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Edilizia pubblica, privato sociale e consenso tra PD , M5S e Lega

26 Ago

Servizi regionali, emergenza e sicurezza sociali, servizi e integrazione locale sono stati e saranno l’ago della bilancia delle campagne elettorali a venire. In particolare, la situazione abitativa e la povertà che allarmano per cause e con modi diversi i vari corpi elettorali.

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Secondo gli studi di Federcasa – Nomisma, l’Edilizia Residenziale Pubblica (Erp) consisteva in circa 850.000 abitazioni, con tassi di turn over molto bassi, cioè assegnate ‘a vita’.

Gli alloggi effettivamente in locazione sono circa 750.000, ma nel 2013 risultava regolarmente assegnato solo l’86% (circa 650.000), con quasi 100.000 appartamenti sfitti od occupati abusivamente.

La fotografia degli inquilini pubblici ci dice che sono cittadini italiani (88,3%) anziani (49% oltre 65 anni) con pensione minima o sociale (44,4%), che vive lì da oltre 30 anni (28%) o almeno 20 anni (49%).

Le famiglie in graduatoria utile per l’assegnazione di una ‘casa popolare’ sono anch’esse circa 650.000, ma la tipologia di domande accolte è del tutto diversa: quasi la metà sono nuclei stranieri (37,3%) pluri-componente (34,5% supera le 3-4 persone) non anziani (31,6% è tra 35 e 45 anni).

Gli sfratti in Italia richiesti per abitazioni pubbliche e private nel 2017 erano 132.107, di cui 59.609 pervenuti a richiesta di esecuzione e ben 32.069 eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario.
Secondo l’ultimo censimento Istat, sono oltre 2 milioni di alloggi vuoti in Italia, escluse naturalmente le seconde case per le vacanze.

Alla resa dei conti, l’Edilizia Residenziale Pubblica

  1. accoglie molte persone sole o nuclei di due componenti di italiani, mentre 200.000 famiglie in lista d’attesa sono di oltre 3-4 componenti con ‘capofamiglia’ sotto i 45 anni, spesso straniere
  2. disperde oltre 300.000 gli italiani anziani semi-indigenti, spesso senza adeguati servizi sanitari di prossimità, con costi pubblici aggiuntivi derivanti dalla dispersione delle cure.
  3. non è in condizione, essendo satura, di fronteggiare l’emergenza abitativa derivante dagli sfratti, con la conseguenza che gli Enti Locali devono ricorrere alla disponibilità di alloggi privati vuoti per tramite di costose convenzioni
  4. nell’attuale, l’esigenza di alloggi presunta è di oltre un milione di unità abitative, tenuto conto anche dell’invecchiamento della popolazione e del calo demografico, cioè ne ‘mancherebbero’ almeno 400.000
  5. è lo snodo centrale dell’integrazione dei lavoratori stranieri e dei loro figli ‘italiani’ in un’Italia che non vede arrestarsi il proprio declino demografico.

E l’Italia di tutto ha bisogno, fuorchè ‘separarsi’ in quella del passato da quella del futuro, ma altrettanto certamente non può ampliarsi con una colata di cemento pari a quella di una città di un milione di abitanti, come è inevitabile che un milione e quattrocentomila famiglie aventi diritto ad un alloggio pubblico sia una cifra shock in termini di consenso sia in termini di bisognosi, sia di cambiamenti da introdurre, sia come costi generali e tasse, sia … di eventuali guerre tra poveri; divide et impera docet.

Tra l’altro, le ‘case popolari’ non sono nate come alternativa al carcere, anzi dovrebbero essere una tappa nella crescita economica di una famiglia o il rifugio estremo per chi più sfortunato.
Viceversa, oltre agli arresti domiciliari in attesa di giudizio già previsti dal Codice, sulle case popolari – in assenza di altre politiche ad hoc – è andata a ricadere anche tanta detenzione alternativa al carcere, dopo la cosiddetta legge Gozzini del 1986, voluta dalla Sinistra Indipendente, che introdusse i permessi premio, l’affidamento al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà, seguita dalla Legge 199 del 16 dicembre 2010 che generalizzava presso il domicilio “le pene detentive non superiori ad un anno” con effetti tutti da capire per l’Edilizia Residenziale Pubblica, se il Parlamento (D.L. 4 ottobre 2018 n. 113) ha dovuto inserire nel Codice di Procedura Penale che … gli “arresti domiciliari non possono essere eseguiti presso un immobile occupato abusivamente“.

Tra l’altro, siccome in Italia ci sono 40 carceri, costruite, inaugurate e mai utilizzate al prezzo di miliardi di euro , addirittura è accaduto che per anni degli sfrattati abbiano abitato (abusivamente) un carcere mai inaugurato.

Dunque, come conferma Federcasa, quel che serve è una maggiore integrazione con le politiche socio-sanitarie, dell’educazione e della sicurezza, con una nuova organizzazione aziendale e il  potenziamento della rete del privato sociale.

“La storia infrastrutturale dell’edilizia sociale italiana ha necessità prioritaria di essere affiancata da nuove forme di gestione della persona e dei nuclei familiari.” (Luca Talluri, presidente Federcasa)

In altre parole, prima di aprire nuovi cantieri, serve

  • implementare uno sportello di utenza e la presenza di operatori in loco che spesso mancano o non sono previsti
  • riprogettare l’accoglienza in base alle esigenze diverse, distinguendo quelle urgenti, a lungo termine, disabili, inoccupati, anziani, famiglie e stranieri

E’ esattamente quello che ci aspettiamo dalle Regioni – e dal notevole numero di personale a cui danno lavoro – fin dal 1974, quando questa vicenda iniziò con Mutue e Casse affidate dalla politica locale, poi a partire dal 1977 l’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) venne frammentato in Aziende territoriali  regionali (ATER), infine migliaia di Enti  “inutili” vennero cessati e sostituiti – caso mai – con ‘privato sociale.

Ecco perchè le ‘periferie’ – proprio a partire dagli Anni ’80 – hanno iniziato a sentirsi tradite dalla Sinistra. Ed ecco dove sono i milioni di voti che si spostano con un paio di tweet, tra chi teme il cambiamento, chi teme lo status quo e chi teme ambedue.

Demata

Meno carceri, più polizia?

30 Gen

Solo due mesi fa le agenzie denunciavano che “le carceri italiane sono di nuovo sull’orlo del collasso: la popolazione carceraria, secondo la “capienza regolamentare”, dovrebbe essere di 50.511, ma al 30 novembre 2017, sono i dati ufficiali dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il numero dei reclusi era di 58.115. Vale a dire 7.604 unità in più rispetto alla regola“. (AGI)

E solo due mesi dopo, cioè oggi, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, annuncia che “noi avevamo un indice di sovraffollamento ed oggi siamo rientrati in una situazione più accettabile, negli istituti di pena ci sono 8000 detenuti in meno e si possono contare 5000 posti detentivi in più“. 

Infatti, la soluzione adottata meno di un mese fa è stata quella del “meno carcere e più misure di comunità”, che “riportano al centro del sistema la finalità rieducativa della pena” indicata dalla Costituzione, con la scarcerazione di ottomila detenuti, praticamente l’ennesimo indulto esteso anche a chi aveva commesso crimini violenti.

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A guardare il grafico, infatti, ci si rende conto di quanto sia un concetto sdrucciolo pretendere che «il tema deve essere non quello dell’effettività della pena ma dell’utilità della pena»: se gli italiani prediligono reati come resistenza, lesioni, rapina, sturpo e omicidio, c’è da tener conto che  – prima dello Stato e/o dell’interesse pubblico – esiste una parte lesa, una vittima, che confida nella ‘certezza della pena’ e non solo nell’eventuale risarcimento del danno.

Tra l’altro, la Costituzione – art. 27 – precisa che la “responsabilità penale è personale”, che significa anche che non possono esserci sconti per risparmiare sulla spesa carceraria.

Risparmio che, a ben vedere, non sussiste se – a parte la percezione di impunità – tutto questo ci costringe anche ad avere “più agenti di tutta Europa, ma la sicurezza sul territorio non funziona”. (L’Espresso) “Ben 278 mila, contro i 243 mila della Germania e i 203 mila della Francia. Il dato italiano, inoltre, non comprende le polizie municipali (60 mila uomini), i vigili del fuoco (altre 31 mila unità) e la polizia penitenziaria (38 mila).”

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Infatti, secondo i dati ONU, l’Italia è più o meno alla pari della Turchia con 467,2 agenti ogni 100mila abitanti, cioè il 50% in più che negli USA, dove gli addetti al ‘law enforcement’ sono meno di tanti paesi europei, cioè 284 ogni 100.000 residenti.

E, se a noi 56mila detenuti su 60 milioni sembrano troppi da mantenere, prendiamo atto che nel 2015 la Francia aveva 65mila detenuti su una popolazione pari alla nostra, mentre Inghilterra e Galles insieme contavano 85mila detenuti per circa 56 milioni di abitanti.

Demata

Carceri senza giustizia?

18 Apr

Il rapporto Galere d’Italia di  Antigone  offre un quadro eclatante di come sia perseguito il crimine in Italia:

  1. alla data del 31 marzo 2016 i detenuti erano 53.495
  2. quasi quattromila detenuti non dispongono del posto-letto regolamentare e – se vogliamo garantire una qualità della vita minima – andrebbero costruiti diversi nuovi istituti di pena, sempre che non si vogliano riutilizzare qualcuna delle tante strutture di cui il Demanio non sembra saper cosa farsene
  3. poi ci sono quasi trentamila condannati alla detenzione con pena definitiva che – però – non la stanno scontando in carcere, dei quali più di un terzo è in detenzione domiciliare, 12.465  in affidamento in prova al servizio sociale, 6.457 in lavori di pubblica utilità, 724 in semilibertà
  4. a questi si aggiungono quelli che dovrebbero essere detenuti già durante la fase cautelare, di cui ben 7818  hanno usufruito della messa alla prova e 10.112 sono sotto indagine dei servizi sociali prima della decisione giudiziaria.
  5. infine, ci sono almeno 20.000 stranieri che hanno commesso reati ed esplusi anzichè detenuti, che permangono nel nostro territorio più o meno liberamente
  6. tutto questo apparato ha un costo per lo Stato di 3 miliardi di euro all’anno, con un costo per detenuto di circa 4.400 euro mensili, mentre nel Regno Unito  di 4.600 euro, in Francia di 3.100 euro, in Spagna di 1.650 euro.

In base al nostro Codice Penale e dei reati pervenuti a sentenza, dunque, dovrebbero essere oltre 130.000 i detenuti in Italia, di cui ben oltre la metà circola – viceversa – a piede libero o semilibero e per i quali dovremmo prevedere una spesa praticamente doppia.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, dichiara che «gli interventi legislativi verso la decarcerizzazione e la crescita significativa delle pene alternative sono gli aspetti di cui vado più orgoglioso perché modificano le condizioni carcerarie in modo strutturale: se fino a qualche anno fa per ogni quattro detenuti c’era un solo soggetto a esecuzione penale esterna, ora il rapporto è quasi di uno a uno e la percentuale di revoca di una misura alternativa per nuovo reato commesso durante l’esecuzione è dello 0,79%».

Ma i reati commessi che pervengono a conoscenza della Giustizia sono decisamente pochi in Italia, se le statistiche europee raccontano che siamo il paese con meno crimini d’Europa …e di questi sono forse la metà quelli che non restano ad opera di ignoti e ancor meno sono quelli di cui si perviene a sentenza.
Inoltre, se un detenuto su due non è in carcere, la percezione generale è certamente quella di impunità ed insicurezza.

E’ vero che Andrea Orlando non è il ministro degli Interni che è preposto alla nostra sicurezza, a lui compete il funzionamento degli istituti di pena, ma … non è neanche il ministro dell’economia e delle finanze … se le risorse mancano e tante condanne divetano poca cosa, è a lui che tocca di batter cassa.

Demata

Giustizia, i dati ufficiali: cosa riformare?

23 Ago

Secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, i detenuti in Italia sono 52.144 alla data del 31 luglio 2015, più altri 32.586 ‘liberi’ per misure alternative come l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, la libertà vigilata o controllata.
Eppure, nel solo 2011 erano 1.319.929 i procedimenti penali per reati ordinari con autore noto definiti presso le Procure della Repubblica.

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Impressionante il numero esiguo di mafiosi detenuti (7.023) o degli ergastoli (1.603) e delle pene superiori ai 20 anni (2.155), mentre solo gli omicidi volontari in Italia sono di media più di 500 l’anno.

Balza anche all’occhio che i detenuti italiani sono equamente distribuiti per fasce d’età, cosa che dimostrerebbe che almeno una parte di chi incappa nella legge è un delinquente abituale che opera per l’intero arco della vita ‘lavorativa’. Sarebbe il caso di tenerne conto …

Che le cose non vadano una favola per i cittadini comuni è ben descritto dai  21.562 detenuti per reati contro la persona, altri 10.088 per violazione delle leggi sulle armi, per non parlare dei 1.110 incarcerati (pressoché tutti italiani) per reati contro il sentimento e la pietà dei defunti.
Gli stranieri rappresentano circa il 30% dei detenuti per reati contro la persona, traffico di droga e contro il patrimonio.

Riguardo il consumo di stupefacenti come per la povertà ci sarebbe da arrivare a nuove norme sulle droghe e sul reddito minimo, visto che 3.899 persone finiscono in carcere per mere contravvenzioni.
Inoltre, su 29.234 consultati, in gran parte italiani, 17.144 sono in possesso della licenza media, 6.023 hanno appena completato le elementari, 1.768 sono privi di titolo di studio o analfabeti.
Dunque, la prima causa della criminalità andrebbe ricercata nelle più o meno sfortunate famiglie d’origine come nel metodo delle politiche sociali adottate, che opta per lasciare i figli ai genitori anche quando questi sono autori di delitti orribili come a Cogne o Milano.
Compresa nella questione c’è anche la Buona Scuola, l’annosa questione della valutazione e l’incapacità a contenere la dispersione scolastica, se da noi c’è una delle più basse percentuali di diplomati/laureati dell’OCSE, ovvero terreno fertile per povertà e crimine.

La questione non è nei tribunali: essa compete a chi legifera.

Quando si parla di riforma della giustizia, tre sono le cose che davvero interessano il cittadino medio.
La prima è di essere in un’effettiva posizione paritetica rispetto all’accusa ‘in nome del popolo italiano’, ovvero la separazione delle carriere e degli organi inquirenti, ma soprattutto la questione della privacy e del limite temporale certo da porre agli iter processuali, che dovrebbero estinguersi o concludersi entro un termine ragionevole.
La seconda è essere sicuri di non ritrovarsi il delinquente che ha denunciato a piede libero sotto casa sua dopo due giorni o poco più. Dovrebbe essere evidente che i reati contro le persone sono ‘urgenti’ e ‘gravi’ fino a prova contraria, non il contrario, e che secondo buon senso un pluripregiudicato non dovrebbe fruire facilmente di arresti domiciliari, misure alternative e sconti di pena.
La terza è che scuola e servizi sociali intervengano adeguatamente nel caso di minori a rischio. Ignoranza e abusi in famiglia generano povertà e crimine. Ne verremo fuori senza potenziare i Tribunali dei minorenni e continuando ad esternalizzare servizi educativi e sociali, mentre le scuole restano ognuna una repubblica a se?

Demata

Carceri, la realtà dei dati

7 Feb

Gravissime le affermazioni del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in visita al penitenziario milanese di San Vittore:  «È emergenza, avrei firmato amnistia anche dieci volte». Gravissime perchè aprire il fronte dell’amnistia in piena campagna elettorale significa, de facto, parteciparvi.

A parte la forza attrattiva del consensmafia astenutao di migliaia di persone detenute e dei loro familiari – per non parlare delle ombre esistenti su altre elezioni ed altri indulti/amnistie/deregolazioni – il tema si rappresenta ‘di per se’ come un fattore di condizionamento della politica futura e futuribile da parte di un presidente uscente, specie se leggiamo che «bisogna fare tutto quello che è possibile tenendo fermo che, se non si può avere il consenso in Parlamento, non passa». Vale la pena di ricordare che per l’amnistia per decine di migliaia di delinquenti è necessario il consenso popolare, sennò è difficile trovare parlamentari disposti al voto, temendo che, poi, qualcuno degli amministiati vada a far guai proprio nel collegio elettorale di riferimento.

Gravi, comunque, sono le parole del Presidente Napolitano, perchè denunciano le condizioni oggettive, ormai subumane, in cui versano ormai tanti detenuti e, indirettamente, i loro carcerieri, mentre i dati dimostrano una situazione ‘leggermente’ diversa da quella comunemente prospettata, che indica “un’origine dei mali’ piuttosto verosimile che più meritevolmente potrebbe attrarre gli strali del Quirinale.

Secondo recenti statistiche,  i detenuti in Italia sono 67-68.000 su circa 42.000 ‘posti letto, ma circa 11.000 non dormono nè vivono in carcere dato che 7.000 sono in affidamento in prova e 4.000 agli arresti domiciliari. L’esubero di detenuti è, dunque, di circa 15.000 persone: un detenuto in più ogni 5-6 già in cella, senza detrarre quanti sono in infermeria od in viaggio.

Di questi detenuti 24.908 sono stranieri e ne sarebbero espellibili forse anche la metà, se esistessero degli accordi per assicurare la loro detenzione nei paesi d’origine. Come anche, se i Comuni garantissero dei congrui ed efficienti servizi sociali si potrebbero estendere alcuni benefici a parte dei 10.000 detenuti con pene residuali inferiori ai tre anni.
Peccato che molti di questi (27.345  al 31 dicembre 2008) siano spesso delinquenti abituali, cioè hanno commesso almeno un reato contro il patrimonio (furti, rapine, truffe) o contro la pubblica amministrazione, ma è anche vero che ben 8.652 persone erano detenute nel 2008 per violazioni di leggi sulle armi, per le quali si potrebbero spesso prevedere misure detentive diverse dal carcere.

Inoltre, il fatto che oltre 26.000 detenuti siano tossicodipendenti e che siano oltre 23.000 gli ‘spacciatori’, tra i quali non è noto quanti siano semplici possessori, conclama il dato fallimentare della Legge Giovannardi-Fini. Le Carte dei Diritti che l’Italia ha sottoscritto a livello internazionale comportano la necessità di garantire adeguati assistenza  sanitaria per tutti e valido supporto psicoterapeutico per chi voglia superare la dipendenza.
Cose che possono essere fatte meglio e con minori costi non incarcerando i drogati, piuttosto che sovraffollando le carceri e trasformandole in una sorta di girone dei dannati dalle mille lingue parlate e dai cento desideri osceni. Tra l’altro, il consumo di cannabis in Olanda è quasi la metà che in Italia e Spagna ed almeno questo dovrebbe far riflettere.

In poche parole, almeno diecimila stranieri potrebbero essere detenuti a casa loro se l’Italia trovasse un accordo con i loro paesi d’origine, quasi il doppio dei detenuti non sarebbero mai entrati in carcere se l’italia avesse leggi sulle droghe e sulle armi simili a quelle degli altri paesi europei.

Inoltre, solo il 3% dei detenuti è impiegato in qualche attività lavorativa esterna, mentre solo il 24% lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, mentre, nel 2009, i corsi professionali hanno coinvolto solo il 13,3% dei detenuti. Che il carcere abbia finalità formative e riabilitative appare come una mera chimera e, di sicuro, l’ozio in cui è lasciato il 63% dei detenuti è del tutto inaccettabile agli occhi di chi paga le tasse, specialmente sapendo che tra i detenuti improduttivi sono quasi 20.000 quelli che hanno commesso reati sessuali, omicidi e sequestri, ovvero sono inviati ai ‘lavori forzati’ in gran parte dei paesi civilizzati.

Riguardo i ben 37.300 detenuti (55,32%) in attesa di condanna definitiva, contro una media europea del 25%, sarebbe interessante sapere se, poi, sono stati condannati – chiedendosi se non si poteva fare prima – o, caso mai ed in che misura, siano stati assolti – chiedendoci perchè avevamo imprigionato un innocente per mesi ed anni.

Numeri allarmanti arrivano riguardo il numero di detenuti per reati contro la pubblica amministrazione (appena 6.151), per associazione mafiosa con poco più di 5.200 reclusi: è evidente, agli occhi di tutti, che sia impossibile, in un paese conciato come il nostro, che siano così pochi i criminali assicurati alla giustizia e condannati per i crimini che generano maggiore degrado sociale.

Come anche, con tutto quello che è accaduto nel nostro paese durante gli Anni di Piombo e durante la lotta alla Mafia ed alla Ndragheta, con stragi e delitti efferati, è incredibile che gli ergastolani siano solo 1.357.

Lo spaccato che ne viene dai dati è molto chiaro: almeno un terzo degli attuali detenuti non dovrebbe essere lì, grazie a leggi e soluzioni più civili e pragmatiche, e serve spazio per i tanti attualmente a piede libero, non perseguiti od ignoti dalla legge, che continuano a commettere reati gravi da mafiosi o come pubblici impiegati.

Dunque, se il nostro Presidente della Repubblica vuole davvero sanare l’avvilente situazione dei detenuti delle carceri italiane, lasci perdere un’impopolare amnistia e solleciti una depenalizzazione per l’immigrazione irregolare ed il possesso/consumo di stupefacenti, oltre che degli accordi internazionali, che permettano il rimpatrio per gli immigrati e l’inserimento comunitario per i tossicodipendenti che lo richiedano, ed un maggior rigore ed efficacia contro le mafie ed i corrotti.
Altrimenti, son lacrime da coccodrillo.

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