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La Diaz, le torture, i responsabili e l’interesse pubblico

10 Apr

La sera del 21 luglio 2001, il Reparto mobile di Roma seguito poi da quello di Genova e Milano fecero irruzione nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, che ospitavano un centinaio di attivisti, tra cui molti stranieri, del coordinamento del Genoa Social Forum, mentre mentre alcuni Battaglioni dei Carabinieri circondavano gli edifici.

All’operazione di polizia prese parte un numero tutt’oggi imprecisato di agenti e, sulle informazioni fornite durante il processo dal questore Vincenzo Canterini, lo stima in circa “346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici”.
Dalle indagini venne anche a galla che si trattava in realtà di un gruppo misto di poliziotti sia della Mobile sia della Celere, di cui non pochi provenienti dal disciolto Nucleo Anti-sommossa di Roma.

Personale, dunque, più che esperto ed abituato a gestire situazioni delicate e scontri di piazza. Peccato che un bel tot di loro si fossero aggregati all’irruzione spontaneamente.

Così accadde che durante l’irruzione gli agenti di polizia aggredirono chiunque si trovasse nella scuola, l’assalto e la prima fase di detenzione furono particolarmente brutali, con percosse e maltrattamenti durati ore, come anche cure e soccorsi negati.
Su un totale di 93 arrestati le persone ferite furono 82, di cui 19 non furono portati in ospedale, bensì nella caserma della polizia di Bolzaneto dove i maltrattamenti proseguirono.
Il cancello si apriva in continuazione – racconta il poliziotto – dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli… insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto”. (La Repubblica)

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Le motivazioni della sentenza di primo grado riportarono che «l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto, deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell (ndr. ridotto in coma) e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati.»

Ed, infatti, i funzionari presenti sul posto hanno preferito subire condanne per falso aggravato, piuttosto che rivelare l’identità dei quasi quattrocento agenti in tenuta antisommossa che quella notte attuarono “la più grave sospensione dei diritti umani in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Nessuno si è fatto avanti neanche per il tentato omicidio del fotoreporter inglese Mark Covell, aggredito neanche all’interno dell’edificio, riportando danni alla spina dorsale, e lasciato a terra senza essere soccorso per venti minuti, poi in coma profondo per 14 ore.

A conclusione dell’iter processuale, oltre alla diffusa non indentificazione degli autori, accadde che andarono prescritti i pochi reati (gravissimi) che era stato possibile attribuire ad ufficiali di polizia.
Nella sentenza definitiva, la Corte di Cassazione precisò che gli imputati avevano dato vita ad una “consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il deposito degli atti in Procura”.

Il 7 aprile 2015 i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno condannato all’unanimità lo Stato Italiano per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, perchè l’operato della Polizia di Stato nella scuola Diaz la sera del 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”.

La Corte di Strasburgo ha sottolineato che, di fronte al semplice sospetto di gravi abusi commessi da appartenenti alle forze dell’ordine, la Convenzione dei Diritti dell’uomo prevede l’allontanamento degli stessi dalle posizioni che occupano già nella fase d’indagine.

Invece, ancora nel luglio 2012, quando la Cassazione confermò le pesanti condanne di appello per falso aggravato (le uniche sopravvissute alla prescrizione), Franco Gratteri era il capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde, Filippo Ferri, il più giovane, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario alla giustizia, guidava la squadra mobile di Firenze”: solo l’interdizione dai pubblici uffici obbligò il ministero ad espellerli.

Nessuno dei condannati ha fatto un giorno di carcere, grazie ai tre anni di sconto per l’indulto approvato nel 2006, nessuna interdizione per gli otto capisquadra condannati e prescritti per le lesioni causate dai loro sottoposti.

Che a pagare debba essere solo il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Polizia, non è certamente giusto: caso mai seppe qualcosa è probabile che anche a lui abbiano imbastito il mare di sciocchezze portate poi davanti ai giudici. L’allora sovrintendente alla struttura di Bolzaneto,  Alfonso Sabella, è assessore alla Legalità del Sindaco Ignazio Marino al  Comune di Roma, ma è pur vero che fu l’unico a rinunciare alla prescrizione per concorso in lesioni.
D’altra parte … che dire se, addirittura, la sentenza della Corte europea tiene a precisare che il governo italiano non ha neanche mai voluto informare i giudici di Strasburgo circa le sanzioni disciplinari adottate.

Qualcuno pensa che i circa 400 della Diaz agirono nell’interesse pubblico? Se non pagano loro, trattandosi di tortura, a maggior ragione tocca ai loro dirigenti per quello che accade, per quello che non seppero prevenire e per quello di cui non pervennero a conoscenza durante e dopo i fatti. Inutile appellarsi a sentenze e tribunali o prescrizioni: non parliamo di reati, ma di RESPONSABILITA’.

Original post by Demata

Tortura: se ne riparla l’anno che verrà

5 Ott

Sta per arrivare al vaglio del Sentao il testo di legge prodotto dalla Commissione Giustizia per introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura.

Una carenza ingiustificabile per un paese civile che però non gode dell’interesse dei media e della Politica, di conseguenza, il dibattito finora svoltosi è passato del tutto inosservato.

Tortura, un atto spregevole che riguarda – nell’accezione comune – un mondo che non vogliamo conoscere, dato che è lì che ogni società seppellisce la propria ‘cattiva coscienza’:  detenuti e carcerieri.

Un reato che ogni democrazia deve necessariamente andare a qualificare, se vuo chiamarsi tale, dato che lo Stato si fonda primariamente sul monopolio della violenza, resa lecita e normata dalle leggi.

Un problema ‘italiano’ se, circa due anni fa, ad pochi mesi le condanne in appello per i fatti di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, il nostro ambasciatore all’ONU ebbe a dichiarare che l’Italia non aveva bisogno di una legge ad hoc sulla tortura.

Oggi, nel nuovo testo, il reato di tortura non è più un reato specifico delle forze di sicurezza. E’ vero che negli altri paesi la nozione di reato è direttamente correlata alle forze di polizia, ma sarebbe riduttivo non prevederlo anche per eventuali milizie e mafie, ovvero qualsiasi cittadino.

Purtroppo, la Commissione Giustizia ha ritenuto opportuno che il reato di tortura sia prescrivibile, contro ogni logica, visto che non lo è per tutte le corti internazionali. In sede di approvazione, si spera che qualche emendamento ribadisca l’imprescrivibilità di un reato che è, per gravità e dimensione psicologica del’azione, giusto un millimetro al di sotto dell’omicidio volontario premeditato. Forse, anche molto oltre l’assassinio, se guardiamo l’efferratezza.

Dulcis in fundo, a differenza di tante nazioni, l’Italia si dimostra ‘consuetudinarimanete taccagna’ con i deboli e non è previsto un fondo per la tutela delle vittime, che portano segni incancellabili delle violenze subite.

Legge migliorabile? Forse, dato che, mercoledì 26 settembre, il Senato ha reinviato il testo in  Commissione del testo.
Certamente, però, si finirà per discuterne tra un anno con la prossima legislatura.

Non resta che chiedersi perchè in Italia (e quasi solo in Italia) dichiarare reato la tortura sembra impossibile. O, meglio, faremmo meglio a chiederci cosa succede od è successo in un passato recente nel nostro paese se esiste questa impossibilità …

originale postato su demata