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Trattativa Stato-mafia: fu alto tradimento?

17 Lug

Sono trascorsi molti anni, due decenni in pratica, e non tutti possono ricordare l’atmosfera che si respirava nel Meridone allorchè Cosa Nostra inaugurò la stagione delle stragi, trucidando Falcone, Morvillo, Borsellino e le rispettive scorte.

Era l’Italia di Tangentopoli, travolta dagli scandali e dall’ira popolare, e tanti ‘terroni’ ricorderanno il nostro sdegno generalizzato per quello che accade a Capaci, prima, ed a Palermo, dopo. Sdegno, mobilitazione spontanea, non paura e non collera, animati dal desiderio di cancellare una volta per tutte questa sorta di dominazione dall’interno che il Sud subisce da 150 anni (ndr. guarda caso).

Ci si aspettava una reazione da parte dello Stato, non più quello avido e cinico dei Savoia, e da parte di Roma, Milano, Torino, Bologna. Una reazione che non venne, non arrivò neanche quando le bombe, dal Sud, arrivarono a Firenze e nella Capitale.
Ci aspettavamo l’esercito ed eravamo pronti a sostenerlo, perchè era ovvio che solo ‘assediando’ certi quartieri e certe frazioni si potevano sgominare i ‘cartelli’ e le ‘famiglie’, togliendo loro traffici, territorio e potere.

Lo Stato trattò, cedette, preferì un’immorale pace interna pur di mantenere il ‘quieto vivere’ delle regioni centro-settentrionali e pur di non scoprire quegli scheletri, accuratamente riposti negli armadi dal 1860 in poi.

Morale della favola, la criminalità mafiosa, invece di essere estirpata, divenne quella che Saviano in piccola parte ha raccontato, quella che la strage di Duisburg ha portato allo scoperto, quella che i continui arresti confermano ben integrata dal Po a salire, per non parlare di tutti i segnali (pessimi) che arrivano dalla Capitale, tra commesse ospedaliere, morti ammazzati e racket vari.

In questi mesi, da quando Ingroia ha iniziato a sollevare il velo, le nostre redazioni son riuscite a scrivere (poco e male) di una trattativa Stato-mafia, quasi fosse un qualcosa di usuale e giustificabile, dimenticando che si stava parlando anche di Falcone e Borsellino.

In questi giorni, il Presidente Napolitano si appella ad un conflitto costituzionale, pur di secretare quanto acclaratosi tramite le intercettazioni, mentre i nostri media iniziano a linciare il magistrato Ingroia, come fecero proprio con Falcone e Borsellino, dandogli del “militante e presenzialista”, come ha fatto, ad esempio, Il Messaggero.

Nessuno, finora, vuole chiedersi e chiedere se lo Stato o delle sue istituzioni abbiano il diritto di trattare con una organizzazione criminale, specie se questo riguarda i poteri effettivi ed i loro esercizio da parte della comunità costituita.

Verrebbe spontaneo dire che tale facoltà non è data a chi rappresenta la legalità dello Stato, ma la Storia ci insegna che per Aldo Moro non si trattò e che, viceversa, per Bruno Cirillo lo si fece ed anche in tutta fretta.

Una questione che non dovrebbe avere vincoli di segretezza, sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto relativo l’opinione pubblica.
Una trattativa tra Mafia ed IStituzioni non va indagata e processata a livello politico, come vorrebbero lasciarci intendere, ma a livello giudiziario, dato che a nessuno è dato di ‘trattare con la mafia’ se non l’abbia deciso il Parlamento.

Dunque, suona davvero strano quanto affermato dal ministro Severino, ovvero che «qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al Capo dello Stato, si dovrà rispettare la sostanza della legge, che è quella di evitare che conversazioni del Capo dello Stato possano essere rese pubbliche».

Siamo sempre stati molto lontani dalla democrazia statunitense, che, con i suoi mille difetti, prevede i Gran Giurì, l’impeachment dei presidenti ed il diritto di cronaca, ma oggi lo siamo ancora di più.

Infatti, la materia è regolata dall’art. 90 della Costituzione, che prevede come ‘il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione’.

Non essere responsabile non equivale a dire che non possa essere indagato o che non vada processato, eventualmente, dato che lo Stato e la Giustizia non possono rinuncare all’accertamento della verità. L’art. 90 della Costituzione significa solo che il Presidente della Repubblica non può essere condannato.

Dunque, più che di un ‘conflitto costituzionale’, si tratta di una violazione, da parte dei giudici palermitani, dell’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989 n. 219, che prevede come, per il Presidente della Repubblica, «salvo i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette o occasionali, sono da considerare assolutamente vietate, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse il pm deve chiedere immediatamente al giudice la distruzione».

Siamo sicuri che l’art. 7 della Legge del 5 giugno 1989, n. 219, sia costituzionale? E’ possibile che in una repubblica democratica (ma anche in una monarchia costituzionale) esista qualcuno che non possa quasi neanche essere menzionato nelle indagini?

E, per concludere, trattare con Cosa Nostra, abbandonando a se stesse le terre del Sud e mettendo le imprese del Nord in balia del crimine, non equivale a commettere ‘alto tradimento’? E non lo è anche l’intervenire consapevolmente in favore di persone che abbiano commesso un crimine così abietto?

originale postato su demata

Firme per Battisti? No, prego

17 Gen

Quello che veramente ho difficoltà a comprendere sono le firme in favore di Cesare  Battisti:

  1. anche se giudicato in contumacia, Cesare Battisti in quegli omicidi c’entrava ed i morti erano comuni cittadini. Nè “pennivendoli”, nè “lacchè”, nè “bracci violenti”: padri di famiglia, lavoratori come tanti
  2. sono anche gli irriducibili (e chi li beatifica) che impediscono una pacificazione definitiva, mica solo le famiglie delle vittime
  3. su centinaia di arrestati, fermati e detenuti, tra il 1977 ed il 1980 si sono registrati rarissimi casi di “tortura”: non una disfunzione generalizzata, sistemica o locale, non battaglioni della morte “brasiliani”, niente sparizioni “argentine”
  4. la maggior parte dei “terroristi”, se non scarcerata prima, già alla fine degli anni ’80 godeva di lavoro esterno e libertà vigilata. Giusto per la storia, aggiungiamo che questo fu possibile grazie al documento “di capitolazione ed abiura” firmato dai leader “resistenti”, Gallinari e Franceschini. Un documento di cui Francia a Brasile sembrano non avere nozione
  5. quasi nessuno crede che a Bologna furono Mambro e Fioravanti. C’è una sentenza, è vero, ma sono tanti gli indizi, che confermano la presenza (piuttosto insolita) di un agguerrito gruppo di terroristi internazionali, affiliato al famigerato Carlos. Alla stazione fu strage di Stato oppure, come proprio sembrerebbe, fu un’azione di uno stato estero?
  6. il giudice Imposimato, nel suo libro, documenta sia alcune ombre sulla teoria di destra riguardo Piazza Fontana, ma racconta anche di canali del KGB in Francia, della scuola parigina Hyperion, “crocevia” del gotha terroristico, della “resa” di Valerio Morucci e Adriana Faranda avvenuta in un’abitazione di persone molto vicine all’establishment sovietico
  7. Mario Moretti, l’unica persona che conosce la storia delle BR dal 1969 al 1983, non ha mai collaborato alle indagini e ha mantenuto il silenzio sulle attività delle BR. Due mesi dopo essere entrato in carcere, un detenuto affiliato ad una cosca catanese tentò di ucciderlo a coltellate
  8. le BR fecero un’indagine sulla strage di Piazza Fontana e, secondo loro, almeno chi fece da tramite era interno al movimento.

Se così fosse che di quale Stato delle stragi si fa cenno nelle petizioni?

Utimus sed non minumus, le Br hanno operato anche al Sud, come i Nap a cui si ispirarono. A Napoli ebbero forti contiguità con la Camorra cutoliana …

C’è altro da dire?

Si.  Tra il 1977 ed il 1983, gli uomini dello Stato italiano sgominarono il network di Sindona e la P2, mentre Falcone stava completando la rete che, nel 1984, portò Tommaso Buscetta a collaborare con la giustizia.

Negli stessi anni, mentre i terroristi inneggiavano al “tanto peggio tanto meglio” contro lo stesso interesse nazionale, nel Sud Italia le mafie iniziavano la loro brutale estensione su ogni attività, grazie ad una media di 5.000 omicidi annui, che ancora oggi si mantiene costante.

Certo, quegli anni furono torbidi ed esistono fin troppe tracce dell’operato di servizi segreti stranieri, alleati e non, come altrettanto certamente sul caso Moro e sul ruolo di Moretti nelle BR esistono molte ombre, mentre il terrorismo fascista di basso livello ebbe contiguità con alcuni apparati e non furono regolari tutti tra i milioni di interrogatori che ci furono.

Un paese “normale”, con seri problemi di mafia, di inefficienza e di corruzione, nulla di più.

Non la Francia che ospitava decine di migliaia di rifugiati politici, accusati però di crimini violenti, tra cui anche qualcuno che avevano fatto uso di armi contro inermi o, addirittura, aveva ucciso.

Per non parlare gli indios dell’Amazzonia che non avevano e non hanno scampo dinanzi a quel progresso così “brasileiro” e così devastante per l’ambiente e per i ceti poveri.