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Scuola italiana al crash?

27 Gen

Mentre Parlamento e Media si accapigliano per una riforma elettorale che cambierà tutto per non cambiare nulla, l’Italia va avanti. O, meglio, tenta.

Una marea di italiani ‘travolti da un insolito destino agostano’, quando – era il 2011 – il Governo Monti intervenne sulla spesa pubblica in base a conti rivelatisi poco affidabili, e rimasti in balia dei flutti – siamo ormai al 2014 – a causa dello stallo politico in cui viviamo.

Uno dei settori più vessati ‘ma invisibile’ è quello della scuola. Anzi, ad essere esatti, dell’istruzione e della formazione professionale, del diritto allo studio, delle tutele sociali verso le categorie svantaggiate. Una scuola che si arrangia senza che nessuno le dia il benchè minimo raggio di luce o filo di speranza, dato che – da Cinque Stelle a La Destra, passando per SEL o la Lega ed arrivando a PD, Scelta Civica, NCD e Forza Italia – non c’è programma o istanza ne faccia menzione.

scuola precariaA partire dagli stipendi e dallo status del personale, che vede una sequel di perequazioni a dir poco mostruose:

  1. le docenti di scuola elementare e materna (ndr. maestre) retribuite praticamente quanto un’ausiliaria, nonostante molte di loro abbiano una laurea;
  2. i docenti delle scuole medie e superiori (ndr. professori) , anch’essi con stipendi da fame, ma con un sistema di prestazioni talmente obsoleto e rabberciato che nessuno è finora riuscito a confrontarlo – nei tempi e nei compensi – con quelli stranieri;
  3. il personale amministrativo che dovrebbe essere diretto da laureati in economia (o legge), che dovrebbe rispondere a requisiti di qualità ed efficienza nazionali e che percepisce uno stipendio base in linea con quello del settore bancario;
  4. i dirigenti scolastici che sono equiparati alla dirigenza pubblica solo per le responsabilità connesse, ma senza benefit, progressioni di carriera, mobilità, tutele e, soprattutto, stipendi adeguati, dato che percepiscono 2/3 del compenso di un medico di base, pur essendo gli unici dirigenti pubblici a gestire direttamente un centinaio di lavoratori e servizi alla persona quotidiani;
  5. i tecnici (insegnanti e assistenti) nel limbo funzionale, tra contratti che non si aggiornano e, soprattutto, con finanziamenti per laboratori e innovazione che non arrivano;
  6. gli ausiliari ai quali, ridotti a mezza dozzina con il subentro delle ditte di pulizia, toccherebbe di vigilare su chilometri di corridoi o piazzali e decine di bagni, oltre a garantire aperture pomeridiane e domenicali;
  7. i precari che attendono anni prima di essere stabilizzati, dato che – con le norme pensionistiche introdotte nel corso del ventennio – a tutto si è pensato, fuorchè a gestire il turn over dei docenti nel settore scolastico e universitario, che è una nota e prevedibilissima esigenza del sistema;
  8. la formazione in servizio non esiste da almeno 15 anni e sarà un decennio che non si vedono ispettori. Nessuno verifica se si sia in grado di insegnare con lauree conseguite 40 anni fa e mai aggiornate, nessuna statistica ci racconta delle prevedibili anomalie amministrative (e finanziarie) delle scuole;
  9. gli anziani e gli invalidi che – da un tot d’anni – vedono sempre più allontanarsi la prospettiva di andare a riposo, rinviata con leggine e lacciuoli, mentre si erano ‘arruolati’ con la prospettiva di andar via dopo soli 20 anni, accettando una pensione da fame, che ancora oggi preferirebbero negoziare in vece di un ‘lauto’ TFR;
  10. sul fronte sindacale, non c’è che prendere atto che per gli statali c’è l’attestamento su benefit vecchi, datati, oblsoleti e probabilmente inutili o controproducenti, mentre il personale didattico delle scuole private, dei centri professionali e dei servizi esternalizzati è gestito con contratti di lavoro nazionali indecenti nell’indifferenza generale;
  11. i dati PISA-OCSE raccontano di un’inefficienza ed un’inefficacia del sistema di instruzione epocali (in certe aree), i dati di Confindustria e di Unioncamere sui neoassunti confermano, mentre nessuno interviene per migliorare meritocrazia e selezione in un Paese che vede ancora il 65% dei maschi adulti privo di un diploma ed ancora la metà delle donne (diplomate o laureate) a casa senza lavoro. Intanto, crescono i diplomati con il massimo dei voti (ndr. licei) e diminuiscono gli studenti non ammessi agli esami di maturità 2013 così come i bocciati;
  12. dopo la sentenza TAR del Lazio – che ha annullato la riforma dei programmi e delle cattedre degli istituti tecnici e professionali – si ritornerà a svolgere 36 ore settimanali anzichè 32 come oggi oppure arriverà in extremis la ‘soluzione’? Bello a sapersi. Intanto, le iscrizioni sono aperte e tra un po’ anche gli organici;
  13. l’ediliza scolastica la conosciamo tutti e rappresenta bene un popolo che non si preoccupa di offrire sicurezza, dignità e futuro ai propri figli, mentre le scuole pubbliche le finanziano de facto le famiglie e mentre le devastazioni di tante scuole denotano una certa illegalità diffusa e – nonostante l’esposizione di tanti ragazzi/e a modo – non hanno, finora, trovato particolare sanzione o prevenzione;
  14. scuole_precarie_bassasul fronte del ‘sociale’, basti dire che per mandare in gita un alunno indigente si va ancora avanti con le collette a scuola. Mica provvede il Comune di residenza …
  15. di status istituzionale per le scuole siamo al non sense, con la Costituzione (e qualche sentenza) che le definisce gestionalmente ‘autonome’ e il MEF che le considera meri ‘punti di erogazione del servizio’, mentre il MIUR ha risolto tutto con un decreto e gestisce tutto da un paio di uffici e poco più;
  16. per non parlare della spesa pubblica che registra almeno 100 miliardi annui (6-7% del PIL) per ‘istruzione’, ‘formazione professionale’ e ‘diritto allo studio’, di cui una quarantina vanno via in stipendi dei docenti statali, mentre il resto non si sa bene dove vada … e soprattutto a cosa serva.

In questi giorni, sta facendo scalpore la vicenda di 4.000 docenti che, pur avendo diritto alla pensione in base alla Legge Damiano, si vedono negare l’accesso per un cavillo burocratico e … per i soliti motivi di ‘cassa’. Persone che, comunque, hanno versato 35 anni di contribuzione assicurativa.
Niente paura, è solo un’avvisaglia. Dal 2015, chiunque volesse pensionarsi dovrà aver lavorato almeno 42 anni e tre mesi, ovvero non potrà avere meno di 61 anni, con buona pace degli invalidi e di quanti – vedendosi scippare l’agognata pensione a uno o due anni dalla meta – non potranno sentirsi particolarmente motivati. Per non parlare degli invalidi di una certa entità  che saranno forse 100.000, forse meno. Nessuno lo sa.

Gelmini Tremonti

Per risolvere questi problemi l’Italia non ha molto tempo, considerato che nel 2015 ci saranno le ‘annunciate’ elezioni anticipate, ma non servono chissà quanti soldi. Anzi, forse ne verrebbero anche delle economie.

Il problema è nella ‘concertazione’, ovvero portare ad un accordo ragionevole alcuni soggetti:

  1. la Conferenza Stato-Regioni ed i rapporti con l’ANCI, se si vuole razionalizzare il tesoretto di 100 mld che ‘andrebbe’ all’istruzione, formazione e diritto allo studio, trovando le risorse per l’edilizia ed il ‘welfare scolastico’ tenuto conto dei servizi ‘esternalizzati’, del ricalcolo dell’ISEE e/o il ‘così detto’ salario minimo;
  2. il tavolo di Governo che dovrebbe garantire i dovuti equilibri (ndr. ed il problema non è nè Carrozza nè fu Gelmini)  nei poteri dei diversi ministeri, visto lo strapotere del MEF – di tremontiana memoria –  come dimostrano i tanti casi di contenzioso, spesso a causa di semplici circolari che, ormai, superano l’effetto di decreti e bloccano norme e accordi, in nome di una competenza costituzionale che il Fiscal Compact, però, attribuisce al Governo e non ad un solo Ministero;
  3. i vertici sindacali (che non di rado hanno un’esperienza di lavoro effettivo di pochi anni, svolto nella scuola degli Anni ’70 /80) e la dirigenza del MIUR (tra cui non ve ne è uno che provenga dal comparto scuola), che da almeno un decennio non riescono a trovare parametri contrattuali moderni e univoci per un personale che ormai opera in un settore fortemente diversificato;
  4. il sistema assicurativo (pensionistico della scuola) – prima ENPAS, ENAM e KIRNER, ovvero semi-privatistico ed oggi meramente INPS – e l’esigenza che il Sistema di Istruzione Nazionale  che tenga conto dell’esigenza (per il tessuto produttivo, culturale e sociale) di ‘turn over’, ovvero di fornire personale con un’età media di 45 anni ed assunto subito dopo la laurea. Il contrario di un precariato decennale – da cui i migliori spesso fuggono andando all’estero – mentre si abroga la ‘Quota 96’, imponendo a tutti il pensionamento dopo 43 anni contributivi (ndr. ma non a chi ha ormai 65 anni e passa), lasciando i parametri e le pensioni da fame che abbiamo sulle invalidità e lesinando mobilità, part time o telelavoro, ma, soprattutto, impedendo ogni forma di negozialità per chi voglia optare per una pensione decurtata, ma anticipata.

laoro pensioniMissione impossibile? Di sicuro, ma iniziamo a renderci onto che è impossibile anche il contrario.

La Scuola è esausta, il suo personale non vede prospettive di riconoscimento del proprio lavoro o di completamento di una ‘eterna riforma’, i nostri alunni non sempre frequentano strutture sicure, i nostri diplomi spesso non valgono granchè e vengono conseguiti con un anno di ritardo (18 anni anzichè 17) rispetto all’estero, la questione ‘Quota 96’ e del suo blocco sta arrivando al capolinea del 2015.
Di edilizia, trasporti, formazione professionale e permanente, accessibilità per disabili e stranieri, contratti di lavoro, monitoraggio e valutazione, finanziamenti pubblici e politica locale, come dicevamo, meglio non parlarne.

scuola famigliaE sembrerebbe che tutti abbiano dimenticato che l’istruzione pubblica non fu solo istituita per ragioni di equità e solidarietà umana, ma anche e soprattutto per garantire pace e ricambio sociale, come competitività, meritocrazia e produttività, diffondendo conoscenze, competenze e regole di convivenza. Utile sapere anche che i dati comprovano come la dispersione scolastica si accompagni al bullismo e alla violenza negli stadi, alla microcriminalità e alla dipendenza da sostanze o da gioco, di disturbi comportamentali come depressione e anoressia, eccetera …

In Italia, anche quest’anno, si diplomerà circa mezzo milione di studenti, di cui circa il 20% ha ripetuto un anno (dati 2006) e quasi il 40% supererà l’esame con voti inferiori a 80/100 (dati 2011), mentre un altro 20% a scuola proprio non ci va.
Chissà perchè le agenzie di rating – che guardano al futuro oltre che al contingente – sono così restie da dar fiducia all’Italia …

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Studenti in sciopero, per cosa?

12 Ott

E’ davvero difficile comprendere cosa c’entrino gli studenti con lo sciopero convocato oggi dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza (CGIL Scuola) ed, a seguire, Unione degli universitari e dalla Rete degli studenti medi. Infatti, gli universitari ‘di per se nulla c’entrano’ con la scuola, mentre i/le ragazzi/e delle superiori avrebbero tutt’altro da fare che sostenere delle richieste corporative.

Infatti, La Repubblica stessa riporta che la “Pensavamo di avere già dato – scrive nel volantino la Flc Cgil – ma con la spending review vengono sforbiciati altri 200 milioni di euro. …  Nella legge di stabilità approvata dall’esecutivo Monti ci sarebbe una decurtazione di un miliardo sulla scuola, da concretizzare aumentando l’orario di lavoro dei docenti di medie e superiori per risparmiare sulle supplenze. …  Le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa. In più si chiede ai docenti di lavorare più ore 2 senza compenso aggiuntivo”.”

Informazioni che ci raccontano come la sforbiciata della spending review equivalga a due mesi scarsi di supplenze (caso mai di questo si trattasse) od allo 0,4% dell’intero budget dell’Istruzione. Inezie, a confronto con tagli, economie e balzelli che altri comparti stanno subendo.

Quanto all’eventuale norma che porti l’orario di lavoro dei professori a livello europeo, ovvero oltre le 18 ore settimanali, i giovani e gli studenti dovrebbero solo plaudire, visto che questo eviterebbe cambi continui di docenti, nel corso degli anni, e garantirebbe che i supplenti siano i loro stessi docenti, per altro di provata esperienza e ben interlacciati col Piano dell’offerta formativa della scuola.

Arrivando agli stipendi – che saranno i più bassi d’Europa ma anche a causa dell’enorme numero di docenti che lo Stato Italiano ha assunto – è davvero disarmante vedere dei giovani che appoggino richieste di aumenti stipendiali o di compensi aggiuntivi, mentre operai ed impiegati finiscono disoccupati e mentre malati ed anziani son trattenuti al lavoro.

In effetti, gli studenti (ma non i docenti) protestano anche per altre cose.
“In Italia ci ritroviamo ancora con un modello frontale di lezione che non crea alcuna interazione fra studente ed insegnante, con materiali didattici preistorici, con programmi estremamente datati che non tengono minimamente conto dell’evoluzione che il nostro paese e la nostra società ha avuto negli ultimi sessanta anni”. “Ben poche sono le regioni che hanno adottato leggi sul diritto allo studio virtuose. Borse di studio, comodato d’uso dei libri di testo, gratuità dei trasporti pubblici sono solamente un miraggio per la stragrande maggioranza delle realtà italiane”.

Cose che sono al centro delle proteste non solo della Rete degli studenti medi, ma anche del Blocco Studentesco, che oggi non ha manifestato e che chiede attenzione anche per la “privatizzazione scolastica, la sicurezza e l’edilizia scolastica, le riorganizzazioni che non avranno altro risultato se non quello di arricchire le casse dei privati ed impoverire gli istituti pubblici con tagli ai fondi”.

Già, la sicurezza ed il decoro degli edifici scolastici o l’esternalizzazione dell’istruzione professionale da parte degli Enti Locali … di cui nessun sindacato della scuola mai parla o se ne lagna. Come, anche, si protesta sempre e solo contro il Ministero, dimenticando cosa (non) fanno Regioni, Province e Comuni e come spendono le risorse che potrebbero servire alle scuole.

E’, dunque, difficile comprendere degli studenti (e dei docenti) che scioperino con tanto afflato per materiali didattici antidiluviani e non altrettanto per la qualità degli immobili dove trascorrono metà della propria giornata.

E’, anche, difficile condividere l’idea che ad uno sciopero del personale – che pone principalmente mere questioni salariali o di mansionario – si vadano ad associare gli utenti, lamentando ad ogni riforma dei “programmi estremamente datati che non tengono minimamente conto dell’evoluzione che il nostro paese e la nostra società ha avuto negli ultimi sessanta anni”.
Infatti, quello che è datato è – spesso e volentieri – il metodo didattico, visto che per i professori, ad eccezione di quanti provenienti dalle ex-SISS, non sono previste competenze nel campo psico-pedagogico e sociologico, benchè meno se parliamo di nuove tecnologie e multimedialità.

Ed è del tutto impossibile comprendere cosa abbiano da manifestare insieme lavoratori e studenti delle scuole superiori e delle università, visto che le prime sono le neglette del sistema di finanziamento pubblico ed uno dei pochi spazi di ‘democrazia sul lavoro’ esistenti nel paese, mentre le seconde sono  sprecone ed elitarie come solo un sistema baronale può essere.

Ovviamente, se gli studenti manifestassero unitariamente e per conto proprio, sarebbe un’altra cosa. Anzi, un’altra Italia. E, finchè questo non accadrà, finchè gli Italiani saranno ‘spartiti’ in fazioni fin dall’adolescenza, non vi sarò futuro che tenga per loro e per il nostro Paese.

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Fuga di cervelli? Una buona notizia …

11 Set

(ASCA) – Chianciano Terme (Si), 8 settembre
”Fuga di cervelli, cioe’ belle teste italiane che vanno a fare ricerche in altri Paesi? Ma la fuga dei cervelli e’ innanzitutto una buona notizia: vuol dire che abbiamo cervelli e che, se ce li portano via, abbiamo buone scuole”. Lo ha detto Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico, rispondendo a una domanda dei giovani dell’Udc.

Buone scuole?

Il ministro sa che siamo il fanalino di coda dell’OCSE quanto a livello di istruzione dei nostri ragazzini e che il dato è persistente da anni ed anni, dunque stiamo parlando anche degli attuali 25enni in cerca di impiego con danni epocali per il paese.

Oppure che la quota di laureati in materie scientifiche ed ingegneria, da decenni, è una piccolissima parte del totale, forse nemmeno il 5%, mentre nei paesi avanzati si supera, di norma, il 10% della popolazione. Ovviamente, in un paese così, va progressivamente a finire che non funziona nulla come dovrebbe e diventa difficile anche il manutentare correttamente.

Ci sarebbe anche da spiegare al nostro ministro – con tutto lo staff che si sono portati dietro – che, secondo i dati più svariati, sembrerebbe proprio che all’incirca il 40% degli italiani adulti ha conseguito un diploma, che potrebbe esserci un bel 15% di popolazione che ha conseguito solo la licenza elementare.
Bisognerebbe accennare anche alle periferie e alle zone depresse/a rischio, dove i maschi diplomati a volte non superano il 20% del totale e che le donne, che arriverebbero al 40%, sono sostanzialmente disoccupate o precarie anche a causa della poca formazione ricevuta in istituti malmessi con docenti che cambiavano di anno in anno. Oppure a quel 3-4% del PIL che comunie province dovrebebro spendere per ‘il diritto allo studio’ e che, invece, diventano sagra patronale, intercultura, multimedialità, evento locale.

Dulcis in fundo, potremmo ricordare che non stiamo parlando dell’istruzione o delle scuole, ma di una infrastruttura nazionale chiamata Sistema di Istruzione Nazionale. Proprio quell’infrastruttura che lo Stato italiano, fin dal 1871, finanziò poco e male, ritardando fino al Ventennio fascista la formulazione di un quadro unitario di studi e gestendo ancora oggi il comparto come una sorta di riserva lavorativa per donne (casa, chiesa scuola) e giovani laureati precari e come un settore minore dell’edilizia pubblica nonostante si tratti di oltre 40.000 edifici, dove ospitiamo quotidianamente il futuro del nostro paese.

E se – già oggi e probabilmente domani – dovessimo prendere atto che i cervelli in fuga dall’Italia fossero gli ultimi rimasti e che non ne abbiamo abbastanza per far funzionare il paese?
Farci dirigere da francesi e tedeschi o cinesi, è questa la soluzione infrastrutturale per l’Italia?

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Riformare il catasto … a Roma?

29 Feb

Il governo conferma, nell’Atto di indirizzo firmato dal premier Mario Monti, la volontà di riformare – fiscalmente e non solo – il settore immobiliare e il sistema estimativo del catasto per il “riequilibrio del sistema impositivo” ed il “graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”.

Una bella idea? Forse, ma, …

Apparentemente, l’idea di mettere ordine al settore immobiliare non è errata, anzi. Il problema, però, è che possa essere troppo “ambiziosa”, ovvero che si finisca per avallare e legittimare deformazioni del mercato impressionanti.
Come esempio potremmo considerare Roma Nord, dove decine di migliaia di persone ha comprato appartementi nel nulla ad un prezzo pressochè doppio rispetto a tante abitazioni preesistenti, di pari livello e con parcheggi, viciniori a scuole, supermercati, farmacie e stazioni della metro o capolinea dei bus, che, viceversa, hanno visto crollare del 30% il proprio valore.

Come la mettiamo con il valore catastale? Qualcuno è disposto a rivalutare al ribasso l’enorme periferia capitolina, edificata dai palazzinari di turno e pressochè “nel nulla”?

E, parlando di catasto e di Roma, teniamo conto anche che gran parte del “popolo romano” vive ancora “entro le mura” in edifici spesso splendidi, non potrà di sicuro pagare le tasse ed i tributi per edifici fortemente rivalutati.

Come sarà impensabile che abitazioni di (extra)lusso possano andare in fitto o comodato d’uso per quattro spiccioli ad un assegnatario o restare con lo sfratto bloccato da decenni “per esigenze abitative”. Ed altrettanto andrà valutato per l’enorme messe di villette e palazzetti abusivi e poi condonati, che oggi rappresentano ormai un bene di lusso, specie se sono solo a pochi  chilometri dal Colosseo, e comunque hanno un certo valore, se sono a pochi passi da un ospedale, una sede consolare, un centro studi universitario.

Tutta gente che dovrà andare ad abitare altrove, sempre più in periferia, dove dovranno essere costruite nuove case, nonostante la popolazione non sia affatto in aumento, con i relativi servizi ed il solito degrado.

Sarebbe auspicabile che Mario Monti garantisca l’impossibilità di “cambi di finale” – ci sono i precedenti delle pensioni e degli F35, oltre che delle liberalizzazioni – e dia al Paese ed al Presidente Napolitano, la cui firma avalla tutte le leggi, opportune garanzie che tra Governo proponente e Parlamento emendante  non ci troviamo di fronte ai prodomi di un nuovo bagno di cemento per la nostra povera Italia ed al definitivo smantellamento del contesto sociale metropolitano.

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Spostare il carico fiscale … verso il basso

29 Feb

Non tutti sanno che il 50% del gettito fiscale italiano è dato dalle tasse che 4-5 milioni di contribuenti pagano. Un 10% circa di italiani, quelli che dichiarano redditi superiori agli 80-100.000 Euro, sostiene circa metà del carico fiscale.

Essendo a conoscenza di questo dato, non resta che chiedersi cosa possa intendere il professor Mario Monti, persona insigne per la quale “parla il curriculum”, con l’espressione “sposteremo il carico fiscale”.

Più tasse ai disoccupati, agli invalidi ed ai precari?

Dopo quello che hanno combinato con le pensioni, forse, c’è da preoccuparsi.

 

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Qui ci vuole Napolitano

28 Feb

E’ un po’ di tempo che non si sente la voce del Presidente Napolitano, l’uomo che “ci ha messo la faccia” con i cittadini, a Bologna od in Sardegna, mentre Mario Monti raccoglieva elogi stranieri ed il Governo era comodamente assiso a Roma.

Un presidente recentemente fischiato per colpe non sue, ma di altri.

A partire dai media, che quattro mesi fa seppellivano l’Italia sotto una coltre di “cattive notizie”, in parte rivelatesi troppo frettolose o pessimistiche, in altra parte palesemente “speculative”, e che oggi annunciano che i titoli italiani sono andati benissimo, mentre i dati confermati segnalano che l’Italia sta peggio e non meglio.

Mai chiedersi un perchè o un per come, mai.

Per passare ai partiti o meglio il Parlamento, che dovrebbe essere per lo meno il luogo dove appetiti e monopoli trovano una composizione di utilità generale e che – almeno per la sensazione che se ne riceve dall’esterno – sembra una sorta di bazar dove voti, prebende, incarichi ed appalti sono gli argomenti oggetto dell’interesse generale.

Dove tutto ha da cambiare purchè nulla cambi.

Arrivando alle “amate banche italiane”, che oggi rappresentano il non plus ultra della stratificazione finanziaria – di poteri e di risorse – avvenuta duranti i primi 30 anni dell’Unificazione Italiana e che vede i cosiddetti “poteri forti” – sempre toscani, romani, piemontesi, veneti – impossessarsi del prodotto degli italiani, tramite il controllo della valuta: Banca d’Italia e Lira prima, Euro e Bond di Stato oggi.

E così accade che nessuno avrebbe pensato che Unicredit si salvasse acquistando titoli di Stato italiani, ricavando un interesse del 7% vista la situazione di fibrillazione politica e mediatica italiana. Eppure, è accaduto.

E arriviamo ai Sindacati, la cui grande colpa è nel non mettere in luce – causa i soliti affarucci di bottega – quanto le “liberalizzazioni” potrebbero e dovrebbero fare nel campo dell’istruzione, della formazione, dell’editoria, dei servizi sanitari, del sistema consortile, del sistema pensionistico, eliminando prebende e privilegi, esenzioni e sprechi, sussidi e compensazioni.

Basti vedere come è andata per le pensioni e cosa hanno ricevuto in cambio di una tessera sindacale, pagata per 30 anni, i lavoratori cinquantenni.

Non è, dunque, di Giorgio Napolitano la responsabilità politica del Governo Monti, ambizioso e, talvolta, arrogante, ma delle defezioni – politiche, mediatiche, imprenditoriali, sindacali – che hanno permesso la composizione di un governo “ad alto rischio di conflitto di interessi”, il procastinarsi della manovra “Salva Italia”, arrivata con un tale ritardo da dover essere votata a forza, l’esultanza per una decretazione d’urgenza che, salvo gli F-35, non conteneva particolari misure a ricaduta “di cassa” immediata, l’esitazione dei sindacati dinanzi ad una legge abnorme come l’elevamento dell’età pensionabile, “fulmine a ciel sereno”.

Presidente, riprenda a bacchettare “gli italiani”, che il governo, ormai, non riesce a votare due liberalizzazioni due ed i partiti di legge elettorale sembra proprio che non se ne vogliano occupare.

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Un governo “chiaro ed inequivoco”

27 Feb

 Il presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenendo in Commissione Industria al Senato, ha annunciato che l’Imu non sarà applicato alle scuole cattoliche che «svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali».

Una risposta «chiara e inequivoca», sottolinea il Primo Ministro italiano, che, viceversa, chiara non è e di “dubbi” ne solleva molti.

Infatti, non è possibile che un “singor professore” come Monti non sappia che, in Italia,  non esistono e non possono esistere scuole che operino con modalità/finalità prettamente commerciali: la vendita dei diplomi e delle certificazioni di studio è vietata.

Dunque, “modalità non commerciali” non significa praticamente nulla, se usiamo un linguaggio colloquiale, e non definisce assolutamente nulla, se volessimo riferirci a concetti e categorie contenuti nelle norme. L’unico concetto applicabile è che attualmente esistano scuole cattoliche gestite da società commerciali “italiane” (srl o spa che siano), cosa che “di per se” non rientra nelle esenzioni concordatarie.

Le scuole, infatti, sono statali, comunali, regionali, provinciali, clericali, serali, paritarie, paritetiche, parificate, aziendali: equità, giustizia e buon senso vorrebbero che tutte fossero sottoposte alle stesse regole ed alla stessa tassazione, ricevendo gli stessi finanziamenti.

E, per dirla tutta, se è “assurdo” che lo Stato tassi le “caritatevoli” scuole cattoliche, quanto allora è maggiormente “assurdo” che lo Stato tassi le proprie di scuole, riprendendosi con la mano sinistra almeno un quarto di quello che la destra dichiara di spendere … ?

Dicevamo dei “dubbi”, non nell’applicazione della norma che “abbiamo già capito” come andrà a finire, quanto sulla “chiarezza ed inequivocabilità” del Governo Monti, che, riguardo all’istruzione, fa seguito alle “chiare ed inequivocabli” disposizioni del ministro Profumo, che ha convocato gli Esami di Stato a mezzo circolare e che, nella nota relativa alle scuole chiuse per neve”, parla di giorni di scuola eventualmente riducibili, quando la norma di riferimento precisa che trattasi di “monte ore annuale” …

Una “inequivocabile chiarezza”, visto che, quasi in contemporanea, Elsa Fornero rispondeva, a chi evidenziava i bassi stipendi degli italiani, con un “aumentate la produttività”, mentre è notorio che nel Settentrione la produttività è pari o superiore alla Germania, il Centroitalia è “di per se” improduttivo, il Meridione, oltre a “pagare il pizzo” e le tasse, vede la propria produzione ortofrutticola soffocata dalle liberalizzazioni UE pro Marocco e Tunisia, volute dalla Merkel e appoggiate da Monti.

Nessun equivoco, ahimè: l’unica cosa che avevano bene in testa, i “professori” era di salvare le banche italiane colpendo le pensioni degli attuali cinquantenni, come l’unica che vorrebbero, per salvare le imprese italiane, è colpire l’occupazione degli attuali cinquantenni – gli ultimi con un “posto fisso” – senza, però, dar loro gli ammortizzatori sociali che gli spetterebbero, dopo aver pagato i contributi per 30 anni e passa.

Per il resto, di questo “governo d’inverno” rileviamo solo idee confuse, inattuabili, “ambiziose”, se non pericolose come la parola “recessione”, mentre il Parlamento “di questo governo” – sennò erano già tutti a casa – non ha ancora approvato una norma qualunque che serva a ridurre l’elefantiaco costo dell’apparato pubblico, a partire da partiti, sindacati, ordini professionali, sistema delle dirigenze, finanziamenti all’editoria, previdenza, sistema sanitario.

Chiaro ed inequivocabile: l’acqua è poca e la papera non riesce a galleggiare.

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Lezioni sospese. Ed il monte ore annuale?

13 Feb

La buriana sembra essere passata e la neve passa loscettro del disastro al ghiaccio ed al gelo.
Intanto, nei centri abitati riaprono le scuole, dopo sette o dieci giorni di sospensione della didattica.

Il sistema scolastico italiano prevede, come tutti sanno, che le classi ed i singoli alunni svolgano un determinato numero di ore, affinchè l’anno scolastico sia “valido” e si possa essere promossi od amemssi agli esami.

Parliamo di 1056 ore annue per gran parte degli istituti, di 990 per medie, elementari e buona parte dei licei, fino al minimo di 891 ore, previsto per i classici.
Ore che vengono distribuite, quasi esclusivamente, su 33 settimane annue, con frequenze che vanno dai cinque ai sei giorni alla settimana e con una durata quotidiana delle lezioni di 5-6 ore.

La norma, così come voluta dal ministro Gelmini, non prevede deroghe al numero minimo di ore svolte dalla classe e consente ai singoli alunni un massimo di una 50 di assenze annue, salvo casi eccezionali e documentati.
D’altra parte, la norma non è altro che il recepimento delle direttive e dei trattati europei: nulla da fare, dunque, se vogliamo emettere dei titoli riconosciuti all’estero.

In due parole, se il Calendario scolastico della Regione Lazio, per il 2011-12, prevedeva 210 giorni di lezione, sabati inclusi, ne restano solo 200-202 per le scuole di Roma, ad esempio, ed ancor meno per tutte quelle località dove stamane le lezioni sono rimaste sospese.

Così andando le cose, va capito cosa accadrà, nel futuro prossimo venturo, allorchè verrà a porsi il problema che, in molti comuni del Centroitalia tra cui la Capitale, la durata dell’anno scolastico potrebbe non poter contare su un numero di giorni congruo, a fronte di un diritto costituzionalmente garantito.
Dieci, quindici giorni di sospensione delle lezioni sono tanti, tantissimi, se, poi, c’è da recuperarli.

Le scuole di pensiero a riguardo sono tante e tutte affette da una qualche “difficoltà”.

Dall’ipotesi che le ore vengano svolte “in aggiunta” all’orario “normale”, per iniziativa dei dirigenti e degli organi collegiali delle scuole, senza intaccare il calendario regionale, ma stravolgendoi trasporti e obbligando i docenti ad orari eccedenti.
A quella che le singole Regioni adottino modifiche ai rispettivi calendari scolastici, azzerando le vacanze pasquali, ipotesi impraticabile per gli esiti di forte impopolarità, mentre riforme ed elezioni incombono.

Per finire alla prevedibilissima “deroga” ministeriale, magari a mezzo circolare, anzichè decreto, sollevando tutti dall’obbligo di recupero delle ore di lezione mancanti e lanciando al paese un chiaro – e pericoloso – segno di populismo … e di “benevolenza”. Il tutto  – ancor più pericolosamente – in barba all’europeismo vantato da Mario Monti in tante sedi internazionali.

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Italia: ritorna l’anafabetismo

27 Nov

Tullio De Mauro, noto glottologo ed ex ministro dell’istruzione, non ha dubbi sulla formazione degli italiani: “non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana. Ce lo dicono due recenti studi internazionali, ma qui da noi nessuno sembra voler sentire“.

Ad essere esatti, “il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà. Il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo. Un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello“.

Un dato devastante, che conferma una lunga serie negativa, su cui si sono sollevate solo le lagnanze di qualche blogger od addetto del settore.
Eh già, perchè non stiamo parlando di ortografia, grammatica e sintassi, bensì di comprensione di ciò che è scritto e della capacità di operare per ipotesi, come richiesto da un testo di terzo livello a salire.

Ma a cosa equivale una tale “ignoranza”?
All’incapacità, per circa il 40% di noi, di ben comprendere cosa preveda il codice della strada, per esempio, che richiede competenze almeno superiori al primo livello.
Oppure, all’impossibilità, per il 70% della popolazione, di comprendere ed eseguire con affidabilità le istruzioni indicate su un manuale, che è un testo almeno di terzo livello.
L’impedimento, infine, per moltissimi di noi, almeno il 20% e forse molti di più, di comprendere i termini di una proposta politica, ovvero di conformarsi un’opinione consapevole, e di votare opportunamente.

L’istruzione ed in particolare la capacità di lettura sono il primo passo per l’esercizio dei diritti.

Come “riparare” a questo danno epocale?
Serve una nuova deontologia per la scuola, visto che quella che abbiamo si valuta da sola, ormai, in base a questi infimi risultati.
Una deontologia che si basi sulla meritocrazia, sulla collaboratività e sul senso dello Stato.

Ma serve anche, e soprattutto con urgenza, un radicale cambiamento nelle politiche del welfare e della formazione professionale, fermando sprechi e prebende degli enti locali su “cultura e diritto allo studio”, visto che almeno un terzo degli italiani non è nelle condizioni, culturali e professionali, necessarie ad affrontare il Terzo Millennio.

originale postato su demata