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Analisi del voto referendario

6 Dic

fullCosa possiamo imparare dal trionfo dei NO al referendum costituzionale?

  1. C’è un 10-15% dell’elettorato che solitamente si astiene, ma che va a votare ben sapendo di fare la differenza, allorchè ritiene che vi possa essere un pericolo grave per la nostra democrazia, specie se si tratta di un ‘voto secco’ come un ballottaggio od un referendum.
  2. I municipi centrali delle grandi città come Roma hanno preferito il SI, mentre gli altri prevalentemente NO. Ecco il segno di una divisione profonda tra gli italiani: da un lato l’alta borghesia, l’accademia, i media, lo zoccolo duro della PA e il sottobosco sussidiato, dall’altro gli italiani.
  3. I giovani hanno prevalentemente votato NO e lo hanno fatto per un semplice motivo: non c’è posto per loro in questo ‘mondo’ senza turn over e senza riduzione di burocrazia e tasse, valorizzare i beni pubblici (ergo senza defalcare la spesa pubblica, liberalizzare il comparto assicurativo, sviluppare gli affidamenti pubblici a fondazioni)
  4. Napoli, anche questa volta, non ha votato. Eppure si trattava della Costituzione, non dei partiti. Evidentemente, la percezione di essere ostacolati e abbandonati dall’Italia è molto consolidata. Considerato che i partenopei che vivono in altre regioni sono, ormai, più di quanti affacciano sul Golfo, il dato va esteso proporzionalmente a tutto il Paese.
  5. Matteo Renzi ha preferito perdere ‘da solo’, ma dimostrando di attrarre il 30% degli elettori ed il 40% dei voti: questo fa di lui un sicuro candidato alle prossime elezioni. Ma a capo di quale coalizione? I Socialdemocratici o i Popolari?
  6. A proposito di Centrodestra e Centrosinistra – finiti con D’Alema e Berlusconi – questo referendum ha dimostrato che gli elettori (la base, il popolo) non solo si ridislocano con facilità – eccetto gli anziani ‘fedeli alla linea o allo scudo crociato’ – ma, a differenza del passato e della faziosità dei partiti – socializzano, si confrontano, scambiano materiali.
  7. Il NO ha vinto – come ha riconosciuto lo stesso Renzi – per la campagna ‘porta a porta’ dei social e dei condomini. Un fattore che già con i Cinque Stelle si era rivelato determinante: un solo attivista porta (o leva) più voti di 100 iscritti. Renzi e Grillo l’hanno capito, gli altri no.
  8. Il NO ha già perso, se a gestire il ‘dopo’ non saranno le tante anime che l’hanno reclamato e sostenuto e, viceversa, l’informazione mainstream delle TV e dei giornali riprenderanno a riproporci i Brunetta e i D’Alema, anzichè i Zagrebelsky e i Landini, quasi volessero scientemente allontanare la gente dalla politica dei partiti.

La soluzione più ‘compatibile’ con le diverse incognite potrebbe essere quella di un nuovo ‘commissariamento’ dell’Italia sotto l’egida di un ‘esperto in finanza o economia’  (Amato, Dini, Ciampi, Prodi, Monti), fino ad agosto, ergo finchè ci saranno aste di Bot e Btp in giro.

Intanto, il PD sembra essere presestinato alla scissione, con Matteo Renzi e la sua neoformazione a veleggiare felicemente verso il PPE, cioè i Popolari, lasciando Socialdemocrazia e ‘rapporti con la base di sinistra’ ai discendenti del vecchio PCI.

Il resto dell’elettorato (cioè almeno il 20%) resterà a bocca asciutta, salvo votare Cinque Stelle, per il semplice motivo che – in Italia – la terza forza, quella Liberale, non c’è, pur essendoci non pochi elettori dispersi tra le varie formazioni o astenuti.

Dunque, in barba al NO referendario, ci avviamo a ritornare alla Prima Repubblica e, salvo urgenti riforme, a quel sistema elettorale, che consentiva – tramite le combinazioni di preferenze – di controllare capillarmente il voto dei singoli elettori.

Demata

Costi e benefici di un referendum flop

18 Apr

I numeri del referendum contro il rinnovo ‘automatico’ delle attuali concessioni per la trivellazione sono molto chiari:

  1. solo 13 milioni di italiani hanno votato a favore dell’abrogazione proposta, mentre ben 38 milioni di elettori non l’hanno fatto
  2. 300 milioni di euro sono stati spesi per consultare i cittadini, ma oltre 30 milioni di persone (due terzi dell’elettorato) ha ritenuto il quesito non rilevante, astenendosi.

Dunque,

  1. gran parte dell’elettorato ha retto bene all’onda d’urto della campagna ‘Pro SI’ che – tra SMS, Whatsapp e Facebook – ha diffuso capillarmente (ai limiti dello Spam) messaggi ed immagini che poco avevano a che vedere con il reale quesito referendario – inerente le concessioni, ricordiamolo – e non, viceversa, le distanze dalle spiagge o dai parchi eccetera eccetera.
  2. i diversi appelli all’astensione non hanno violato alcun ‘dovere’, visto che la Carta di Nizza ratificata dall’Italia prevede la possibilità di obiettare per motivi di coscienza e l’obbligo ad una informazione pluralista e corretta che non sono stati precisamente  garantiti
  3. la stragrande maggioranza degli italiani ha detto NO al ‘fronte di tutte le opposizioni’ (Cinque Stelle + Lega + Sinistra) che ha sostenuto il referendum e, dunque, salvo talk show e redazioni ‘amiche’, dovrebbe esseere piuttosto arduo e tanto politically un-correct sostenere se non pretendere “un cambio di strategia energetica nazionale“ … peggio ancora se si volesse parlare di ‘vittoria’, dato che – dovunque – un terzo degli elettori vota – comunque – contro il governo …
  4. l’utilizzo strumentale di un referendum sull’ambiente per questioni interne alla Sinistra al fine di destabilizzare il Governo (e per esigenze di visibilità dei partiti minori) porta, viceversa, in luce quanto poco certe Regioni governate dal Partito Democratico (in primis la Puglia di Emiliano e il Lazio di Zingaretti) abbiano fatto in materia di ambiente e salute, dai depuratori alle cure mediche, passando per infiniti scandali e finendo all’Irperf maggiorata e/o il debito montante.

La prima domanda di oggi è semplice: quanti depuratori avremmo edificato ex novo con 300 milioni di euro, se il nuovo depuratore di Alba Adriatica costerà 7 milioni e mezzo e con altri 680mila euro provvederanno anche all’adeguamento delle reti fognanti?
Oppure, quanti posti letto in più terremmo aperti con 300 milioni di euro, se in Basilicata il costo medio annuo dei posti letto è di 196.300 euro?

La seconda domanda, temo, non ha risposte: visto che in nome del bilancio (e degli sprechi) neghiamo pensioni e sussidi ad invalidi e anziani, come alle madri o ai disoccupati, e visto che da oggi abbiamo 300 milioni in meno c’è la possibilità che il Consiglio Regionale della Puglia discuta riguardo la responsabilità politica di questo costoso flop promosso dal loro Governatore?
Oppure, visto che 14 milioni di italiani sono di sicuro preoccupati per l’Ambiente (e gli altri 38 milioni pure), possiamo attenderci immediate e fattive iniziative delle Regioni riguardo acqua, fogne e rifiuti?

Demata

Il Governo Renzi sotto gli scandali

7 Apr

Il Governo Renzi- ad oggi – ha perso per dimissioni ben quattro ministri (Federica Mogherini e Maria Carmela Lanzetta del PD, Maurizio Lupi di NCD e Federica Guidi, indipendente), un viceministro (Lapo Pistelli del PD) e quattro sottosegretari (Antonio Gentile di NCD, Giovanni Legnini, Roberto Reggi e Francesca Barracciu del PD).

Di questi nove, ben cinque hanno preferito dedicarsi ad altro a pochi mesi dalla nomina, mentre gli altri quattro hanno dovuto farlo a causa di scandali:

  • Federica Mogherini, figlia del regista e scenografo Flavio Mogherini e militante comunista fin dal liceo: il 21 febbraio 2014 Matteo Renzi annunciava la sua nomina a ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ma, già il 2 agosto 2014, lo stesso presidente del consiglio italiano  formalizzava la candidatura per la carica di Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
  • Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco ‘martire della nDrangheta’ di Monasterace nella Locride: il 21 febbraio 2014 è nominata  ministro per gli affari regionali e le autonomie, ma meno di un anno dopo, il 24 gennao 2015, già rassegna le proprie dimissioni, abbandonando la politica ed assumendo la presidenza dell’Associazione “Umberto Zanotti Bianco” finalizzata ai Beni Culturali.
  • Maurizio Lupi, giornalista ed ex democristiano: rassegna le dimissioni da ministro delle infrastrutture e dei trasporti il giorno 20 marzo 2015 prima che la Camera voti una mozione di sfiducia presentata nei suoi confronti dalle opposizioni.a seguito dello scandalo “Grandi opere” in cui era coinvolto personale del suo Ministero
  • Federica Guidi, vicepresidente di Confindustria: rassegna le dimissioni dall’incarico di ministro dello Sviluppo Economico a causa delle indagini su una fuga di notizie di alcuni emendamenti che avrebbe potuto favorire gli interessi imprenditoriali di persone a lei vicine
  • Lapo Pistelli, figlio di Nicola Pistelli, già deputato della Democrazia Cristiana: il 15 giugno 2015 lascia l’incarico di viceministro degli Esteri, preferendo la carica di vicepresidente senior dell’Eni, dove si occuperà “di promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders – in Africa e Medio Oriente – e dei progetti sulla sostenibilità”.
  • Antonio Gentile: il 28 febbraio 2014 è nominato sottosegretario Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ma già il 3 marzo 2014 annunciava le sue dimissioni a seguito delle contestazioni pervenute da parte dei direttori delle principali testate italiane, tra cui Ferruccio de Bortoli, Ezio Mauro, Enrico Mentana, Roberto Napoletano e Mario Calabresi, in relazione a gravi pressioni esercitate su un giornale calabrese pochi giorni prima
  • Giovanni Legnini,  docente e dirigente dei Democratici di Sinistra: nominato il 28 febbraio 2014  sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, il 30 settembre 2014 si dimette, preferendo la vicepresidenza del Consiglio superiore della magistratura
  • Roberto Reggi, in politica dal 1994: il 28 febbraio 2014 viene nominato sottosegretario al Ministero dell’Istruzione nel Governo Renzi, il 19 settembre 2014 si dimette preferendo l’incaric di Direttore dell’Agenzia del demanio
  • Francesca Barracciu, docente e e militante comunista fin dal liceo: il 28 febbraio 2014 viene nominata sottosegretaria al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ma  si dimette il 21 ottobre 2015 dopo essere stata rinviata  a giudizio per peculato aggravato per l’uso improprio dei fondi ai gruppi del consiglio regionale della Sardegna.

Poi, ci sono quelli che sono stati ‘solo’ sfiorati da scandali, come:

  • Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e Finanze: assolto dalla denuncia di Adusbef e Federconsumatori per aver pagato in favore di Morgan Stanley & Co. International ben 3,1 miliardi di euro per la risoluzione anticipata dei contratti di swap. Dalle intercettazioni dello “Scandalo Gemelli” emerge che “Padoan ha messo lì la cricca del petrolio
  • Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento con delega all’attuazione del Programma di Governo: accusata dalle opposizioni di conflitto di interessi nel ‘salvataggio’ di Banca Etruria, di cui era vicepresidente  il padre, che è stato indagato
  • Graziano Delrio, ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri: coinvolto nell’inchiesta «Aemilia» sul radicamento della ’ndrangheta in Emilia Romagna, nell’ambito della quale è stato sentito come persona informata dei fatti a proposito della criminalità organizzata che proviene da Cutro  nella Locride
  • Giuliano Poletti, ex Presidente della LegaCoop e ministro del Lavoro e del Welfare:  sulle cronache per le sue frequentazioni con personaggi indagati,  tra cui Buzzi di Mafia Capitale e Levorato della Manutencoop, si è finora giustificato affermando che “come presidente di Legacoop ho partecipato sempre alle iniziative e alle assemblee delle cooperative aderenti a cui venivo invitato”, anche se – da statuto – la “Legacoop promuove ogni iniziativa affinché le cooperative associate e i loro rappresentanti rifiutino ogni rapporto con organizzazioni criminali o mafiose e con soggetti che fanno ricorso a comportamenti contrari alla legge” e “si impegna a mantenere con le forze politiche, le istituzioni (…) un comportamento ispirato ad autonomia e indipendenza”
  • Claudio De Vincenti, docente universitario, dal 10 aprile 2015 sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri: indicato nelle intercettazioni dello “Scandalo Gemelli” come parte di un “gruppo” di soggetti stabilmente dediti e decisi a “manovrare” decisioni e procedure che il ministro Guidi definisce “combriccola”, “clan” ,”quartierino”.

 

… si, si … c’è da aspettare le elezioni comunali di Roma e Napoli, c’è da scoprire se gli USA saranno Dem o Rep, c’è l’incognita che i tedeschi ripudino la cattolica e “troppo caritatevole” Ang(h)ela Merkel … c’è il PD che avrà da fare i suoi congressi tra estate ed autunno, all’orizzonte c’è il problema delle pensioni,  c’è l’esito del referendum sulle trivelle, c’è l’incognita del referendum sulla riforma del Senato, c’è il Fiscal Compact che non permette manovre a breve termine … ci sarà, insomma, da arrancare fino a primavera 2017 … ma … è finita.
Game over, tanto … il rating è sempre BBB-, in temini di interventi strutturali sull’economia (a parte le note banche) nulla s’è fatto per le pensioni (cioè l’occupazione e l’innovazione) ed, anche senza l’esito del referendum sulle trivelle, il calo del prezzo del petrolio e delle risorse per la Sanità derivanti dalle accise sarà il tormentone finanziario prossimo venturo.

L’idea di un ‘uomo solo al comando’ circondato (e protetto) dal suo Cerchio Magico porta sempre a questo genere di finali. Reggerà ancora un po’ … dato che che sappiamo bene che fine fanno stabilità e pace sociale, se al governo di metropoli e nazioni vanno dei tribuni privi di ogni esperienza pregressa, come rischiamo che accada in mezza Europa.

La ‘lezione’ che arriva da questa vicenda è semplice: se si vuole un governo con elevate competenze tecniche ed allo stesso tempo esente da conflitti di interessi, il personale deve provenire dai ruoli dell’amministrazione e non dal ‘privato’ o dai circoli di partito.

Comprensibile il fatto che così si riducano notevolmente i ‘posti a tavola’, ma Matteo Renzi avrà una navigazione molto difficoltosa se vuole superare il 2017, a meno di non cambiare entourage e metodo politico … magari.

Demata

Mafia Capitale: fate presto

12 Giu

Oggi, si parla di ‘mafia’ ogni qual volta ci si trova dinanzi ad una cospiracy tra colletti  bianchi e delinquenza comune finalizzata ad assumere il controllo della governance di un territorio e, nei fatti, del denaro pubblico come dei servizi o del lavoro. Una mafia che non necessariamente deve essere gerarchizzata, ma che può operare anche per ‘cartelli’ che si dividono mutualmente le aree di influenza e ricorrendo a reati violenti solo in forma poco appariscente.

Il ‘picciotto con la lupara’? E’ un luogo comune, lo sappiamo bene fin dagli scandali romani di fine Ottocento, quando per le prime volte in Parlamento si iniziò a discutere di ‘mafia e politica’,  ma lo risentiamo in questi giorni come se nulla fosse.

Nell’epoca dei cartelli e delle holding criminali, quello che le diverse indagini stanno rivelando somiglia molto ad un’occupazione, da parte di diversi ‘cartelli d’affari’, della governance per il controllo dei fondi pubblici. Come anche, dopo il parziale repulisti per gli scandali del Centrodestra avvenuti ai tempi della Polverini e di Alemanno,  oggi assistiamo al coivolgimento esteso del Partito Democratico laziale e di interi settori d’apparato locali.

Ignazio Marino dovrebbe lasciare il passo ad un Commissariamento: a prescindere dalla ‘mafia’, il Comune – con tanti consiglieri e funzionari sotto indagine – non è verosimilmente in grado di gestire appalti e servizi, specie se il Sindaco ha poca esperienza amministrativa.

Nicola Zingaretti si ritrova in una situazione diversa, dato che il suo Consiglio regionale sembra essere fuori dalle indagini, ma proprio il suo Capo di Gabinetto ne è coinvolto, oltre al problema degli appalti e degli apparati come ad esempio – tra le tante inerenti la Sanità romana – dimostra la vicenda Recup avvenuta mentre proprio  lui era Commissario ad acta.

Dovrebbero dimettersi, non per colpe loro, ma perchè si possano garantire i servizi essenziali, visto che finora tutto o quasi tutto ‘era una mucca da mungere’.
Dovrebbero dimettersi, non per colpe loro, ma per dovere istituzionale, perchè ci sono  anche le vittime, non di lupara, ma ci sono e sono tante.

Ad esempio i tanti incidentati (e talvota deceduti) per la situazione delle strade  abbandonate a se stesse  (leggasi buche) per finanziare proprio quel ‘welfare’ di cui si occupavano Carminati & co. E, come loro, i malati e i bisognosi depredati degli aiuti che a loro dovevano arrivare e che mai hanno visto?
I tanti dipendenti pubblici onesti  che son stati tartassati per escluderli dalle posizioni ‘chiave’ o le famiglie di lavoratori con un affitto salato, mentre si davano sussidi e case a chi guadagnava magari il doppio, … i giovani  in fuga verso le università del nord ‘perchè qui ormai non c’è futuro’ e chi più ne ha più ne metta.

E’ difficile che questi elettori  possano continuare a dare fiducia al Partito Democratico senza un passo indietro di almeno uno dei due. E’ difficile non notare gli stessi guasti che le mafie producono tipicamente nei territori che sfruttano.

Sindaco e Governatore, come altri personaggi del Partito Democratico, non danno a vedere di aver compreso l’entità del problema e della debacle, Renzi e il partito si, specialmente dopo l’exploit degli astenuti alle ultime amministrative: il  Giubileo sarà commissariato.

Intanto, Roma è bloccata senza un futuro, nel degrado e nell’insicurezza. Fate presto …

Demata

Il crepuscolo di Ignazio Marino. Quali avversari, quali scenari politici per Roma?

15 Nov

A Roma capita che l’auto di servizio (di colore bianco) del sindaco venga vista  parcheggiata a poca distanza da quella sua personale (di colore rosso), una in divieto di sosta e l’altra in un posto riservato ai disabili. Lo riporta Il Tempo, menzionando i nomi dei testimoni: i fratelli  Fabrizio e Augusto Santori, l’ex consigliere municipale Fabrizio Figliomeni ed Emiliano Corsi del Comitato Difendiamo Roma.

Ignazio Marino Panda Divieto di Sosta Posto Disabili

Una figuraccia con l’aggravante del menefreghismo – secondo la tradizione di Pasquino – dato che da settimane si parla dello scandalo degli accessi ZTL e del parcheggio riservato ai senatori in cui è coinvolta la Panda rossa di Ignazio Marino, il sindaco ciclista, a vistosa prova che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Dignitas delinquentis peccatum auget. L’elevata posizione del reo aumenta la gravità del reato.

Marino Panda Rossa Delinquentis

E siamo al punto che, giorni fa, Lionello Cosentino, senatore del Pd e segretario del Pd romano, intervenendo a Effetto Giorno, su Radio 24, alla domanda se ‘il sindaco Marino reggerà fino a fine legislatura’, rispondeva: “Se fa poche cose utili sì: se paga le multe, se ci mettiamo tutti assieme a lavorare sui problemi veri di Roma, e non sulle polemiche tra partiti e le strumentalizzazioni. … Ci vuole uno scatto, ma non solo del sindaco, forse anche del ceto politico, delle forze politiche, della classe dirigente di questa città”.
Altrimenti si torna alle urne? “Altrimenti siamo colpevoli di fronte ai cittadini di questa città del fatto che non riusciamo a vedere la fine del tunnel di questa lunga crisi”.

Intanto, registriamo che Ignazio Marino è andato a Tor Sapienza ‘per ascoltare i cittadini’ ed è stato accolto tra i fischi, per poi dichiarare: “sono qui perchè i media vi hanno dipinto come criminali e razzisti ma siete persone come noi che cercano la felicità per se stessi e per i propri figli.  … Non chiuderemo il centro accoglienza ma cercheremo un compromesso tra quelle che sono le esigenze di tutti.”

In tutt’altro senso vanno le dichiarazioni  all’Ansa il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muizniks “Sono preoccupato per i violenti attacchi contro gli immigrati e la polizia”, ha dichiarato. … Questi attacchi sono il risultato dell’immagine distorta sugli immigrati che predomina in Italia e nelle politiche messe in atto che non rispettano pienamente i loro diritti … molte di queste persone sono richiedenti asilo e minori non accompagnati che fuggono dalla guerra e dalla persecuzione, e che spesso si ritrovano a vivere in condizioni inadeguate con poche possibilità di integrarsi”.

Politiche di competenza dei sindaci, come lo è Ignazio Marino almeno per ora, che – almeno a Roma – non sembrano rispettare i diritti dei rifugiati che si ritrovano a vivere in condizioni inadeguate e con poche possibilità di integrarsi, se il ministro Alfano ha dovuto ricordare che “l’errore di fondo è quello che i sindaci devono stare attenti perché non si possono mandare decine di migranti dove già ci sono i rom. Non si possono appesantire le periferie. Queste persone devono essere distribuite in modo razionale nelle città”.

Adducere inconveniens non est solvere argumentum. Portare eccezioni non è mai risolvere la questione.

Marino Adducere

Intanto, anche David Sassoli, già candidato alle primarie per le ultime comunali, arrivato secondo dietro Marino, e oggi a Bruxelles come videpresidente del parlamento europeo, rilascia su Twitter dichiarazioni aspre: «Ormai solo due romani su dieci approvano . L’arroganza non è un sistema di governo. Basta andare in giro per la città per capire quanti romani non si sentano rispettati dall’attuale amministrazione. Roma sta sprofondando nell’incuria e nel degrado. E’ un sindaco inadeguato».

Poi, secondo l’inchiesta di Repubblica-l’Espresso, a volere la testa del sindaco di Roma Capitale, ci sarebbero:

  1. la famiglia Tredicine, imprenditori e politici, signori delle preferenze in Forza Italia, che guidano la rivolta di bancarellari e ristoratori
  2. il Centro cattolico (Ncd) che non vuole i matrimoni gay, né che il sindaco trascriva quelli fatti all’estero nei registri del comune, con un’operazione mediatica messa in atto proprio mentre si svolgeva il Sinodo sulla Famiglia
  3. la corrente “romanamente” renziana, del asse tra il deputato PD Umberto Marroni, giù dalemiano, con Enrico Gasbarra e i popolari, molto attenta alle esigenze dei costruttori e al nuovo stadio della Roma, arrivato in extremis per un emendamento allo Sblocca Italia
  4. il Gruppo Caltagirone per come il sindaco è intervenuto su Acea, ridimensionando di molto il ruolo finora giocato dal “socio”
  5. l’ex sponsor Goffredo Bettini e Luciano Nobili, vicesegretario del Pd a Roma
  6. Dario Franceschini che potrebbe spostarsi presto sulla stessa poltrona di Marino e sua moglie, consigliera comunale e presidente della commissione cultura, Michela Di Biase che si sta battendo, non senza ragioni, sulla partita del cinema Metropolitan, nella centralissima via del Corso
  7. Francesco D’Ausilio, assessore dimissionario dopo che nella sua gestione era trapelato il sondaggio riservato, commissionato dal Pd, che confermava un  livello di gradimento bassissimo dei romani verso Ignazio Marino.

Sapiens fingit fortunam sibi. L’uomo saggio forgia da solo la propria fortuna.

Marino fortuna

A questo punto della storia è bene sapere che l’articolo 53 del Testo Unico degli enti locali sancisce che le dimissioni presentate dal sindaco diventano efficaci ed irrevocabili trascorso il termine di 20 giorni dalla loro presentazione al Consiglio comunale. Da quel momento, il Sindaco stesso, la Giunta e il Consiglio hanno solo poteri di ordinaria amministrazione.

Trascorso questo periodo, inizia la procedura di scioglimento del Consiglio comunale e cessano tutte le cariche politiche, con il Prefetto che nomina un Commissario, detto prefettizio, fino alla conclusione del procedimento di scioglimento che termina con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, entro 90 giorni.

Anche nel caso dell’approvazione di una mozione di sfiducia – come quella presentata dai consiglieri Ncd Roberto Cantiani e Lavinia Mennuni –  la norma (decreto legislativo 267/2000) prevede lo scioglimento del Consiglio comunale.

Tutti a casa? Vedremo …

In praetoriis leones, in castris lepores. Nel palazzo leoni, nell’accampamento lepri.

 

originale postato su demata

 

 

I

Roma come Berlino, novanta anni dopo

1 Ott

“Una crisi che appare irresponsabile”, con “ripercussioni economiche” e “ricadute sulla credibilità dell’intera classe politica italiana”. “Italia costretta a una nuova crisi politica” e “timore che il tessuto condiviso di regole sul quale si basa ogni convivenza civile, lacerato nel corso di questi anni da un confronto politico esasaperato, rischi di uscire definitivamente compromesso da una chiamata permanente allo scontro”.

Questo il punto di vista della Santa Sede, tramite L’Osservatore Romano, e come non correre – oggi come già scritto ieri – con la memoria agli Anni Venti tedeschi, agli indulti ed amnistie che misero in libertà e riabilitarono Hitler e tanti altri, alla debolezza congenita del governo di Gustav Stresemann?

I problemi sono gli stessi della Germania degli Anni ’20:

  1. una crisi che intacca seriamente il potere d’acquisto del cittadino medio e, soprattutto, inficia il futuro dei propri figli;
  2. un uomo con accesso a capitali illimitati che incatena il proprio destino a quello della propria nazione,
  3. una Sinistra riluttante a tagliare ogni legame con i sindacati e con i partiti antagonisti o comunisti
  4. un elettorato di Centrodestra – ‘moderati’ o ‘duri e puri’ che siano – privo di un’effettiva rappresentanza in Parlamento.

Una vera e propria polveriera in cui l’uomo della strada può solo sfiduciare tutta la classe dirigente del Paese, il popolo della Sinistra che – inevitabilmente – andrà a rifugiarsi nel Giacobinismo e nei provincialismi velleitari, i giovani di Destra non possono che trarre la conclusione che l’interesse patrio è leso da incapaci e imbelli, per non parlare dei ‘traditori’.

E, giusto per non farsi mancar nulla, se ai tempi di Weimar c’era una stampa scandalistica degna del peggiore tabloid e un’editoria vagheggiante a non si sa quale Arcadia perduta, oggi c’è l’untore Beppe Grillo con il suo ‘blog’ (per l’esattezza ‘portale WEB’), su cui passa di tutto di più.
Dai NO-TAV ai ciclisti, andando ai autotrasportatori ‘ngazzati e ufologi di varia fazione, ai problemi della Val Brembana e alle macchinose teorie su denaro e valute, con un programma di ‘governo’ che – per l’istruzione – sembra ricalcato dal sito dei Cobas e che – per i regionalismi – sembra la fotocopia di un volantino di qualche gruppuscolo di estremisti autonomisti (di destra).

Per non parlare del fatto che, dopo aver fatto una campagna contro ‘i privilegi’, il M5S non spinge per riformare il catasto, non pretende una legge elettorale, non urla e neanche si lamenta per la gravissima infiltrazione delle Eco-mafie nel settore energia, ‘lascia perdere’ sull’improduttività della pubblica amministrazione, neanche si ricorda della questione meridionale. Di economia, programmazione finanziaria, relazioni UE neanche a parlarne, almeno in termini realistici.

Dunque, non manca nulla: l’uomo nero, l’untore, i difensori della patria, gli (ex)giovani ribelli, la gente che vede calare il potere d’acquisto dei propri redditi lordi ed il valore del suo bene primario, la prima casa.

Figuriamoci se, con Berlusconi o senza di lui, qualcuno si facesse venir voglia di aumentare l’IVA, dopo non aver aggiornato/riformato il catasto – come chiedeva Mario Monti un anno e mezzo fa – e dopo aver ‘abolito’ l’IMU anche per chi vive in una casa signorile o di lusso.

Intanto, fatti i conti della serva, una coalizione PdL + Forza Italia + Lega + Autonomie ha, sulla carta, una certa probabilità di uscire a testa alta dalle elezioni anticipate …
Un azzardo, come tutti gli altri, che non fa bene all’Italia.

originale postato su demata

Un golpe al gobierno di Enrico Letta?

30 Set

El Mundo, domenica 29 settembre 2013, titola con “un golpe al gobierno de Letta”, un concetto appena addolcito da El Pais, che annuncia che “los ministros de Berlusconi dimiten del gobierno italiano”. A differenza degli altri media stranieri, gli spagnoli – che di fibrillazioni ispaniche se ne intendono – colgono il ‘dettaglio fatale’: i ministri del PdL non ‘si sono dimessi dal’, bensì ‘hanno dimesso’ il Governo Letta.

El Mundo  Golpe al gobierno

Secondo il viceministro Stefano Fassina (PD): «Tre giorni fa non c’era lo Stato di diritto. Tre giorni fa eravamo al colpo di Stato. Sembrano non rendersi conto della gravità della situazione e dei danni economici e costituzionali provocati dalle loro posizioni eversive». (fonte Sole24Ore)

La conferma che ‘tiri una brutta aria’ – se non di golpe, quanto meno di tempesta – arriva anche dalle parole del Presidente Napolitano che ha lanciato due appelli al Parlamento:

  • “l’Italia ha bisogno di continuità e non di continue elezioni”;
  • ”pongo al Parlamento un interrogativo: se esso ritenga di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”.

Come non correre con la memoria agli Anni Venti tedeschi, agli indulti ed amnistie che misero in libertà e riabilitarono Hitler e tanti altri, alla debolezza congenita del governo di Gustav Stresemann, che – tra l’altro – ad Enrico Letta somigliava un bel po’.

Gustav Stresemann (premier tedesco 1929) - Enrico Letta (premier italiano 2013)

Gustav Stresemann (premier tedesco 1929) – Enrico Letta (premier italiano 2013)

Ma quali sono gli scenari determinati dalle dense nubi che persistono sull’Italia?

Scenario A: il Parlamento vota “un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”, Enrico Letta resta al proprio posto con il PdL ed il PD che lo sostengono. Prosegue l’ingessatura del Paese, mentre ambedue i partiti tentano una ristrutturazione, a causa della quale l’ipotesi delle elezioni anticipate resta una spada di Damocle. Un governo dalle gambe corte.

Scenario B: il Partito Democratico cede alle lusinghe di SEL e M5S, optando per una maggioranza ‘di lotta e di governo’, o, peggio, resta al palo in attesa del Congresso e dell’Autunno Caldo. Un governo impossibile per la compresenza di antagonisti e moderati, se non vogliamo dimenticare cosa accadde con Pecoraro Scanio, Ferrero, Mastella e Padoa Schioppa.

Scenario C: cade il Governo e si va ad elezioni anticipate, dopo una mattanza di mesi e mesi nel caos generale e con il Porcellum, visto che – dopo aver sbraitato contro per anni – anche Beppe Grillo lo trova ‘utile alla causa’. Il risultato è già noto: Camera con maggioranza bulgara (PD o M5S), Senato ingovernabile, aumento delle tensioni sociali, delle speculazioni finanziarie e del deficit.

Scenario D: il Parlamento NON vota “un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”, Enrico Letta resta al proprio posto con il PdL (ma senza Forza Italia) ed il PD che lo sostengono, a patto che arrivi il sostegno in Senato di una parte del M5S o della Lega di Zaia e Maroni. Il governo delle ‘larghe intese’ che servirebbe ad avviare un tot di riforme strutturali.

Salvo quest’ultimo caso, l’instabilità dei sistemi finanziari e la leva fiscale, la recessività del PIL e l’iniquità sociale diventerebbero rapidamente insopportabili.

Foto Infophoto

Un governo di pacificazione che darebbe sia al PD il tempo per uscire dal duopolio Letta-Renzi – dopo essersi dissanguato con quello Veltroni-D’Alema – sia al PdL quello di affrancarsi dal Berlusconismo e risorgere dalle proprie ceneri sia al M5S lo spazio necessario per crescere e dotarsi di uno staff politico all’altezza della situazione.

Intanto, oltre alle dissociazioni da Forza Italia di alcuni (ex)ministri dell'(ex)PdL, prendiamo atto che è il solo Luca Cordero di Montezemolo a formulare un’ipotesi di buon senso: “spero che persone come Lupi, Quagliariello, Sacconi, Gelmini, Lorenzin e Alfano, riflettano bene prima di decidere di assecondare, fino alla fine, una deriva populista e irresponsabile che riporta il paese sul ciglio del baratro e che non corrisponde al sentire di milioni di elettori moderati“.
Per gli imprenditori che combattono sui mercati internazionali è un vero e proprio tradimento” da parte di chi “dovrebbe rappresentarne più di altri le istanze”.

Come anche che Papa Francesco, proprio l’altro ieri, lamentava che «il diavolo cerca la guerra interna in Vaticano», che – ricordiamolo – ha anch’esso la sua Santa Sede proprio a Roma. Non a caso, ieri, ribadiva: “mai adagiarsi ad avere, si diventa nullità”.

Inoltre, «non si possono sciogliere le Camere prima che il 3 dicembre la Corte Costituzionale si sia pronunciata sulla legittimità della legge elettorale»  – come ricordava il ministro Quagliariello del PdL – ed in caso di incostituzionalità del Porcellum è evidente che il Parlamento dovrebbe comunque farsi da parte, dopo aver emendata la Legge Calderoli, per consentire ai cittadini di scegliere legittimamente i propri rappresentanti.
In caso contrario, se il Governo presentasse le proprie dimissioni, il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere il solo Senato per rinviarlo ad elezioni, visto che alla Camera dei Deputati esiste una maggioranza assoluta, in mano al Partito Democratico.

E, per non farsi mancare nulla, “il 19 ottobre si preannuncia una giornata di fuoco. A Milano, presso la III Corte d’Appello di Milano, andrà in scena il processo d’appello bis per il ricalcolo dell’interdizione dai pubblici uffici a carico di Silvio Berlusconi, condannato a quattro anni di reclusione per frode fiscale nell’ambito della vicenda Mediaset. A Roma, lo stesso giorno, i No Tav e altri movimenti sociali scenderanno in piazza per protestare contro “l’austerity e la precarietà”. Nell’appello alla mobilitazione apparso in Rete, si legge che l’intenzione è quella di “dare vita a una giornata di lotta che rilanci un autunno di conflitto nel nostro paese, contro l’austerity e la precarietà impostaci dall’alto da una governance europea e mondiale sempre più asservita agli interessi feroci della finanza, delle banche, dei potenti”. Il 19 ottobre, quindi, “vogliamo dare vita ad una sollevazione generale“. (fonte Il Sussidiario.net)

Più chiaro di così …

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Arriva un governicchio di larghe intese?

23 Apr

Giorgio Napolitano resterà in carica finché avrà forze e, poi, sferza i partiti: «Voi, sordi e sterili, non autoassolvetevi» ed i partiti, tutti, applaudono in piedi come se i rimproveri fossero per i rivali.

Stamane, su Omnibus di La7, giusto per far finta di nulla, Rosa Maria Di Giorgi (assessore PD a Firenze) continuava a parlare di ‘difficoltà di Bersani’, di ‘svolta del Capranica’, di ‘debacle orrenda’ del M5S nel Nordest, di ‘dirigenti’ che non devono farsi influenzare dalla Rete, di non confrontarsi con la base … che la fiducia è d’obbligo se il partito lo decide.

Intanto, Serracchiani vince per un pelo in Friuli Venezia Giulia, che non è una regione rappresentativa degli equilibri nazionali, Renzi è stracorteggiato, ma fino ad oggi ha amministrato solo una piccola città come Firenze, SEL appare fortemente egemone sull’ala sinistra del PD, ma in Parlamento sono tanti gli eletti che arrivano dalla nostra famigerata Malasanità, alla Camera siedono circa 100 democratici che arrivano dall’apparato di partito, alla faccia delle Primarie.

Inoltre, non sono solo Travaglio & Santoro a sospettare che PD e PdL non siano l’un l’altro opposti, ma semplicemente complementari, con la conseguenza che il Centrodestra liberale è incatenato dalla stagnante componente populista ed il Centrosinistra riformista non ha voce in un’eterna campagna elettorale che privilegia i consensi gauchisti e sindacal-azionisti.

Dunque, in questa situazione, va bene qualsiasi governo, con il rischio di vederlo impallinato al primo incrocio o bivio dal qualche fazione democratica? Oppure serve un governo di larghe intese che accetti la Rete come principale vettore di informazioni e di conformazione della pubblica opinione, ma, soprattutto, tenga in debito conto che l’azionista di maggiornza è il PD, ma anche che il controllante è il PdL?
Oppure vogliamo proporre ai cittadini un Giuliano Amato, sconosciuto a chi abbia meno di 40 anni, tesoriere di ‘quel Partito Socialista Italiano’, massacratore delle nostre pensioni e del Titolo V della nostra Costituzione, nonchè prelevatore patrimonaile dei nostri conti?

Il Patron del futuro governo è il Popolo della Libertà, il padrino è il Partito Democratico: non facciamoci abbagliare dal il fatto che una componente parlamentare sia più numerosa dell’altra, grazie agli artifici del Porcellum.

E smettiamola, a sinistra, di pensare che quanto detto in televisione sia ‘reale’ e che quanto circoli in Rete sia ‘passatempo’. Piuttosto, è il contrario. Inoltre, se il mezzo televisivo permette allo spettatore l’unica possibilità di cambiar canale – cosa del tutto inutile se andiamo avanti da anni con talk show partitici a reti unificate – va considerato che in Rete l’utilizzatore va puntualmente a cercarsi le notizie secondo l’approccio che ritiene più verosimile.
Se i talk show politici diventano intrattenimento partitico, il ‘passatempo’ è in TV, le notizie sono in Rete: è inevitabile che sia così.

Inoltre, l’idea fissa dei democratici ‘a confrontarsi con i sindacati’ appare piuttosto bizzarra -ai nostri giorni – se il persistere della Crisi è causato dall’over taxing che la sinistra pretende da anni, dal suo profondo legame con gli apparati pubblici, dalla diffidenza verso il mondo imprenditoriale e la libera iniziativa, dal basso o bassissimo livello di istruzione e di formazione professionale di tanti attuali inoccupati (manovali, camerieri, banconisti, padroncini, artigiani e operatori di basso livello, eccetera), dal limitato ruolo delle donne nella nostra società, dal famigerato Patto di Stabilità interno di centralistica e statalista memoria.

Difficile credere che la situazione attuale del Partito Democratico possa essere superata senza una chiara e profonda scissione tra la componente social-liberale delle elite metropolitane, quella cattolico-populista dei mille campanili di provincia e quella gauchista ondivaga ed il suo elettorato di lotta e di governo, attualmente ‘in carico’ a SEL ed M5S.

Far finta di nulla o, peggio, paventare ai cittadini un governicchio di ristrette intese servirebbe solo ad accentuare la sfiducia degli elettori e la rabbia dei cittadini.
A sentire i Democratici – in nome dell’emergenza, si badi bene – serve uno ‘scatto di responsabilità’ da parte del PdL e che per loro si tratta solo di ‘un cammino altanelante’, mentre i conti del governo Monti-Bersani iniziano a non tornare, serve una nuova manovra, c’è cenere sotto il tappeto, le politiche di Elsa Fornero sono palesemente un disastro, l’IMU e la TARES sono de facto delle patrimoniali.

Un governo Monti fortemente voluto da Eugenio Scalfari che, come ricorda Verderami del Corsera, si è rappresentato come un’anomalia fin dall’inizio, dal novembre 2011, quando, invece di sciogliere le Camere, Giorgio Napolitano nominò senatore a vita Mario Monti per poi indicarlo come premier di un ‘governo del presidente’ e per poi ritrovarselo come leader di partito.
Un semipresidenzialismo di cui non v’è traccia nella Costituzione, un dirigismo di cui non v’è traccia nella storia nazionale, salvo il primo gabinetto Mussolini indicato direttamente dal Re. Un errore ed un equivoco che persistono e che ‘il popolo bue’ percepisce ampiamente.

Intanto, il Financial Times scrive, oggi, di “Napolitano gigante di Roma tra i nani della farsa italiana”. Purtroppo, i nani non leggono l’inglese e la ‘base’, per loro, sono solo quelli che incontrano in piazzetta o nel salotto buono …

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Il governo del Presidente, ma anche di Grillo e Berlusconi

22 Apr

Riconfermare Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica era ormai l’unico sistema per evitare l’automatico passaggio all’opposizione del centrodestra e, soprattutto, dei moderati liberali o popolari o democratici che fossero.
Il motivo è semplice: l’aver lasciato al M5S la candidatura di Stefano Rodotà, anzichè avanzarla per primi e giocare in contropiede con ambedue le opposizioni, comportava il ritorno ‘automatico’ di Bersani alla strategia di co-governo con il movimento guidato da Beppe Grillo con un Matteo Renzi probabile premier.

Una contraddizione in termini. Come quella di riciclare nel patto per il bene comune’ con il PdL due noti nomi (Marini e Prodi) pur di evitare il Quirinale a Massimo D’Alema, che era con il PCI dall’inizio, che ha voluto la svolta centrista e che non era sgradito al Centrodestra.
In tutto questo, non c’è due senza tre, aggiungiamo la follia degli Otto Punti inderogabili, sui quali convergevano abbondantemente i programmi di Grillo e di Berlusconi, rimesti precisamente nel cassetto.

Peccato per Stefano Rodotà, che questo blog aveva già segnalato un mese fa. Troppo innovativo per una concezione dell’apparato amministrativo e contabile pubblico, che risale ad oltre 100 anni fa, e per una generazione che è passata con grande facilità dal Fascismo alla DC ed al PCI, tanto INPS, Corporazioni e IRI erano ancora tutti lì.

Dunque, il Parlamento che Napolitano – ed il Premier da lui scelto e si spera votato – dovranno gestire sarà dei più etereogenei possibili, con un centrodestra forte e compatto, quasi determinante al Senato, e con un M5S che potrebbe fare la differenza, nel bene e nel male, se i suoi eletti dimostreranno di avere la metà della capacità politica di cui dovranno aver bisogno.

Infatti, vista la situazione di ‘pericolo di crollo’ del PD, è più che opportuno che il Presidente eviti di scegliere personalità di quel gruppo parlamentare o ad esso collegate, onde non vincolare il governo a polemiche interne al Partito Democratico. Come anche, vista la situazione del sistema partitico e parlamentare, sarebbe opportuno scegliere dei profondi conoscitori di quel mondo con provate capacità di mediazione ed un comprovato senso dello Stato. Ad esempio, Gianni Letta o Emma Bonino.

Una premiership da affidare in fretta e senza incappare in ‘sorprese’, come ci ha abituati Mario Monti, dato che Scilla e Cariddi si profilano all’orizzonte.
Da un lato, l’imminente rischio di spacchettamento del centrosinistra in cristianosociali, cristianoliberali, socialisti, comunisti, post comunisti, verdi, ambientalisti, demoliberali, socialdemocratici, popolari.
Dall’altro, l’evidente necessità che servano sia i voti di Grillo sia quelli di Alfano, se vorremo una legislatura di almeno un annetto e delle buone riforme, nonché un tot di fiducia dall’estero e di ossigeno per il paese. Il rischio che qualcuno pensi di avvantaggiarsi dalle urne è elevato.

Riuscirà il Presidente Reloaded di questa strana Matrix all’amatriciana, l’ancora nostro Giorgio Napolitano, a scegliere la carta fortunata, anzichè l’asso di picche?

Speriamo di si, il lavoro dei dieci saggi si rivela, oggi, un fattore accelerante e migliorativo.
Un altro fattore “accelerante e migliorativo”, probabilmente del tutto inderogabile, è la nomina di senatori a vita di Berlusconi, Prodi, Marini, Pannella e Rodotà (come anche Bonino se non avrà incarichi di governo). I primi tre per evitare che in un modo o nell’altro continuino a condizionare, fosse solo con il oro passato carisma, la vita dei partiti e del parlamento; gli altri tre per iniziare a pacificare il paese, riconoscendo a quel partito radical-liberale di Mario Pannunzio il dono dell’onestà morale e della lungimiranza, come per tutti i minority report alla prova del tempo.

Adesso, serve un governo del Presidente, un governo di larghe intese, di unità nazionale e finalizzato ad un programma, in cui un contesto generale in cui il PdL eviti l’abbraccio fatale con il Partito Democratico, aprendo sui punti di convergenza comune al M5S, che dovrà abbandonare certe formule populiste, visto che ormai il Movimento di Beppe Grillo è determinante per le istituzioni di cui l’Italia ha febbrile bisogno.

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Il PD non c’è più, pericolo di crollo

22 Apr

Se Eugenio Scalfari riesce ancora a parlare di ‘motore imballato’ dinanzi a quell’ammasso di ferraglia, gomma e vetro che il Partito Democratico è riuscito ad esibire in un mese di follia, l’esigenza di rottamazione annunciata da Matteo Renzi appare più come una presa d’atto che come una proposta.

Nessuno “prevedeva che il Partito democratico crollasse su se stesso affiancando la propria ingovernabilità a quella addirittura strutturale del nuovo Parlamento”, scrive nel suo domenicale il fondatore di la Repubblica, ma i segnali c’erano tutti a volerli vedere.

A partire dalle esitazioni ad intraprendere scelte difficili quando la Sinistra era nel governo e nel fare vera opposizione quando non lo era. Parliamo di un’enormità di leggi, che il Partito Democratico non ha mai portato avanti, come il conflitto di interessi, la durata dei processi, le leggi sui sindacati, i servizi pubblici esternalizzati o convenzionati, il welfare tutto, le coppie di fatto, le carceri, la depenalizzazione, gli immigrati, gli sgravi e le premialità aziendali, un piano infrastrutturale, la Casta, i super stipendiati e pensionati, i trasporti, le mafie, la legge elettorale.

Tutte esigenze dei cittadini  che a vario titolo il PD ha escluso dalla propria agenda e dalla propria fattività.

Difficile, dunque, parlare di un partito a base popolare, specialmente se lo sanno anche i bambini che alle Primarie c’è sempre un ‘candidato del partito’ e che erano già sicuri di avere la maggioranza alla Camera con il 30%, mentre si tentava di cambiare il Porcellum in extremis.
Eh già, il Porcellum. Cosa dire adesso che è sotto gli occhi di tutti che il suo mantenimento non era vitale per il Centrodestra, che sapeva già di non vincere le elezioni e che il super premio sarebbe andato al Partito Democratico.

Una riforma elettorale che non conveniva al Partito Democratico per troppi e tanti motivi.
Come la concomitante abrogazione dei comuni con meno di 10.000 abitanti e delle province con meno di 3-400.000 abitanti, dove si può contare un’ampia presenza di ‘democratici’.
Come l’istituzione di uno sbarramento serio e del ballottaggio che avrebbe provocato la definitiva frantumazione delle correnti ‘democratiche’.
Come l’eliminazione delle liste bloccate ed il rischio che tanti big e capibastone non ritornassero in Parlamento, oltre a delle Primarie effettive se da Partito unico si diventa variegata Coalizione.

La blindatura a nido d’aquila del Partito Democratico, dei suoi vertici e del suo apparato dovevano e potevano suggerire, a chi la politica la segue da tanti anni, l’esistenza di crepe e fraintendimenti ormai irreversibili.

Un manifesta percepibilità della scollatura ‘democratica’ che il ventre del ‘popolo bue’, a differenza di tanti saggi, aveva già ampiamente percepito. Un problema che, se percepito, avrebbe dovuto far temere una vittoria ‘eccessiva’ che avrebbe comportato il pervenimento alla Camera di circa 200 neoparlamentari democratici, del tutto disorientati tra una Rete che spesso usano davvero male e ancor meno comprendono, un Partito che decide le cose ‘a prescindere’ e secondo imperscrutabili strategie, la propria ambizione e la relativa competenza che mal si conciliano con i sacrifici e le professionalità che l’Italia reale riesce ancora a garantire.

Questi sono solo alcuni dei segnali che potevano lasciar presagire la situazione di incapacità politica che il PD ha mostrato finora.
Adesso, il Partito Democratico non c’è più, il segretario Bersani è dimissionario, il Congresso da convocare a giorni non è stato ancora annunciato, la Presidente Rosy Bindi che lo doveva convocare è dimissionaria dal 10 apirle.

Motore imballato, tutto quì, dottor Scalfari?

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