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Concessioni balneari, l’estensione è costituzionale?

10 Lug

Il Decreto Rilancio del  Governo Conte ha esteso fino al 2033 (cioè per oltre 20 anni) l’estensione delle preesistenti concessioni agli stabilimenti balneari.

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Nel 2016 la Corte Europea (sentenza qui) rilevava che “il rilascio delle autorizzazioni per lo sfruttamento economico delle spiagge “deve essere oggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e trasparenza, in particolare un’adeguata pubblicità”.
E aggiungeva che “la proroga automatica delle autorizzazioni non consente di organizzare una tale procedura di selezione”, come ogni forma rapporto tra bene pubblico e imprese private: la trasparenza e la parità dinanzi alla legge che la nostra Costituzione enuncia, insomma.

Fatto sta che l’Italia non riesce a rinnovare una concessione con un bando di concorso e non sa fare altro che ricorrere alle proroghe.

Dunque, la ‘Bolkestein’ c’entra poco o nulla ed il problema non è solo se la “la legge italiana sia conforme al diritto della Ue“, ma se il Decreto Rilancio che verrà ottemperi all’art. 117 della Costituzione.

Lo Stato ha legislazione esclusiva per la tutela della concorrenza e per il sistema tributario e contabile dello Stato … nel rispetto della Costituzione (art. 41 “L’iniziativa economica privata è libera” e art. 97 “siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”), nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Bene ricordare che la Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 14 luglio 2016 fu emessa su istanza italiana, tra cui quelle dei Tribunali Amministrativi Regionali per la Lombardia e  per la Sardegna riguardo “concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali che presentano un interesse economico.

“Seguiamo da vicino la situazione per risolverla al più presto”, ha indicato la portavoce della Commissione UE  rispondendo a una domanda sull’estensione delle concessioni fino al 2033.
Infatti, il nuovo Decreto Rilancio non è ancora in Gazzetta Ufficiale e … vedremo cosa effettivamente ci sarà scritto.

Demata

La Diaz, le torture, i responsabili e l’interesse pubblico

10 Apr

La sera del 21 luglio 2001, il Reparto mobile di Roma seguito poi da quello di Genova e Milano fecero irruzione nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, che ospitavano un centinaio di attivisti, tra cui molti stranieri, del coordinamento del Genoa Social Forum, mentre mentre alcuni Battaglioni dei Carabinieri circondavano gli edifici.

All’operazione di polizia prese parte un numero tutt’oggi imprecisato di agenti e, sulle informazioni fornite durante il processo dal questore Vincenzo Canterini, lo stima in circa “346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici”.
Dalle indagini venne anche a galla che si trattava in realtà di un gruppo misto di poliziotti sia della Mobile sia della Celere, di cui non pochi provenienti dal disciolto Nucleo Anti-sommossa di Roma.

Personale, dunque, più che esperto ed abituato a gestire situazioni delicate e scontri di piazza. Peccato che un bel tot di loro si fossero aggregati all’irruzione spontaneamente.

Così accadde che durante l’irruzione gli agenti di polizia aggredirono chiunque si trovasse nella scuola, l’assalto e la prima fase di detenzione furono particolarmente brutali, con percosse e maltrattamenti durati ore, come anche cure e soccorsi negati.
Su un totale di 93 arrestati le persone ferite furono 82, di cui 19 non furono portati in ospedale, bensì nella caserma della polizia di Bolzaneto dove i maltrattamenti proseguirono.
Il cancello si apriva in continuazione – racconta il poliziotto – dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli… insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto”. (La Repubblica)

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Le motivazioni della sentenza di primo grado riportarono che «l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto, deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell (ndr. ridotto in coma) e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati.»

Ed, infatti, i funzionari presenti sul posto hanno preferito subire condanne per falso aggravato, piuttosto che rivelare l’identità dei quasi quattrocento agenti in tenuta antisommossa che quella notte attuarono “la più grave sospensione dei diritti umani in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Nessuno si è fatto avanti neanche per il tentato omicidio del fotoreporter inglese Mark Covell, aggredito neanche all’interno dell’edificio, riportando danni alla spina dorsale, e lasciato a terra senza essere soccorso per venti minuti, poi in coma profondo per 14 ore.

A conclusione dell’iter processuale, oltre alla diffusa non indentificazione degli autori, accadde che andarono prescritti i pochi reati (gravissimi) che era stato possibile attribuire ad ufficiali di polizia.
Nella sentenza definitiva, la Corte di Cassazione precisò che gli imputati avevano dato vita ad una “consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il deposito degli atti in Procura”.

Il 7 aprile 2015 i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno condannato all’unanimità lo Stato Italiano per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, perchè l’operato della Polizia di Stato nella scuola Diaz la sera del 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”.

La Corte di Strasburgo ha sottolineato che, di fronte al semplice sospetto di gravi abusi commessi da appartenenti alle forze dell’ordine, la Convenzione dei Diritti dell’uomo prevede l’allontanamento degli stessi dalle posizioni che occupano già nella fase d’indagine.

Invece, ancora nel luglio 2012, quando la Cassazione confermò le pesanti condanne di appello per falso aggravato (le uniche sopravvissute alla prescrizione), Franco Gratteri era il capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde, Filippo Ferri, il più giovane, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario alla giustizia, guidava la squadra mobile di Firenze”: solo l’interdizione dai pubblici uffici obbligò il ministero ad espellerli.

Nessuno dei condannati ha fatto un giorno di carcere, grazie ai tre anni di sconto per l’indulto approvato nel 2006, nessuna interdizione per gli otto capisquadra condannati e prescritti per le lesioni causate dai loro sottoposti.

Che a pagare debba essere solo il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Polizia, non è certamente giusto: caso mai seppe qualcosa è probabile che anche a lui abbiano imbastito il mare di sciocchezze portate poi davanti ai giudici. L’allora sovrintendente alla struttura di Bolzaneto,  Alfonso Sabella, è assessore alla Legalità del Sindaco Ignazio Marino al  Comune di Roma, ma è pur vero che fu l’unico a rinunciare alla prescrizione per concorso in lesioni.
D’altra parte … che dire se, addirittura, la sentenza della Corte europea tiene a precisare che il governo italiano non ha neanche mai voluto informare i giudici di Strasburgo circa le sanzioni disciplinari adottate.

Qualcuno pensa che i circa 400 della Diaz agirono nell’interesse pubblico? Se non pagano loro, trattandosi di tortura, a maggior ragione tocca ai loro dirigenti per quello che accade, per quello che non seppero prevenire e per quello di cui non pervennero a conoscenza durante e dopo i fatti. Inutile appellarsi a sentenze e tribunali o prescrizioni: non parliamo di reati, ma di RESPONSABILITA’.

Original post by Demata