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Sanità Lazio: addio Commissario Zingaretti?

15 Gen

Un chiaro esempio di come vada la Sanità nel Lazio sono le prestazioni per le malattie rare che, essendo pagate direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), non dovrebbero subire nè tagli nè limitazioni da parte dei Servizi Sanitari Regionali (SSR).
Allo stesso modo, le Aziende Sanitarie Locali dovrebbero fare a gara per accaparrarsi questi malati e queste prestazioni, talvolta costose e comunque lucrative. Inoltre, un malato raro (e cronico) porta con se una serie di accertamenti, consulenze e altre terapie che sono ben programmabili e, dunque, si rendono più efficienti /economiche.
Non dovrebbe esistere motivo, dunque, per il quale un malato raro dotato di una prescrizione redatta da un Centro Interregionale o Nazionale (non un mero centro di riferimento regionale, attenzione) non possa accedere alle cure presso una ASL o un ospedale generale: paga tutto il Ministero.

Eppure, in alcune regioni tra cui il Lazio questo accade.
Ed è davvero difficile comprendere per quale motivo una qualunque azienda pubblica o privata rifiuti di assistere – come per altro sarebbe tenuta – un malato che porta con se tra i 30 e i 50.000 euro annui di prestazioni, di cui larga parte pagata cash dallo Stato.

Esistono, però, alcune evidenze che possono aiutarci a capire:

  1. gerontocrazia, tanta gerontocrazia, se scopri che interi reparti e schiere di malati sono affidati a medici che sono nati nel 1948 o giù di lì, dimenticando che si va in pensione anche per sopravvenuti limiti di età biologica e tecnologica, senza dimenticare che nelle malattie rare conta tanto il metabolismo e i meccanismi di sintesi, la genetica, la biochimica e tante altre cose che hanno preso piede solo dagli Anni ’80
  2. assenza di meritocrazia, efficienza e – di conseguenza – minore efficacia delle prestazioni: la madre di tutti gli sprechi. Si campa per lo stipendio a fine mese, per le eterne ‘scalate’ aziendali e di corridoio o per posizione consolidata, visto che chi sta sopra non va mai in pensione e chi sta sotto resterà sotto. I malati e le malattie new entry possono attendere
  3. occupazione dei vertici amministrativi, se accade che siano dei laureati in medicina (e non in economia) a coordinare management, servizi, prestazioni, forniture eccetera per milioni e milioni di euro e di persone. Un privato una cosa così non la penserebbe neanche sotto minaccia: un medico come direttore sanitario, un manager come direttore amministrativo. O no?
  4. gravissimi (potenziali) conflitti di interessi, se ad esempio nessuno verifica che le associazioni dei malati che raccolgono il 5xmille non coincidano, in un modo o nell’altro, con il medico del reparto o l’ospedale e se, peggio, il farmaco ‘orfano’ in quella regione sia una sorta di monopolio ed il centro pubblico operi in realtà come fosse un sub-distributore
  5. carenze del Contratto di lavoro dei medici, che possono essere adibiti a mansioni diverse, ma solo “fatte salve le eventuali specializzazioni di cui è in possesso ed esercitate all’interno della Struttura sanitaria”. Ad essempio, se vent’anni fa assumemmo tanti cardiologi e gastrenterologi ed oggi la prevenzione e i farmaci migliori ne hanno ridotto l’esigenza, teniamo aperti lo stesso i loro reparti consumando le risorse che andrebbero ai ‘nuovi’ settori e specialità mediche e raccondando ai cittadini che la colpa è dei tagli
  6. ritardo epocale, grazie ad un sistema universitario baronale e autoreferenziale. Basti dire che il sistema dei punteggi e il correlato concetto di invalidità è lontano anni luce da quanto l’Italia ha siglato in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994. Noi siamo ancora allo ‘sciancato’, al ‘gobbo’, al ‘cecato’ …

I malati rari sono soo la cartina al tornasole di questa storia, ma il risultato è che i malati (rari e ‘comuni’) che non trovano allocazione in un simile girone infernale vagano da uno specialista all’altro, con esami costosi, che – incredibile ma vero – vanno a dissanguare le loro tasche e quelle dei loro corregionali, manentendo funzionanti interi reparti che senza questo vagare non avrebbero ragione di esistere.

Dati spreco Sanità Lazio
Secondo i dati pubblicati dal Fatto Quotidiano, il Lazio spende lo 0,3% in meno rispetto alla media nazionale per l’assistenza di base, ma riesce a spendere quasi il 50% in più (11,4% contro il 7,5%) se parliamo della spesa ospedaliera in questione.
No matter, è lì il problema maggiore.

Questo il motivo per il quale il Lazio taglia posti letto e prestazioni ai malati, ma non posti di lavoro. Secondo questa logica, ma non la nostra, costerebbe di più azzerare un reparto o un ambulatorio, che ‘si ripagano mentre funzionano’, piuttosto che ridurrre di uno specialista, pagato decine e decine di migliaia di euro all’anno, se non centinaia, un reparto dove ce ne sono già sei o sette della stessa specialità.
Oppure continuare a riconfermare medici ormai ultrasessanticinquenni e pure pensionati su incarichi, funzioni e poltrone che – di norma – dovrebbero almeno essere occupate da personale in effettivo servizio, che percepisce uno stipendio anche dimezzato rispetto ai soliti ‘ex sessantottini’.
Perchè tenerci un medico di sessanticinque anni a passa, che ha difficoltà persino con la posta elettronica, quando ne potremmo avere uno di quaranta con pedegree internazionale a metà del costo, senza dover licenziare due ausiliari o chiudere un ambulatorio oppure alzare Irperf e ticket?

Così accade che a Roma si chiuda per un cavillo il centro infusionale del Fatebenefratelli, l’unico esistente in una ASL RMA con oltre un milione di persone, a vantaggio del centro trasfusionale di cui c’è ampia presenza sul territorio. Ovviamente, da un lato c’è il vantaggio finanziario del sangue raccolto e dall’altro c’è la spesa per un servizio offerto.

E che pensare della Asl di Rieti prevede indennità e rimborsi spese per gli organi direttivi, che hanno un’incidenza tre volte superiore alla media regionale con una spesa di ben 2 milioni di euro, come dell’ospedale San Filippo Neri dovve le spese di pulizia sono quasi cinque volte superiori alla media laziale, già di suo non bassa.
Vogliamo scherzare se la Asl Roma B spende addirittura cinque milioni per assistenza tecnico-programmatica e quasi tre per la vigilanza?

Come anche capita che centinaia di malati di reumatologia si ritrovino dispersi da un giorno all’altro in diversi siti sanitari cambiando specialista di riferimento. Oppure che si tengano aperti reparti di gastroenterologia che fanno gastrocolonscopie e poco più con un ritmo che è la metà di un sito privato … mentre a pochi minuti c’è un altro ospedale che offre ben due reparti per le stesse patologie.

Peggio che mai in qualche policlinico universitario, dove per parlare con lo specialista di riferimento, dovete superare due o tre livelli di medici specializzandi che devono valutarvi, ma specializzati ancora non sono.
E le prebende non mancano. Ad esempio il Sant’Andrea spende per premi di assicurazione 5 milioni di euro, a caussa delle polizze per responsabilità civile professionale dei sanitari, che sono a carico dei singoli lavoratori al San-Giovanni-Addolorata, al policlinico Umberto I e all’Ifo, che spendono un decimo.

Dati spreco ASL Lazio

Oppure che ci siano malati – non pochi – che non ricevono le prestazioni prescritte da altre regioni o che vengano costretti a recarsi a notevole distanza dalla propria abitazione anche se hanno un ospedale generale a tre metri.
Per non parlare dei farmaci orfani che sono negati alle strutture private, in modo che chi ha una assicurazione privata sia costretto a rivolgersi al pubblico incrementando … la spesa pubblica, che al momento è una delle più alte d’Italia con 153 euro pro capite di maggiore spesa rispetto alla media nazionale.

Il Forlanini è ormai struttura dismessa, ma la cosa viene annunciata quasi con gioia. Il Ministero dell’Economia va a sborsare 65 milioni di euro da devolvere al sistema sanitario regionale e la stampa di settore, finanziata dalla politica con il sudore delle nostre tasse, quasi elogia il Commissario Zingaretti che ha sforato un’altra volta.

Peggio, i diversi scandali delle forniture o delle coop servizi in diversi ospedali romani che non sono correlati a Mafia Capitale solo perchè scoperti uno o due anni prima.
Pessimamente, infine, il rischio ambulanze che non portano i malati dove sono disponibili i farmaci salva-vita, ma solo negli ospedali prefissati, oltre al fatto che in certi giorni a certe ore c’è qualche corteo ‘antagonista’ che vi blocca nel traffico a sirene speigate.
Da oblio, la vicenda della situazione di caos dei pronto soccorso della regione, nota agli italiani da mesi grazie ai inchieste televisive, ma sembrava ignota al presidente Zingaretti fino a pochi giorni fa.

Perchè allora non arriva un’azione di risanamento da parte dei nostri governi e perchè alcuni governatori regionali latitano sull’argomento, visto che perdono consenso a causa dei tagli iperbolici, dei disservizi e degli sprechi della macchina sanitaria, più Irperf e ticket maggiorati?
E’ presto detto: quasi un decimo dei nostri parlamentari e più della metà dei senatori della Commissione Igiene e Salute lavora(va)no nel settore sanitario, persino i vertici amministrativi siano occupati da personale sanitario, intaccare i privilegi contrattuali dei nostri medici è  una via sbarrata dai sindacati e, al momento, non è il caso di trovarsi anche gli ospedali chiusi per sciopero.

Se qualcuno si chiedeva chi/cosa rappresentasse la Casta nel Parlamento eletto nel 2013, questo potrebbe essere un indizio rivelatore: neanche un rappresentante dei malati nella Commissione del Senato che si occupa dei servizi loro erogati. E, con il prossimo parlamento, le cose potrebbero andare anche peggio.
Una lobby talmente potente – nei salotti, in parlamento e … per il commercio di fascia medio-alta … – che persino Papa Francesco, vescovo di Roma, ancora non si indigna perchè nella sua città i malati non vengono curati, non almeno come prevederebbe il Vangelo o come avviene in altre località italiane.

Roma e il Lazio, uno strano limbo che – dopo averne emanate le leggi in Parlamento – inizia solo da poco a scoprire che l’universo amministrativo si è dematerializzato e che se non usi il pc almeno decentemente sei ‘out’. Un luogo dove ancora si legge su delibere e determine che informatizzare registri, cartelle, circolari e avvisi è ‘impossibile’, anche se mezzo mondo l’ha già fatto.
Un bastione della resistenza al moderno – se ne scriveva già prima della Modernità – dove aleggia il terrore che una qualunque indagine tra quelle in corso potrebbe aprire ulteriori filoni, come se non bastassero quelli già scoperti a suggerire un ricambio profondo non solo della politica, ma anche dell’alta dirigenza. Anche di questo se ne scriveva già nei secoli dei secoli.
Una regione dove, soprattutto, i servizi sanitari vanno male e aumenta la quantità di residenti che si rivolgono a centri d’eccellenza fuori regione, mentre i calanti servizi che dovrebbero andare ai laziali sono destinanti – in alcuni reparti spesso – a malati che arrivano da regioni ancor peggio messe.

Tutto mentre nel Lazio vige una delle Irperf più gravose d’Italia, mentre oltre il 40% della popolazione è anziano, con il risultato che chi oggi contribuisce vede gran parte delle risorse destinate non a se o ai propri figli, bensì ai servizi geriatrici, come accade sia per la Sanità che per il Welfare.

Quanti voti perderà la Sinistra nel Lazio grazie a Zingaretti non è dato saperlo, nel partito c’è Ignazio Marino che allontana consensi alla grande: saranno le elezioni – se pensa davvero di ripresentarsi – a dircelo.
Il punto è, piuttosto, quanti consensi perderà in Italia il Partito Democratico se continuasse a far riforme che ‘esentano’ la Capitale dal rispettarle e se Matteo Renzi non troverà il modo di superare situazioni eclatanti come quella della Commissione Igiene e Salute del Senato, dove i tecnici occupano in toto lo spazio riservato alla politica.

Quella del mantenimento della Riforma Fornero – che pochi giori fa ha ‘automaticamente’ portato l’età pensionalbile di tutti a 42 e dieci mesi – è un marchio indelebile per un partito che fa dell’equità e della negozialità la propria immagine e la propria base di consenso.
Lasciare la Sanità nella situazione in cui versa in alcune regioni è peggio che una vergogna, essendo neanche  un’economia, ma solo un salasso finanziario per Stato e privati cittadini.

A proposito, cosa pensare se la norma ha previsto un Commissario ad acta nel constatare l’incapacità della politica a governare /risanare e ci ritroviamo che il Presidente della Repubblica ha nominato non un manager, non un notabile o un contabile, ma lo stesso Presidente della Regione che è finita nel commissariamento e che questo accade praticamente da 15 anni?

Come disse Benitez dopo il goal in triplo fuorigioco della Juventus … ci può stare.
Però, almeno prendiamo atto che questi sono i risultati di un Commissarimento ‘politico’ quando dura oltre quel tot di mesi che è naturale … non serviva molto per prevederlo ed è già un miracolo che non sia finita come in Campania per i rifiuti.

Adesso basta, si ponga fine al Commissariamento e che la Politica ci metta la faccia, se ne ha ancora una dopo 15 anni di assenza.

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Non derubrichiamo la concussione

2 Ott

Sei mesi fa, scrivevo che è la concussione il ‘male originario’ della corruzione e che tale reato non andava eliminato o derubricato. Sei mesi dopo, ad iter parlamentare in fase conclusiva, apprendiamo dai media che proprio la concussione provoca i maggiori tentennamenti tra i parlamentari e che alcuni emendamenti vorrebbero limitarla ai ‘soli aspetti patrimoniali’, tagliando fuori quello che gli italiani chiamano comunemente ‘voto di scambio’, ‘conoscenze’, ‘raccomandazioni’, ‘piaceri’, ‘inciucio’, ‘amici e parenti’.

Con l’espressione “corruzione” si intende il comportamento di un pubblico ufficiale che riceve denaro od altre utilità che non gli sono dovute.  La concussione consiste nel farsi dare o nel farsi promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione.

Nel primo caso, il pubblico ufficiale è vittima “compiacente” del corruttore, nel secondo caso è corrotto e corruttore. E, se in uno stato prevalesse un sistema politico incontrollabilmente corrotto – una “cleptocrazia” – non resterebbe altro da fare che prender atto che è la concussione a dilagare, e non la corruzione.

Ad esempio, andando oltre la definizione molto limitata che il Codice Penale italiano da alla “concussione”, sia lo schema di finanziamento dei partiti emerso con Tangentopoli sia i vari scandali che stanno coinvolgendo il Partito Democratico, mostrano un quadro “operativo” in cui l’appalto, la fornitura, la promessa elettorale, il “piacere” sono sempre stati finalizzati all’ottenimento di “denaro od altra utilità” per se stessi, per sodali, per l’organizzazione di riferimento.

Per non parlare del ‘fai da te’ dei singoli o del via vai di donnine e cocaina che gli scandali della Seconda Repubblica ci narrano.

Dunque, come da tradizione latina e greca, è la concussione il male e non la corruzione, che ne è l’effetto. Il “virus” è colui che, pur avendo ottenuto fiducia, consenso, onori e prebende, si dedica all’interesse personale e del clan, piuttosto che a quello collettivo. Gli eventuali corruttori che vadano a solleticare appetiti inconfessabili sono il tessuto infetto e non l’agente primario: da bonificare, certamente, ma fisiologici in una società mercantile. Non è un caso che i pochi – anzi pochissimi – paesi dove la corruzione ha poco appeal sono quelli anglosassoni, dove, notoriamente, i politici ed i dirigenti pubblici si dimettono anche per una multa non pagata o poco più.

Non è l’incremento delle pene o l’allargamento della casistica ad incidere sul dilagare della corruzione nel nostro paese, come non lo sono le pene draconiane (lavori forzati e pena di morte) già in vigore in molti paesi più corrotti del nostro: l’unica soluzione è la rapida espulsione dal sistema del “virus”, il concusso, e questo è possibile solo grazie all’applicazione rigida di regolamenti interni e codici deontologici, come nei paesi nordeuropei, e non tramite la giustizia ordinaria, che ha tempi ben diversi.

Ma chi è il concusso?  Solo colui che trae un vantaggio patrimoniale, come vorrebbe parte del PdL?
Certamene no.

Il baratto nacque ben prima del denaro e della proprietà privata, ben prima dell’idea stessa di patrimonio e in questa prassi rientra la disponibilità di beni – come di prostitute/i – e la carriera di parenti e amici.

Do ut des, questo dicevano gli antichi romani che di corruzione e, soprattutto, di concussione se ne intendevano.

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Alfano, Bersani, Casini, Monti e … Camusso

16 Mar

Grandi “svolazzi” sui titoli di testa dei nostri media. governo insostituibile, maggioranza salda, Italia col vento in poppa.

A proposito di lavoro, si parla di “una riforma ad ampio raggio dei diversi aspetti del mercato del lavoro per la credibilità anche a livello internazionale” e “per giungere ad un aumento dell’occupazione e della crescita”. Nulla di nuovo e nulla di aggiunto a quanto proposto ai sindacati, ovvero di quanto Bonanni, un moderato, ha definito ”ecatombe sociale”. Se questo è quanto. possiamo immaginare come la prenderanno i lavoratori over50, la base sindacale, i disoccupati senza sussidio, i Cobas, gli anarcoinsurrezionalisti, i forzanuovisti, il “sud ribelle”, i NO Tav.

Andando alla “lotta alla corruzione”, la ratifica della convenzione di Strasburgo del ’99 non porterà alcun beneficio, se dimentichiamo che spesso si tratta di concussione e, soprattutto, che il principio di colpevolezza verrà definito «quale complesso degli elementi soggettivi che delimitano e definiscono l’attribuibilità della responsabilità penale». Se questa è la farragine che da principio affliggerà concetti e procedure, stiamo davvero freschi.

E non meglio vanno le cose riguardo la responsabilità civile «diretta», personale, dei magistrati: l’intesa raggiunta prevede una “formulazione più ragionevole” rispetto all’emendamento Pini. Ragionevole? Le leggi e le sanzioni, come i rapporti tra lobby o poteri legittimi non sono mai ragionevoli. Eventualmente “equilibrati” … per fortuna che ci sono i “professori” …

Dulcis in fundo, mentre il numero dei politici – e dei funzionari da loro scelti con lo spoil system – indagati o comunque coinvolti in scandali è letteralmente incalcolabile, arriva una moratoria sulle intercettazioni, che sono l’unico mezzo esistente per acclarare connessioni, relazioni, modus operandi.

Intanto, poche ore dopo il grande “successo” politico del premier, arriva la “smentita” per bocca di Susanna Camusso: “su licenziamenti proposte del governo non vanno”.

Come dire di aver venduto la pelle dell’orso prim’ancora di averlo catturato.

Secondo il rapporto 2011 di Reporters sans frontières, l’Italia si colloca al 61º posto nel mondo (su 179 paesi e dopo Niger, Mali, Sudafrica, Moldavia, Uruguay, Repubblica Ceca, Lituania) per la qualità e l’attendibilità della nostra informazione.

E si vede …

Leggi anche Trattativa Lavoro spiegata con semplicità

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Corruzione? No, è concussione

16 Mar

Con l’espressione “corruzione” si intende il comportamento di un pubblico ufficiale che riceve denaro od altre utilità che non gli sono dovute.  La concussione consiste nel farsi dare o nel farsi promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione.

Nel primo caso, il pubblico ufficiale è vittima “compiacente” del corruttore, nel secondo caso è corrotto e corruttore. E, se in uno stato prevalesse un sistema politico incontrollabilmente corrotto – una “cleptocrazia” – non resterebbe altro da fare che prender atto che è la concussione a dilagare, e non la corruzione.

Ad esempio, andando oltre la definizione molto limitata che il Codice Penale italiano da alla “concussione”, sia lo schema di finanziamento dei partiti emerso con Tangentopoli sia i vari scandali che stanno coinvolgendo il Partito Democratico, mostrano un quadro “operativo” in cui l’appalto, la fornitura, la promessa elettorale, il “piacere” sono sempre stati finalizzati all’ottenimento di “denaro od altra utilità” per se stessi, per sodali, per l’organizzazione di riferimento.

Dunque, come da tradizione latina e greca, è la concussione il male e non la corruzione, che ne è l’effetto. Il “virus” è colui che, pur avendo ottenuto fiducia, consenso, onori e prebende, si dedica all’interesse personale e del clan, piuttosto che a quello collettivo. Gli eventuali corruttori che vadano a solleticare appetiti inconfessabili sono il tessuto infetto e non l’agente primario: da bonificare, certamente, ma fisiologici in una società mercantile.

Non è un caso che i pochi – anzi pochissimi – paesi dove la corruzione ha poco appeal sono quelli anglosassoni, dove, notoriamente, i politici ed i dirigenti pubblici si dimettono anche per una multa non pagata o poco più.

Non sarà, dunque, l’incremento delle pene o l’allargamento della casistica d incidere sul dilagare della corruzione nel nostro paese, come non lo sono le pene draconiane (lavori forzati e pena di morte) già in vigore in molti paesi più corrotti del nostro.

L’unica soluzione è la rapida espulsione dal sistema del “virus”, il concusso, e questo è possibile solo grazie all’applicazione rigida di regolamenti interni e codici deontologici, come nei paesi nordeuropei, e non tramite la giustizia ordinaria, che ha tempi ben diversi.

Non c’è da meravigliarsi se, tra i tanti annunci, si parla di eliminare o derubricare il reato di concussione …

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Corruzione, un paese da record

17 Feb

Per uno strano caso del destino, mentre Mario Monti annuncia “apprezzamenti” per l’Italia a tutto spiano, l’Anno Giudiziario si inaugura proprio mentre cade l’anniversario di Tangentopoli.

E così accade che si parli di corruzione con dati alla mano, proprio mentre conduciamo una singolare lotta agli sprechi senza andare a caccia di spreconi.

“Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese le cui dimensioni  sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce“. Questo il senso della relazione con cui il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha inaugurato l’anno giudiziario della Corte dei Conti.

Un volume, stimato dalla Corte dei Conti, per un valore di 60 miliardi di euro l’anno, ma le condanne inflitte “coprono” 75 milioni di euro, l’uno per mille del malaffare.
E, soprattutto, secondo la Commissione Europea, i capitali coinvolti nella “corruzione italiana” equivalgono a circa il 50% della corruzione complessiva in Europa.

Infatti, come conferma la magistratura italiana, “il nostro Paese nella classifica degli Stati percepiti più corrotti nel mondo stilata da Transparency International per il 2011 assume il non commendevole posto di 69 su 182 paesi presi in esame e nella Ue è posizionata avanti alla Grecia, Romania e Bulgaria“.
Non parliamo solo di “mazzette”, ma anche di “malaffare”, dato che i magistrati si riferiscono a tutti i comportamenti che arrecano “un danno alle finanze pubbliche” ed, in particolare, agli “episodi più ricorrenti di gestione delle risorse pubbliche inadeguata, perché inefficace, inefficiente, diseconomica”.dalla corruzione dell’attività sanitaria, allo smaltimento dei rifiuti, dal “gravemente colposo” utilizzo di strumenti derivati o prodotti finanziari simili, per arrivare alla costituzione e gestione di società a partecipazione pubblica e alla stipula di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Vengono inclusi anche gli errori nella gestione del servizio di riscossione dei tributi“.

Senza parlare dell’assenteismo, del pressappochismo, della discrezionalità, del nepotismo, dell’affiliazione di partito o di sindacato, della negligenza, della inadeguatezza alle quali assistiamo – vittime o carnefici – quotidianamente.

Cifre impressionanti, dunque, quelle della corruzione italica, ben più rilevanti di quelle relative all’evasione fiscale, se si fanno i dovuti confronti.

Infatti, se i dipendenti pubblici sono nell’ordine dei 5 milioni di addetti, la corruzione denunciata dalla Corte dei Conti equivale ad una “media” di seimila euro annui a lavoratore.

Infatti, in tema di conti pubblici, il Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, sottolinea che, “mentre grande attenzione è riservata alle proiezioni e alla stima degli effetti attesi dei principali provvedimenti, sono invece carenti le misure e le valutazioni ex post circa l’impatto che le politiche pubbliche esercitano sulla dinamica delle entrate e delle spese. Cosicché vi è una quasi totale mancanza di documenti e studi dedicati a verificare a posteriori se, quanto e come abbiano in realtà funzionato gli strumenti impiegati per migliorare il coordinamento della finanza pubblica e la qualità della spesa“.
Eh già, chissà quanti dirigenti pubblici dovrebbero restituire premi e prebende, puntualmente incassati mentre il “disastro avanzava”, dato che – a voler compilare qualche serie storica degli adempimenti contabili – salta subito fuori che gli obiettivi non erano quelli “giusti” e, per giunta, non erano mai stati raggiunti.

Dopo “Salva Italia” arriverà un “Pulisci Italia”?
Difficile.

Non è un caso che il ministro della Giustizia, così energica nel “fustigare i giovani”, annunci: “Ci vuole tempo, è un problema mai debellato”.

D’altra parte, bisogna capirli i “professori”, se aggredissero la corruzione, dove troverebbero mai il consenso (parlamentare) che li tiene al governo? E, poi, ve li immaginate voi dei banchieri che perseguono speculatori e corrotti?

‘Ca nisciuno è fesso.

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Decreto “svuota carceri”: un altro flop

5 Gen

Non sono trascorsi neanche 100 giorni dall’insediamento di Mario Monti e già si iniziano ad osservare i primi “non sense all’amatriciana”.

Dopo quello dell’urgenza di fare cassa portando l’età pensionabile a 42 anni di contributi, una misura i cui effetti si vedranno dopodomani o chissà quando, e dopo quell’altro dell’acquisto di ben 130 cacciabombardieri F35, in tempo di tagli e miserie per alcuni ma non per tutti, arriva l’indulto, ovvero il decreto ‘svuota carceri’.

E cosa scopriamo?

Che le celle di sicurezza sono poche, promiscue e senza servizi igienici, oltre al fatto che i braccialetti elettronici sono altrettanto pochi e che, soprattutto, non hanno il GPS …

E’ il vice capo della Polizia, il prefetto Francesco Cirillo, a denunciare (fonte ADN-Kronos) che le camere di sicurezza, oggi disponibili in Italia, sono in tutto 1057 e dovrebbero ospitare, per circa 48 ore dal fermo, le oltre 25.000 persone arrestate annualmente per reati non gravi e in attesa di processo per direttissima.
“Non hanno il bagno, non consentono l’ora d’aria né la separazione tra uomini e donne e dunque non garantiscono ‘condizioni indispensabili per rispettare la dignità delle persone’.”

Quanto ai braccialetti elettronici per il controllo a distanza dei detenuti, quelli disponibili sono solo 2.000 e non sono numericamente sufficienti, neanche adesso, per i detenuti agli arresti domiciliari. “Sono inoltre strumenti tecnicamente non idonei, perché non dotati di sistema Gps e dunque non consentono la localizzazione. Quanto ai costi, calcolati in circa 500 euro ciascuno, avremmo speso di più se fossimo andati da Burgari”, commenta con una battuta il vice capo della polizia. (fonte ADN-Kronos)

Morale della favola?

Il decreto “svuota carceri” appare sempre di più come un frettoloso e scandaloso indulto, questo blog lo prefigurava in tempi non sospetti, ma, soprattutto, il governo Monti non sembra riuscire a far meglio di Tremonti, se parliamo di affidabilità dei conti …

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Carceri sovraffollate: arriva un nuovo indulto …

16 Dic

Per alleviare il problema del sovraffollamento delle carceri, il governo Monti si accinge a varare un pacchetto di provvedimenti che farà discutere:

  1. detenzione presso le camere di sicurezza di polizia e carabinieri per gli arrestati in flagranza di reato ed in attesa di processo per direttissima
  2. depenalizzazione per i reati minori
  3. estensione da 12 a 18 mesi del residuo di pena che si potrà scontare agli arresti domiciliari
  4. estensione della reclusione domiciliare, ovvero la possibilità di scontare la pena definitiva presso il proprio domicilio.

La detenzione, in attesa del processo e per 72 ore, presso caserme, commissariati e questure non apporterà grandi benefici al sovraffollamento carcerario, ma permetterà di azzerare i costi di trasferimento per 21.000 persone l’anno.
Una misura che avrebbe dovuto esistere già da tempo e che, soprattutto, andrebbe attuata per motivi di “civiltà” e non per mera necessità finanziaria.

Se parliamo di reati “minori”, va subito precisato che il codice non ne fa distinzione e che sono, nella sostanza, quelli che generano minore allarme sociale. Ed anche in questo caso, ricordando che la proposta era stata avanzata dal PdL, prendiamo atto che si tratta di una misura che avrebbe dovuto esistere già da tempo e che, soprattutto, andava attuata per motivi di “civiltà” e non per mera necessità finanziaria.

Bene depenalizzare gli spinelli e l’immigrazione clandestina, male se si trattasse di frodi fiscali o di sfruttamento della prostituzione.

Quanto alle altre due misure, dobbiamo ricordare che consistono in un’ampia estensione della detenzione domiciliare senza braccialetto elettronico, con un obbligo di firma spesso neanche quotidiano e con affidamento ai servizi sociali.

In un paese che “vanta” due milioni di disoccupati, “garantire” un lavoro (socialmente utile) a chi delinque appare come un vero paradosso.

Senza contare che, in breve tempo, una buona parte dei detenuti rilasciati si ritroverebbe nuovamente nei guai con la legge, come le statistiche sugli indulti dimostrano.

A proposito di indulti, se non fosse che si tratta di arresti domiciliari in vece di scarcerazione tout court, le proposte del governo ad un indulto somigliano, anzi lo estendono agli anni a venire.

Carceri sovraffollate? Costruiamone di nuove.

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Berlusconi lascia tra qualche mese, si va al governo tecnico?

1 Set

La manovra, che il Parlamento si ripromette di varare, somiglia sempre di più ad un enorme TIR, pieno di scatoloni vuoti ricoperti da etichette tra le più disparate, alcune ben apposte altre staccate e riappiccicate, come dimostrano gli strappi sul cartone dello scatolone più vicino.

Un TIR che non riesce a far manovra per uscire da un enorme slargo ed imboccare una qualunque via, semplicemente perchè lo sterzo è bloccato, ci sono tre autisti al posto di uno, i semafori lampeggiano all’impazzata ed i freni (l’Opposizione e gli altri poteri) sembrano proprio non funzionare.

Un enorme veicolo che è esso stesso, in realtà, il tesoro da trasportare, perchè si tratta dell’Italia e del suo futuro.

L’Europa chiede di rientrare di soli 80 miliardi di euro in tre anni, su un PIL che è 25 volte tanto: non sarebbe un’impresa affatto difficile, se non fosse che Lorsignori hanno raschiato il fondo del barile e, adesso, si tratterebbe di toccare i loro interessi ed i loro quattrini.

Prendiamo atto che questo Parlamento proprio non riesce a legiferare (vedi il caso di L’Aquila), che questo Governo ha già troppo spesso emanato norme incostituzionali, che questa classe politica ha concluso il suo ciclo e che i fatti giudiziari stanno iniziando a raccontare abissi peggiori di Tangentopoli.

Ci vorrà ancora un mese, mentre i ministeri rientrano dalle ferie ed il paese prende atto del disaccordo e della inconcludenza di tanto discutere, dopo di che, i mercati non sono mai pazienti, non resterà che andare al  governo tecnico istituzionale per la manovra e le elezioni.

D’altra parte, è lo stesso premier, Silvio Berlusconi, a pensare che non ci sia altra strada … altrimenti, perchè affermare: “Tra qualche mese me ne vado …vado via da questo paese di merda…”.

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Una manovra contro di noi

30 Ago

Questo è tutto quello che le generazioni nate tra il 1925 ed il 1950 hanno riservato a noi che siamo nati dopo di loro.
E’ iniziata quando avevamo ancora 15 anni, cambia poco se fossero gli Anni Settanta, Ottanta o Novanta e, dopo 20-30 anni, continua ad andare così.

Una letale e brutale corsa senza traguardo e senza vincitori: una generazione in esubero da “smaltire”.

Siamo tutti vittime di due generazioni abbarbicate alle poltrone del potere, che mai hanno voluto ascoltare ipotesi, teorie e soluzioni diverse da quelle che a loro facevano comodo in quel momento.
Predatori, che ci hanno portato alla rovina arraffando tutto quello che c’era, durante il Boom economico, e che intendono continuare a farlo finchè ci sarà sangue e linfa da succhiare.

Le loro pensioni non si toccano, le nostre si.
Fuckin’ bastards …

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Le pensioni dei laureati e l’iniqua manovra

29 Ago

Le prime anticipazioni dei media su quanto concordato dagli esponenti della Lega e del PdL riuniti a Villa Certosa raccontano di un’altra iniqua legge a carico dei lavoratori italiani.

I titoli recitano il canonico “stretta sulle pensioni”, ma nella realtà si tratta di una stretta sui lavoratori laureati del settore pubblico: “il calcolo verrà effettuato solo in base agli “effettivi anni di lavoro” e non dovrebbe più tener conto degli anni di servizio militare prestato e degli anni universitari.”

In pratica, sono 4 anni di servizio in più per tutte le posizioni da laureato del settore pubblico.

Cosa giusta? No, iniqua e controproducente.

Innanzitutto, precisiamo che i laureati del settore pubblico devono pagare una congrua somma per riscattare gli anni di studio universitario, spesso versando l’intero equivalente dei contributi dovuti.

L’INPDAP, l’ente di previdenza che copre questi lavoratori, è  in ottima salute ed è talmente ricco che, se svincolato dal Ministero dell’Economia, avrebbe addirittura i capitali per rinegoziare i prepensionamenti necessari a far posto a giovani ed innovazione, nelle scuole, come negli ospedali o nelle  università.

Inoltre, l’INPDAP, in base alle regole di bilancio europeo, non dovrebbe vertere direttamente sulle spese dello Stato e non si comprende quale sia il beneficio in termini di manovra o di minor spesa.

Va anche aggiunto che il “computo degli studi universitari” è frutto di lunghi anni di battaglie professionali e sindacali, dato che  i laureati entrano nel mercato del lavoro diversi anni dopo i diplomati, perchè devono, a proprie spese, acquisire le conoscenze e le competenze di livello universitario necessarie al lavoro che faranno, in un paese che non è affatto prodigo di ostelli, borse di studio e meritocrazia.

Una vera cattiveria, specialmente se consideriamo che non tutte le categorie sono effettivamente colpite da questa norma: i docenti universitari, i magistrati ed i medici già adesso tendono a rimanere in servizio fino od oltre il 65° anno di età. Le categorie di laureati effettivamente colpite dall’azzeramento del riscatto pensionistico degli studi universitari sono quelle della scuola (precari ed alunni inclusi), dei neoassunti (che difficilmente matureranno i 40 anni di base pensionistica) e dei malati cronici (costretti a trascinarsi al lavoro per quattro anni extra).

La cattiveria, per inciso, non sta solo nel tipo di categorie colpite, ma nel sistema pensionistico pubblico, che non consente alcuna forma di negoziazione su TFR e computo pensionistico per i malati, come invece è possibile nel settore privato e con le assicurazioni.

Una vera iniquità, non solo verso giovani ed invalidi, ma anche verso chiunque non sia già pensionato, visto che restano intatte le pensioni d’anzianità e d’annata, cioè proprio quelle per le quali i contributi versati sono esigui a confronto con le somme percepite.

Una svista epocale, quella di prolungare il servizio ad un paio di milioni di laureati, se consideriamo i promessi tagli alla pubblica amministrazione, la quantità di precari che attendono da anni, l’urgenza ultraventennale di riformare ed innovare.

Una vergogna, che non sarà facile emendare.