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Grecia salva, Europa in corto circuito?

22 Lug

La Grecia è salva, arriva una manciata di miliardi, “soli” cento e nove sembrerebbe, e tutto va bene. Va bene davvero?

Il popolo greco esulta ed esultano anche i politici corrotti ed i sindacati che hanno trasformato Atene in una trincea e che resteranno al loro posto.

La Borsa corre, l’Euro si risolleva, i mercati respirano, gli speculatori-creditori si riquotano e ricalcolano gli interessi.

I cittadini europei, che mai rivedranno i loro soldi indietro,  esultano anche loro e non si sa perchè.

Altre considerazioni? Una sola, espressa da Edward Prescott, Nobel per l’Economia e docente alla Arizona State University, nell’intervista raccolta da Maurizio Molinari di La Stampa (leggi qui).

«L’Europa ha deciso di far fronte al default della Grecia riversandone i costi, in molteplici maniere e con evidenti espedienti, su chi aveva dato il danaro ad Atene ovvero innanzitutto le banche francesi e tedesche.

L’accordo raggiunto fra il presidente Nicholas Sarkozy e la cancelliera Angela Merkel è stato di accettare tale sacrifici, riversandoli in ultima istanza sui propri contribuenti, per evitare conseguenze ben peggiori per i rispettivi cittadini e provare dunque a vincere le prossime elezioni».

«Si tratta di errori strategici perché se chi prende dei soldi in prestito si indebita a tal punto da causare una grave crisi finanziaria i costi che ne conseguono devono essere riversati su di lui, non certo su coloro che gli hanno dato i soldi».

Si può verificare un “corto circuito” causato «dalla facilità con cui i governi chiedono ai cittadini di affrontare sacrifici paventando il rischio del peggio, dalla ritrosia a varare le riforme finanziarie per scongiurare gli eccessi e dall’assenza di produttività che distingue due aree economiche del Pianeta, gli Usa e l’Europa del Sud».

Un po’ come dire che non sia un caso che, in USA la gente sia scesa in piazza contro gli speculatori ed abbia impedito che “restassero in sella”, in Cina Popolare di tanto in tanto li condannino duramente a furor di popolo, in Russia ed altrove è il sistema “mafioso” che provvede a riguardo. Del resto, come pensare altrimenti: la Merkel arriva dai Popolari tedeschi di guelfa e populista memoria e molto simile è l’entourage che sostiene Sarkozy.

In Europa, evidentemente, siamo abbastanza ricchi per pagare sufficienti tasse e mantenere sia la Casta sia il Degrado sia il Disinvestimento, come il meridione d’Italia sa bene.

Gianfranco Fini e l’assordante silenzio dei media

21 Lug

Nel marasma generale che attraversa il paese, pochi ricordano che esiste anche Futuro e Libertà e, se questo accade, è per spettegolare sui fatti familiari o per rammentarne le origini fasciste.

Nessuno ricorda che Fini ed i suoi lasciarono il partito a causa del chiacchierato stile di vita berlusconiano e dell’inazione governativa dinanzi alla crisi ed ai problemi strutturali del paese. Quanto al “fascismo”, prendiamo atto che nel PD, pur avendo abiurato il comunismo, continuano a chiamarsi compagni e che Fini è stato ricevuto in Israele con chiara cordialità, mentre per D’Alema ricordiamo come è andata …

Un conto sono le trame da salotto ed i mal di pancia del popolo-bue, un altro le contingenze storiche, sociali e d economiche. Ambedue contribuiscono al verificarsi dei noti “corsi e ricorsi”, ma i primi sono eventi casuali che attivano altri eventi, i secondi sono cause strutturali e congiunturali.

E’ evidente che la “scomparsa” di FLi dipenda, anche e soprattutto, da un gioco mediatico, dove Mediaset berlusconiana e RAI partitocratica possono permettersi di oscurare un partito che ha in parlamento lo stesso peso dell’UdC di Casini così in voga.

E’ altrettanto evidente che l’ostracismo che gli altri partiti mostrano verso FLi sia dovuto al fatto che lo “strappo di Fini” abbia violato le regole consociative della Casta, mettendo a rischio la longevità delle poltrone e la dinamica “governo impotente – opposizione sterile” così cara ai Trasformisti.

Eppure, tra le poche certezze che abbiamo in questo avvio di III Millennio c’è che:

  1. l’Italia non è più cementificabile ed è ridotta ad uno sconcio
  2. i mercati finanziari ed il sistema euro-dollaro non sono più in grado di sostenere le nostre scelleratezze, visto che rappresentiamo 1/4 dell’intero debito pubblico europeo
  3. il valore della produzione agricola cresce nel mondo e non possiamo più permetterci di affossare il Sud per sostenere l’agroalimentare (cooperativo) del centronord
  4. la strutturazione della pubblica opinione tramite i media televisivi e telematici è diversa da quella dell’epoca dei giornali, delle radio e dei comizi e non possiamo permetterci un sistema di informazione della pubblica opinione che somigli ad un continuo comizio

Dunque, il partito dei palazzinari e delle opere pubbliche non dovrebbe avere più mucche da mungere, come quello delle quote latte, delle coop e delle onlus, e  la comunicazione politica ed istituzionale (RAI inclusa) deve rientrare nei limiti e nella correttezza che la caratterizzano negli altri paesi democratici.

Fini, Bocchino e Della Vedova questo l’avevano capito ed hanno agito di conseguenza, tanti altri parlamentari, gli editori e molti italiani no: credono ancora nel partito trasversale del mattone, del sussidio e dello sgravio.

Intanto, i mercati incalzano.

Brandelli di governo

21 Lug

Ieri, la Camera votava l’autorizzazione a procedere per Alfonso Papa (PdL), presunto lobbista e corruttore, mentre, quasi in simultanea, il Senato la negava per Alberto Tedesco (PD), indagato anche lui per reati di corruzione.

Due pesi e due misure? E’ evidente, specialmente se consideriamo che la stessa Camera, un anno e mezzo prima, non concedeva la stessa autorizzazione per Nicola Cosentino, sottosegretario di governo e parente acquisito di diversi camorristi, su richiesta della Direzione Antimafia, nonostante la Corte di Cassazione avesse confermato le misure cautelari a carico di Cosentino.

Dunque, non illudiamoci: l’eccezionale istanza di legalità che ha spinto i deputati ad autorizzare le richieste della magistratura è, piuttosto, l’effetto di un patto trasversale, finalizzato a mettere fuori gioco il PdL di Berlusconi ed a favorirne la trasmigrazione verso l’UdC e la Lega.

D’altra parte, sono i volti ed i nomi dei “moderati” Maroni e Casini a mostrarsi sempre più spesso nei commenti e nei servizi d’approfondimento: la voglia di un governo tecnico con Tremonti per votare entro novembre del 2012 è forte, anzi fortissima.

Se così non fosse, ci toccherebbe, nella primavera del 2013, andare a votare in successione, mentre c’è da eleggere il Presidente della Repubblica, per il Parlamento europeo, per quello italiano e per governi locali di primo piano, come Roma ad esempio.

Sarebbe follia andare a votare in quelle condizioni, con Lega, UdC, PD e IdV arroccati sulle poltrone parlamentari, FLi e SeL emarginate dal dibattito e gli italiani imbufaliti, specialmente se, nel frattempo, c’è ricollocare cariche e prebende in comuni e provincie.

Sarà, dunque, governo tecnico, ma quale?

E’ molto difficile, grazie al niet dalemiano verso FLi, che si possa seguire la “via istituzionale”, con Fini a capo di un governo che scriva una legge elettorale “efficiente” e ci porti al voto e con Tremonti a capo del MEF, a tal punto obbligato a mantenere ciò che ha promesso, per nostro conto, all’Europa.

E’ molto probabile, stante la palese convergenza di interessi e territori tra Lega e PD, che si opti per un governo “di transizione”, in modo che sia guidato da un premier molto più “innocuo” di Fini, che provveda a ripristinare il Mattarellum, che, ricordiamolo, consentiva ogni tipo di ribaltone. Anche in un governo “di transizione”, Tremonti continuerebbe a restare al MEF, ma libero di proseguire una politica finanziaria che, dopo 15 anni possiamo iniziare a rilevarlo, procede a tentoni, senza una strategia generale, delle linee guida, degli interventi coordinati, il reinvestimento di parte delle economie (caso mai realizzate).

Questo è il timore dei mercati: la possibilità che resti in sella l’Italia del trasformismo, dell’assistenzialismo e del consociativismo, così ben rappresentata dalla Lega delle quote latte e dei vini doc, dal PD  delle coop e delle onlus e dall’UdC dei palazzinari e delle acque minerali.

A dire il vero, più che una possibilità sembra una catastrofica certezza, visto che i media continuano a dare spazio agli scandali, quasi fossero una giostra fatale, e non a quello che non funziona ed alle riforme che dovremmo affrontare.

Disamina del debito italiano

13 Lug

Allo stato attuale della situazione italiana, dovremmo iniziare a porci seri dubbi sul fatto che l’incapacità del nostro Paese nel reagire pienamente alle crisi, nel recuperare un debito pubblico esagerato, nel concertare e varare riforme, nell’offrire ai cittadini proposte e rappresentanti politici credibili possa essere un effetto di un “difetto strutturale” piuttosto che la causa dei nostri mali.

Non è un caso che dal Trasformismo uscimmo, per modo di dire, arrestando l’emorragia con i Regi Decreti Contabili di fine ‘800, e nel Trasformismo siamo ricascati grazie agli stessi decreti che stanno permettendo al MEF di Tremonti, come quello di Visco prima, di congelare una crisi strutturale che, comunque, prima o poi dovrà arrivare alla resa dei conti.

Parliamo di una struttura ministeriale e di un sistema dei conti, che all’apparenza somigliano al sistema francese, ma che nel concreto vanno a costituire una sorta di “stato maggiore” che monitora e determina senza mai aver operato direttamente nei settori di cui si occupa ed un sistema di conti che, grazie al sistema ordinativo ed alle contabilità speciali, deresponsabilizza i dirigenti pubblici e dilaziona le spese su archi a volte quinquennali.

Da qui discende il principale problema del debito pubblico italiano: la velocità e la capacità di accertarlo correttamente: una questione sia legislativa sia gestionale.

Infatti è ormai sotto gli occhi di tutti di come si sia creata una casta di “numerologi” che continuano a fornire dati palesemente inesatti, sulla base dei quali i nostri ministri legiferano, preferendo la fedeltà di fazione alla Ragione ed alla Logica.

Non dimentichiamo che la scuola sta, incredibilmente, decurtando ben 200mila opportunità di lavoro per laureati, mentre si dimentica, tagliando amministrativi e bidelli, che sono una media azienda con circa 100 dipendenti, almeno 1/2 milione di euro di movimentazione finanziaria, che deve garantire la sicurezza di 6-800 minori per almeno 1000 ore all’anno.

Oppure, dei tagli alle forze dell’ordine, senza una cifra o due zeri accanto che ci dicano quanto servirebbe se volessimo “solo” pattugliare le autostrade come altrove, quanto dovremmo spendere annualmente in formazione degli agenti, quanto ci costa la “guerra alla mafia” od il controllo alle frontiere.

Visto che esiste ancora il ministero, sarebbe interessante conoscere quanto costa la Sanità regione per regione, quanto pesano gli sgravi per le spese di farmaci e se la gente li richiede, quanto costa una determinata terapia da regione a regione, quanto ci costano gli interessi sulle fatture inevase.

E perchè  non chiederci come si spenda nei trasporti delle partecipate pubbliche (FS, ANAS, Tirrenia, COTRAL, Autostrade, ATM eccetera), quando renda Equitalia ed il sistema dele concessioni pubbliche per non parlare di come gli enti locali usino i fondi, visto che i servizi essenziali sono sempre più spesso “a progetto” e finanziati con il Fondo Sociale Europeo.

Sono tante domande non poste o non risposte, cui il nostro sistema di monitoraggio che fa capo al MEF dovrebbe dare seguito con credibilità e solerzia.

E’ di pochi giorni fa un’interrogazione parlamentare dove si chiede ragione dell’operato, e dell’utilità, di ben quattromila funzionari del MEF “prestati” ad altri ministeri, dove (ovviamente?) ricoprono spesso posizioni dirigenziali  a tempo determinato, che però si replicano ormai da circa 6 anni.

Seppur vero che, dal 1886 ad oggi, i Regi Decreti Contabili ci hanno evitato il default, sono molti i danni causati con il loro accentramento e con l’indeterminato tempo di erogazione che ne consegue.

Ad esempio, contribuiscono ad azzerare sia l’azione di singoli politici preparati e sia, soprattutto, la stesura di programmi di governo e governance che abbiano un minimo di credibilità, ammesso che esistano dei conti corretti.

Inoltre, hanno provocato, inevitabilmente, una deformazione del libero mercato delle imprese, dato che alcune si sono trasformate in modo da raccogliere commesse pubbliche che verranno pagate con forte ritardo, mentre altre non sono interessate ad interagire più di tanto con la Pubblica Amministrazione. In un paese dove si parla spesso di “infiltrazione mafiosa”, dovremmo ben guardarci da questa prassi.

Oggi, il governatore Draghi ha detto chiaramente che “o si taglia o si alzano le tasse”, ovvero o decidiamo di operare con serietà congegnando un sistema pubblico credibile nelle decisioni e capace nel realizzarle oppure saremo costretti ad una patrimoniale ogni 20 anni, almeno per rimettere a posto i conti e continuare a dilapidare più o meno allegramente.

Una soluzione, la seconda, che potrebbe apparire lusinghiera alla finanza pubblica della Seconda Repubblica che si è sempre ispirata ad un approccio “di cassa”, dai condoni e le (s)vendite patrimoniali alla deregulation federalista ed all’esternalizzazione dei servizi.

Una soluzione impraticabile, la prima, se non abrogando gli ultimi residui di un Regno d’Italia assai poco fortunato e rischiando il default e lo scontro sociale, ma rilanciando la presenza italiana nel Mediterraneo e rimuovendo le cause che alimentano mafia, corruzione ed evasione fiscale, che appaiono ormai come un fenomeno unitario.

C’è, anche, una terza soluzione, non contemplata del futuro presidente della banca Centrale Europea: fare poco o nulla dando poi la colpa all’Europa, come in Grecia.

E’ questa la questa è la piega che vorrebbe prendere la nostra politica ed è per questo i mercati ci sfiduciano.

Il lunedì nero di un’Italia delusa e deludente

11 Lug

Dopo il venerdì nero, con la Borsa italiana che aveva ceduto oltre il 3, 24%, arriva il lunedì nero di Piazza Affari, con una perdita che si aggira intorno al 4,5%, per un totale in rosso di circa l’8% in due giorni effettivi.
I dati parlano chiaro, Intesa, CIR e Unicredit cedono rispettivamente il 6%, il 7,55% ed il 4,75%, Mediobanca e Telecom Italia sospendono il titolo per eccesso di ribasso.
Ed anche i commenti non solo lusinghieri, se la Merkel esordisce con un “piena fiducia all’Italia”, dopo aver dato “piena fiducia” a Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia … una fiducia che lo stesso Presidente Giorgio Napolitano condiziona ad un “se siamo seri, non ci dobbiamo preoccupare”.

Chi si preoccupa è Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: «In un momento difficile come questo, dove tutti i Paesi europei, e anche l’Italia, sono chiamati a gestire situazioni complesse anche per le turbolenze dei mercati finanziari, credo sia opportuno riunirsi intorno ai simboli del nostro Paese e lavorare tutti assieme nella stessa direzione per difenderlo e costruire un futuro migliore per i nostri figli».
E come non potrebbe, se i segnali sono precisi ed incontrovertibili.

Da Luca di Montezemolo, che aveva commentato le misure di Tremonti definendole un “minimo sindacale”, a Calderoli, che in un momento simile pretende di spostare a Monza tre ministeri (Economia, Semplificazione e Riforme), per non parlare dell’asse Pd e Udc, che ritiene questa manovra sostanzialmente soddisfacente.
Oppure il Brunetta dell’altro ieri e dei tagli alla spesa per la Funzione Pubblica, che ammonterebbero a soli 600 milioni nonostante la forte incidenza sul deficit, oppure, ancora, l’ostinazione a non riformare il sistema delle Regioni e delle Provincie, che, oltre ai noti dissesti e disservizi, ci costa un’enormità di risorse, assorbite dalla politica, ovviamente, visto il notevole numero di addetti.
Per non parlare degli Enti, che hanno tutti rilevanti oneri per pagare il consiglio di amministrazione, il personale e mica troppo altro, oppure delle pensioni, che sono intaccabili, se di 1.400 euro, ed intoccabili, se oltre i 2000 euro al mese.
Per finire agli scellerati tagli sulle scuole (ormai siamo ad 1 solo bidello per 100 alunni), all’oblio delle politiche giovanili (come se il futuro appartenesse ai nostri sessantenni di partito), all’assenza di interventi strutturali (in un paese che cade a pezzi).

E’ evidente che la finanza internazionale dubiti a fronte di manovre, che continuano a raschiare il fondo del barile senza riforme e senza innovazioni, e di prebende, che continuano ad esistere, come le pensioni d’annata, le quote latte, il costo della politica, l’inefficienza pubblica.

Certo, come ricorda il Presidente Napolitano, “serve coesione nazionale”, ma, forse, avremmo bisogno di un altro parlamento, eletto con nuove regole, e di altri governi nei ministeri come nelle regioni.

Non è un caso che l’Italia di Bersani, Tremonti, Bossi, Casini e Berlusconi ha la “piena fiducia” di Angela Merkel, ma probabilmente non quella degli italiani  a cui , incredibile ma vero, avevano annunciato, solo poche settimane fa, un taglio delle aliquote fiscali e/o una sorta di patrimoniale …

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