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Governo Monti: prime riflessioni sul Programma

18 Nov

«Una riduzione delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e l’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico», ha dichiarato Mario Monti.

Ma cosa significa nell’immediato?

Innanzitutto, meno tasse e meno contributi a carico delle aziende e qualche soldo in più in busta paga, ma a condizione che ci sia un aumento dei prezzi al consumo e della leva fiscale indiretta, oltre che dell’inflazione.
Una misura che, per quanto riguarda la finanza, farà sentire subito i propri effetti, ma che potrebbe impiegare anni per ottenere un effettivo miglioramento dello status dei ceti più bassi e del Meridone tutto.

Non si parla di patrimoniale (Berlusconi non vuole), ma da gennaio arriverà la nuova Imu, Imposta Municipale Unica, che incoporerà anche un’imposta sulla prima casa.
Praticamente, sarà lo stesso salasso, con la sola differenza che l’incasso andrà ai Comuni anzichè allo Stato e, soprattutto, che il prelievo sarà “equamente” diviso tra tutti i cittadini proprietari di immobili, inclusi quelli rimasti disoccupati e quelli che non riescono a pagare il mutuo.

A proposito di pensioni, essendo l’Italia il paese con l’età per il pensionamento di vecchiaia più alta della Germania e della Francia, introdurremo l’età flessibile di pensionamento a scelta del lavoratore fino a 68-70 anni, premiando chi prolunga (sic!), a condizione che il Parlamento voti la rimozione dei privilegi d’annata.
Apparentemente una bella idea, ne riparleremo tra qualche anno quando un esercito di ultrasessantacinquenni (con meno di 40 anni di contribuzione) eserciterà il diritto di restare al lavoro per ulteriori cinque anni, bloccando i pochi spazi che ci sono per i giovani e, soprattutto, il ricambio nel pubblico impiego.

Per il resto, le promesse sono le solite: liberalizzazioni per rendere meno ingessata l’economia, facilitare la nascita e lo sviluppo delle imprese, migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, favorire l’inserimento dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro. In aggiunta, l’ardua speranza di riformare il mercato del lavoro, ovvero l’Articolo 18, con CGIL e PD contro.

Ad averci una buona memoria, il programma di Mario Monti sembra, per ora, sovrapponibilissimo a quello del Governo Prodi, insediatosi nel 2006, con l’unica differenza che, forse, non ci sarà opposizione in Parlamento.

Sarà che noi italiani non abbiamo mantenuto le nostre promesse e che ci sono norme e misure cha attendono da anni, sarà per questo che i Poteri Forti ci hanno commissariato, ma la prima impressione non riguarda tanto “lacrime, sangue e sacrifici”, quanto il solito problema italiota che “se non è pan cotto è pan bagnato”.

Ci aspettavamo qualcosa di più, dal superamento di un sistema di bilancio, che è un colabrodo, all’urgente rimozione dell’attuale classe dirigente pubblica, un esercito di “Yes Men” affermatisi per cooptazione. Ma non se ne parla, se non richiamando tutti al “senso dello Stato”.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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Il rebirth italiano parte da Tocqueville

15 Nov

Per salvare l’Italia dalla finanza trasformista e cleptocrate non c’è altro da fare che affrontare la mission impossible di superare, o quantomeno aggiornare, i Regi Decreti in materia contabile (1886, 1924), ancora in parte vigenti o riassorbiti. Vennero strutturati per contrastare il trasformismo e la corruzione, sono una infrastruttura obsoleta, inefficiente e facilmente “hackerabile”.

In realtà, pur imitando il modello francese, sono una grande ingessatura che dilaziona impegni e spese, funzionalmente alla cassa disponibile (grandi opere sabaude) ed alle esigenze del consenso (fascismo).
Cose che nei nostri tempi, oltre a produrre sprechi e desviluppo, causano anche un bel po’ di interessi passivi. Inoltre, le ripartizioni determinate dai Regi Decreti non coincidono con le categorie (UPS) determinate dall’Unione, trasformando il nostro bilancio in un’enorme matrioska.

Basti dire che un decreto di spesa del MIUR (che è uno dei ministeri più “trasparenti”) impiega dai 2,5 ai 5-6 anni per essere speso (pervenuto come servizio al cittadino), rendicontato, monitorato.
E’ un sistema che crea debito “di per se” che la Francia, democratica e di sinistra, riesce a contenere solo a prezzo di una diffusa tecnocrazia e di un mastodontico corpo ispettivo.

Mi chiedo perchè un tecnico della levatura di Mario Monti, noto per il suo pragmatismo e per la sua indipendenza da dogmi e scuole di pensiero, non  abbia già annunciato l’esigenza di un limitato staff tecnico, proveniente dai servizi e non solo dalle accademie, che produca i testi delle riforme, mentre i ministeri amministrano ed il parlamento vaglia ed emenda (si spera poco).

Una governance da manuale, “tale e quale” a quella che uscì dalla prima riunione nella Sala della Pallacorda, come riporta Tocqueville. In gergo ingegneristico, un “rebirth”, invece che un “default”.
Bella parola vero?

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