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Morosi, arrivano le messe in mora, ma c’è la soluzione

17 Ott

A chi nel 2021 e nel 2022 non ha pagato qualche bolletta stanno per arrivare (se non sono già arrivate) le raccomandate di costituzione in mora del Fornitore di gas o luce, con il termine ultimo per pagare le fatture e come comunicare l’avvenuto pagamento.
Un fatto inevitabile dopo che il Governo Conte ha ridotto la prescrizione a soli 2 anni per le bollette di energia elettrica e gas in base alla legge di bilancio 2020, numero 160 del 2019.

Negli ultimi nove mesi sono 4,7 milioni di italiani NON hanno pagato la luce e il gas che consumano in parte o del tutto, 3,3 milioni potrebbero NON pagare le prossime fatture, oltre 2,6 milioni gli italiani che hanno saltato una o più rate del condominio, secondo un monitoraggio di mUp Research e Norstat per Facile.it.

Il fenomeno è omogeneamente distribuito su tutto il territorio nazionale, con una percentuale di morosi pari al 10,7%, mentre quelli che saltano abitualmente il pagamento delle bollette sono il 3,8%.
Ed è un fenomeno molto complesso, dato che, se sugli italiani che hanno investito i propri risparmi sui Fornitori di gas e luce aleggia lo spettro del deficit di bilancio, … sono stati proprio i morosi di oggi a scegliere liberamente dei contratti in libero mercato, invece che restare con contratti di maggior tutela.

Ancor peggio, la percentuale di italiani che hanno saltato una o più rate condominiali è pari al 20,1% a livello nazionale, che al Sud e nelle Isole arriva al 24,8%. Per più di 1 condomino su 4 il debito è superiore ai 500 euro. Il 65% dei morosi ha saltato 1 o 2 rate, il 15% tre rate e circa uno su cinque ne ha saltate quattro o più.

Un dato allarmante ma in miglioramento, visto che il monitoraggio di maggio 2021, evidenziava da erano quasi 4,9 milioni (il doppio) gli italiani che avevano dichiarato di non aver pagato una o più rate delle spese condominiali nel periodo compreso tra marzo 2020 a marzo 2021.

Nel caso dei condomini, il 49,6% dei morosi ha dichiarato di essere riuscito a mettersi in pari con i pagamenti utilizzando i propri risparmi o risorse, mentre il 23% dei rispondenti, pari a 1,1 milioni di italiani, ha dovuto chiedere un prestito per far fronte alle spese di manutenzione del condominio.
Più di 1 su 5 aveva ricevuto dagli altri condomini ulteriore tempo per pagare quanto dovuto, ma nonostante questo circa 130.000 italiani hanno dichiarato di essere in causa con i Condomìni.

Le conseguenze di queste massive morosità per le bollette luce e gas sono gravissime: fornitori che falliscono o vanno in sofferenza, Comuni che non ricavano utili nella partecipazione ad ex-Municipalizzate, risparmiatori che vedono bruciati i propri investimenti, consumatori che sono sommersi dai debiti. Ancor più nei Condomìni, dove si bloccano manutenzioni e viene meno la coesione sociale.

Insomma, se il 10% degli italiani è moroso, tocca farsene carico agli altri italiani che contribuisce. Non ad entità astratte come lo Stato, le Banche o le Imprese …

Come se ne viene fuori?
Come a Berlino, dove il Reddito di cittadinanza e qualsiasi altro sussidio sono vincolati ad una visita medica che attesti l’incapacità parziale o totale al lavoro e dove di norma il tetto degli affitti e delle utenze in maggior tutela è fissato (e conguagliato) dalla spesa sociale metropolitana.
In altre parole, dalle economie sul Reddito di Cittadinanza – derivanti da criteri giusti, chiari e monitorati – possono arrivare le risorse per sussidiare la situazione debitorie delle famiglie in fascia ISEE.
Come anche – andando a spendere in edilizia sociale ben 27,5 miliardi € di PNRR (fonte Sole24Ore) – si rende inderogabile una maggiore giustizia sociale, che tenga conto di quale sia l’effettiva estensione del nucleo familiare e di quanto si incrementa il reddito in termini di potere di spesa, sommando benefits come l’alloggio popolare, l’esenzione da ticket e contributi scolastici, il bonus bebè, il bonus luce-gas e il bonus vacanze, rispetto a chi non ce li ha.

E la disoccupazione che affligge le periferie romane come gran parte del Meridione?
Se solo la metà dei posti di lavoro occupati da stranieri venissero assunti da italiani non si porrebbe affatto la questione ‘disoccupazione’ e ci sarebbero più sussidi per chi davvero non può lavorare.

Ma il fotovoltaico? Basterebbe qualche comma per sbloccare quello plug&play da balcone … rendendo la gente più attenta e responsabile nei consumi, oltre ad un certo risparmio sulla bolletta energetica di tutti, Stato italiano incluso.

Demata

Sisma Nepal e … se accadesse a Roma?

27 Apr

A Roma dormiamo sonni tranquilli? Si, più o meno gli stessi di quelli coloro che abitano a 70 km dall’epicentro del sisma in Nepal.

C’è, a dire il vero, la ‘molto rassicurante’ classificazione di Roma in zone sismiche che racconta come nelle aree territoriali dei Municipi:

  • V, VI, VII, VIII, IX, X, XI e XII – Zona 2B – possono verificarsi terremoti abbastanza forti
  • I, II, III, IV, XIII, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX e XX – Zona 3A – può essere soggetta a scuotimenti modesti.

I primi dubbi li lanciava l’autorevole il Time – nel giugno 2012 – con un approfondimanto firmato da Stephan Faris: “Can an Earthquake Bring About the Fall of Rome“?

Infatti, a meno di 100 km da Roma c’è  l’Abruzzo, che negli ultimi 7 secoli è stato colpito da almeno 11 terremoti di intensità superiore al IX grado (Scala Mercalli-Cancani-Sieberg).
Inoltre, lo stesso Lazio è stato interessato da forti terremoti, nella parte estrema meridionale  (1349 X e 1654 X) e in quella nord-orientale (1298 X, 1639 X e 1695 IX), più quelli avvenuti in Abruzzo (1461 X, 1703 X) e Umbria (1703 XI)
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“La sismicità capitolina, pur se limitata e caratterizzata da intensità massime intorno al VI-VII grado della scala MCS, ha infatti da sempre rappresentato un serio pericolo per l’integrità dei monumenti millenari, spesso  trascurati e lasciati senza manutenzione. Ancor più gravi sono i rischi legati alle scosse “risentite”, con epicentri localizzati nei Colli Albani, nel Mar Tirreno e perfino nell’Appennino Centrale che, nonostante disti circa tra i 60 ed i 120 km da Roma, rappresenta la sorgente sismogenetica principale capace di provocare danni anche sensibili nella capitale.” (28 aprile 2014 10:59 – Redazione MeteoWeb)

“Il problema è acuito da due fattori fondamentali, uno geologico ed uno ingegneristico. La maggior parte di Roma è costruita su depositi alluvionali olocenici del Tevere e dei suoi affluenti. La valle del Tevere è larga oltre due km, ma esistono altre zone edificate su materiali soffici, non consolidati e dalle scadenti proprietà geomeccaniche (Valle della Caffarella al terminal “Ostiense”, Grotta Perfetta, Viale Giustiniano, Valle di Vallerano, ecc.). In condizioni particolari questo tipo di terreni, soprattutto le sabbie, può essere soggetto ad amplificazione dell’onda sismica (liquefazione, densificazione, ecc.) e quindi aumentare a dismisura la potenza distruttrice del terremoto. Nell’area che va da Ponte Milvio alla Magliana è stato calcolato che gli effetti delle scosse possono amplificarsi anche fino a due volte e mezzo rispetto alle altre zone capitoline. ” (Prof. Enzo Mantovani (docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – Università di Siena)
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Se il problema ‘geologico’ è grave, quello derivante dall’enorme espansione urbanistica, spesso sregolata, dè ancor peggio.
Secondo un recente studio dell’Anaci (Associazione nazionale amministratori condominiali) a Roma almeno il 35% degli edifici non possiede il certificato di abitabilità.

“Da un secolo, esattamente dal 1915, quando si verificò il terribile terremoto di Avezzano, l’urbanizzazione di Roma è stata abnorme e noi non sappiamo come si potrebbero comportare i “nuovi” edifici in caso di un forte sisma appenninico, con magnitudo ben superiore a 6.0. Non lo sappiamo per il semplice motivo perché ignoriamo le caratteristiche costruttive degli edifici stessi e crediamo di non andare lontani dalla realtà asserendo che probabilmente non vi esistono particolari accorgimenti antisismici.” (Enzo Mantovani – Giampiero Petrucci)

“Il problema vero è che sull’Appennino centrale possono verificarsi terremoti molto più forti, fino a magnitudo 7 com’è accaduto nel 1915 ad Avezzano. In quell’occasione a Roma non ci furono morti, ma molti danni distribuiti su gran parte della città, soprattutto in alcune zone che poi abbiamo individuato come le valli alluvionali“.
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Dopo il terremoto di Messico City, si capì che questi terreni erano in grado di amplificare lo scuotimento del suolo in occasione di terremoti anche lontani. Molte zone di Roma sono costruite sui terreni alluvionali, a partire dalla valle del Tevere che va da Prati a piazza Venezia fino a San Paolo ed è larga oltre 2 chilometri, fino a una serie di valli affluenti da est, non riconoscibili dalla morfologia perchè ormai completamente urbanizzate, come la valle della Caffarella in corrispondenza del terminal “Ostiense”, la valle di Grotta Perfettta e il Viale Giustiniano Imperatore. E poi ancora la Valle di Tre Fonrtna e la Valle di Vallerano. Queste zone sono state intensamente urbanizzate soprattutto negli ultimi 20-30 anni. Non possiamo purtroppo sapere come si comporterebbero tutti gli edifici lì costruiti, perchè non conosciamo le caratteristiche costruttive degli stessi edifici.
Sostanzialmente il rischio sismico, a Roma come in tutt’Italia, dipende dal fatto che non siamo in grado di fare la stima della vulnerabilità degli edifici, anche se sappiamo quali aree possono amplificare lo scuotimento. Noi possiamo fare una mappatura dei terreni che possono amplificare lo scuotimento, ma manca la parte ingegneristica e strutturistica che è quella più importante, i morti sono sempre causati dalle modalità costruttive degli edifici.” (Fabrizio Marra, geologo e ricercatore dell’Ingv)

“Il principale rischio sismico viene dall’Appennino: quando forti terremoti, di magnitudo 7, colpiscono l’area al confine tra Lazio e Abruzzo, anche Roma ne risente gravemente. Nel 1915 per fortuna non è successo nulla di gravissimo, ma Roma non era com’è oggi. Oggi è molto più amplificata proprio su quei terreni alluvionali e non consolidati che amplificano lo scuotimento del suolo. Proprio in quelle zone, il terremoto di L’Aquila è stato sentito in modo più significativo che altrove, ed era un magnitudo 6. Secondo me bisognerebbe valutare proprio questo aspetto sugli edifici, come ho già spiegato, per stare più tranquilli. Pensate che sul Viale Giustiniano Imperatore qualche anno fa alcuni edifici costruiti male, con fondazioni inadeguate per quei terreni inconsolidati perchè alluvoinali, si sono addirittura inclinati e alcune persone sono state evacuate dalla loro abitazione …”

Il terremoto della Marsica del 1915 come quello dell’Irpinia del 1980 confermano che l’Appennino Centrale può scatenare sismi nell’ordine del VII grado (MW) con danni anche molto gravi anche a distanze superiori ai 50 chilometri, se parliamo di terreni allluvionalli e di edifici costruiti male.

Anche il terremoto di Haiti del 2010 era del VII grado … il numero di vittime è stimato in 222.517 morti. L’entità dei danni materiali provocati dal sisma è ancora sconosciuta. Secondo la Croce Rossa Internazionale e l’ONU, il terremoto avrebbe coinvolto più di 3 milioni di persone.

Demata (blogger since 2007)