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DDL diffamazione: si ricomincia da capo?

7 Nov

Silvia Della Monica, relatrice al Senato del disegno di decreto relativo alla diffamazione a mezzo stampa e con strumenti telematici, ha dato le dimissioni perchè “anche se il voto sarà segreto io voterò contro l’articolo 1” e per questo “non posso continuare a svolgere il ruolo di relatrice”.
Il disegno della cosiddetta ‘legge bavaglio’ torna dunque in Commissione con l’obiettivo di trovare “un testo assai più snello e condiviso”, come spera la presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro.

Cosa era successo all’articolo 1 del DDL Diffamazione al punto da convincere la senatrice del Partito Democratico a dichiarare anticipatamente il suo voto e lasciare i lavori?

All’inizio, quando presentarono il disegno normativo, il testo del’articolo 1 determinava che “alla legge 8 febbraio 1948, n.47, sono apportate le seguenti modificazioni:

  • a) l’articolo 12 è sostituito dal seguente «Art. 12. (Riparazione pecuniaria). — 1. Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato e non può essere inferiore a 30.000 euro.»;
  • b) l’articolo 13 sostituito dal seguente «Art. 13. — (Pene per la diffamazione). — 1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della multa non inferiore a 5.000 euro».

Un paio di ‘aggiornamenti’ alla norma del 1948, in modo da escludere il carcere per un reato d’opinione commesso a mezzo ‘stampa’, ovvero non includendo necessariamente tutto quanto viene scritto nei social netowrk o dai blog, sottoposti alle ordinarie norme del codice penale.

Aggiornamenti pesantucci, se consideriamo che ‘non inferiore a 30.000 euro’ suona come un’ingiunzione fallimentare per qualunque piccola testata.
Aggiornamenti peggiorativi, se parlassimo  dell’articolo 2, dove si continua a fare riferimento a concetti come ‘decoro’, ‘onore’, ‘reputazione’, anzichè  alla semplice ed oggettiva nozione di veridicità.

Preso atto che alla relatrice PD Silvia Della Monica, inspiegabilmente, crea problemi l’articolo 1 e non l’articolo 2, mentre alla Commissione sembra che piacciano tutti e due, torniamo a capire cosa è accaduto di così grave all’articolo uno.

Tutto e nulla, nel senso che non è dato saperlo se non prendendo atto che gli emendamenti tra Commissione ed Assemblea sono stati più di 300, mentre il testo presentato era di 120 parole, congiunzioni incluse.

E’ evidente che la Commissione non riesce a superare l’en passe.

Da un lato, la condanna di Sallusti non può divenire un altro caso Kydonis vs. Grecia, dove la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Grecia, obbligandola al risarcimento dei danni materiali e morali al giornalista ritenuto colpevole di diffamazione ed incercerato.
D’altra parte, la necessità d’intervento sul Codice Penale, che prevede la detenzione, rende opportuno aggiornarlo in funzione delle nuove tecnologie telematiche e qui si complicano le cose.
Nel contempo, come lasciar cadere un’occasione così prelibata e succulenta per bloccare la massiva mole di post, disegni e commenti a ruota libera che tappezzano, oramai, ogni angolo di internet?

Così è accaduto che il Senato, si spera inconsapevolmente, non riesca a rendersi conto che ledere l’onore, la reputazione o il decoro sono concetti particolarmente sdruccioli se navighiamo in rete, non solo in Italia quanto nei paesi più avanzati del nostro, dove porsi domande e borbottare al pub sono diritti ancestrali.
E non si riesce a far prendere atto ai nostri eletti che è ancora più deformante imporre l’obbligo di rettifica ad un mondo – quello telematico – che si fonda sul diritto di replica (lasciare un commento). Un diritto/dovere che è previsto anche dal codice francese, seppur molto attento all’onore ed alla reputazione come il nostro.

Ritornando ai 300 circa emendamenti per sole 120 parole ed alla straordinaria capacità dei nostri eletti di scatenare una burrasca anche in un bicchier d’acqua, c’è solo da aggiungere che ‘saggiamente’ è stato rispedito l’intero testo – e non solo l’articolo 1 – in Commissione nell’auspicio che torni indietro ‘assai più snello’.

Segno che la politica nostrana si sia resa conto che con una tale norma (l’articolo due non il primo) metteremmo in crisi l’intero sistema dell’informazione on line, con al primo posto le enciclopedie pubbliche (ndr. Wikipedia è molto allarmata) e, subito a seguire, tutto il resto dell’informazione, inclusa quella pubblicata in altri paesi ma leggibile, ‘diffusa’, anche in Italia?

Taglieremo l’accesso dei lettori al Financial Times o del Daily Mail perchè pubblicano articoli che, seppur scrivendo cose vere, ‘ledono’ l’onore, il decoro, la reputazione di qualche nostro presidente del Consiglio – come di un ministro degli esteri o del Tesoro – e si ostinano a farlo senza neanche rettificare?

Forse.

originale postato su demata