Tag Archives: Diritti umani

I diritti umani secondo l’Islam e non solo

25 Gen

Pochi sanno che i paesi di tradizione islamica sottoscrivono una Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ‘leggermente’ diversa dalla nostra.

Ad esempio, il “diritto alla giustizia” (art. 4) per il quale “ogni individuo ha diritto di essere giudicato in conformità alla Legge islamica e che nessun’altra legge gli venga applicata” , che “nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla Legge islamica” e che (art. 5) “nessuna accusa potrà essere rivolta se il reato ascritto non è previsto in un testo della Legge islamica”.

Peggio ancora l’art. 12, che tutela il “diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola” che nei paesi islamici prevede che “ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito”.
La Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo segue precisando che “nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica”

Infine, il “diritto di famiglia” prevede (art. 19) che “ognuno degli sposi ha dei diritti e dei doveri nei confronti dell’altro che la legge islamica ha definito con esattezza” e precisamente che «le donne hanno dei diritti pari ai loro obblighi, secondo le buone convenienze. E gli uomini hanno tuttavia una certa supremazia su di loro» (Cor., II:228).

I diritti universali, insomma, non sono proprio così ‘universali, se 1/3 della popolazione mondiale vive in stati dove i ‘diritti’ sono solo ‘islamici’.
Ma almeno li hanno firmati e, tra l’altro, la versione islamica dei diritti umani prevede regole ‘migliori’ per lo sfruttamento del lavoro e per l’usura: c’è anche chi non li ha firmati o l’ha fatto solo in parte ed in modo ‘sterile’.

Infatti, saranno probabilmente pochi quelli che si sono accorti che Israele non ha firmato i trattati ONU per il traffico di migranti, le tutele del lavoro, la tortura, la protezione dei civili, la pena di morte eccetera e, soprattutto, che … la Santa Sede non ha firmato nemmeno quelli sulle donne, sulla schiavitù, sul lavoro forzato o quanti relativi ai diritti umani e le libertà fondamentali dell’individuo in Europa.

Demata

La Buona Scuola e le contraddizioni del mondo della scuola

20 Apr

Tra pochi giorni, grazie al Jobs Act, qualunque famiglia – a prescindere dal reddito – potrà ottenere fino a 7.000 euro annui di voucher per pagare la  baby sitter.

Anche l’anno venturo, grazie al ‘veto’ di chi vuol ‘salvare la scuola italiana’, nessuna famglia riceverà un voucher per pagare l’istruzione dei figli, anche se basterebbero 2.500 euro ad alunno, che tanto è quanto spende lo Stato nelle proprie scuole.

A chi giovi una tale assurdità è davvero difficile da capire, ma è abbastanza evidente da dove derivi.

La chiave della questione è nel fatto che la nostra Costituzione fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, praticamente un anno prima del 10 dicembre 1948, data in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che all’art. 26 punto 3 precisa che, non gli Stati, ma “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.

L’Italia non votò a favore e la sottoscrisse solo il 14 dicembre 1955, il Vaticano mai.
L’Italia non ha mai abrogato, perchè in contrasto con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quella parte dell’art. 33 della Costituzione che prevede che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Niente paura, mica siamo i soli che hanno firmato e giurato, ma poi si son tenuti il ‘vecchio’.

Ma … settemila euro per la baby sitter, ma neanche un centesimo se vuoi esercitare il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire?

E come fa ad esistere una Buona Scuola, se la Dichiarazione Universale afferma che “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” e poi si nega la pari opportunità ad abbienti e meno abbienti di eseritare il diritto di priorità nella scelta?

originale postato su Demata (blogger dal 2007)

 

La Diaz, le torture, i responsabili e l’interesse pubblico

10 Apr

La sera del 21 luglio 2001, il Reparto mobile di Roma seguito poi da quello di Genova e Milano fecero irruzione nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, che ospitavano un centinaio di attivisti, tra cui molti stranieri, del coordinamento del Genoa Social Forum, mentre mentre alcuni Battaglioni dei Carabinieri circondavano gli edifici.

All’operazione di polizia prese parte un numero tutt’oggi imprecisato di agenti e, sulle informazioni fornite durante il processo dal questore Vincenzo Canterini, lo stima in circa “346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici”.
Dalle indagini venne anche a galla che si trattava in realtà di un gruppo misto di poliziotti sia della Mobile sia della Celere, di cui non pochi provenienti dal disciolto Nucleo Anti-sommossa di Roma.

Personale, dunque, più che esperto ed abituato a gestire situazioni delicate e scontri di piazza. Peccato che un bel tot di loro si fossero aggregati all’irruzione spontaneamente.

Così accadde che durante l’irruzione gli agenti di polizia aggredirono chiunque si trovasse nella scuola, l’assalto e la prima fase di detenzione furono particolarmente brutali, con percosse e maltrattamenti durati ore, come anche cure e soccorsi negati.
Su un totale di 93 arrestati le persone ferite furono 82, di cui 19 non furono portati in ospedale, bensì nella caserma della polizia di Bolzaneto dove i maltrattamenti proseguirono.
Il cancello si apriva in continuazione – racconta il poliziotto – dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli… insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto”. (La Repubblica)

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Le motivazioni della sentenza di primo grado riportarono che «l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto, deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell (ndr. ridotto in coma) e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati.»

Ed, infatti, i funzionari presenti sul posto hanno preferito subire condanne per falso aggravato, piuttosto che rivelare l’identità dei quasi quattrocento agenti in tenuta antisommossa che quella notte attuarono “la più grave sospensione dei diritti umani in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Nessuno si è fatto avanti neanche per il tentato omicidio del fotoreporter inglese Mark Covell, aggredito neanche all’interno dell’edificio, riportando danni alla spina dorsale, e lasciato a terra senza essere soccorso per venti minuti, poi in coma profondo per 14 ore.

A conclusione dell’iter processuale, oltre alla diffusa non indentificazione degli autori, accadde che andarono prescritti i pochi reati (gravissimi) che era stato possibile attribuire ad ufficiali di polizia.
Nella sentenza definitiva, la Corte di Cassazione precisò che gli imputati avevano dato vita ad una “consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il deposito degli atti in Procura”.

Il 7 aprile 2015 i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno condannato all’unanimità lo Stato Italiano per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, perchè l’operato della Polizia di Stato nella scuola Diaz la sera del 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”.

La Corte di Strasburgo ha sottolineato che, di fronte al semplice sospetto di gravi abusi commessi da appartenenti alle forze dell’ordine, la Convenzione dei Diritti dell’uomo prevede l’allontanamento degli stessi dalle posizioni che occupano già nella fase d’indagine.

Invece, ancora nel luglio 2012, quando la Cassazione confermò le pesanti condanne di appello per falso aggravato (le uniche sopravvissute alla prescrizione), Franco Gratteri era il capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde, Filippo Ferri, il più giovane, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario alla giustizia, guidava la squadra mobile di Firenze”: solo l’interdizione dai pubblici uffici obbligò il ministero ad espellerli.

Nessuno dei condannati ha fatto un giorno di carcere, grazie ai tre anni di sconto per l’indulto approvato nel 2006, nessuna interdizione per gli otto capisquadra condannati e prescritti per le lesioni causate dai loro sottoposti.

Che a pagare debba essere solo il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Polizia, non è certamente giusto: caso mai seppe qualcosa è probabile che anche a lui abbiano imbastito il mare di sciocchezze portate poi davanti ai giudici. L’allora sovrintendente alla struttura di Bolzaneto,  Alfonso Sabella, è assessore alla Legalità del Sindaco Ignazio Marino al  Comune di Roma, ma è pur vero che fu l’unico a rinunciare alla prescrizione per concorso in lesioni.
D’altra parte … che dire se, addirittura, la sentenza della Corte europea tiene a precisare che il governo italiano non ha neanche mai voluto informare i giudici di Strasburgo circa le sanzioni disciplinari adottate.

Qualcuno pensa che i circa 400 della Diaz agirono nell’interesse pubblico? Se non pagano loro, trattandosi di tortura, a maggior ragione tocca ai loro dirigenti per quello che accade, per quello che non seppero prevenire e per quello di cui non pervennero a conoscenza durante e dopo i fatti. Inutile appellarsi a sentenze e tribunali o prescrizioni: non parliamo di reati, ma di RESPONSABILITA’.

Original post by Demata

Giustizia: l’ora del Buon Senso

7 Ago

E’ difficile non chiedersi se il processo Mediaset, conclusosi con la condanna di Silvio Berlusconi, non abbia bisogno di un’attenta revisione, se salta fuori che la condanna è stata emessa perchè ‘non poteva non sapere’.
Una sentenza ‘indiziaria’, documentata per ‘relata refero’? Una motivazione, non ancora consegnata, che già mostra falle inconfessabili?

Speriamo di no, speriamo che la nostra Giustizia non si dimostri la stessa dello scandalo della Banca Romana e del caso Giolitti, dopo un secolo e mezzo di Trasformismo e Cleptocrazia ampiamente sfuggiti a processi e sentenze.

E’, però, sorpendente scoprire tramite La Repubblica che il Presidente della Sezione Feriale della Corte di Cassazione, Antonio Esposito, che ha emesso la sentenza Mediaset, sia anche fratello e padre di altri magistrati. Un fenomeno già diffuso tra docenti e medici e già notoriamente deleterio.
Come è sorprendente che un così emerito magistrato pretenda che un cronista pubblichi non  l’intervista rilasciata e debitamente registrata, ma un testo diverso, concordato ex post.

Disdicevole, poi, è il pasticciaccio della norma Cancellieri, da applicarsi, secondo alcuni, anche alla sentenza Berlusconi, facendolo decadere da senatore. Infatti, è davvero poco ‘liberale’ applicare una norma ad eventi pregressi e giudicati, anche se in corso di revisione del giudizio, come è ‘iniquo’ che Silvio Berlusconi, come al solito, vada via impunito.
Incredibile, infine, è che la frode fiscale non venga applicata a tutti i processi per corruzione, concussione, malversamento di denaro pubblico, eccetera.

Dunque, ritorniamo alla questione ‘vera’ del serio problema istituzionale in cui l’Italia viene a trovarsi: l’effettiva forza del Parlamento, ovvero del Popolo Sovrano.

Un Parlamento che non ha solo bisogno di una legge elettorale decente, ma anche di processi celeri e fondati esclusivamente sulle prove, che chiariscano agli elettori chi, tra gli eletti, è ladro od incauto o marpione.
Basterebbe ricordare che Silvio Berlusconi è diventato il tycoon ed il politico che è stato grazie ad un mostruoso inviluppo della nostra magistratura, durato due generazioni di italiani, nonostante più di venti anni fa fosse già provato e giudicato che s’era fatto cartello tra i due principali concorrenti e che s’erano corrotti dei giudici: il Lodo Mondadori.

Un processo non può e non deve durare più di un quinquennio e benchè meno dieci anni od una generazione intera, le cause civili vanno gestite secondo una Common Law, le carriere vanno separate e deve esserci un organo che sanzioni chi causa danni a cittadini innocenti, la Corte Costituzionale dovrebbe essere di sola nomina parlamentare/presidenziale.

Scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera che “la magistratura è l’unico «potere forte» oggi esistente in questo Paese e lo è perché tutti gli altri poteri, a cominciare da quello politico, sono deboli. Non permetterà mai al potere debole, al potere politico, di riformarla. Certo, si potranno forse fare – ma solo se i magistrati acconsentiranno – interventi volti ad introdurre un po’ più di efficienza: sarebbe già tanto, per esempio, ridurre i tempi delle cause civili. Ma non ci sarà nessuna «riforma della giustizia» se per tale si intende una azione che tocchi i nodi di fondo“.

Speriamo si sbagli.

Anche perchè – alla ricerca di un po’ di buon senso – la luce in fondo al tunnel ci arriva proprio dall’accusatore finale di Silvio Berlusconi, il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che ha dichiarato a L’Espresso che «la procura di Milano non chiederà il carcere per Silvio Berlusconi», precisando che non si tratta di una decisione ad personam, ma della semplice applicazione di un principio generale, valido per tutti gli imputati e condannati.

Un approccio che ‘tutelerebbe’ Silvio Berlusconi dal carcere, anche a seguito di altre sentenze che lo colpirebbero senza lo scudo di parlamentare. Qualcuno potrebbe chiamarlo ‘salvacondotto’, in realtà è solo la legge che va applicata.

L’agibilità politica di Silvio Berlusconi? Non riguarda nè i magistrati nè il Presidente della Repubblica … è una questione ‘inter pares’ … la discutano in Senato.

originale postato su demata

La carta di Giorgio Napolitano: è l’ora dei Saggi

5 Ago

Un partito non è un fan club, bisognerebbe spiegarlo a tanti italiani, e non è neanche una setta, cosa che altrettanti italiani dovrebbero accettare.

Il sit in dei sostenitori di Silvio Berlusconi non equivale ad un partito, come non può esserlo la Sinistra del ‘siamo solo noi’. Ed una coalizione – vale per ambedue le parti passando per il centro –  non è un assemblato di comitati o di grandi elettori. Di qui la conseguenza che un governo non è un matrimonio e neanche un fidanzamento, ma solo un compromesso tra interessi potenzialmente convergenti.

Resta, poi, il fatto che tanti elettori di Centrodestra non votino, perchè ‘Silvio è ormai impresentabile’ e ‘troppi hanno fatto i fatti propri nella sua ombra’ e che tanti elettori di Centrosinistra non votino, perchè vorrebbero sentire qualcosa di Sinistra e non necessariamente estremista, velelitaria o comunista.

I sostenitori di Silvio Berlusconi dovrebbero rendersi conto che una sentenza passata in giudicato non è controvertibile, reveresibile. Gli antiberlusconiani dovrebbero prendere atto che la condanna dell’avversario non è una fine, ma solo l’inizio di un’ecatombe dei ‘luoghi comuni’, se si vuole riformare la Costituzione e quant’altro.

Quel che manca – dicono – è la riforma della giustizia, la definizione di conflitto di interessi, la trasparenza finanziaria, la regolazione della rappresentatività sindacale, la riforma elettorale e dei poteri politici (Parlamento, Regioni, Governo e Presidenza della Repubblica).
Probabilmente, manca una riforma costituzionale e, poi, tutto il resto: se la nostra Costituzione fosse stata atta a regolare il Paese, non saremmo, oggi, nella situazione in cui siamo.

La situazione contingente è pessima, con un Partito Democratico che gioca su due fronti: il Patto di governo con il PdL e la tenuta internazionale del sistema Italia, da un lato, le ‘affinità elettive’ con il Movimento Cinque Stelle e SEL e ‘localistiche’ con la Lega e UDC, dall’altro.
Dall’altra parte, le esperienze di De Magistris, Crocetta e, di recente, Marino dimostrano che larga parte della società italiana diffida della Sinistra a causa dell’eccessiva attenzione data alle minoranze che la sostengono e di un certo ‘settarismo/snobismo’, ereditato dal fu Partito Comunista e dalle intelighentzie che riempivano gli scaffali di edicole e librerie.
Anche la diffidenza verso la Magistratura e i Sindacati è diffusa: basterebbe ascoltare cosa dice la gente comune, per rendersene conto.

Un contesto che presenta forti analogie con quanto accadde a Weimar. Un’ennesima volta che il sistema politico italiano viene (d)epurato per via giudiziaria, nella migliore tradizione totalitaria. Una crisi politica nazionale ed internazionale evitabile con una commutazione della pena per Silvio Berlusconi, come già accaduto per l’ex direttore del Giornale, Alessandro Sallustri.

Non resta, dunque, che la carta del Presidente.

Infatti, Giorgio Napolitano aveva messo al lavoro un gruppo di saggi per concertare e stilare l’impianto delle riforme più urgenti per il Paese. E, teniamone conto, sia i falchi berlusconiani che la sinistra sindacalizzata, come Beppe Grillo e i suoi, tengono in gran conto l’autorevole posizione del Presidente della Repubblica.

Perchè non portare direttamente al voto di fiducia in Parlamento le bozze dei Saggi presidenziali, riforma della giustizia inclusa? Sarebbe così irrituale che al Parlamento, per tramite del Governo, arrivassero al voto delle proposte originatesi per iniziativa del Quirinale?

Non saranno, tra l’altro, le elezioni tedesche a risolvere il problema della ‘giustizia’, come quello del ‘sindacato’ e della ‘casta apicale’ della pubblica amministrazione (medici e universitari inclusi).

Dunque, se il tempo è tiranno – e lo è da mesi e anni – perchè ridurci, come al solito, all’ultimo momento per ricorrere al buon senso, seguendo la strada che Napolitano sta indicando da mesi?

originale postato su demata

Laura Prati: un’italiana decente, mentre il debito ci affonda e i kazaki imperversano

22 Lug

L’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco, è stato condannato a nove anni e sei mesi di reclusione, mentre veniva annunciata la morte cerebrale dell’ennesimo martire italiano, Laura Prati, sindaco di Cardano al Campo (Varese), a causa dei colpi esplosi contro di lei dall’ex capo dei vigili urbani, licenziato per aver truccato gli straordinari.


Più o meno nelle stesse ore, nel Lazio, finiva sotto inchiesta il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per tangenti e sentenze pilotate, convolgendo Franco De Bernardi, magistrato della seconda sezione quater, Giovannino Antonini, ex presidente della Popolare di Spoleto, Franco Clementi e Claudio Salini, rispettivamente amministratore delegato e socio fondatore dell’impresa di costruzioni ICS Grandi Lavori, Marcantonio Trevisani  e Luciano Callini, ammiragli e parte dello stato maggiore della Difesa.

Quanto alle attività delle autorità kazake, riguardo le quali Emma Bonino temporeggia nell’allontanare l’ambasciatore, i media confermano che è almeno dal 28 maggio scorso che l’ambasciatore Yelemessov tempestava di telefonate i massimi decisori istituzionali, ma passa in sordina che Muxtar Qabılulı Äblyazov, oltre ad è stato il Ministro dell’energia, dell’industria e del commercio del suo paese dal 1998 al 2001, quando fondò il partito di opposizione Scelta Democratica e venne prima arrestato e poi scarcerato, nel maggio 2003, a condizione, però, che rinunciasse all’attività politica.
Bene sapere anche che la BTA Bank era sì insolvente per errate esposizioni creditizie, ma anche che Ablyazov volò dal Kazakhstan a Londra solo dopo che, nel settembre 2009, un fondo sovrano kazako, Samruk-Kazyna, aveva immesso ingenti capitali nella BTA Bank a garanzia della solvibilità, diventando così il suo azionista di maggioranza.
Che ‘gatta ci covi’ è reso palese dalla sentenza del novembre 2012, nella quale una corte britannica ha ingiunto a Mukhtar Ablyazov di pagare 1,63 miliardi di dollari, oltre agli interessi maturati, ma ha anche disposto contro Mr. Ablyazov nuovi blocchi post-giudizio di beni per un ammontare illimitato …

Anche perchè EurasiaNet – di base a New York – sta riferendo da tempo un incremento del social gap in Kazakhstan, mentre i profitti derivanti dalle risorse naturali sono concentrati nelle mani di pochi clan vicini al presidente Nursultan Nazarbayev. Nell’aprile scorso, il Council of Entrepreneurs of Kazakhstan ha ufficializzato che nel paese vivono 1,5 milioni di personi con un reddito mensile inferiore ai 76 euro, mentre il 55.6% della popolazione guadagna mediamente 183 euro al mese.
Secondo gli analisti, il costo delle risorse primarie (acqua e benzina) viene gestito in modo da scoraggiare le attività impreditoriali locali, specie in alcune regioni del paese etnicamente diverse dalla maggioranza dominante.

Una situazione scandalosa ed illiberale, che l’Europa vorrebbe ignorare a tutti i costi, come Der Spiegel raccontava, giorni fa, rivelando che, se Silvio Berlusconi è amico personale del presidente kazako di Nazarbayev, altri noti politici ne sono consulenti o dipendenti, come gli ex cancellieri tedesco e austriaco Gerhard Schröder e Alfred Gusenbauer, gli ex primi ministri britannico e italiano Tony Blair e Romano Prodi, così come l’ex presidente polacco Aleksander Kwaniewski e l’ex ministro degli interni tedesco Otto Schily. Tutti costoro sono membri nei loro paesi di partiti socialdemocratici. Gusenbauer, Kwaniewski e Prodi sono ufficialmente membri dell’Intenarnational Advisory Board di Nazarbayev. S’incontrano spesso ogni anno – nella più recente occasione due settimane fa nella capitale kazaka Astana – e ciascuno di loro percepisce onorari annuali che raggiungono le sette cifre.”

Una chiamata in causa per Emma Bonino e Laura Boldrini, se Viola von Cramon, deputata dei Gruenen, deve stigmatizzare come accada che politici come Schröder, Schily, Prodi e Blair si lascino coinvolgere nei giochetti di Nazarbayev, “specialmente perché ora il suo regime è impegnato in un giro di vite. Ma grazie all’influenza dei lobbisti occidentali, poco di quello che succede oltrepassa i confini.”

Un segnale d’allarme, se ricordiamo che Unicredit ha annunciato solo 3 settimane prima (2 maggio 2013) dell’espulsione dall’Italia di Alma e Aula che la controllata Bank Austria aveva competato la vendita del 99,75% della seconda banca kazaka, la JSC ATFBank, alla KazNitrogenGaz, interamente controllata da Galimzhan Yessenov, genero del sindaco di capitale Almaty e magnate sel settore estrattivo dei fosfati.
Un’operazione di cui comprenderemo le ripercussioni a breve, per la quale l’Ufficio Studi del Gruppo SACE precisa un Country Risk Update: “secondo alcuni fonti il prezzo pagato per ATF Bank è pari al patrimonio netto della banca, circa USD 500 milioni. Unicredit aveva acquisito ATF Bank prima della crisi finanziaria internazionale, per un importo di USD 2,1 miliardi.”

Un Kazakistan ed un oligarca, Nazarbayev, che hanno ricevuto – oltre all’ex candidato alla Presidenza della Repubblica Romano Prodi – le visite di Luciano Violante, Giorgio Napolitano, Emma Bonino, Lamberto Dini, Massimo D’Alema, Tiziano Treu, secondo quanto riporta il quotidiano Libero di Maurizio Belpietro.

Visite di Stato, ne vorremmo esser sicuri, come quella, nel 2007, di Emma Bonino, in occasione dell’incontro per la centrale estrattiva di Kazakhstan fra il primo ministro kazako Karim Masimov , il ministro dell’Energia Sauat Mynbayev e l’Amministratore Delegato di Eni Paolo Scaroni, poi indagato per corruzione internazionale, mentre Human Rights Watch accusa da quasi un anno l’Ente nazionale Idrocarburi di violazione dei diritti umani proprio in Kazakhistan, dopo che numerosi operai vennero uccisi dalla polizia durante scioperi contro le multinazionali del petrolio

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Intanto – a Roma, ma non in Italia – anche Papa Francesco vuole vederci chiaro nella finanza pubblica ed ha istituito una commissione, che dovrà raccogliere «puntuali informazioni sulle questioni economiche interessanti le amministrazioni vaticane», preposte «ad evitare dispendi di risorse economiche, a favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi, a perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, ad operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario, ad assicurare una corretta applicazione dei principi contabili ed a garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto».
Eh già, se la spesa pubblica tracima, sono Sanità, Welfare e Infrastrutture a farne le spese.

Un’ora fa, ADN-Kronos annunciava che, “secondo Eurostat, il rapporto debito/Pil ha raggiunto quota 130,3%, contro il 127% dell’ultimo trimestre del 2012 e il 123,8% del primo trimestre dello scorso anno. In termini assoluti, il debito pubblico italiano nei primi tre mesi del 2013 è stato di 2.034.763 miliardi.”
Peggio di noi , in Europa, sta solo la Grecia, con la differenza che ogni greco è esposto per ‘solo’ 24.000 euro di debito pubblico pro capite, mentre noi italiani ce ne ritroviamo poco meno di 40.000.

Debito%PIL ITALIA 2010 2013

E non ci salverà – nella fiducia che ormai pochi, all’estero, si azzardano a riporre sull’Italia – l’uscita di Emma Bonino: ‘Allontanare l’ambasciatore kazako? Devo tutelare i nostri interessi là’. Nostri starebbe per ENI, Impregilo e tante altre aziende italiane andate ad investire all’estero …

Purtroppo, varrebbe la pena di convincersi che l’affaire kazako, come dichiara Gustavo Zagrebelsky intervistato da La Repubblica, “è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”.

E se uno dei paesi ‘membri titolari’ dei G8 deve ritrovarsi, oggi, a subire il ricatto di qualche ‘benzinaio’ e di qualche corrotto lobbista, non è che le cose andranno meglio, domani.
Anzi, il sacrificio di Laura Prati sarà stato del tutto inutile e, forse, è proprio da lei e dal suo esempio che dovremmo ripartire.

originale postato su demata

Automobili: la Cina supera l’Europa

2 Gen

Il Financial Times annuncia che la Cina, nel 2013, per la prima volta supererà l’Europa nella produzione di autovetture e veicoli leggeri. La previsione è di  19,6 milioni di veicoli rispetto ai 18,3 milioni europei.

Le proiezioni si basano sui dati della IHS, LMC Auto e consulenza PwC, gli investimenti banche UBS e Credit Suisse. Essi dipingono un quadro di lieve ripresa nel 2013 per l’industria automobilistica mondiale con un’Europa la cui produzione ha perso il 10% della fetta di mercato rispetto al 2001 ed il 30% rispetto al 1970, quando quasi una ogni due auto prodotte nel mondo nasceva in una fabbrica in Europa.

Non a caso, Norbert Reithofer, amministratore delegato della casa automobilistica tedesca BMW, ha detto di aspettarsi le condizioni per la vendita di autovetture in Europa rimangono “molto impegnative” nel 2013.

Una criticità che era stata prevista in Europa come conseguenza del un forte calo delle vendite di auto in tutto il continente dopo la crisi finanziaria, che non sembra essere cessata, con gravi difficoltà anche per i produttori di veicoli di grandi dimensioni, in particolare francese PSA Peugeot Citroën, che sta tagliando quasi 10.000 posti di lavoro ed è in attesa di un pacchetto di € 7 miliardi per il salvataggio del suo braccio finanziario da parte del governo francese.

Un’Europa che è generalmente riconosciuta come il luogo in cui l’industria automobilistica mondiale ha avuto inizio con un rudimentale  veicolo a tre ruote, prodotto nel 1885 dall’inventore tedesco Karl Benz.

Un’Europa dove oggi, Håkan Samuelsson, amministratore delegato di Volvo Cars,  dice che “per quanto riguarda l’industria automobilistica europea, si può solo pregare”. E c’è da credergli se teniamo in conto che la Volvo, solo due anni fa, è stata ceduta dalla Ford alla società cinese Zhejiang Geely Holding Group, che ha l’ha pagata 1,3 miliardi di euro.

Del resto, come competere se ‘lo stipendio medio mensile di un operaio cinese della Fiat a Shan Chat è di 250,00 euro’ (fonte Paolo Longo – RAI) ed ‘il costo salariale medio nell’industria automobilistica è di 1 euro all’ora’ (Les Echos , France , 25/03/2006)?
Operai che svolgono 12 ore di attività giornaliera, senza accantonamenti previdenziali, che mangiano, vivono e dormono in strutture messe a disposizione dalle fabbriche e da loro regolate. Per non parlare dei detenuti, inviati ai lavori forzati anche e spesso perchè ‘divergenti’, costretti ai lavori più rischiosi senza neanche un salario.

Condizioni di vita subumane che la nostra civilizzazione si vanta, rispetto a quelle orientali, di aver superato. Anzi, essendo la nostra europea una società di uomini liberi, una tale costrizione è degna del nome di schiavismo, come quello denunciato in una disperata richiesta di aiuto, arrivata dalla Cina nascosta in un gadget di Halloween, e trovata giorni fa una donna dell’Oregon all’interno di una confezione acquistata da Kmart.

Cattivi cinesi, allora? Non esattamente.
Le fabbriche dove si lavora in quel modo e/o con quei salari sono di proprietà di Haier Group Co, Benetton Group S.p.A., Hermès International, Vivarte ex-André Groupe, Liz Claiborne, Inc., Hi-Tec Sports plc, Giovanni Crespi Spa, Cone Denim, Cortefiel, S.A., Geox Spa., Dainese, Triumph International, H&M (Hennes & Mauritz), Rossignol SA, Samsonite Corp., Beaumanoir, FIAT, Citroen, Dell Computer, Acer Inc., Apple Inc., DC Leisure, DeCoro, Hewlett-Packard Co., Mattel Inc., Merton Company Ltd, New Balance Athletic Shoe Inc., Polo Ralph Lauren Corp., Nokia, Brown Shoe Company, Timberland Co.,Wolverine World Wide, Liz Claiborne, Phillips-Van Heusen Corp, Toys “R” Us Inc., Wal-Mart Stores, Nestlé SA, C&J Clark International Ltd, Fila Holding SpA, McDonald’s, Reebok International Ltd., Disney (Walt), Hasbro Inc., Polo Ralph Lauren Corp., Adidas, Nike Inc., Levi Strauss & Co., Volkswagen, eccetera eccetera.

E non v’è necessità di pensare in grande, dato che la presenza delle aziende italiane solo nell’area est della Cina e’ stimata in circa 900 unità, con un aumento del 291% rispetto al dato registrato nel 2006 (230 unità). La sola rilevazione dell’ufficio ICE di Shanghai, per il territorio di competenza, aggiornata a novembre 2011 (sulla base delle richieste volontarie delle imprese) comprende 443 società italiane.

Un’idea brillante – ma solo in termini di bolla speculativa generazionale – quella di far produrre cose agli operai cinesi pagandoli un quinto degli operai nostrani ai quali rivendere cose per il doppio od il triplo del costo di produzione.
Ma quanto potrà durare? O meglio, come non prender atto che è già finita?

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Kim Jong-il, epitaffio per un tiranno

20 Dic

La Repubblica Democratica Popolare di Corea è uno Stato a sistema economico pianificato, retto da una dittatura monocratica e totalitaria di ispirazione stalinista-maoista con un pervasivo culto della personalità elaborato intorno agli esponenti della famiglia Kim, al potere dal 15 agosto 1945.

Fu allora che Kim Il-Sung, comandante comunista dell’Esercito rivoluzionario popolare coreano (ERPC) nella resistenza all’occupazione giapponese, venne acclamato segretario generale del Partito dei lavoratori di Corea.

Nel 1970,  mentre in Russia ed in Cina il Comunismo iniziava a prender atto del proprio fallimento complessivo cercando di innovarsi,  Kim Il-sung attuò in Corea del Nord un sistema di classificazione che strutturava la società in tre classi: il nucleo, i “tiepidi” e gli ostili, divisi a loro volta in cinquantuno categorie.

Da allora, lo status (e il destino) di ogni coreano del nord viene determinato dalla lealtà politica e dai precedenti familiari, incluso l’accesso a viveri e altri beni materiali. L’appartenenza di classe determina anche l’accesso all’istruzione, alle carriere e ai posti di responsabilità, ma anche ai privilegi che vi sono annessi: automobili, negozi speciali, appartamenti riscaldati, cure sanitarie.

Nel 1994, alla morte di Kim Il-Sung successe il figlio Kim Jong-il, ritenuto sostanzialmente un imbelle, che immediatamente proclamò tre anni di lutto nazionale e pretese di essere chiamato “Beloved Leader Kim Jong-il” …
Che i nordcoreani fossero caduti dalla padella alla brace fu subito chiaro: del tutto succube della casta militare, il tiranno attese, ad esempio, oltre un anno prima di chiedere gli aiuti umanitari internazionali, a fronte di una grave carestia iniziata nel 1994 con almeno 220.000 vittime (secondo i dati ufficiali) e, probabilmente, oltra tre milioni di morti secondo le organizzazioni non governative.
Come anche venne accentuata, se possibile, la prassi dell’internamento che venne estesa ai parenti di terzo grado di chiunque fosse scomodo agli appartenenti al regime.

L’infamia di cui si è macchiato il regime di Kim Il-Sung se di suo figlio Kim Jong-il è inenarrabile, anche a causa dei pochissimi testimoni riusciti a fuggire all’estero: poche decine in oltre sessant’anni.

Uno di questi, l’ex carceriere Ahn Myong Chol, ascoltato da una commissione internazionale, racconta che nei campi i prigionieri vengono costretti in 12 ore di lavoro al giorno in campi, fabbriche o miniere, oltre ad ore ed ore di “rieducazione”.
Anche per un semplice ritardo comporta brutali pestaggi, non di rado letali. L’uccisione di evasi permette, inoltre, ai carcerieri di essere trasferiti nella polizia locale, come premio, e non è raro che si incitino i prigionieri alla fuga per poi ucciderli freddamente. E’ anche vietato ai parenti di piangere di fronte alle quotidiane brutalità (stupri, violenze, esecuzioni sommarie) subite dai prigionieri, i cui cadaveri vengono semplicemente accatastati od, al massimo, parzialmente seppelliti.
Il cibo è talmente scarso che i prigioneri si nutrono di rane, topi, lombrichi.

Ad aggiungersi a questi sventurati, ci sono coloro che quotidianamente scompaiono dalle campagne e dalle città, senza che nessuno si ricordi più di loro, dato che chi li cercasse farebbe la stessa fine.

Nel 2011, per la prima volta, sono state registrate le prime proteste “organizzate” della storia della Corea del Nord, avvenute nelle città della provincia confinante con la Cina Popolare. Evidentemente, è difficile attribuire ad i “corrotti colonialisti USA”, il dilagante “benessere” del potente vicino cinese.  Sempre nel corso del 2011, l’ONU ha ricevuto una richiesta formale per aprire un’inchiesta ufficiale sulla Corea del Nord per crimini contro l’umanità

Adesso che Kim Jong-il è morto, il successore designato è suo figlio Kim Jong-un, un ventottenne che ha studiato fino alle superiori in Svizzera, è amante del lusso e, naturalmente, è inviso alle gerarchie militari, che mantengono il paese nel terrore.

Riuscirà l’avidità della famiglia Kim ad abbattere il comunismo in Corea e farsi dinastia?
Probabile: è quello che sta avvenendo anche in Cina Popolare.

Detto questo, prendiamo atto che i Comunisti – Sinistra Popolare hanno emesso il seguente comunicato di cordoglio: “Il Segretario del Partito Marco Rizzo e il Responsabile esteri Alfonso Galdi hanno espresso dolore e presentato le proprie condoglianze al popolo nordcoreano per la morte di Kim Jong-il, guida della causa rivoluzionaria dell’ideologia Juche e del Partito, dell’esercito e del popolo della Repubblica Democratica Popolare di Corea.”

Marco Rizzo rappresenta l’Italia al Parlamento Europeo (Lista dei Comunisti Italiani nella circoscrizione nord-ovest) ed è stato vicepresidente della Commissione per gli affari esteri, della Sottocommissione per la sicurezza e la difesa, della Delegazione per le relazioni con i paesi dell’America Centrale, tra cui il regime cubano, e della Delegazione per le relazioni con gli Stati del Golfo, tra cui lo Yemen.

Considerato che in Corea del Nord si commettono crimini contro l’umanità da decenni … senza parole.

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Governo Monti: prime riflessioni sul Programma

18 Nov

«Una riduzione delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e l’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico», ha dichiarato Mario Monti.

Ma cosa significa nell’immediato?

Innanzitutto, meno tasse e meno contributi a carico delle aziende e qualche soldo in più in busta paga, ma a condizione che ci sia un aumento dei prezzi al consumo e della leva fiscale indiretta, oltre che dell’inflazione.
Una misura che, per quanto riguarda la finanza, farà sentire subito i propri effetti, ma che potrebbe impiegare anni per ottenere un effettivo miglioramento dello status dei ceti più bassi e del Meridone tutto.

Non si parla di patrimoniale (Berlusconi non vuole), ma da gennaio arriverà la nuova Imu, Imposta Municipale Unica, che incoporerà anche un’imposta sulla prima casa.
Praticamente, sarà lo stesso salasso, con la sola differenza che l’incasso andrà ai Comuni anzichè allo Stato e, soprattutto, che il prelievo sarà “equamente” diviso tra tutti i cittadini proprietari di immobili, inclusi quelli rimasti disoccupati e quelli che non riescono a pagare il mutuo.

A proposito di pensioni, essendo l’Italia il paese con l’età per il pensionamento di vecchiaia più alta della Germania e della Francia, introdurremo l’età flessibile di pensionamento a scelta del lavoratore fino a 68-70 anni, premiando chi prolunga (sic!), a condizione che il Parlamento voti la rimozione dei privilegi d’annata.
Apparentemente una bella idea, ne riparleremo tra qualche anno quando un esercito di ultrasessantacinquenni (con meno di 40 anni di contribuzione) eserciterà il diritto di restare al lavoro per ulteriori cinque anni, bloccando i pochi spazi che ci sono per i giovani e, soprattutto, il ricambio nel pubblico impiego.

Per il resto, le promesse sono le solite: liberalizzazioni per rendere meno ingessata l’economia, facilitare la nascita e lo sviluppo delle imprese, migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, favorire l’inserimento dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro. In aggiunta, l’ardua speranza di riformare il mercato del lavoro, ovvero l’Articolo 18, con CGIL e PD contro.

Ad averci una buona memoria, il programma di Mario Monti sembra, per ora, sovrapponibilissimo a quello del Governo Prodi, insediatosi nel 2006, con l’unica differenza che, forse, non ci sarà opposizione in Parlamento.

Sarà che noi italiani non abbiamo mantenuto le nostre promesse e che ci sono norme e misure cha attendono da anni, sarà per questo che i Poteri Forti ci hanno commissariato, ma la prima impressione non riguarda tanto “lacrime, sangue e sacrifici”, quanto il solito problema italiota che “se non è pan cotto è pan bagnato”.

Ci aspettavamo qualcosa di più, dal superamento di un sistema di bilancio, che è un colabrodo, all’urgente rimozione dell’attuale classe dirigente pubblica, un esercito di “Yes Men” affermatisi per cooptazione. Ma non se ne parla, se non richiamando tutti al “senso dello Stato”.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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Il rebirth italiano parte da Tocqueville

15 Nov

Per salvare l’Italia dalla finanza trasformista e cleptocrate non c’è altro da fare che affrontare la mission impossible di superare, o quantomeno aggiornare, i Regi Decreti in materia contabile (1886, 1924), ancora in parte vigenti o riassorbiti. Vennero strutturati per contrastare il trasformismo e la corruzione, sono una infrastruttura obsoleta, inefficiente e facilmente “hackerabile”.

In realtà, pur imitando il modello francese, sono una grande ingessatura che dilaziona impegni e spese, funzionalmente alla cassa disponibile (grandi opere sabaude) ed alle esigenze del consenso (fascismo).
Cose che nei nostri tempi, oltre a produrre sprechi e desviluppo, causano anche un bel po’ di interessi passivi. Inoltre, le ripartizioni determinate dai Regi Decreti non coincidono con le categorie (UPS) determinate dall’Unione, trasformando il nostro bilancio in un’enorme matrioska.

Basti dire che un decreto di spesa del MIUR (che è uno dei ministeri più “trasparenti”) impiega dai 2,5 ai 5-6 anni per essere speso (pervenuto come servizio al cittadino), rendicontato, monitorato.
E’ un sistema che crea debito “di per se” che la Francia, democratica e di sinistra, riesce a contenere solo a prezzo di una diffusa tecnocrazia e di un mastodontico corpo ispettivo.

Mi chiedo perchè un tecnico della levatura di Mario Monti, noto per il suo pragmatismo e per la sua indipendenza da dogmi e scuole di pensiero, non  abbia già annunciato l’esigenza di un limitato staff tecnico, proveniente dai servizi e non solo dalle accademie, che produca i testi delle riforme, mentre i ministeri amministrano ed il parlamento vaglia ed emenda (si spera poco).

Una governance da manuale, “tale e quale” a quella che uscì dalla prima riunione nella Sala della Pallacorda, come riporta Tocqueville. In gergo ingegneristico, un “rebirth”, invece che un “default”.
Bella parola vero?

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