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Lavoro, salari e istruzione in … un paese di licenze medie

22 Set

In Italia gli scolari tra i 7 e i 14 anni passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, eppure le competenze da Firenze in giù sono anche fortemente inferiori alla media europea (circa 200/500), arrivati alle superiori il tasso di abbandono scolastico è al 17,6% (media UE  12,8%) , i diplomati 21,7% (media UE 35,8%)

Nell’Unione europea il 36% di giovani tra i 30 ed i 34 anni ha concluso con successo il percorso universitario (+8% rispetto al 2005 secondo Eurostat), l’Italia annovera un misero 21,7%, a fronte di un preciso obbiettivo UE di raggiungere il 40% di laureati entro il 2020. Inutile dire che attualmente l’Irlanda laurea il 51,1% dei suoi giovani, Gran Bretagna è al 47,1%, la Francia al 43,6% e la Spagna al43,1%, mentre la Polonia arriva al 39,1% e la Germania segue al 31,9%, come anche che … spesso e volentieri si tratta di lauree tecniche e scientifiche.

Andando alle politiche del lavoro e del welfare, è evidente che la questione ‘scolarità degli italiani’ è ragguardevole: siamo un paese di licenze medie dove solo un cittadino su cinque consegue un diploma, per altro di bassa qualità, e solo uno su venti ha una laurea.

Giocoforza va che i primi non possano generare redditi lordi mediamente superiori ai 16.000 euro annui, i secondi forse potrebbero attestarsi – a fine carriera – sotto  i 30.000 annui, i terzi oltre i 40.000 ed entro i 70-80.000: un paese povero di risorse umane qualificate non potrebbe permettersi di più con i propri lavoratori dipendenti.

Se andiamo a vedere i redditi e le pensioni, però, in Italia non va affatto così: gli stipendi di chi lavora sono più alti e ancor di più, in proporzione, lo sono le pensioni.
Difficile prevedere che tutto questo possa durare ancora per molto, mentre – dopo accorati e ventennali appelli – sembra che si appresti un’Europa non solo delle banche ma anche del lavoro, della PA e della previdenza/sanità, attraverso la prassi dei costi standard.
Trecento milioni di abitanti e centinaia di migliaia di imprese e amministrazioni bastano e avanzano per stimare quale sia il valore in euro del lavoro, delle pensioni, delle casse, dei servizi sanitari, delle scuole eccetera.

Dicevamo dei bambini italiani tra i 7 e i 14 anni che passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, mentre spendiamo solo il 4,2% del PIL nell’istruzione e obblighiamo il personale scolastico a lavorare a vita, con alunni e famiglie che progressivamente si ‘adeguano’ al clima ddi microillegalità diffusa.

Per far ripartire la scuola italiana basterebbe una sola annualità di quanto versiamo nel vaso di pandora della Sanità italiana.
Una spesa eccezionale inferiore ai 100 miliardi su cinque anni – molti meno di quanti abbiamo dissipato inutilmente finora – per creare scuole digitali (30 miliardi?), ripianare i buchi nell’ex Inpdap e ripristinare per i docenti un sistema di pensionamento anticipato (45 miliardi?), dotare le scuole di autonomia vera e dirigenti a pieno titolo, laureare tutti i docenti, informatizzarli per davvero e fargli imparare almeno una seconda lingua.

Abbiamo da raddoppiare il numero di laureati (e di diplomati) in sette anni …

Originally posted on Demata

 

Lavoro, economia, dignità umana, le riforme e … i dettagli che mancano

22 Set

“In queste ultime settimane nelle case degli italiani ritorna un assillante messaggio trasmesso giorno e notte dai tg di ogni rete e di ogni tendenza : il lavoro e l’abolizione dell’art.18. … Già oggi si contano a migliaia le persone licenziate e cassintegrate: chi non ce la fa si toglie la vita, i giovani se possono vanno all’estero, altri entrano nella criminalità per sopravvivere.
… Parlassero pure di lavoro nelle ovattate e distaccate aule del potere, ma un’economia che non rispettasse più la dignità della persona sarebbe già morta nel suo nascere e già morte sono le sue prospettive future.”

Questo un recente e fotografico commento di un noto opinionista romano, Corrado Stillo, che ben delinea quale sia lo smarrimento di tanti italiani dinanzi alle notizie – piuttosto confuse a dire il vero – che arrivano dai media riguardo il lavoro in Italia.

Nessuno dei nostri media ha dato particolare enfasi a:

  1. la norma vigente in Italia è unica al mondo, a fronte di diritti dei lavoratori piuttosto scarsi a confronto degli altri paesi europei
  2. la cassaintegrazione (che garantisce il salario ma non il lavoro) non ottempera all’art 4 della nostra Costituzione, per il quale “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro” e soprattutto “promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, cosa ben diversa dal creare una massa di inoccupati salariati (cassaintegrati), una schiera di disoccupati periodici sussidiati (edilizia, agricoltura, manifatture) e un gulag di ‘senza diritti’ fatto di casalinghe e giovani, cui si sono aggiunti i precari odierni ormai di mezza età
  3. l’economia non si occupa della dignità della persona. Al massimo la mercifica, con il beneplacito di tutti, dato che nessuno oggi sa più come affilare una lametta, rammendare un abito, produrre sapone o cibo da se, costruirsi un tetto che non sia un gazebo da assemblare. In una società che produce in eccesso (è così da 100 anni circa) il ‘valore’ primario è lo scambio in se (di cui il denaro è codicillo e simulacro) e non l’Uomo e cosa possiede per le proprie necessità … dato che – come detto – oggi tutti viviamo nel lusso sfrenato se confrontati con coetanei di 30-40 anni fa
  4. non è il lavoro che rende una persona degna, anzi non sembra contribuirvi in alcun modo se non incrementando il ciclo frustrazione-desiderio. Il lavoro è uno scambio di prestazioni per denaro o altre utilità. Altro è l’essere operosi e contribuire al bene comune, di cui la nostra Costituzione fa menzione
  5. molti di noi credono che stiamo parlando del sistema ‘amerikano’, capitalista, materialista, liberista, che cancella identità, diritti e tradizioni, fatto sta che, al di fuori della previdenza sociale per le fasce a rischio, uno Stato dell’Unione Europea non gestisce direttamente il lavoro, la previdenza, la sanità e l’istruzione: è per questo che l’Inps, le ASL, le scuole, gli Enti, le Università, i Musei, le Aziende eccetera sono stati – almeno nominalmente – privatizzati o resi autonomi, nei primi anni 2000
  6. il problema del ‘lavoro’ non sta nel ‘capitale’, ma nella ‘fabbrica’ e nella sua gerarchia (Klein e Chomski definiscono il lavoro come uno spazio ‘a democrazia limitata’, figuriamoci dove bisogna adeguarsi alle ‘macchine’ e ai ‘mercati’, ben più esigenti dei ‘padroni’ del tempo che fu
  7. una società equa, ma anche economa, dovrebbe prevedere il turn over (non il pensionamento) degli operai dopo 15-20 anni di quella vita. Ed a ben vedere, nel resto dei paesi europei troviamo (tanta) gente che a 20 anni faceva l’operaio, a 30 il tassista o il franciser, a 40 imprenditore, a 50/55 è felicemente a riposo …

Morale della favola: cosa ci sarebbe di male se un dipendente licenziato ‘per esuberi /tagli’ del personale incassasse 20-30mila euro in contanti, con cui avviare un’attività e ‘liberarsi dalla fabbrica’?
E dove sarebbero gli svantaggi, se potesse contare COMUNQUE su un salario minimo, su un sistema previdenziale e sanitario a capitale pubblico ma erogato da privati e su quel minimo di contrasto dell’illegalità e del degrado che attrae investimenti (scambi) ovvero ‘lavoro’ e ‘piccola impresa’?

In Olanda come in Germania o Giappone e USA, e persino in Spagna o forse domani anche in Cina, funziona che in caso di licenziamento non c’è reintegro, eccetto la vessazione, ma in compenso c’è un indennizzo abbastanza congruo (una o due annualità) e non sono pochi quelli che si ‘mettono in proprio’. Chiaramente a condizione che nel loro paese la spesa pubblica non metta in ginocchio la nazione, portandola alla recessione e alla stagnazione …

Piuttosto, ritornando alle opportunità che lo Stato italiano dovrebbe promuovere … se in una regione smobilità un comparto perchè la globalizzazione sta progressivamente ripristinando le centralità europee e mondiali preottocentesche, cosa diciamo alla gente? Che li cassaintegriamo tutti per 40 anni e poi … amen, un paese di vecchi dove si vende la merce sotto costo?

E’ vero, “un’economia che non rispettasse più la dignità della persona sarebbe già morta nel suo nascere e già morte sono le sue prospettive future.”
E’ esattamente quello che ha fatto l’Italia dimenticandosi dei giovani, delle donne, delle famiglie, delle periferie, della meritocrazia, dell’innovazione e – tra i tanti esempi possibili – tutelando per anni l’occupazione di Alitalia con centinaia di milioni annui di costi a carico del MEF, devastando le città con enormi agglomerati di case popolari destinate – spesso – a persone che un lavoro vero non l’hanno mai trovato, almeno stanto ai ‘requisiti’, mantenendo in piedi un carrozzone RAI con decine e decine di canali , sedi e dipendenti, rivalutando le pensioni da lire ad euro in base al potere d’acquisto e non alla rivalutazione effettiva, destinando miliardi di euro alla cassaintegrazione a carico dell’Inps ma senza reintegrare le somme … eccetera eccetera.

Detto questo, c’è un’unica critica veramente fondata verso la riforma del lavoro di Matteo Renzi – sia per quanto riguarda l’economicità complessiva sia per quanto relativo alla dignità umana – per il fatto che non prevedere una contemporanea riforma del sistema previdenziale, ovvero salario minimo e condizioni per l’anticipazione del pensionamento.
Questa carenza incrementa le ansie degli italiani ed andrebbe chiarita prima possibile, ma è presumibile il governo stia aspettando perchè, da quello che si è letto sui giornali negli ultimi anni, i sindacati pensano di potersi ancora opporre strenuamente a difesa dello status quo pensionistico vigente.

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