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Tagli alla Rai, Grillo contro Renzi. Ma c’è qualcosa da sapere

19 Mag

Consultando la Guida Rai scopriamo che ha 15 canali televisivi in chiaro e sei radiofonici.
Sono Rai1, Rai2, Rai3, Rai4, Rai5, RaiMovie, RaiPremium, RaiGulp, RaiYoYo, RaiStoria, RaiScuola, RaiNews24, RaiSport1, RaiSport2, Rairadio1, Rairadio2, Rairadio3, Rai Isoradio, Rai GR Parlamento, Raiweradio6, Raiwebradio7, Raiwebradio8.

Ma quella che tutti credono essere la televisione commerciale di Stato italiana è una società per azioni, concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, i cui rapporti sono regolati da una convenzione triennale che scadrà il 6 maggio 2016. È una delle più grandi aziende di comunicazione d’Europa, il quinto gruppo televisivo del continente a corrispettivo di ampia fascia  della popolazione italiana che vede quasi solo Rai e non ha mai navigato su internet.

Sulla piattaforma digitale terrestre in chiaro, i canali del gruppo Rai ottengono il 6,78% di share, mentre i canali del gruppo Mediaset il 6,51%; nella piattaforma satellitare, invece, Rai quasi ‘scompare’ e i gruppi preferiti sono Discovery (5,43% nelle 24 ore), Sky (4,99%), Fox (1,64%).
Semimonopolista a casa propria, un nano in termini internazionali.

Lo sperato accesso al ‘mondo’ tramite l’upgrade satellitare è venuto meno, in questi vent’anni, per la carenza di una produzione autonoma di cartoon, di documentari, di serie televisive avvincenti, di un reale supporto alla musica italiana, che anche su Youtube ha una presenza ‘povera’.

Radio Televisione Italiana Spa è un’azienda prettamente romana, con sedi in ogni capoluogo di regione e provincia autonoma e un vasto numero di sedi di corrispondenza dall’estero dove lavorano stabilmente diversi giornalisti , ma gran parte dei Centri di produzione televisiva sono nella capitale italiana con le sedi di via Teulada (8 studi) e Saxa Rubra  (14 studi), più i sei Studi Dear, il Teatro delle Vittorie, l’Auditorium del Foro Italico. Società controllate sono Rai Pubblicità, RaiNet, Rai Way, Rai World, Rai Cinema, 01 Distribution; società collegate risultano San Marino RTV, Tivù, Auditel, Euronews.

La corresponsione di una quota del canone televisivo (imposta)  alla Rai Spa da parte del governo in carica dovrebbe essere determinato dal rispetto del Contratto di servizio, che prevede:

  • Articolo 2.3 “La concessionaria è tenuta a realizzare un’offerta complessiva di qualità, rispettosa dell’identità, dei valori e degli ideali diffusi nel Paese, della sensibilità dei telespettatori e della tutela dei minori, rispettosa della figura femminile e della dignità umana, culturale e professionale della donna, caratterizzata da una ampia gamma di contenuti e da una efficienza produttiva”
  • Articolo 3.1 La Rai riconosce come fine strategico e tratto distintivo della missione del servizio pubblico la qualità dell’offerta ed é tenuta a … improntare, nel rispetto della dignità della persona, i contenuti della propria programmazione a criteri di decoro, buon gusto, assenza di volgarità, anche di natura espressiva”
  • Articolo 12.4 “La Rai si impegna affinché la programmazione dedicata ai minori … proponga valori positivi umani e civili, ed assicuri il rispetto della dignità della persona e promuova modelli di riferimento, femminili e maschili, egualitari e non stereotipati”
  • Articolo 13.6 La Rai si impegna a collaborare, con le istituzioni preposte, alla ideazione, realizzazione e diffusione di programmi specifici diretti al contrasto e alla prevenzione della pedofilia, della violenza sui minori e alla  prevenzione delle tossicodipendenze”

Da quello che vediamo da anni in televisione, parlare di pieno rispetto del contratto da parte di Rai spa è davvero difficile.

Ovvio che vada a finire che il bilancio di Radio Televisione Italiana  è una frana, tra inandempienze al contratto e cittadini che si rifiutano dal pagare il canone e tra le folli spese (senza dimenticare lo strabordante organico ed i super-compensi) di quella che è una televisione commerciale con vip, star e tanti lustrini.
Il dato per il 2014 è di 350 milioni di debiti che saranno ripianati con le tasse degli italiani, onde  – soprattutto – evitare all’elefantico apparato radiotelevisivo romano di subire tagli occupazionali e qualche dismissione.

E’ evidente che chiunque voglia un’Italia diversa dall’attuale, voglia anche una televisione pubblica con meno sprechi e meno pubblicità, con programmi adatti ai bambini e a chi voglia apprendere od informarsi, che non trasformi le donne in soubrette sboccate e gli uomini in machos tracotanti, che è non ‘talmente pubblica’ da dover usare troupe esterne persino per le partite di calcio che si giocano a Roma.

Detto questo, sarebbe da capire perchè, se il governo vuol mettere mano a questa annosa e vergognosa questione, arriva Beppe Grillo e ci annuncia che “continua il saccheggio di un bene comune e adesso tocca alle infrastrutture della tv pubblica. … Tutti restano sul vago…”cominceremo solo col vendere un 40% di quote di Raiway…” e poi “faremo un nuovo piano industriale…” e ancora: “anche negli altri paesi si privatizza”, con l’immancabile citazione finale della BBC.”

Bene comune?
Ma se lo stesso Grillo, due mesi fa, strillava all’Ariston di Sanremo che «la Rai è la responsabile del disastro di questo Paese», «La Rai è un servizio pubblico? Vi sembra un servizio pubblico un’azienda che perde 7,8 milioni nel 2010, 7,5 nel 2011 e quasi 5 milioni nel 2012. Adesso la Corte dei Conti ha detto state spendendo troppo, dovete abbassare i costi».

E, poi, sul proprio portale, sotto il titolo #BeppeaSanremo2014, precisava: «Il bilancio della RAI al 31 dicembre 2012 si è chiuso con una perdita di 250 milioni di euro. Il bilancio del 2013 dovrebbe chiudersi con una perdita che sfiora i 400 milioni di euro». «Per il festival di Sanremo in tre edizioni (2010/2011/2012) la Rai ha perso circa 20 milioni di euro».  «In sintesi l’andamento dei costi, risulta ancora nettamente superiore ai ricavi pubblicitari con negativi riflessi sul Mol (margine operativo lordo) aziendale; è necessario pertanto che vengano adottate adeguate iniziative volte a conseguire una più significativa razionalizzazione dei costi».

E quali iniziative se non l’afflusso di nuovi capitali, privatizzando una quota di minoranza di Raiway, e un piano industriale che concentri risorse e potenzialità?

Intanto, prendiamo atto che Beppe Grillo in meno di tre mesi è passato dal considerare la Rai ‘responsabile del disastro di questo paese’ a ‘bene comune’ e … che – anche per quest’anno – la cara tivù ‘italiana’ ci costerà qualche soldo in più del dovuto.

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Fuori dall’Europa, c’è solo l’Italia del declino

19 Mag

L’Italia, nel 2010, era calata all’8° posto per import-export nel mondo, con una quota del 3% a livello globale.
Una potenza mondiale, dirà qualcuno, che ha un peso commerciale tale da potersi permettere una valuta autonoma, una moneta nazionale.

Il punto è che dalla Germania importiamo quasi il 16%, ma esportiamo solo il nostro 11% (pari ad un mero 5,5% se visto come import tedesco), a beneficio delle regioni del Norditalia, ovvero il 13,1% dell’export veneto, il 23,6% dell’export del Piemonte, e il 14% di quello lombardo.
Un export tedesco che è passato, dal 2000 al 2011, dal 33,4 al 50,1% del Pil, grazie alla crescita dell’export verso la Cina Popolare dall’1 a oltre il 6% tra 2000 e 2011, specialmente a discapito dell’Italia.

Aggiungiamo che l’Italia esporta l’11% verso la Francia da cui importa l’8% dei prodotti, cioè è il secondo fornitore commerciale dei francesi, mentre risulta quarto come cliente.
I flussi verso/da gli altri paesi europei dell’Eurozona sono poco rilevanti (entro il 3% del prodotto movimentato dall’Italia, salvo la Spagna al 5-6% di import-export), più interessanti i flussi mercantili verso Gran Bretagna, Svizzera, Stati Uniti, ma messi insieme non vanno oltre il 20% del totale del nostro import-export.

In parole povere, per la Germania siamo commercialmente ininfluenti, ma i loro mercati sono determinanti per il Norditalia, mentre la Francia tutto può permettersi fuorchè un’Italia che vada ad incrementare l’inflazione o la disoccupazione dei francesi.
Per Gran Bretagna e Svizzera, viceversa, un’Italia fuori dall’Eurozona potrebbe non dispiacere affatto, visto che parliamo ancora del secondo paese manifatturiero d’Europa, ma, se Piazza Affari è ormai almeno al 36% di fondi stranieri, c’è davvero da andare cauti.

E’ evidente che uscendo dall’Euro le ripercussioni da parte di Francia e Germania sarebbero significative, come lo sarebbe la fuga dai nostri bond che esploderebbero negli interessi provocando il crollo del nostro debito, mentre sarebbe davvero da capire quanto la Gran Bretagna e altri cointeressati ci attendano a braccia aperte.

La causa dei nostri mali?
Innanzitutto, il rapporto lira-euro che si è rivelato troppo favorevole, cioè ottimo all’inizio e pessimo dopo. Un errore di valutazione di Romano Prodi che ci è costato molto caro.

Poi, c’è il federalismo mai attuato a livello di fiscalità e di servizi, come anche la ristrutturazione del ‘capitalismo di Stato’ (a partire dall’Inps e da Cassa Depositi e Prestiti) e l’innovazione e semplificazione dell’apparato pubblico.  E qui, se la sinistra ha delle resposabilità gravissime, è anche vero che Berlusconi non ha affatto tentatodi fare le riforme che aveva promesso.

Infine, l’insano impulso alla decrescita, al downgrade, che gli italiani dimostrano ogni qual volta ci sia da crescere, da far vanto della propria nazione, di mettersi in gioco con gli altri paesi.
Ad esempio, voler uscire dall’Europa proprio mentre arrivano le ‘moral suasions’ che potrebbero aiutare gli italiani onesti a riportare l’Italia sul binario del futuro.

Pareggiare un bilancio, pagare le pensioni quando promesso, tenere le tasse al minimo possibile, permettere alle comunità locali di organizzare scuola e sanità entro parametri nazionali/europei, avere dei servizi che sostengano e non intralcino le aziende sane, treni e bus puntuali, strade sicure … l’Europa è questo.
Fuori dall’Europa, c’è solo l’Italia che già conosciamo.

Meglio un uovo oggi che una gallina domani? E dopodomani chi farà l’uovo?

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Stalin, Hitler, #vinciamonoi: ecco Grillo e le sue 5S. Appello al voto

18 Mag

Non voto spesso e ritengo che ogni sistema diverso dall’uninominale secco sia deformante e cooptante: a mio modesto avviso, ogni altro sistema elettorale somiglia troppo ad una struttura multilevel alla quale  – festosamente o furiosamente – aderisce chi considera la politica per le ‘parole’ e non per i ‘numeri’, con il presupposto che le parole possano dimostrarsi chiacchiere e fantasie, mentre i numeri corrispondano, viceversa, a fatti e guai reali.

In realtà, siamo convogliati in un sistema ultrasemplificato di bipolarismo, affinchè la maggioranza non sia eterna (vedi Democrazia Cristiana in Italia) ed affinchè l’opposizione sia abbastanza folta e compatta da condizionare il governo ed avvicendarlo.

In parole povere, in condizioni normali ed in qualuque nazione, i veri elettori non sono quel 30% dei votanti ‘fedele alla linea’ – questi determinano SOLO le gerarchie interne dei big di partito – non almeno quanto quel 10% che di volta in volta ‘si sposta’ e quell’altro 20% che mediamente non vota, ma talvolta lo fa. Un altro 10% circa è costituito da astensionisti duri e puri.

In tempi di crisi – è importante saperlo – vanno a cambiare due parametri: una parte degli elettori ‘fedeli alla linea’ si astiene e in minor numero migra verso un altra coalizione od un movimento di protesta, mentre il fronte dell’astensione si incrementa a dismisura.
Il risultato che ne viene dalle urne è paradossale: da un lato le coalizioni dei partiti ‘storici’ subiscono una flessione naturale proporzionale al numero dei ‘fedeli alla linea’ astenuti, dall’altro lato emerge un movimento politico di protesta che – apparentemente – ha la forza per ribaltare il tavolo, ma – in realtà – corrisponde a meno di un sesto dell’elettorato, ovvero  è fortemente minoritario.

E’ un fenomeno che noi italiani dovremmo conoscere bene, vista la nostra storia parlamentare che ha sempre accolto una tale percentuale, tra formazioni estreme di destra e sinistra, Lega e Italia dei Valori, fino alle 5S di oggi.

Piuttosto, sempre la ‘politica dei numeri e dei fatti’ ci racconta che perchè avvenga un effettivo cambiamento deve emergere un movimento politico che attragga tecnici, quadri, bassa dirigenza, media imprenditoria, professionisti, ovvero chi già si occupa di far funzionare le cose, è in grado di valutare cause ed effetti, può articolare proposte con senso ed esperienza.

Dicevo del voto, di quanto sia prezioso e di come possa essere sprecato, perchè stamattina mi son svegliato e … ho trovato l’invasor.

ehila beppe

“Bisogna ringraziarlo Stalin. La guerra contro i nazisti l’ha vinta lui.  Schulz (ndr. il candidato premier socialdemocratico per l’Europa), vedi di andare affanculo…”. “Dicono che io sono Hitler. Ma io non sono Hitler…sono oltre Hitler!” “Se non ci fosse il M5s adesso ci sarebbero i nazisti. Il nostro populismo è la più alta espressione della politica” “La Digos è tutta con noi, la Dia è tutta con noi, i carabinieri pure.”  “Siamo scesi in piazza per vincere e vinceremo queste europee con il 100 per cento”.

Riepilogando, secondo lo stesso comico genovese:

  1. Josip Stalin fu un benerito della Storia,
  2. Beppe Grillo è un ultra-Hitler,
  3. le persone che aderiscono alle 5S sarebbero divenute naziste senza il movimento da lui fondato,
  4. la polizia politica e l’antimafia più i carabinieri sono fidelizzati da un movimento politico.

Stamattina mi son svegliato e (bella Ciao) … ho trovato l’invasor, cos’altro dire?
Poi, però, mi sono ricordato dell’ultima frase di Beppe, un grande comico davvero: “Vinceremo queste europee con il 100 per cento” …

Le 5S non sono in coalizione con altri partiti europei e, grazie a questo, otterranno un minore numero di eletti, in proporzione, rispetto ai partiti che si sono coordinati …
Se c’era un sistema per NON vincere è proprio questo.

E dai media arrivano conferme che fosse uno scherzo anche l’adesione alle 5S delle forze dell’ordine, perchè “le forze dell’ordine non stanno dalla parte di nessun partito o movimento, ma dalla parte delle Istituzioni e della legalità” (Coisp) e perchè “le forze dell’ordine difendono tutti i cittadini a prescindere dal loro orientamento politico e sono il baluardo su cui si fonda la sicurezza della nostra Nazione” (Copasir).

Un gran burlone, quel diavolo di Beppe, che non di rado eccede.
Peccato che – finito lo show – ci sia chi lo prenda per serio anche quando scherza.

 

P.S. Dimenticavo … se c’è chi rievoca Stalin e le SS … ANDATE A VOTARE !!!

leggi anche I sette punti per l’Europa dei Cinque Stelle: oltre il nulla, solo protesta?

leggi anche Cinque Stelle va in Europa: tutti i candidati. Sono credibili?

 

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Roma corrotta, nazione infetta

23 Gen

Mentre la maxi operazione coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia è ancora in corso ed emergono enormi investimenti di denaro sporco nella Capitale Gemma Azuni – consigliere comunale di maggioranza ed esponente di punta di Sinistra Ecologia Libertà – ha diffuso un comunicato stampa in cui rivela che “nella passata consiliatura ho presentato un ordine del giorno, votato all’unanimità, per l’istituzione della Consulta Antimafie e di una Commissione di inchiesta, in seno all’Assemblea Capitolina, sul fenomeno delle infiltrazioni mafiose, rimaste entrambe lettera morta.”

Le conseguenze di tale ‘superficialità’ del Sindaco Alemanno e degli apparati capitolini che che Roma non si è dotata di un “organismo preposto alla promozione di un’attiva cultura della legalità e come strumento straordinario per aiutare il contrasto alle economie criminali, a cominciare dalla trasparenza sui beni confiscati alla mafia trasferite e da trasferire, all’Amministrazione di Roma Capitale.”

Politica, distintivi, polemiche faziose? Non sembra affatto.

Infatti, Roma Capitale non ha (ancora) un sistema di “informatizzazione e dematerializzazione dei SUAP e degli uffici entrate, per censire le autorizzazioni presenti sul territorio di Roma e consentirne un sistematico controllo” …

Non resta che chiedersi se Roma sia (ancora) in grado di svolgere il ruolo di Capitale e, soprattutto, se ne abbia davvero l’intenzione. Di sicuro, fu profetico L’Espresso, nel 1956, quando – pubblicando la prima inchiesta ‘storica’ sulla speculazione edilizia e i rapporti fra affari e politica – titolò «Capitale corrotta = Nazione infetta».
Son trascorsi quasi 60 anni e ancora la nostra Capitale non sa quanti immobili esistono, quanti sono effettivamente utilizzati e, soprattutto, quanti esercizi sono autorizzati a fronte di debiti controlli, garantendo sicurezza e igiene e pagando le dovute tasse.

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Trattativa Stato-mafia: fu alto tradimento?

17 Lug

Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.

Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).

Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.

Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.

Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.

In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.

In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.

Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.

Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.

Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.

Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».

Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.

Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.

Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.

Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».

Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?

E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?

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Bari: tolte al padre per consegnarle ad un killer

1 Set

Un killer della mafia barese adesso pentito, affiliato del Clan Strisciuglio, aveva avviato una relazione extraconiugale con una donna, anch’essa sposata e madre di due figli.
Più o meno contemporaneamente, l’uomo aveva iniziato a collaborare con i magistrati, ovvero a pentirsi in cambio di una nuova identità e di una valanga di soldi.
Così accade che l’ex malvivente scompaia, lasciando i suoi due figli con la madre, dato che, secondo lui, non v’è rischio che siano sottoposti a ritorsioni.
Inghiottita dal programma di protezione del ministero dell’Interno, però, sparisce anche la sua amante e, con lei, due ragazze di 10 e 14 anni ed un suo nipote.

Il tutto senza che i due genitori si siano separati e senza che il padre, un onest’uomo, sappia o possa sapere dove sono le figlie, che vivevano, naturalmente, a casa sua. Figurarsi incontrarle o provvedere alla loro educazione: svanite in un batter di ciglio.
Una mostruosità: strappare al padre naturale e legittimo due figlie per mandarle, per il capriccio di una madre, a vivere con un mafioso omicida, persona di inqualificabile moralità ed esposta ai rischi di una vendetta del clan.

E’ dovuto intervenire il TAR di Bari per intimare al Ministero degli Interni di riconoscere i diritti del padre e, tra non molto, dovrebbe esprimersi la Procura Minorile di Bari, togliendo la patria potestà alla madre.

Sicuramente, c’è da chiedersi quale Costituzione e quali leggi abbiano studiato i funzionari del Ministero degli Interni che hanno combinato questo gran pasticcio.

Ma, soprattutto, dovremmo prendere nota quei funzionari possano aver dato per scontate troppe cose … in un paese dove il 96% dei divorzi si concludono con l’affidamento alla madre. Non è un caso che, per ora, i principali quotidiani e le televisioni non abbiano dato rilievo alla vicenda.

Unica menzione su Il Giornale, dove una donna, Annamaria Bernardini de Pace, ci ricorda che “non tutte le mamme sono buone: anzi, ogni giorno si racconta di madri cattive, egoiste, interessate, trascuranti. Il destino di ognuno di noi è disegnato dall’amore o dal disamore della madre. … Ogni giorno sin dal giorno della nascita. Fortunatamente ci sono molti padri che sanno compensare i disastri causati dalle madri inadeguate. Le madri peggiori sono quelle che  violano il diritto giuridico e affettivo dei figli di voler vivere anche l’amore del padre, dei nonni, o degli amici.”

Mafia: dopo la Lombardia, il Veneto

14 Apr

I carabinieri di Vicenza e dalla Direzione investigativa antimafia di Padova hanno arrestato almeno 29 persone appartenti ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso legata al clan camorristico dei Casalesi, che operava sotto la schermatura della società di recupero crediti Aspide, con sede principale a Padova.
Numerosi gli imprenditori che pagavano i debiti contratti con interessi usurai anche del 180% e che, infine, venivano costretti a cedere la loro attività alla cosca stessa.
Infatti, il “cuore” dell’attività criminale consisteva in una catena di società di intermediazione finanziaria più o meno fittizie finalizzate a coprire fiscalmente sia gli esborsi dei debitori sia gli incassi e le appropriazioni dei malavitosi.

I camorristi veneti avevano messo sotto tiro almeno un centinaio di imprenditori padani e di alcune regioni del centro e del meridione.
In almeno due casi si sono verificati anche sequestri di persona, a scopo di estorsione naturalmente, e, non di rado, il trasferimento di intere quote societarie.

La rilevanza ed il radicamento dell’organizzazione è comprovata dal “volume di affari”, oltre 4 milioni di euro, dall’esistenza di un “gruppo di fuoco” ben armato e dalla destinazione di parte dei “proventi” ai affiliadetenuti in carcere e dei loro familiari.

L’aspetto più riprovevole della vicenda consiste nei diversi casi in cui gli imprenditori taglieggiati si sono trasformati in procacciatori di affari per il clan camorristico, “agganciando” aziende in difficoltà e trascinandole nella tela dal ragno pur di ottenere una dilazione od uno sconto.

Una squallida vicenda che conferma che “tutto il mondo è paese”.