In estratto dalal relazione finale del Sinodo per la Famiglia del 19 ottobre 2014:
“L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio.
Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegna ta manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (Gv 4,1-30) e con l’adultera (Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.
Dio non solo ha creato l’essere umano maschio e femmina (Gen 1,27), ma li ha anche benedetti perché fossero fecondi e si moltiplicassero (Gen 1,28). Per questo, «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24).
Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (cf. Mc 10,1-12).
una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto
spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale.
Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile
e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Conlo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana.
In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera
anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.
La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che que
llo sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede.
Le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità.
Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità
matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.
Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale.
Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali».
Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe
incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate.
Dunque – riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili eterosessuali, come anche ai divorziati risposati – si aprono le porte per la loro riammissione, allorchè “compete alla chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali” con allusione agli Ortodossi, per i quali la celebrazione del secondo matrimonio “è penitenziale, non è un sacramento” – come ben chiariva il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, a Radio Vaticana – in cui gli sposi vengono “accolti e benedetti” dopo un periodo penitenziale “affidandosi al rapporto tra il fedele e il suo parroco, confessore o vescovo”.
Gesù ama anche i divorziati …
Originally posted on Demata
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