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Istituto per il commercio estero: dare ai ricchi levando ai poveri

7 Feb

L’Istituto per il commercio estero (ICE) era stato soppresso dal governo Berlusconi e pochi mesi dopo resuscitato da Mario Monti, in quota al ministero dello Sviluppo Economico guidato da Corrado Passera, con (in teoria) 300 dipendenti ed un consiglio di amministrazione di 5 membri.

Dopo meno di due anni, il redivivo ICE finiva sulle pagine di Linkiesta (2012/06/14): “anche a non voler prestare ascolto alle accuse di assunzioni pilotate, personale gonfiato a dismisura e preparazione inesistente, i numeri parlano chiaro. Le cifre del “Piano Performance 2011-2013” evidenziano che nel 2010 sono stati spesi «54 milioni di euro per il 2010 di risorse per il finanziamento del piano di attività promozionale» e «79 milioni di euro per il 2010 di risorse per il funzionamento dell’ICE», con 679 dipendenti sparsi in 115 uffici in 86 Paesi, con una retribuzione media annua di 43mila euro.

Oggi, ad anni di distanza l’ICE esiste ancora e continua ad assumere, con nuovi scandali che si aggiungono ai precedenti.

C’è la strana storia dei 19 dipendenti di Buonitalia per chiamata diretta e poi assunti da ICE senza concorso e con una retribuzione superiore a quella dei propri dipendenti, grazie alla legge di stabilità 2014 che autorizza le assunzioni in sovrannumero, mentre c’erno 107 vincitori di concorso in attesa di posti disponibili.

E dato che ICE resisteva, dopo qualche tempo, un giudice del lavoro ha condannato l’Ice a pagargli anche gli arretrati, perchè «le norme hanno sì previsto una procedura selettiva di idoneità», ma «temporalmente e logicamente successiva al trasferimento».
Prima si assumono e poi si verifica che siano adeguati.

L’incredibile accade dopo, quando nessuno degli ex dipendenti di Buonitalia ha superato il concorso.
Giustizia fatta? Non ancora … perchè i dipendenti ex Buonitalia ricorrono al TAR del Lazio.

Oggi, ci troviamo a leggere sul Corriere della Sera che “si stenta a credere che un giudice possa cancellare una «procedura selettiva» per l’assunzione in un ente pubblico a causa delle prove troppo dure. Eppure al Tar del Lazio è accadutoche la selezione sia stata particolarmente rigorosa è attestato dal mancato superamento da parte di alcuno degli ex dipendenti di Buonitalia spa della selezione ivi contestata, il che appare un esito alquanto anomalo”.

E prendiamo atto che dal 2010 ad oggi l’ (ex soppresso) Istituto per il commercio estero è costato al Bilancio dello Stato quasi mezzo miliardo di euro se non di più, mentre solo dopo cinque anni dalla crisi il nostro ministero del Lavoro inizia a cercare ‘spiccioli per i poveri’ … che tanto sono – a confronto dell’ICE e di altri enti simili – i 320 milioni di euro promessi di recente dal Governo Renzi. Per non parlare dei salvataggi miliardari di banche, casse ed istituti …

Quanta miseria e quanta tragedia avremmo alleviato in questi cinque anni, solo mantenendo la soppressione dell’ICE decisa nel 2010?

Demata

Renzi e le riforme che farà

14 Feb

I dati delle elezioni del 1992 furono l’ultimo atto della Prima Repubblica ed in essi è sugellato alla Storia il quadro – ferale ma bellamente ignorato – di una egemonia di consensi tanto ‘riformista’ quanto poco  ‘di apparato’, visto che i consensi ‘a sinistra’ videro, alla Camera, Occhetto (PDS) fermo a 6,3 milioni di voti, il PSI di Craxi a 5,3 e il PRC a 2,2 milioni, i Verdi poco oltre il milione.

Da lì prese avvio la Seconda Repubblica, erano almeno 14 milioni di voti, dopo 20 anni – nel 2013 – erano poco più di 10 milioni …

L’odierna Sinistra Ecologia e Libertà è riuscita a dilapidare un patrimonio di oltre 3 milioni di voti (PRC + Verdi nel 1992), divenuti meno di un milione nel 2013, mentre alle ultime elezioni tedesche Linke e Grunen – nonostante la batosta – hanno assommato comunque il 20% delle preferenze. Praticamente quanto oggi raccolto dal Movimento Cinque Stelle …

Quanto al Partito Democratico, oggi raggiunge circa 10 milioni di preferenze, più dei sei del 1992, ma molto meno di quanto raccogliessero PDS e PSI. In Italia, come in Germania per l’odierna SPD, quella che risulta determinante è l’incapacità di attrarre il voto moderato e di formulare strategie di politica economica.

Jean Ziegler – allorchè cadde il Muro di Berlino ed ebbe inizio la Globalizzazione – preannunciò questa crisi della ‘sinistra’, sia in ragione dell’ampio spread di diritti, tutele e benefit di cui godono i lavoratori europei (ma non nel resto del mondo) sia perchè la fine dei ‘blocchi ideologici’ avrebbe affievolito il ‘legante’ che finora aveva accomunato ceti medi e ‘dananti della terra’.

Enrico Letta poteva essere il protagonista di questo cambiamento, traghettando le istituzioni (e la Sinistra che ne ha fortemente condizionato l’attuale status) verso un sistema di governance che permetta la cosiddetta ‘alternanza’ senza escludere le minoranze di una certa entità e verso un  Progetto Italia che non pensi solo a consolidare il denaro ma anche e soprattutto a farlo circolare.

C’era da far la voce grossa in Europa – con ottimi alleati in Gran Bretagna, Francia e Strasbourg – e c’era da por mano alla ridondante questione romana (INPS, Alitalia, debiti comunali, legge sui rifiuti, Bankitalia, vendite e concessioni demaniali, eccetera), c’era da dar respiro ad un’Italia che produce e arranca, senza che vi sia almeno un termine prefissato per misure (ndr. quelle di Monti e Fornero) che non possono essere ragionevolmente durevoli, e c’era da dar speranza a quanti – troppi – non hanno il lavoro, la cura o la pensione che gli spetterebbe con le tasse che ci fanno pagare.

Enrico Letta non l’ha fatto e, in mancanza di altri parlamentari proponibili, arriva Matteo Renzi.

Per fare cosa?
L’agenda è già scritta dagli errori e dalle esitazioni di chi l’ha preceduto, ovvero dall’urgenza:

  1. risolvere il brutto pasticcio delle pensioni e del conseguente blocco del turn over e dell’innovazione
  2. alleggerire l’impianto dei contratti nazionali e della filiera negoziale, per facilitare gli sgravi fiscali, il sistema di premialità, gli accordi locali, la flessibilità sull’export
  3. riformare la legge elettorale in modo che sia garantita l’alternanza, ma anche la democraticità, ovvero le minoranze politiche di rilievo ed il federalismo
  4. riformare -per riequilibrarlo con il nuovo parlamento – il livello apicale della governance (sindacati, CSM, INPS, Bankitalia, Regioni, Provincie e Comuni)

Il passaggio politico più difficile non è il primo – come qualcuno cerca ancora di convincerci – ma l’ultimo, visto che cambiare sistema elettorale per davvero e pervenire ad un parlamento diverso per accesso e poteri significa dover mutare tutto quello che a Roma è immutabile da un secolo e passa: la Pubblica Amministrazione.

Non sarà difficile sbloccare previdenza, lavoro e investimenti, incassando consensi prima e dopo le elezioni europee. E non dovrebbe essere difficilissimo concertare una legge elettorale.

Vedermo, però, se Matteo Renzi riuscirà a riportare nei limiti sostenibili quell’antico Male che si impossessò di Roma nell’arco di soli 10-15, già negli anni di poco precedenti la Breccia di Porta Pia … ma potrebbe farcela.

Serviranno l’azzeramento delle prebende, gli scivoli pensionistici, l’innovazione tecnologica, la meritocrazia e il controllo di gestione: tutte cose che i Sindacati confederali italiani avversano come fosse il fumo negli occhi …

Dunque, a prescindere da Renzi, riuscirà l’Italia a dotarsi di un partito riformista?

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La fine del governo Letta (pre)annunciata dai media

13 Feb

Lucia Annunziata, dall’Huffington Post, scrive di ‘crisi drammatica, gestione ridicola’.

Come non darle torto, dinanzi ad un Partito Democratico che si presenta alle elezioni con SEL e candidando Pierluigi Bersani, per poi governare con Enrico Letta e il Nuovo Centrodestra – un partito che ancora non c’è – e adesso, in soli 12 mesi, proponendo l’avvicendamento con Matteo Renzi – che non è un parlamentare – e con una porta aperta al Movimento Cinque Stelle ed un’altra per Forza Italia.

Come non darle ragione, se l’immobilismo di Enrico Letta – rispetto al tracciato montiano e cencelliano che ha adottato – non lascia altre alternative all’Italia che Matteo Renzi e le sue promesse di attivismo riformatore, visto che proprio le opposizioni (Berlusconi, Salvini, Casaleggio) non disdegnerebbero la soluzione.

Sarà per questo che  “il Presidente Napolitano da parte sua aggiunge a questo percorso, insieme privatistico e confuso, il paletto di un nonchalant “parlare di elezioni è una sciocchezza“, se come sembra esistono le premesse per una legislatura riformatrice.

Per Matteo Renzi, come fu per Mario Monti, esiste il problema del “distacco totale da qualunque mandato elettorale” ed, infatti, Lucia Annunziata ha gioco facile per ricordare a tutti che “non c’è bisogno di essere costituzionalisti per dire che è arrivato il momento di dichiarare che siamo di fronte a una crisi del governo, che c’è un presidente del consiglio sfiduciato sia pur non in aula ma via media e streaming del suo partito ed altri, e che è in corso una sorta di auto-mandato esplorativo.”

Ben memori di come avvenne il subentro di Mario Monti, “è necessario, obbligatorio direi, dunque che questa successione torni nell’unico luogo autorizzato a gestirla: il Parlamento. Che la crisi venga ufficializzata e affrontata con mozioni, discussione pubblica, e voto. Ritornando poi sul tavolo di Napolitano per consultazioni ufficiali ed eventuale nuovo incarico.”

Ma per Enrico Letta andare in Parlamento ed ufficializzare una crisi di governo – ovvero seguire l’invito di Lucia Annunziata – già sarebbe uno smacco e l’anticamera delle dimissioni …

Intanto, in questi minuti, il Corriere della Sera titola “Governo, l’ultima mediazione del Pd , la La Repubblica “Delegazione dem offre a Letta l’Economia” , La Stampa “Renzi tenta un’ultima mediazione” , Sole24Ore “Da Letta buona analisi ma non le risposte attese“.

Proprio oggi, Toni Servillo, alla Scuola Normale di Pisa, ha dichiarato: «A me sembra che siamo vittime di un secondo dopoguerra morale: credo che il problema del Paese sia sostanzialmente morale. Nonostante Tangentopoli, le stragi di mafia, vere e proprie tragedie nazionali, la questione morale continua a essere una questione irrilevante».

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L’immobilismo di Letta e la forza di Matteo Renzi

12 Feb

Erano mesi che ad Enrico Letta si chiedeva una ‘svolta. Forse dal primo giorno  di governo, certamente da quest’estate, quando s’era capito che la maggioranza ‘teneva’ nonostante le vicende giudiziarie di Berlusconi e che il Movimento Cinque Stelle non era in grado di promuovere e, soprattutto, concertare con gli altri partiti le riforme che chiede.

Ma Letta non l’ha fatto.
Si è affidato alle ‘direttive montiane’ (ndr. il sacro tabù europeo conclamatosi nel Fiscal Compact) in attesa di ‘sistemare’ Bankitalia, Finmeccanica, Alitalia, Cassa Depositi e Prestiti, INPS e poco più, (e)seguendo il tracciato cencelliano indicato dalla ‘old school’ del Partito Socialista (ndr. i vari Giuliano Amato, Bassanini e Cicchitto).

E così è accaduto che Letta proseguisse sulla via recessiva tracciata da Mario Monti, con una Camera in cui praticamente tutti i deputati eccetto quelli di Scelta Civica hanno fatto campagna elettorale, promettendo la riduzione della pressione fiscale e gli interventi per l’occupazione e il welfare.
Così accentuando ed attirando i fulmini su un sostanzialmente incolpevole Presidente Napolitano – ma forse intempestivo  – per la caduta del governo Berlusconi (ndr. secondo la Corte dei Conti anche a causa di azioni speculative internazionali) e la nomina di Mario Monti, legato a Goldmann Sachs e Bilderberg, prima a senatore a vita e poi a capo del governo.
Altrove si sarebbe parlato di Caudillo …

Ed è accaduto che la spesa pubblica continuasse a crescere, mentre la ripresa industriale stenta anche nel raccogliere le briciole della (ri)crescita altrui e mentre scopriamo che gli esodati sono almeno il doppio (ndr. come previsto dalla CGIA allorché Elsa Fornero estrasse l’asso di picche sulle pensioni) e che già da quest’anno le pensioni sono andate del tutto in stallo in un Paese dove circa la metà dei lavoratori pubblici ha più di 50 anni (dati ARAN 2009) e dove la disoccupazione e il precariato degli under40 è da record.

Dunque, a seguir le prediche dei ‘padri fondatori dell’Europa’ – alcune giuste, altre datate, altre ancora dimostratesi errate – il buon Enrico si è ritrovato al capolinea.
Anche perchè – in meno di 12 mesi di governo – si è ritrovato con troppi i ministri per i quali si sono richieste le dimissioni (Idem, Alfano, Cancellieri, Carrozza), mentre i Presidenti di Camera e Senato entravano più volte – per inesperienza dei lavori parlamentari probabilmente – suu questioni prettamente ‘politiche’.

Di qui l’esigenza di una leadership di governo ‘forte’, che esprima una ‘politica del fare’, che si serva di quei tecnici che l’Italia ha ancora, a volte isolati nella ‘notorietà’ di una vita blindata (ndr. vedi il caso Ichino), a volte ai margini di un sistema di carriere clientelari fondate sul mantenimento dello status quo.

Matteo Renzi ha queste caratteristiche ed ha la capacità di dialogare con Forza Italia, che – a prescindere dalle vicende giudiziare di alcuni leader – è comunque la maggiore aggregazione di elettori di Centrodestra, sia in Italia sia per quanto riguarda gli italiani in UE.

E, se avrà la premiership, Renzi dovrà dimostrare subito la sua forza, perchè in estate ci sarà da varare una manovra finanziaria diversa da quelle degli ultimi due anni e da subentrare nella presidenza UE.
C’è da fare una legge elettorale, ma non basta, se poi regolamenti e prebende restano intatti …

… se la macchina ‘pubblica’ impiega anni per attuare banali norme di spesa e intervento (ndr. nell’attuale un finanziamento impiega di media oltre cinque anni da quando viene legiferato in Parlamento a quando viene messo a consuntivo dall’amministrazione erogante), se i processi restano interminabili ed aleatori, se le scuole e le università non iniziano a formare gli italiani con lo scopo di primeggiare, se continuiamo a voltarci dall’altra parte dinanzi ai malati e agli invalidi, pur sapendo di che malasanità e di quale welfare parliamo, se le Authority non hanno poteri e gli ispettori che sopralluogano scarseggiano, se si denuncia un buco di 31 miliardi nell’ex-Inpdap (ndr. i soldi dei lavoratori) senza dire che è stato creato dal MEF (ndr. lo Stato) sotto forma di anticipazioni, se tra finanziamenti  pubblici, reti pubbliche e sistema di raccolta pubblicitaria abbiamo una pessima informazione, se non viene risolta la sabauda questione delle concessioni demaniali e degli affitti pubblici, per non parlare della dispersione sull territorio delle sedi direzionali, se ci ostiniamo a costruire costosi bombardieri che (per ora) mal funzionano mentre scuole, strade, ferrovie e reti profonde cadono a pezzi, se i sindacati continueranno a far proteste senza portare proposte, se non si interviene sulla malasanità con i dati allarmanti che arrivano da anni e decenni, eccetera eccetera …

Tutte cose per le quali ci sarà da spendere (1-200 miliardi nel biennio?), se si vuole raccogliere occupazione giovanile, innovazione e spinta alla crescita. E ci sarà da farsi qualche ‘nemico’ se si vuole tagliare in prospettiva (3-400 miliardi nel quadriennio?) per ottenere trasparenza, efficienza, equità, gestione responsabile.
Magari, assumendo un ruolo da protagonisti nella politica europea, dove da tempo la Gran Bretagna e i Paesi Scandinavi sollecitano una posizione italiana meno filogermanica e più attenta – a ben vedere – agli interessi nazionali e mediterranei.

Matteo Renzi è riuscito a rottamare il vecchio PCI e l’anziana DC in casa propria, mentre dialoga con Forza Italia e non dispiace ad una parte dei M5S, avanzando tra l’altro proposte di buon senso di riforma su questioni cruciali.
La forza c’è, ‘si può fare’. Bisognerà vedere se basterà e, soprattutto, se sarà accompagnata dalla solidità delle soluzioni.

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La spallata di Monti

9 Gen

«E’ necessaria una spallata dei cittadini non con la rabbia, la protesta, ma scegliendo chi non avendo legami con le organizzazioni che bloccano il Paese sia disposto a mobilitarsi». (Mario Monti, 8-1-2013)

Ma quali sono le organizzazioni che bloccano il Paese?

Non è facile dirlo, specialmente se si tratta di un paese, come l’Italia o come l’Iran, che si trova a condividere poteri laici e poteri religiosi.

Infatti, al di là di inutili retoriche o sacrosante indignazioni, è innegabile che sia in Iran sia in Italia, la condizione della donna ed il suo accesso al lavoro ed ale carriere siano particolarmente insoddisfacenti e che questo sia, sotto ogni latitudine, un indicatore fondamentale di crescita e progresso.
Ma non solo la condizione femminile è certamente condizionata dalla duplice presenza di poteri in Italia, di cui uno forte, la monarchia assoluta religiosa, ed un altro debole, la repubblica parlamentare. Lo sono anche la diffusione delle conoscenze tecniche, socioeconomiche e scientifiche, come comprovano i dati sulle lauree, e la strutturazione del Welfare e della Sanità, che devono tener conto dell’estesa struttura religiosa e para-religiosa presente nel Paese.

Se la duplice attribuzione di poteri, di interventi/spese e, soprattutto, di opinion making e di fund rising è certamente un fattore limitativo per il nostro Paese, dobbiamo mettere in conto che ne esiste un altro, simile e, seppur nato per offrire un’opzione laica in questo ‘sistema duplato’, oggi complementare a quello religioso.

Parliamo delle scuole pubbliche che, nel corso di una sola generazione, hanno prodotto l’ignoranza e la maleducazione che constatiamo tra troppi giovani diplomati e laureati. Dei sindacati che non hanno mai fatto proposte a nome dei lavoratori ed hanno sempre atteso quelle della controparte, per poi avviare un gioco di veti e delle tre carte, indispensabile per affermare il proprio potere e poco più.
Delle onlus che gestiscono servizi pubblici esternalizzati precarizzando a vita il proprio personale, del tutto incapaci di operare in network o di sviluppare un fund rising che non sia finanziamento pubblico. Delle aziende – cooperative od ex municipalizzate – che rendono floride le regioni ‘rosse’, sfruttando la fame ed il malaffare esistente al Sud, se non addirittura alimentandolo, come di certo accade per i settori manifatturieri e dei rifiuti speciali. I partiti, di cui non si conoscono i meccanismi di selezione del personale politico e dei candidati, fin dalla nascita della Repubblica.

Organizzazioni che, secondo alcuni, bloccerebbero il Paese, dato che è nei loro interessi che nulla cambi, ovvero che non si rinegozi un Concordato, non si delocalizzi la contrattazione dando potere alla base dei lavoratori, non si educhino i giovani alla meritocrazia ed all’essere esemplari, non si pretenda che i servizi esternalizzati vengano assunti da aziende solide e ben monitorate, non si bonifichi il sistema agroalimentare e distributivo, non si ripristini la legalità in quasi metà del Paese che lavora a nero.

Secondo altri, però, ben altre sono le organizzazioni che ‘bloccano il Paese’, come le banche (ormai ridotte alla quasi sola IntesaSan Paolo di sabauda origine) ed i diversi poteri finanziari (i cui discendenti sembrano sempre più interessati ad investimenti più sicuri del sistema Italia).

Per questioni strutturali, dobbiamo annoverare anche altre ‘organizzazioni’ che hanno le potenzialità e le caratteristiche strutturali per bloccare il Paese, le baronie universitarie ed il sistema giudiziario. Una ipotesi che trova anch’essa le sue conferme, visto che abbiamo un sistema sanitario che neanche recepisce le indicazioni dell’Organizzazione della Sanità Mondiale in fatto di disabilità ed un sistema giudiziario che ha impiegato oltre 20 anni per concludere il Lodo Mondadori, anzichè un paio come altrove, consentendo l’ascesa di Silvio Berlusconi, che altrimenti difficilmente si sarebbe realizzata con tale apicalità.

Ovviamente, non sono stati i sindacati, i partiti, i professori, i banchieri, i finanzieri, i magistrati, i baroni medici, le coop,  a rovinare l’Italia.
Non sono loro a ‘bloccare il Paese’ e non è contro di loro che Mario Monti ci chiede di mobilitarci per dare una spallata.

Ed allora contro chi altri mai?

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SuperMario ed i nomi degli irresponsabili

9 Gen

Secondo Mario Monti, «alcuni irresponsabili avevano portato il Paese a una situazione grave».
Vero, verissimo, ne siamo convinti tutti, anche se non ne conosciamo i nomi, non almeno con la certezza che può avere un economista di tale portata che di ‘professione’ fa il premier e che ha accesso a tutti i documenti della Repubblica, inclusi quelli secretati.

E’ giusto, opportuno, indispensabile che Mario Monti faccia i nomi e che li faccia subito.

I motivi sono diversi e tutti particolarmente importanti.

Innanzitutto, il nostro diritto ad essere informati, specialmente se parliamo dei nostri soldi, delle elezioni che si avvicinano, ma anche del dovere a presentare denuncia che spetterebbe ad ogni pubblico funzionario – non solo in Italia, ma dovunque – al sol dubbio di ‘irresponsabile gestione della cosa pubblica’, specialmente se ciò comporta rischio per l’erario.

Inoltre, l’esigenza sistemica di conoscere le vere cause della crisi attuale, se dovuta a problemi strutturali oppure alle speculazioni della Germania ‘pro domo sua’ o anche qualche grava furbata od ingenuità di qualcuno dei tanti VIP nostrani del tutto indegni od incapaci di ricoprire la funzioni che hanno o stanno ricoprendo.

Infine, il buon nome di Mario Monti, dato che chi lancia accuse senza provarle, de facto si ritrova a millantare. E, cosa non da poco sotto elezioni, il buon nome dell’ex ministro dell’economie e delle finanze, Giulio Tremonti, oggi candidato con una propria lista, che quanto meno avrebbe dovuto vigilare e/o contrastare questi «alcuni irresponsabili». Ma anche il buon nome del compianto Padoa Schioppa, di Romano Prodi e del Partito Democratico che li sostenne, se, ricordiamolo, annunciarono l’esistenza di un ‘tesoretto’, che forse non c’era, o le stabilizzazioni delle pensioni Amato-Maroni, che secondo Fornero furono, invece, perigliosamente carenti.

Ha ragione l’egregio professor Monti: ci sono  (stati) nelle istituzioni “alcuni irresponsabili”. Ce ne siamo, a nostre spese, accorti tutti.
Visto che lo riconosce pubblicamente, però, sarebbe suo preciso dovere rendere pubblici i nomi ed i fatti: la seconda carica dello Stato – come lo è un presidente del Consiglio dei Ministri – se lancia accuse, deve qualificarle e contestualizzarle.

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Monti premier ed i soliti noti

20 Dic

Mario Monti (ex Goldman Sachs), Corrado Passera (ex Unicredit), Emma Marcegaglia (ex Confindustria), Luca Cordero di Montezemolo (ex FIAT), Andrea Olivero (ex Acli),  Luigi Marino (Concooperative), Giorgio Guerrini (Confartigianato. Questi i probabili ‘eletti’ che dovranno guidare l’Italia a partire dalla prossima primavera, accompagnati da Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Raffaele Bonanni, Italo Bocchino, Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Benedetto Della Vedova, Flavia Perina, Beppe Pisanu, Franco Frattini, Alfredo Mantovano e Mario Mauro.

Potranno scegliere se confluire in una Grosse Koalition, rafforzando la stabilità del governo Monti, gli ‘eletti’ Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Matteo Renzi, Walter Veltroni, Anna Finocchiaro, Rosi Bindi, Franco Marini eccetera.

All’opposizione vedremo, probabilmente, ‘eletti’ e non ‘eletti’ come Nichi Vendola, Fabio Mussi, Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris, Roberto Maroni, Francesco Storace, Beppe Grillo, forse anche Giuliano Pisapia e Massimo Cacciari.

Se così fosse, se fosse tutto già scritto come appare, resta solo da chiedersi in cosa sia sovrano il popolo, se neanche può scegliere chi candidare.

Ma è perchè mai la chiamino ancora democrazia che resta un vero mistero, se accade che un tecnico ‘bipartizan’, prima ottenga la nomina a senatore a vita ed un incarico tecnico, poi si trovi a dirigere un governo di programma e poi, ancora, fonda una propria lista elettorale dopo aver mandato il paese alle elezioni anticipate, dimissionandosi, per contrapporsi al partito che maggiormente l’aveva sostenuto.

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Italia in balia delle lobbies

5 Dic

In questi giorni si legge esultanza per lo spread – il famigerato spread – ritornato intorno ai valori di marzo scorso, quando ci strappavamo i capelli per quanto andassero male le cose.
Uno spread, così catastrofico, generato dall’eccessiva quantità di titoli che lo Stato Italiano immetteva sui mercati, offrendo tassi di interesse generosissimi, che rappresenteranno un’onerosa palla al piede per circa un decennio.

Un decennio cruciale che vedrà arretrare l’Italia sempre di più, se le premesse sono queste.

crash test

Assistiamo ad una lotta serrata, all’interno dei vari Poteri, come per la Cassa Depositi e Prestiti, che va consolidata al più presto, oppure per le pensioni, che appaiono sospese ad libitum, ma anche per le prebende e le iniquità di cui nessuno sembra voler spogliarsi. In tutto ciò, vorremmo tutti sapere che fine hanno fatto Unicredit e Monte Paschi di Siena, come vorremmo sapere da dove prendiamo i soldi per finanziare la fabbrica di caccia F-35, per comprarne in largo numero e per manutentarli nei prossimi 15 anni.

Si va avanti a colpi di blitz, più o meno riusciti, come quello di Profumo sull’orario e le sostituzioni dei docenti, senza però toccare il costo dei libri di testo, che sono ‘unificati’ e forniti dallo Stato in molti paesi più democratici e trasparenti del nostro, alle concessioni trentennali delle spiaggie richieste da un governo che afferma di voler vendere parte del Demanio.

Oppure, il gioco d’azzardo che, grazie ad un migliaio di nuove autorizzazioni on line, arriva nelle case alla vigilia di Natale e nessuno pensa, almeno, a vietarne la pubblicità in televisione. E nel giorno della vittoria del democratico Bersani rivediamo pugni chiusi ben alti verso il cielo, come se il tempo non scorresse e gli errori non fossero diventati Storia.

La Consulta, non i Servizi Segreti, che ordina di distruggere le intercettazioni che coinvolgono il Presidente della Repubblica nell’inchiesta sulle ‘trattative Stato-mafia’. Il ministro dell’Ambiente interviene riguardo l’ILVA, una fabbrica chiusa dai magistrati per i diffusi danni alla salute delle persone, auspicando che si sia ragionevoli e la si riapra. Intanto, giusto per ricordarci il naturale ordine delle cose, la terra trema nel Piceno, scossa di magnitudo 4, e secondo Mario Monti dovremmo avere tutti un’assicurazione contro i danni geosismici.

adac crash test

L’altro ieri, a Montalcino, qualcuno ha distrutto 600 ettolitri di Brunello pregiato e gli indagini parlano di ‘vandali’,mentre il mondo degli adolescenti deve essersi fatto davvero triste, se i bulli (eufemismo che sta per youngster, ovvero giovane criminale) imperversano a danno di omosessuali, passanti e persino soccorritori, come leggiamo sulle cronache. Intanto, L’Espresso riporta che si verifica circa un caso al giorno di laser negli occhi dei piloti, in fase di atterraggio negli aeroporti italiani.

Di legge elettorale, risultati zero. Il governo auspica una riforma, ma noi cittadini prendiamo atto che è dal 1994 che devono farne una che funzioni e che, ormai, questi nostri partiti si son convinti di poter governare con il 30% dei consensi su una base di votanti del 60-65%, ovvero il 20% circa dell’elettorato complessivo. Intanto, Patroni Griffi avvisa che “nella P.A. ci sono 260.000 precari e non è possibile stabilizzare tutti”, mentre Balduzzi, alla Sanità, lancia tagli per oltre un miliardo, ma è pronto a cederne quasi altrettanto al Lazio per risanare i conti di Polverini.

Dopo un anno di governo del probo Mario Monti, la corruzione in Italia peggiora di tre posizioni nel rapporto annuale di Transparency International: siamo 72mi alla pari della Tunisia. E che l’appeal per le aziende globali sia basso, lo conferma il ministro Passera che, riguardo alla FIAT, non vede “la determinazione a superare la crisi con gli investimenti e la volontà nel campo dell’auto”.
Ovviamente, basta sfogliare Quattroruote per prendere atto che FIAT, Alfa Romeo e Lancia di modelli ne facciano pochini, di motori ancor meno e che il marchio è presente nei segmenti medio ed alto solo con la Giulietta-Delta e la ‘vecchia’ 159, il resto è Chrysler.

Quanto al bilancio complessivo del Paese, l’aver investito in cemento, anzichè tecnologia, comporta che da quasi 20 anni non esportiamo hardware, ma lo importiamo ampiamente, e che un quarto circa della nostra spesa estera consiste in energia, mentre tutto il settore agroalimentare fornisce un misero 4-5% al PIL complessivo del paese. Giusto notare che il nostro export, oltre all’agroalimentare, consiste principalmente nel Made in Italy e vedremo quanto uscirà indebolito dall’overtaxing montiano e dagli aiuti contro la crisi ricevuti a caro prezzo, in un paese che non restituisce in servizi, innovazione e sicurezza quanto i cittadini versano come tasse, tributi e previdenza.

crash test 1

Per non dimenticare 2,9 milioni di disoccupati (con il welfare che ci ritroviamo), una marea di casalinghe ‘obbligate’, qualche milione di precari e contratti a termine, 400.000 lavoratori a nero nell’agroalimentare, una ventina di milioni di pensionati che campano con redditi inferiori ad un salario minimo. O la totale inazione del governo nel bloccare, ope legis, i vitalizi che i politici locali si sono regalati nel corso di questi mesi, e la poca incisività nel trasformare le Province in distretti amministrativi, eliminando un migliaio di politici e almeno 200 milioni di spese.

Dunque, dopo un anno, le chiacchiere stanno a zero e le cose vanno peggio.
Questo sarà il lascito per il Paese di Mario Monti, ex consulente di Goldman Sachs, di Giorgio Napolitano, che l’ha incaricato, e di Eugenio Scalfari, che l’ha fortemente voluto.

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Finmeccanica, un imperdibile futuro italiano

24 Ott

Finmeccanica è un’azienda a partecipazione pubblica, di cui il MEF ha il controllo con il 30,2% del pacchetto azionario, mentre il 70% degli azionisti detiene il resto, diviso tra diversi  investitori istituzionali (46%) e privati (23,8%). Il Capitale sociale è di euro 2.543.861.738,00,  rappresentato da 578.150.395 azioni ordinarie del valore nominale di Euro 4.40.

Una colosso industriale mondiale controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, non da quello delle Infrastrutture come logica vorrebbe. Nel primo caso una rendita, nel secondo un investimento. Nel primo un costo per lo Stato che immobilizza capitali, nel secondo caso un ricavo per il paese in termini di valore aggiunto, know how, occupazione, rendita fiscale e previdenziale, autonoma capacità difensiva ed energetica.

Finmeccanica, un gigante italiano che rischia di implodere se, come sembra, si andrà alla fusione tra il colosso franco-tedesco Eads e quello britannico Bae Systems, mentre  Thales, Dassault, Safran – sono da sempre il ‘core’ del complesso industrial-militare della Francia post-coloniale. In un mondo dove sempre più brevetti e tecnologie saranno registrati in Cina Popolare e in India.

Finmeccanica, un’azienda che è innanzitutto scossa dagli scandali che raccontano di tangenti e big della politica, ma che preoccupa ancor di più per le scalate o le svendite che potrebbero spoliarla dei suoi gioielli od da salvataggi dalle gambe corte, come quello dispendiosissimo di Alitalia, azienda che ha notevolmente contribuito ad affossare il debito pubblico italiano.

Scrive “lo Stato è il socio di controllo di Finmeccanica, soggetto venditore, ma anche della Cassa depositi e prestiti che sta costruendo una proposta d’acquisto alternativa a quella di Siemens per Ansaldo Energia, e pure delle Fs, principale cliente e partner tecnologico di Ansaldo Trasporti, oggetto del desiderio della giapponese Hitachi. Qual è l’interesse del Paese? Lo dovrebbe stabilire la politica industriale. E però se il governo non vuole o non sa dare linee guida al management , allora dovrebbe assumersi la responsabilità di mettere all’asta Finmeccanica. Scelga. Non si lasciano languire così le aziende di cui si è padroni. A beneficio dei padroni prossimi venturi.”

Stiamo parlando, infatti, della ‘corporation’ pubblica molto interessante per investitori e speculatori, oltre che strategica nel settore ‘difesa’, dato che controlla (asset più asset meno) AgustaWestland N.V., Agusta S.p.A., ST Microelectronics Holding II B.V, STMicroelectronics N.V., Aeromeccanica S.A., gruppo Avio, Alenia Aermacchi, Ansaldo Energia, AnsaldoBreda, BredaMenarinibus, Fata, Oto Melara, Trimprobe, Telespazio Holding, Finmeccanica Group, Finmeccanica Finance, Finmeccanica Group Real Estate, Finmeccanica North America, Finmeccanica UK LTD, DRS Technologies, ElsaCom N.V., ElsaCom, Seicos, Selex Elsag, Selex Service Management, Selex Sistemi Integrati, So.Ge.Pa.,  Whitehead Alenia Sistemi Subacquei, Eurosysnav, Orizzonte – Sistemi Navali, Europea Microfusioni Aerospaziali, Thales Alenia Space, Elettronica, European Satellite Navigation Industries GmbH, Galileo Industries, MBDA, Nahuelsat, NGL Prime.

Qualcosa, dunque, di cui l’Italia non può e non deve affatto privarsi, dato che Finmeccanica non Alitalia ed ha portato ricavi, nel 2011, per 17.318.000.000 di euro. Una solida realtà che, se vuole e deve restar tale, non può affidarsi a cordate italiane deboli od improprie.

Ad esempio, è poco ragionevole che lo Stato italiano declassi la propia presenza in Finmeccanica a mero fund rising, tramite la Cassa Depositi e Prestiti del MEF, anzichè il ministro del MEF, ovvero il Governo ed il Parlamento, in prima persona. Tra l’altro, visto che gli investitori istituzionali e privati sono in tot o tanta parte stranieri, il ‘declassamento’ comporterebbe ipso facto una forte perdita di ‘italianità’ da parte dell’azienda. L’ingresso di Siemens comporta il rischio di un semismantellamento come per Thyssen e siderurgia varia italiana o per Chrysler e forza commerciale di FIAT
Quanto ad Ansaldo Trasporti, sarebbe ben più logico diventi – eventualmente – lei la controllante, e non la controllata, di FS,  un gestore di rete ferroviaria in perenne sofferenza, ristrutturazione ed innovazione. Caso mai sarebbe corretto il contrario. Come per Siemens, l’ingresso di Hitaci appare molto più conveniente per la ditta del Sol Levante che per la nostra.

Cosa fare con Finmeccanica allora?

Iniziamo col dire che solo il 3,36% dell’azionariato istituzionale è italiano, la restante parte è sostanzialmente anglo-statunitense. Dunque, è difficile che Londra o New York intendano incrementare la propria presenza nell’impresa. E che da ENI, FIAT e Finmeccanica dipende la sopravvivenza dell’Italia nel mondo industrializzato come realtà autonoma e decisionale, mentre la terziarizzazione ed i flussi turistici ci porrebbero in balia di scelte altrui, come è accaduto per la Spagna.

Ci sarebbero un paio di riflessioni.
La prima questione è che Finmeccanica deve restare italiana: il gettito di ricavi che comporta è un attivo che brilla come una gemma rara nei bilanci pubblici. Cedere il 30% per declassare il nostro debito pubblico è segliere l’uovo oggi rinunciando all’uovo di domani.
Ma non è trasferendola a Cassa Depositi e Prestiti o FS per risollevarne i bilanci, che si fanno scelte per il futuro: si continua a mantenere in vita un passato che forse non esisteva più già 35 anni fa.

La seconda riflessione è che – tanto per dirne una – se partner interessanti come Siemens e Hitaci vogliono entrare nel business, esistono, tra le aziende su elencate, ampie possibilità di negoziare quote detenute anche al 100% da Finmeccanica. Come anche che il 30,2% controllato dal MEF potrebbe ‘diventare’ una società creata ad hoc che, pur restando a controllo statale italiano, potrebbe permettere ai partner di sentirsi garantiti.
Non abbiamo (ancora) bisogno di affittare il Pireo ai cinesi … e, dopo ‘il senso di responsabilità’ mostrato dai cittadini italiani in questi anni e mesi, meriteremmo che Siemens-Germania e Hitachi-Giappone entrassero nel business, ma in punta di piedi, sostenendo un paese amico e facendo un buon affare.

Non è un caso che il Corriere della Sera incalzi: “il ministro Vittorio Grilli, d’intesa con i colleghi allo Sviluppo economico e alla Difesa, Corrado Passera e Giampaolo Di Paola, batta un colpo. Il premier Mario Monti si assicuri che venga battuto presto e bene.

Possibile, impossibile?
Dipende dal mediatore (nel caso presente il ministro dell’Economia Grilli) e dai margini concessigli: c’è chi ha venduto frigoriferi agli eschimesi … ma, probabilmente, aveva massima autonomia.

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Cronache di un’Italia colonizzata

22 Ott

Mario Monti spera che «grazie a noi si dica che l’Italia non è stata colonizzata dall’Europa e ha mantenuto la sua sovranità».

Quasi in simultanea, però, TGcom24 ci informa che “non c’è stato nessun incontro a Palazzo Chigi sul futuro dei vertici di Finmeccanica“, dopo che la Uilm aveva annunciato “che Finmeccanica ha confermato di voler passare “da una quota di maggioranza a una di minoranza” in Ansaldo Energia, l’azienda genovese oggetto di trattative per una dismissione, e ha confermato anche trattative con un partner “estero” per la cessione di Ansaldo Breda.

Riguardo gli F35, “l’impianto Final Assembly and Check-Out (FACO) sulla base aerea novarese partirà a regime ridotto, con inevitabili aggravi di costo cui si aggiunge per il Governo – che li ha spesi – l’onere di recuperare i circa 800 milioni di euro investiti per realizzare la struttura. … Non mancheranno tuttavia di avere conseguenze almeno indirette sul nostro Paese i nuovi contrasti fra Pentagono e Lockheed sulla conduzione complessiva del programma, con una sovrapposizione di attività che porta a risultati negativi sul piano del costo-efficacia … Il Pentagono è preoccupato fra l’altro per le difficoltà di sviluppo del software dell’aereo, la non corretta pianificazione de collaudi, la vulnerabiltà ai “cyberattack” del sistema logistico integrati“. (fonte AnalisiDifesa.it)
Intanto, il futuro ‘civile’ di Alenia Aermacchi, il Superjet 100, è al 49% della Sukhoi, che ne gestisce anche la commercializzazione in Europa. Dulcis in fundo, i piani alti di Finmeccanica sono scossi da scandali che raccontano di tangenti, commesse sporche e leader di partito.

Restando all’aereonuatica, abbiamo di recente scoperto che il Commissario europeo alla Concorrenza ha aperto un numero impressionante di procedure contro aeroporti di piccole e medie dimensioni per finanziamenti illeciti alle compagnie aeree, che non pochi aeroporti italiani che non sono in grado di sostenersi senza aiuti pubblici, che si prospettano “tagli ben più drastici di quelli proposti dal piano elaborato dal ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, mettendo a repentaglio persino aeroporti centrali come Genova, Bologna, Firenze o secondari come Ciampino” (fonte Gazzettino.it).

Intanto, giorni prima, Alitalia annunciava 690 esuberi a fronte di diverse centinaia di milioni di perdite ed un magistrato la condannava per ‘monopolio sulla tratta Roma-Milano”, ordinando di “liberare entro il 28 ottobre gli slot necessari all’ingresso sul mercato di un altro competitor.”

Ricordiamo che l’INAIL racconti di “cantieri navali senza più ordini, di fatturato dimezzato sul pre-crisi dei posti barca, di porti deserti” o che Tassinari, presidente di Coop Italia annunci che “la grande distribuzione soffre per la caduta dei consumi provocata dalla crisi. Ci aspettiamo, per la prima volta dopo 20 anni, non solo la chiusura di punti di vendita, ma la cessione di rami d’azienda e purtroppo anche la chiusura di imprese distributive“. Mettiamo in conto anche che a Torino si fanno le Jeep ed a Pomigliano ‘solo la Panda’, che ILVA Taranto è affogata nell’inquinamento, che da alcuni mesi Parmalat fa parte del gruppo francese Lactalis, che ne ha acquisito l’83,3%, ed andiamo alla sostanza: le Banche.

Di Unicredit si legge, in questi giorni, di “voci che corrono sul taglio di 35mila bancari, ma secondo l’Abi di Mussari non sarebbero più di 25mila” (Dagospia), che “il consiglio ha anche cooptato Mohamed Ali Al Fahim quale consigliere. Mohamed Ali Al Fahim è attualmente responsabile della Divisione Finance dell’International Petroleum Investment Company, società di investimenti interamente detenuta dal governo di Abu Dhabi e controllante di Aabar, uno dei maggiori azionisti di Unicredit” (Milano Finanza), riguardo lo “scorporo della banca italiana dalla holding, l’ad Ghizzoni spiega che per ora e’ un tema che non e’ in agenda” (Borsaitaliana.it).

Una settimana fa,  Moody’s declassava la gloriosa Monte Paschi di Siena a livello ‘trash’, con un downgrade a «Ba2» da «Baa3», nonostante il ‘dono’  – è proprio il caso di dirlo – fatto dal governo Monti per 1 miliardo e mezzo di euro, tagliati a pensionati, scolari e malati.
Una situazione che richiedeva cautela, se parliamo di soldi pubblici, visto che, nonostante un ‘provvidenziale’ accordo tra MPS e CartaSì – siglato pochi giorni prima del report di Moody’s, “il primo in Italia di questo genere” – consentiva “all’istituto senese di diventare il quarto operatore per numero di carte emesse (circa 3,3 milioni) sul mercato nazionale” (fonte MPS), l’agenzia di rating ritiene «che ci siano probabilità reali che la banca abbia bisogno di ulteriore aiuto esterno nell’arco dell’orizzonte del rating. Come gli stress test dell’European Banking Authority (EBA) e della Banca d’Italia hanno mostrato, Mps non è stata in grado di aumentare la propria base di capitale ai livelli richiesti».

A cosa si riferiva, allora Mario Monti con ‘abbiamo mantenuto la sovranità’? Quali informazioni lo inducono a promettere che «pochi mesi, spero pochi, che ci mancheranno all’emergere chiaro di segni di ripresa»?

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