel che propone Confindustria

27 Nov

Il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, commenta, in un’intervista a “La Repubblica”, la tesi sulla manovra pensionistica del ministro del Welfare, Elsa Fornero, scritta, però, prima della sua nomina a ministro e, dunque, migliorabile o peggiorabile.
Questo, nella sostanza, l’apporto di Confindustria: “Noi vorremmo che l’assegno pieno sia erogato solo a 65 anni. Chi si ritira prima dovrà avere un assegno attuarialmente equivalente a quello di chi resta fino a 65 anni. In questo modo il disincentivo ad anticipare la pensione sara’ maggiore“.

Bene la prima, da capire la seconda, non formulata la terza (che non c’è).

Infatti, è prioritario ripristinare il principio di diritto all’esodo volontario anticipato, specialmente se si sono versati contributi per almeno 20-30 anni.

Come non è corretto non valorizzare chi ha iniziato a lavorare prima dei 25 anni d’età e che, a partire dai 57, si ritrova con quaranta anni della propria esistenza, i migliori, dedicati al lavoro, infimo o megagalattico che sia. Persone che, anzi, andrebbero premiate, se il sistema fosse equo e che, nel frastornante dibattito sulle pensioni, vanno quantomeno menzionate e garantite.

Non è condivisibile, infine, l’idea di continuare a non considerare, neanche in ipotesi, l’idea di toccare i cosiddetti “diritti acquisiti”, di cui andrebbe rivisto, oggi, non il merito, ma certamente l’entità e l’estendibilità.

Se vogliamo applicare il contributivo ai lavoratori “nati tra il 1950 ed il 1962, come propone la Fornero, è necessario applicarlo, senza eccessi, almeno a tutti coloro che sono andati via dal 1998 ad oggi. E’ lo stesso ministro ad aver evidenziato che i “principi sono stati spesso largamente disattesi … in modo particolare con la scelta di tutelare i “diritti acquisiti” dei lavoratori meno giovani, scaricando invece sulle nuove generazioni l’onere dell’aggiustamento”.
Ovviamente, dopo aver cassato le pensioni d’annata ed i privilegi.

L’alternativa sarà quella di costruire un muro tra chi è nato prima/dopo il 1950 e di consegnare al futuro parlamento un’Italia travagliata da una drastica frattura generazionale.

(leggi anche Pensioni, quelle d’annata non si toccano e Pensioni – Fornero, pessime idee)

originale postato su demata