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Ma quanta ricchezza va in malora a causa della Corruzione?

24 Nov

La Corruzione  – in termini di economie nazionali e finanza internazionale – è un grosso problema, dato che crea voragini di spreco ed inefficienza nei paesi che ne sono afflitti, come la massa di denaro sporco in movimento si apre accessi occulti e tracciati ‘sotterranei’ utilissimi agli speculatori ordinari come alle lobbies del crimine.

In questo grafico, HowMuch.net tenta di dare una percezione visuale dei valori prodotti da Trasparency International sulla corruzione percepita dagli addetti del settore in ogni paese e del PIL coinvolto in questo fenomeno erosivo e metastatico.

L’Italia è uno dei paesi più corrotti d’Europa secondo Trasparency International, con un punteggio di 50 su 100. E non ci sorprende che nell’Eurozona solo Grecia e Romania fanno – leggermente – di peggio, come che, eccetto la Spagna e la Polonia (60/100) o la Francia e il Portogallo (70/100), il resto d’Europa viaggi addirittura su punteggi da 80/100 a salire, Gran Bretagna inclusa.

Dunque, c’è interesse a valutare quale sia il potenziale di fiume di denaro percepito come tangenti, speculazioni, sprechi, cioè Corruzione. Non è una questione di interesse locale, se è di questi giorni l’emersione del Caso Danske Bank, con 4mila miliardi a rischio riciclaggio, in larga parte ‘provenienti’ da Russia, Ucraina e Azerbaijan, presumibilmente da mazzette, speculazioni ed evasioni fiscali del mercato energetico.

Come c’è interesse a valutare quanto pesante sia la palla al piede delle singole nazioni, che trasforma in tangenti, speculazioni e sprechi quelle Entrate Fiscali  destinate per servizi ai cittadini o alle imprese, se non peggio alle spese infrastrutturali. Ad esempio, ponti, argini, rifiuti, scuole, ospedali, strade, semplificazione, eccetera …  

In parole povere, anche se le computi e grafici sono solo delle proiezioni e delle stime, è credibile che almeno il 16% delle Entrate Fiscali italiane vada disperso in Corruzione, intendendola come tangenti, speculazioni e sprechi?
Ed è possibile che il volume finanziario delle risorse coinvolte in spese che si trasformano in infrastrutture e servizi costosi, carenti, assenti, velleitari o inefficienti sia di 250 miliardi di euro annui?

Servizi ed infrastrutture che potrebbero essere migliori, costando di meno e durando di più. A voler diventare onesti, noi Italiani sistemeremmo il deficit in un biennio ed il debito in quinquennio … proprio come chiedono l’Europa e i Mercati da ormai 10 anni, caso mai lo si fosse dimenticato.

 

Demata

Europee 2014: PD fagocita, 5S crolla, Centrodestra delude

26 Mag

Il PD di Matteo Renzi – a vocazione maggioritaria come per Veltroni – fagocita gli alleati moderati. La Sinistra resta inderogabilmente intorno al milione di voti, cioè  ai limiti soglia dello sbarramento del 4%.

Le Cinque Stelle perdono quasi 3.000.000 di voti, un buon 20% ha già voltato le spalle. Stessa batosta per il Centrodestra, che il Berlusconismo è finito. La Lega cresce, con oltre 200.000 voti in Italia Centrale.

Confronto voto UE 2014 - Italia 2013Quale morale trarne?

Il PD a vocazione maggioritaria ‘vince’ perchè mantiene la fiducia dei propri elettori e di quelli di ‘area’, ma, come da sempre, non riesce ad agganciare elettori non già ben predisposti.

Le 5S paga l’inesperienza e l’arroganza di tanti suoi parlamentari, l’ostinazione a focalizzarsi su microproblemi, invece partecipare positivameente al dibattito generale sulle riforme strutturali. Inoltre, il ‘disastro’ è stato accentuato dalla centralizzazione della campagna  del movimento sulle intemperanze di Beppe Grillo e sulle teorie sociali di Casaleggio.

Il Centrodestra deve affrontare e superare rapidamente la fine del Berlusconismo e del Clientelismo. La prima annunciata dalla veneranda età di Silvio Berlusconi e dai noti fatti di cronaca giudiziaria. Il secondo è precisato – dopo Alba Dorata in Grecia e 5S in Italia – dagli exploit di destra in tutta Europa, ma, soprattutto, dal buon risultato elettorale di Alleanza Nazionale e della Lega.

Intanto – se qualcuno volesse correre alle elezioni o pensare ad un Centrosinistra oppure ideare un governo PD-5S – sarebbe meglio non lasciarsi offuscare dal dato percentuale del PD (41%), se oltre 20 milioni di italiani sono rimasti a casa e i voti che mancano nelle urne sono in gran parte di destra.

Piuttosto, riguardo l’Europa, in Italia hanno vinto gli Eurocritici – meglio degli Euroscettici altrui – e questo potrebbe essere un gran punto a favore di Renzi e Draghi.

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Roma, la prostituzione, i dati, l’Europa e le soluzioni che … esistono già

23 Mag

anti-prostitutionIl sindaco di Roma, Ignazio Marino si dice favorevole «alla zonizzazione della prostituzione», all’istituzione di quartieri a luci rosse: «Sarei favorevole a che ci siano zone dove è consentita e zone dove non lo è. Questo dilagare della prostituzione non solo arreca un danno al decoro della città, ma crea situazioni di disagio gravissimo ad alcuni quartieri».

Nel luglio 2012, Romatoday raccontava Prostituzione a Roma: i quartieri a “luci rosse”
„che “”
“dalla Salaria alla Tiburtina, dalla Cassia alla Prenestina, passando per Viale Marconi e non dimenticandosi i vicoli del centro, le strade della capitale pullulano di lucciole”, sottolineando che “a poco è valso il provvedimento del primo cittadino varato a pochi mesi dall’insediamento in Campidoglio nel 2008. Multe salate per la lucciola che si atteggia a tale e per il cliente “adescato”, o “distratto”, che dir si voglia”.

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Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.

Infatti, i dati raccontano di quasi 9 milioni di italiani (il 40% è sotto i 25 anni) che frequentano prostitute, che a loro volta sarebbero 70.000 (dati  2010 Commissione Affari Sociali della Camera), di cui il 65% esercita in strada e le minorenni sarebbero addirittura tra il 10 e il 20% (dati Gruppo Abele).

Questo si trasforma in un enorme via vai di persone, se a Roma, come ovunque, un uomo su due ricorre al sesso a pagamento. Prostituzione a Roma: i quartieri a “luci rosse”
Un dossier del sindacato di polizia Silp-Cgil Roma indicherebbe che nel 2012 a Roma le prostitute su strada erano “in tutto seicento, almeno centocinquanta in più rispetto a due anni fa”.

Se fossimo al supermarket, parleremmo di seicento ‘postazioni’ accertate per 250 giorni di lavoro medio all’anno per 15 ‘clienti’ al giorno fanno 2,5 milioni di ‘utenze annue’, più almeno un altro milione che si svolge ‘al chiuso’: una media di 10.000  ‘passaggi’ al giorno.
Fossero anche solo la metà – ma potrebbero anche essere dieci volte tanto, se in Italia sono 70.000 – i soliti conti della serva ci dicono che per alloggiare 1.000 prostitute, a Roma come ovunque, servono almeno la metà di appartamenti ed, in caso di bordelli, almeno una cinquantina di piccoli edifici.

Dove metterli, in una città come Roma, è un mistero e più che zonizzarli, varrebbe la pena di disperderli: invece di aree ‘rosse’ periferiche e semiperiferiche, tanti piccoli e discreti appartamenti come già è nei quartieri centrali, dove la prostituzione certamente c’è, ma  invisibile. E per fare questo non servono leggi nazionali: basta che il sindaco inizi a contrastare seriamente la prostituzione per strada e la ‘dinamica richiesta-offerta’ si trasferirebbe in appartamentini discreti.
Il resto non si chiama più sfruttamento della prostituzione, ma di crimine organizzato e di tratta di esseri umani.

prostitution-7-20-11-color-640x486Questo, ovviamente, se la sola preoccupazione del sindaco fosse il ‘danno al decoro della città’ e il ‘ disagio gravissimo ad alcuni quartieri’, senza tenere conto della tutela della donna, degli omosessuali e, soprattutto, dei minori. E della salute, visto che Ignazio Marino di professione fa il medico e come politico presiedeva la commissione parlamentare sulla Sanità.
Infatti, la prostituzione ‘fuori controllo’ comporta che un quarto delle persone Hiv-sieropositive non sappia di essere infetto: secondo i dati pubblicati dal Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2008 gli “inconsapevoli” erano il 60% dei contagiati totali, con quasi l’80% dei contagi avvenuti per via sessuale.

Dunque, qualcosa va fatto.
Lo riconosce persino Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII: «La zonizzazione è una proposta vecchia e inaccettabile, che non risolve il problema della prostituzione e rende le istituzioni pubbliche conniventi con gli sfruttatori. L’unica soluzione veramente efficace e rispettosa della dignità umana, della donna in particolare, è l’introduzione anche in Italia del modello nordico».

Di cosa si tratta?

Il modello neo-proibizionista – o “modello svedese”, adottato in Svezia dal 1999 e successivamente in Islanda e dal gennaio 2009 in Norvegia – si fonda sulla criminalizzazione del cliente, con la punizione dell’acquisto di prestazioni sessuali, partendo dall’assunto che la prostituzione è una violenza del ‘cliente’ contro il/la prostituto/a, anche quando afferma di svolgere l’attività per scelta  consapevole.

sex-prostitute-prostitution-special_offers-offers-price-hbrn467lIn Italia, vige una forma di Modello abolizionista, che si fonda sull’idea di non punire la prostituzione né l’acquisto di prestazioni sessuali, ma al tempo stesso nel non regolamentarli, mentre si puniscono tutta una serie di condotte collaterali alla prostituzione (favoreggiamento, induzione, reclutamento, sfruttamento, gestione di case chiuse, etc.).
In pratica, lo Stato si chiama fuori dalla disputa, senza proibire o regolamentare l’esercizio della prostituzione. Questo modello è seguito dalla gran parte dei Paesi dell’Europa occidentale: Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Andorra, Armenia, Belgio, Bulgaria, Città del Vaticano, Danimarca, Estonia, Finlandia,  Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Monaco, Repubblica Ceca, San Marino, Slovacchia. In alcuni di questi paesi, però, la vacatio legis ha consentito al diverse autonomie locali di adottare un modello regolamentista, come ad esempio in Spagna.

Prima dell’introduzione della legge Merlin, anche l’Italia seguiva il modello regolamentarista, che è nasce da esigenze di ordine sanitario e di ordine publico, ma anche di tutela delle prostitute e vige solo in otto Paesi europei (Paesi Bassi, Germania, Turchia, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia), ai quali andrebbe aggiunta la Spagna, dove molte autonomie locali hanno provveduto a regolamentare lo svolgimento dell’attività al chiuso.
Il modello regolamentista include l’imposizione di tasse e restrizioni, più o meno ampie, nell’esercizio della prostituzione, l’individuazione di luoghi preposti all’esercizio e la prescrizione di controlli sanitari obbligatori per prostitute e prostituti per la prevenzione delle malattie.

aids-hiv_o_dmaoCome per tante altre innovazioni sociali, fu il Regno delle Due Sicilie, nel 1432, ad emettere le prime norme a tutela di chi si prostituiva (donne e uomini), tramite il rilascio della reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico. Successivamente, anche nella Serenissima Repubblica di Venezia e nello Stato pontificio venne regolato il sistema delle ‘case di prostituzione’, che spesso erano tenute dalle stesse donne.
Norme di tutela delle donne, di prevenzione sanitaria e di ordine pubblico, non di sfruttamento con l’imposizione di tasse e gabelle.
Le cose cambiarono nel 1860, quando il Regno sabaudo introdusse una regolamentazione in cui addirittura andava a fissare i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione …
Con l’Unità d’Italia, questa pratica questa pratica fu estesa a tutto il paese (come la persecuzione degli omosessuali che, viceversa, le Due Sicilie non discriminavano) e solo con l’avvento del regime fascista furono imposte serie misure sanitarie per le prostitute  donne, iscritte ad uno ‘schedario’ e sottoposte ad esami medici periodici.

Ovvio che, alla prima buona occasione, questa centenaria mercificazione della donna per la ‘pubbblica utilità’ doveva finire: l’Italia fece  una legge frutto della tenacia della senatrice socialista Lina Merlin e di grandi compromessi.
Il risultato fu il solito pasticcio, dato che lo Stato italiano smise di sfruttare la prostituzione, ma tante donne che si prostituivano passarono dalle ‘case chiuse’ (ndr. chiamate così per via delle finestre sbarrate anche di giorno) ai marciapiedi delle strade provinciali, vennero eliminate tutte le tutele sanitarie per le prostitute, le ‘occasionali’ ebbero un notevole incremento ed i ‘papponi’ divennero invisibili e potenti, come ricorderà chi leggeva le cronache degli Anni ’60-70  …

prostitution-a-smart-career-choiceRitornando a Roma ed alle idee del sindaco Marino, è davvero imbarazzante la preoccupazione per il decoro urbano, per il disagio dei cittadini (ma non le donne, i minori e la salute di tutti), specialmente se confluisce nell’idea di ripristinare uno sfruttamento della prostituzione di Stato, che de facto facilita ed incrementa il fenomeno.

Il paese con il maggior numero di prostitute in Europa, secondo le stime, è la Germania dove ne sono registrate circa 400.000. In Spagna, a Valencia, una scuola per prostitute (Academia del placer) ha lanciato lo slogan anticrisi “Se sei giovane e non trovi lavoro, diventa prostituta” …

Intanto, in Italia, andando a scartabellare tra le leggi, semre che il vero prolema sia solo uno.
Tutti sanno che l’articolo 3 della Legge Merlini del 1958 prevede pene e sanzioni per “chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione”.

Pochi sanno che, con la pronuncia n. 33160/2013, la Corte di Cassazione chiarito che se si concede in affitto un appartamento a prezzo di mercato non si viola la Legge Merlin, poiché per ‘casa di prostituzione’ si deve intendere un qualsiasi luogo chiuso dove più persone esercitano il meretricio e sia presente in tale posto anche un gestore della prostituzione delle relative persone, mentre non si può procedere per favoreggiamento e/o sfruttamento semplice in merito, se l’appartamento viene affittato ad un prezzo di mercato al solo scopo abitativo, senza alcun supplemento ulteriore, che possa far favorire concretamente il sesso a pagamento.sexwork

Dunque, tenuto conto che la Legge Merlin persegue la prostituzione come fenomeno organizzato/associativo, che la lectio attuale è a riguardo più tollerante di quella vigente nel secolo passato, e considerato comunque che la tollera come attività individuale, la prima cosa che bisognerebbe fare per il decoro di  Roma è quella di contrastare seriamente la prostituzione per strada – anche solo multando i clienti per sosta – e questo tocca in primis al Campidoglio.
Fermo restante che chiunque è libero di prostituirsi a casa propria, di proprietà o in affitto che sia.

Se, poi, tra Stato e Regioni, in Italia, volessimo (ri)attivare un servizio sanitario apposito e ‘nazionale’ per tutelare la salute di chi si prostituisce e dei cittadini, non sarebbe davvero una cattiva idea. Specialmente se, tramite l’accesso a questo servizio, chi si prostituisce potesse ottenere una registrazione nel sistema di welfare, atta ad accedere al sistema pensionistico versando tributi e contributi, con lo Stato che fa da tutore e non da sfruttatore.
Forse, anche a Lisa Merlin sarebbe piaciuto qualcosa del genere.

E certamente piacerebbe a tutti, specialmente alle mogli, fidanzate e compagne inconsapevoli dei ‘clienti’, che si impedisse di prostituirsi a chi ha contratto l’Aids e questo può avvenire solo tramite la registrazione delle/dei prostitute/i. Non, altrettanto di sicuro, ignorando la questione ed affidandosi alla provvidenza.

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Disoccupazione, insolvenza, sofferenza bancaria: tre facce di una sola medaglia

19 Giu

Fa rumore il numero dei disoccupati in aumento, ma alle cause dirette di questo incremento poco si fa attenzione: l’Abi e Banca d’Italia confermano che le imprese sono sempre più in ritardo nei pagamenti dei loro debiti e che le ‘sofferenze’ delle banche italiane non sono mai state così alte.

“Ad aprile, secondo il rapporto dell’ Associazione dei banchieri, le sofferenze lorde hanno superato i 133 miliardi, 2,3 in più rispetto a marzo (+22,3% annuo). L’Abi evidenzia come resti «elevata la rischiosità dei prestiti» che per altro continuano a calare in modo significativo.” (Corsera)

Da gennaio a marzo scorso, la quantità di imprese in ritardo di massimo due mesi sui pagamenti delle fatture è salita al 45,6% ed un altro 9,2% ha ritardi di pagamento superiori ai 60 giorni, solo il 45,2% paga le fatture entro i tempi stabiliti.

Secondo i dati dell’Osservatorio Cerved, i maggiori ritardi nel pagare, si riscontrano in Calabria (17,6%), Sicilia (16,1%), Campania (14,7%), Molise (13,3%), Toscana (12,9%) e Lazio (12,6%), regioni dove è lunga la lista delle imprese individuali collegate ai settori edile, logistico, agroalimentare.
I dati sono molto migliori, viceversa, in Veneto (4,4%), che ha molto investito sul’esportazione proprio grazie ad investimenti mirati e mentalità adeguate negli stessi settori.

Il Veneto è ad un tiro di schioppo dalla Svizzera, dalla Baviera, dai valichi sloveni e dall’enorme porto di Pola, dirà qualcuno.
Ma è anche vero che Campania, Calabria e Sicilia avrebbero potuto/dovuto avere porti ed aereoporti tali da poter adeguatamente competere sui mercati mondiali, come anche che le mafie che depauperano i territori (r)esistono perchè possono riciclare il ‘mal tolto’ altrove ed incrementando il loro potere altrove, con buoni affari di ritorno.
Ed è anche vero che Lazio e Toscana non dovrebbero avere motivi per cavarsela così male, visto che sono le due regioni che maggiormente hanno influenzato la partitocrazia italiana e che molto meglio avrebbero potuto capitalizzare tale vantaggio storico.

Quali vie d’uscita?

Qui non si tratta di risollevare l’occupazione sindacalizzata dei dipendenti delle fabbriche o delle grandi aziende, come invoca la CGIL. Il problema è nell’esigenza di riconvertire professionalmente un’enorme massa di italiani che ha conseguito, a suo tempo, un diploma tecnico se va bene, poco più della terza media se va male, con un tot di persone che non sono andate molto oltre la quinta elementare.

Un macrocosmo di professionalità molto limitate (basti vedere come casca a pezzi il Paese) e di personaggi genialoidi, che finora ha vissuto delle briciole (lavoretti, contratti a tempo, convenzioni) al tavolo degli appalti, dei servizi esternalizzati, delle infrastrutture incompiute, del welfare che non c’è.
Imprese inconsistenti, come quella rappresentata dal ‘manovale Preiti’, come abbiamo scoperto dopo l’attentato a Monte Citorio. Aziende fantasma e fabbrichette schiaviste, come quelle che ogni tanto rimbalzano sulle cronache del profondo Sud, del profondo Centro e del profondo Nord.

Ma anche una certa quantità di imprese sane, dove la ‘gavetta’, l’esperienza e l’ingegno compensano adeguatamente gli studi frammentari od incompleti. Il volano …
E se abbiamo imprese che abbisognano di commesse, perchè ancora esitiamo ad attirare investitori stranieri con leggi, concessioni e sistemi tributari adeguati?

Se abbiamo tanti disoccupati, ma abbiamo anche un dissesto idrogeologico ed un sistema stradale che necessitano di manutenzioni ed interventi urgenti, perchè perpetuare un costoso sistema di sussidi, specie la CIG, che allo stato attuale servono solo a mantenere improduttivi i lavoratori in esubero?

Quanto alle mafie, esse rappresentano sia un serio problema di di sicurezza interna, ma anche un consistente buco nella leva fiscale, mentre siamo con le strade piene di ragazze arrivate da chissà dove ed in Italia si consumano più droghe che in Olanda. Ma allora ma rifiutiamo ‘a prescindere’ l’idea di introdurre un sistema normativo che legalizzi almeno parte delle droghe e la prostituzione, ovvero un giro d’affari di decine di miliardi di euro da fiscalizzare,  migliorando notevolmente il controllo del territorio e la legalità generale?

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Carceri, la realtà dei dati

7 Feb

Gravissime le affermazioni del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in visita al penitenziario milanese di San Vittore:  «È emergenza, avrei firmato amnistia anche dieci volte». Gravissime perchè aprire il fronte dell’amnistia in piena campagna elettorale significa, de facto, parteciparvi.

A parte la forza attrattiva del consensmafia astenutao di migliaia di persone detenute e dei loro familiari – per non parlare delle ombre esistenti su altre elezioni ed altri indulti/amnistie/deregolazioni – il tema si rappresenta ‘di per se’ come un fattore di condizionamento della politica futura e futuribile da parte di un presidente uscente, specie se leggiamo che «bisogna fare tutto quello che è possibile tenendo fermo che, se non si può avere il consenso in Parlamento, non passa». Vale la pena di ricordare che per l’amnistia per decine di migliaia di delinquenti è necessario il consenso popolare, sennò è difficile trovare parlamentari disposti al voto, temendo che, poi, qualcuno degli amministiati vada a far guai proprio nel collegio elettorale di riferimento.

Gravi, comunque, sono le parole del Presidente Napolitano, perchè denunciano le condizioni oggettive, ormai subumane, in cui versano ormai tanti detenuti e, indirettamente, i loro carcerieri, mentre i dati dimostrano una situazione ‘leggermente’ diversa da quella comunemente prospettata, che indica “un’origine dei mali’ piuttosto verosimile che più meritevolmente potrebbe attrarre gli strali del Quirinale.

Secondo recenti statistiche,  i detenuti in Italia sono 67-68.000 su circa 42.000 ‘posti letto, ma circa 11.000 non dormono nè vivono in carcere dato che 7.000 sono in affidamento in prova e 4.000 agli arresti domiciliari. L’esubero di detenuti è, dunque, di circa 15.000 persone: un detenuto in più ogni 5-6 già in cella, senza detrarre quanti sono in infermeria od in viaggio.

Di questi detenuti 24.908 sono stranieri e ne sarebbero espellibili forse anche la metà, se esistessero degli accordi per assicurare la loro detenzione nei paesi d’origine. Come anche, se i Comuni garantissero dei congrui ed efficienti servizi sociali si potrebbero estendere alcuni benefici a parte dei 10.000 detenuti con pene residuali inferiori ai tre anni.
Peccato che molti di questi (27.345  al 31 dicembre 2008) siano spesso delinquenti abituali, cioè hanno commesso almeno un reato contro il patrimonio (furti, rapine, truffe) o contro la pubblica amministrazione, ma è anche vero che ben 8.652 persone erano detenute nel 2008 per violazioni di leggi sulle armi, per le quali si potrebbero spesso prevedere misure detentive diverse dal carcere.

Inoltre, il fatto che oltre 26.000 detenuti siano tossicodipendenti e che siano oltre 23.000 gli ‘spacciatori’, tra i quali non è noto quanti siano semplici possessori, conclama il dato fallimentare della Legge Giovannardi-Fini. Le Carte dei Diritti che l’Italia ha sottoscritto a livello internazionale comportano la necessità di garantire adeguati assistenza  sanitaria per tutti e valido supporto psicoterapeutico per chi voglia superare la dipendenza.
Cose che possono essere fatte meglio e con minori costi non incarcerando i drogati, piuttosto che sovraffollando le carceri e trasformandole in una sorta di girone dei dannati dalle mille lingue parlate e dai cento desideri osceni. Tra l’altro, il consumo di cannabis in Olanda è quasi la metà che in Italia e Spagna ed almeno questo dovrebbe far riflettere.

In poche parole, almeno diecimila stranieri potrebbero essere detenuti a casa loro se l’Italia trovasse un accordo con i loro paesi d’origine, quasi il doppio dei detenuti non sarebbero mai entrati in carcere se l’italia avesse leggi sulle droghe e sulle armi simili a quelle degli altri paesi europei.

Inoltre, solo il 3% dei detenuti è impiegato in qualche attività lavorativa esterna, mentre solo il 24% lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, mentre, nel 2009, i corsi professionali hanno coinvolto solo il 13,3% dei detenuti. Che il carcere abbia finalità formative e riabilitative appare come una mera chimera e, di sicuro, l’ozio in cui è lasciato il 63% dei detenuti è del tutto inaccettabile agli occhi di chi paga le tasse, specialmente sapendo che tra i detenuti improduttivi sono quasi 20.000 quelli che hanno commesso reati sessuali, omicidi e sequestri, ovvero sono inviati ai ‘lavori forzati’ in gran parte dei paesi civilizzati.

Riguardo i ben 37.300 detenuti (55,32%) in attesa di condanna definitiva, contro una media europea del 25%, sarebbe interessante sapere se, poi, sono stati condannati – chiedendosi se non si poteva fare prima – o, caso mai ed in che misura, siano stati assolti – chiedendoci perchè avevamo imprigionato un innocente per mesi ed anni.

Numeri allarmanti arrivano riguardo il numero di detenuti per reati contro la pubblica amministrazione (appena 6.151), per associazione mafiosa con poco più di 5.200 reclusi: è evidente, agli occhi di tutti, che sia impossibile, in un paese conciato come il nostro, che siano così pochi i criminali assicurati alla giustizia e condannati per i crimini che generano maggiore degrado sociale.

Come anche, con tutto quello che è accaduto nel nostro paese durante gli Anni di Piombo e durante la lotta alla Mafia ed alla Ndragheta, con stragi e delitti efferati, è incredibile che gli ergastolani siano solo 1.357.

Lo spaccato che ne viene dai dati è molto chiaro: almeno un terzo degli attuali detenuti non dovrebbe essere lì, grazie a leggi e soluzioni più civili e pragmatiche, e serve spazio per i tanti attualmente a piede libero, non perseguiti od ignoti dalla legge, che continuano a commettere reati gravi da mafiosi o come pubblici impiegati.

Dunque, se il nostro Presidente della Repubblica vuole davvero sanare l’avvilente situazione dei detenuti delle carceri italiane, lasci perdere un’impopolare amnistia e solleciti una depenalizzazione per l’immigrazione irregolare ed il possesso/consumo di stupefacenti, oltre che degli accordi internazionali, che permettano il rimpatrio per gli immigrati e l’inserimento comunitario per i tossicodipendenti che lo richiedano, ed un maggior rigore ed efficacia contro le mafie ed i corrotti.
Altrimenti, son lacrime da coccodrillo.

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Coesione sociale agli sgoccioli

19 Dic

Il rapporto sulla coesione sociale Istat, Inps e Ministero del Lavoro racconta, anticipandone il futuro, la triste storia del declino italiano. Ormai, è il 13,6% degli italiani a vivere in povertà, oltre otto milioni di italiani e, tra loro, anziani, invalidi e bambini.

Come una carovana che, trovatasi impreparata in territori impervi, lascia dietro di se una scia di corpi ed anime, abbandonando a se stessi i più deboli e, aggiungendo il diabolico all’orrido, si lascia andare a vistose iniquità a carico di chi è più esposto alle bizzarrie di una Casta.

Ad esempio, prendiamo atto che il 10% dei nostri minorenni vive in povertà, un pensionato su due ha un reddito inferiore ai mille euro, nei primi sei mesi del 2012 le cessazioni di rapporti di lavoro sono state 4,49 milioni, mentre il numero dei lavoratori sotto i 30 anni è calato dell’8%, sono stabili solo il 19% dei contratti, di cui solo il 7% riguarda donne.
In poche parole, siamo fermi da 20 anni, in attesa che una ben precisa generazione decida di pensionarsi, non accrescendo i danni profondi già causati alla società italiana.

Oppure, riguardo i pensionati – di cui un terzo è rappresentato da ultraottantenni – che il 47,5 % ha un reddito inferiore ai mille euro, il 37,7% ne percepisce uno fra mille e duemila euro, solamente per il 14,5% si superano i duemila euro, di cui circa 700.000 oltre i 3.000 euro (dati INPS) con una spesa annua di 20 miliardi di euro, pari al 30% del volume pensionistico complessivo.
Chi – pochi, molto pochi – vive nel lusso e nel benessere e chi – tanti di meno – vive nell’indigenza assoluta.

Ed anche, una decadenza che, se vede il Nord ed il Centro Italia messi male, è ormai al disastro se parliamo di Sud. Infatti, nelle regioni meridionali, risulta «relativamente povero»  il 24,9% degli anziani ed un altro 7,4% è rappresentato da quelli «assolutamente poveri», «materialmente deprivato» il 25,8% delle famiglie residenti, con punte del il 30% in Sicilia e in Campania, il rischio di povertà o di esclusione sociale (39,5%) ed è più del doppio rispetto al valore del Nord (15,1%).
Naturalmente, dovremmo chiederci qualcosa se, secondo i dati INPS del 2009, i comuni italiani calabresi avevano da spendere per gli interventi e ai servizi sociali 25,5 euro pro capite, mentre la provincia autonoma di Trento si arrivava a ben 297 euro di ‘spesa sociale’ pro capite.

Ecco l’ennesimo segno di una politica italiana che ha saputo gestire il Meridione solo come fosse una colonia, prima sabauda e poi romana, da cui trarre alimenti, mano d’opera e know how a basso costo.

Ecco cosa accade ad una nazione in cui un terzo degli italiani è composto da meridionali di prima e seconda generazione che hanno dovuto trasferirsi – non nel Dopoguerra, ma a partire dagli Anni ’70, a Roma e nel Settentrione. Una nazione che ha finora spoliato una parte di se stessa e questa ‘cattiva coscienza’ sta iniziando a costituire un gravame insostenibile ed irrisolvibile.

Dei giovani, delle donne, degli anziani, dei meridionali dovrà occuparsi la prossima legislatura ed i prossimi governi: il rapporto sulla coesione sociale italiana è drastico e drammatico.
Purtroppo, al momento, non sembra essere stato particolarmente recepito dai nostri partiti e dagli spin doctors di turno.

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Rapporto FIEG: la fotografia di uno spreco

19 Apr

Secondo il rapporto della Federazione degli editori di giornali per il 2009-2011, i lettori dei quotidiani on line sono cresciuti.
Per l’esattezza, secondo il rapporto Fieg, “tra il 2009 e il 2011 il numero complessivo di utenti attivi sul web in un giorno medio è passato da 10,4 a 13,1 milioni, con un aumento del 26%. La percentuale dei lettori dei quotidiani online sul totale degli utenti web, nel giorno medio, nel 2011 è del 46,8%, mentre nel 2009 era del 38,3%. Verosimilmente nel 2012 supererà la soglia del 50%”.

Dunque, i lettori dei quotidiani on line nel 2011 sono cresciuti dell’1,8% e non che “il numero degli utenti di siti delle testate, in un giorno medio, è cresciuto del 50%, passando da 4 a 6 milioni di individui”, come qualcuno è riuscito a scrivere. Piuttosto, il 50% è riferito agli utenti on line, la cui metà, quando si connette, va anche a sfogliare un quotidiano on line.

Un documento tutto da leggere ed approfondire quello della FIEG, dove scopriamo, a pagina 29 che, nei quotidiani a grande tiratura, il costo del lavoro dipendente per addetto è di 101,355 Euro. Praticamente il doppio di quello delle piccole testate locali: principi e peones …

La diffusione dei settimanali per “giovani” è mediamente di 40.385 copie alla settimana. Sostanzialmente, il traffico settimanale di un qualunque sito per adolescenti che si rispetti, ma senza i costi e l’inquinamento della carta stampata.

Un periodico mensile ha venduto come media giornaliera  di 137 copie nel 2008, 127 copie nel 2009 e 118 copie nel 2010. I peridici di Attualità/Pol. Economica, nel 2010, hanno diffuso, in totale, solo 433.000 copie (-23% rispetto al 2009). 1300 copie al giorno totali (diffuse e non necessariamente vendute), mentre un blog che si rispetti ha almeno 2-300 passaggi effettivi al giorno.

Sempre restando ai periodici mensili, se ne stampano circa 17 milioni di copie per venderne solo il 60% (circa 10 milioni). Il restante è tutto inquinamento, dallo spreco di cellulosa, alle cartiere ed alle tipografie, al trasporto su gomma, alla risbiancatura delle copie invendute per il riciclaggio.

La quantità di carta consumatata in un anno è nell’ordine delle 5-6.000 tonnellate annue, se parliamo solo delle 56 aziende editrici dei maggiori quotidiani. Nel 2010, il “consumo apparente” è stato di circa 800.000 tonnellate di carta, quasi del tutto d’importazione.

La Repubblica – volendo fare un esempio rappresentativo – ha ottenuto, nel 2011, i passaggi di 1.383.515 utenti unici su 11.976 pagine pubblicate in un giorno medio. Circa 130 Utenti Web per pagine viste: una quantità ampiamente paragonabile a quanto raccoglie un blogger “storico” od un aggregatore, se non inferiore.

Dai citati dati Istat (Cittadini e nuova tecnologia. 20 dicembre 2011), il 51% degli utilizzatori usa internet anche per leggere giornali, riviste, news. E tra le “news, vanno evidentemente inclusi i blogger, visto quello che gira su Facebook, ed è possibile che almeno un terzo di quel 51% sia da attribuirsi a loro.

Secondo il Censis, il totale delle persone “estranee ai mezzi di stampa” supera il 45%, mentre solo la metà dei lettori di giornali usa anche internet. Ecco spiegato il caos dell’opinone pubblica italiana ed il ruolo giocato dall’editoria nel sostegno a Mario Monti.

Al Sud si vende quasi la metà dei quotidiani del Nord (92) e del Centro (84), mentre i dati relativi all’acculturamento della popolazione sono omogenei o comunque non spiegano questo rapporto, anche includendo i fattori di depressione socio-economica. Evidentemente, è una questione di contenuti, non a caso in Campania si registra il dato in assoluto peggiore: 36 copie ogni 1000 abitanti.

Considerato che in Italia esiste un monopolio televisivo RAI-Mediaset, è davvero allarmante che il 55,9 % della pubblicità vada alle televisioni, mentre solo il 15,4% ai quotidiani ed il 9,3% ai poco letti periodici, la radio “resiste” con il 7,1% ed Internet avanza con il 14,6%. L’allarme è “speciale”, se parliamo della televisione di Stato, la RAI, che opera come una televisione commerciale in un sistema diffuso di aziende a partecipazione pubblica.

In soldoni, la RAI incassa pubblicità per circa 1 miliardo di  Euro annui, ai giornali arrivano 2 miliardi, a Mediaset oltre 2,5 miliardi. Basterebbe avere meno interruzioni pubblicitarie o meno canali per editore o, meglio, una televisione di Stato non commerciale per ovviare al problema.

In termini di sudditanza dell’informazione rispetto ai “mercati”, è significativo che i ricavi editoriali si dividano 50-50 tra vendite ed introiti pubblicitari. E’ dunque interesse vitale di chi ci informa, promuovere abitudini e stili di vita consumistici.

I giornalisti occupati in quotidiani (5000), periodici (4000) e agenzie di stampa (1000) sono circa 10.000, meno dei presidi delle scuole o dei notai. Una vera casta, se consideriamo sia cosa serve per entrare nell’Ordine sia , soprattutto, che i poligrafici della carta stampata (operai ed impiegati) sono in tutto quattro gatti (5.569).

A quanto ammontino i contributi pubblici per la carta stampata non ho trovato traccia e, ricercando in rete, poco o nulla.

D’altra parte, la FIEG era presieduta, fino a pochi mesi fa, da quel sottosegretario del Governo Monti, Malinconico Scandenberg, dimessosi recentemente per uno scandalo. Come anche, la FIEG rappresenta la stampa italiana, quella che scende – ben coadiuvata dalle nostre televisioni – sempre di più nelle classifiche mondiali per la qualità dell’informazione. Non c’era da aspettarsi una gran trasparenza.

Basti sapere che, nel 2003, Liberazione incassò 3.718.490,08 € di contributi, La Padania 4.028.363,80 €, Rinascita 907.314,84 €, Il secolo d’Italia 3.098.741,40 €, Il Sole che ride 1.020.390,93 €, L’Unità 6.817.231,05 €. (fonti varie)

Forse un miliardo di Euro all’anno in totale, forse di più, visto che Beppe Lopez, in libro del 2007, denunciava che “la parte più cospicua delle provvidenze se ne va in “contributi indiretti”: agevolazioni postali (228 milioni nel 2004), rimborsi per l’acquisto della carta (per fortuna aboliti nel 2005), agevolazioni telefoniche, elettriche, ecc. Contributi che premiano in particolare i grandi gruppi editoriali con molte testate, alte tirature e ampi organici.”

Come aspettarsi un’opinione pubblica informata e consapevole dinanzi ad una storia così? Perchè continuare a buttare carta ed a sprecare risorse industriali (la pubblicità) se le cose stanno così? Perchè spendere uno o due miliardi di Euro, presi dalle vuote casse dello Stato italiano, per finanziare fogli che nessuno legge?

Perchè arricchire l’ennesima casta, discriminando i blogger con un Ordine dei Giornalisti che non ha mai funzionato (vedi caso Emilio Fede), mentre la gente legge su internet e non si fida più di nessuno? Perchè la RAI, televisione commerciale di Stato? E come mai Mediaset, che ha tutti i paramtri per essere definita prevalente, se non monopolista almeno per quanto riguarda i privati?

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Riformare il catasto … a Roma?

29 Feb

Il governo conferma, nell’Atto di indirizzo firmato dal premier Mario Monti, la volontà di riformare – fiscalmente e non solo – il settore immobiliare e il sistema estimativo del catasto per il “riequilibrio del sistema impositivo” ed il “graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”.

Una bella idea? Forse, ma, …

Apparentemente, l’idea di mettere ordine al settore immobiliare non è errata, anzi. Il problema, però, è che possa essere troppo “ambiziosa”, ovvero che si finisca per avallare e legittimare deformazioni del mercato impressionanti.
Come esempio potremmo considerare Roma Nord, dove decine di migliaia di persone ha comprato appartementi nel nulla ad un prezzo pressochè doppio rispetto a tante abitazioni preesistenti, di pari livello e con parcheggi, viciniori a scuole, supermercati, farmacie e stazioni della metro o capolinea dei bus, che, viceversa, hanno visto crollare del 30% il proprio valore.

Come la mettiamo con il valore catastale? Qualcuno è disposto a rivalutare al ribasso l’enorme periferia capitolina, edificata dai palazzinari di turno e pressochè “nel nulla”?

E, parlando di catasto e di Roma, teniamo conto anche che gran parte del “popolo romano” vive ancora “entro le mura” in edifici spesso splendidi, non potrà di sicuro pagare le tasse ed i tributi per edifici fortemente rivalutati.

Come sarà impensabile che abitazioni di (extra)lusso possano andare in fitto o comodato d’uso per quattro spiccioli ad un assegnatario o restare con lo sfratto bloccato da decenni “per esigenze abitative”. Ed altrettanto andrà valutato per l’enorme messe di villette e palazzetti abusivi e poi condonati, che oggi rappresentano ormai un bene di lusso, specie se sono solo a pochi  chilometri dal Colosseo, e comunque hanno un certo valore, se sono a pochi passi da un ospedale, una sede consolare, un centro studi universitario.

Tutta gente che dovrà andare ad abitare altrove, sempre più in periferia, dove dovranno essere costruite nuove case, nonostante la popolazione non sia affatto in aumento, con i relativi servizi ed il solito degrado.

Sarebbe auspicabile che Mario Monti garantisca l’impossibilità di “cambi di finale” – ci sono i precedenti delle pensioni e degli F35, oltre che delle liberalizzazioni – e dia al Paese ed al Presidente Napolitano, la cui firma avalla tutte le leggi, opportune garanzie che tra Governo proponente e Parlamento emendante  non ci troviamo di fronte ai prodomi di un nuovo bagno di cemento per la nostra povera Italia ed al definitivo smantellamento del contesto sociale metropolitano.

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Spostare il carico fiscale … verso il basso

29 Feb

Non tutti sanno che il 50% del gettito fiscale italiano è dato dalle tasse che 4-5 milioni di contribuenti pagano. Un 10% circa di italiani, quelli che dichiarano redditi superiori agli 80-100.000 Euro, sostiene circa metà del carico fiscale.

Essendo a conoscenza di questo dato, non resta che chiedersi cosa possa intendere il professor Mario Monti, persona insigne per la quale “parla il curriculum”, con l’espressione “sposteremo il carico fiscale”.

Più tasse ai disoccupati, agli invalidi ed ai precari?

Dopo quello che hanno combinato con le pensioni, forse, c’è da preoccuparsi.

 

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Qui ci vuole Napolitano

28 Feb

E’ un po’ di tempo che non si sente la voce del Presidente Napolitano, l’uomo che “ci ha messo la faccia” con i cittadini, a Bologna od in Sardegna, mentre Mario Monti raccoglieva elogi stranieri ed il Governo era comodamente assiso a Roma.

Un presidente recentemente fischiato per colpe non sue, ma di altri.

A partire dai media, che quattro mesi fa seppellivano l’Italia sotto una coltre di “cattive notizie”, in parte rivelatesi troppo frettolose o pessimistiche, in altra parte palesemente “speculative”, e che oggi annunciano che i titoli italiani sono andati benissimo, mentre i dati confermati segnalano che l’Italia sta peggio e non meglio.

Mai chiedersi un perchè o un per come, mai.

Per passare ai partiti o meglio il Parlamento, che dovrebbe essere per lo meno il luogo dove appetiti e monopoli trovano una composizione di utilità generale e che – almeno per la sensazione che se ne riceve dall’esterno – sembra una sorta di bazar dove voti, prebende, incarichi ed appalti sono gli argomenti oggetto dell’interesse generale.

Dove tutto ha da cambiare purchè nulla cambi.

Arrivando alle “amate banche italiane”, che oggi rappresentano il non plus ultra della stratificazione finanziaria – di poteri e di risorse – avvenuta duranti i primi 30 anni dell’Unificazione Italiana e che vede i cosiddetti “poteri forti” – sempre toscani, romani, piemontesi, veneti – impossessarsi del prodotto degli italiani, tramite il controllo della valuta: Banca d’Italia e Lira prima, Euro e Bond di Stato oggi.

E così accade che nessuno avrebbe pensato che Unicredit si salvasse acquistando titoli di Stato italiani, ricavando un interesse del 7% vista la situazione di fibrillazione politica e mediatica italiana. Eppure, è accaduto.

E arriviamo ai Sindacati, la cui grande colpa è nel non mettere in luce – causa i soliti affarucci di bottega – quanto le “liberalizzazioni” potrebbero e dovrebbero fare nel campo dell’istruzione, della formazione, dell’editoria, dei servizi sanitari, del sistema consortile, del sistema pensionistico, eliminando prebende e privilegi, esenzioni e sprechi, sussidi e compensazioni.

Basti vedere come è andata per le pensioni e cosa hanno ricevuto in cambio di una tessera sindacale, pagata per 30 anni, i lavoratori cinquantenni.

Non è, dunque, di Giorgio Napolitano la responsabilità politica del Governo Monti, ambizioso e, talvolta, arrogante, ma delle defezioni – politiche, mediatiche, imprenditoriali, sindacali – che hanno permesso la composizione di un governo “ad alto rischio di conflitto di interessi”, il procastinarsi della manovra “Salva Italia”, arrivata con un tale ritardo da dover essere votata a forza, l’esultanza per una decretazione d’urgenza che, salvo gli F-35, non conteneva particolari misure a ricaduta “di cassa” immediata, l’esitazione dei sindacati dinanzi ad una legge abnorme come l’elevamento dell’età pensionabile, “fulmine a ciel sereno”.

Presidente, riprenda a bacchettare “gli italiani”, che il governo, ormai, non riesce a votare due liberalizzazioni due ed i partiti di legge elettorale sembra proprio che non se ne vogliano occupare.

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