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San Valentino di sangue per Matteo Renzi

14 Feb

san valentinoUna Camera dei Deputati semivuota ha ultimato questa notte il voto degli emendamenti al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione.
La notte di San Valentino sono stati introdotti o modificati ben quaranta articoli che riscrivono la Costituzione dopo una vera e propria zuffa – con ben due parlamentari in infermeria e diversi deputati espulsi – conclusasi con oltre 200 rappresentanti delle opposizioni (Forza Italia, M5S, Fratelli d’italia, Lega e Sel) fuori dall’Aula di Montecitorio, mentre a votare c’erano solo gli eletti del Partito Demoratico ed i micro-partiti collegati.
Il voto finale sarà a metà marzo, ma vediamo replicarsi la deriva autoritaria che ha portato all’elezione del Presidente della Repubblica in modo assolutamente non condiviso con le altre forze politiche che pur rappresentano il popolo italiano e l’interesse nazionale.

‘Deriva’ e ‘autoritaria’ possono sembrare parole grosse, ma è difficile trovare altri termini: deriva perchè non si sa dove stiamo andando, autoritaria perchè – bullismo o meno – c’è qualcuno che dice ‘qui comando io’.

Non è con un blitz notturno del Governo che si crea un Senato composto da 100 membri non eletti direttamente dai cittadini (selezionati tra sindaci e consiglieri regionali), che si eliminano le province e – soprattutto – cambiano le competenze di Stato e Regioni, come cambiano le regole per i referendum e il raggiungimento del quorum, come anche per l’elezione del presidente della Repubblica.
Sono modi che ricordano eventi simili accaduti in Georgia, Serbia, Macedonia ed altri paesi dell’Europa dell’Est, quando si trattò di riconvertire le oligarchie comuniste in ceto dominante di una società mercantile.
Un conto era superare ‘certi mal di pancia della sinistra italiana’, un altro è estromettere tutte le opposizioni.

Antonio Polito, autorevole voce ‘democratica’, scrive sul Corriere della Sera, che “si è prodotto il sonno della ragione … un tempo si sarebbe detto da Parlamento balcanico … la Costituzione andrebbe riscritta alla luce del sole … l’incursione notturna del premier è stata così tenebrosa che ora rischia di produrre effetti devastanti sul processo delle riforme.

Rosy Bindi, fondatrice del partito e presidente della Commissione Antimafia, con riferimento alla Camera dei deputati, che da sola e con la mera la maggioranza assoluta dei voti potrà riformare qualunque cosa, ricorda che «con una legge elettorale maggioritaria – che darà il 54-55% a chi vince – questo emendamento non è sufficiente a garantire che in futuro vi sia il rispetto della Costituzione».

Quel che ne viene è un gioco al massacro – Bloody Valentine – in cui Matteo Renzi, dopo aver tradito ogni patto ed alleanza, potrebbe cercare di restare in carica fino a fine mandato, con la sola Camera dei Deputati e rinnovando (ndr azzerando) il Senato non appena votata la Riforma … nella convinzione che i risultati politici gli daranno anche il consenso che non ha più.
Un gioco al massacro come tanti altri, ad esempio nel Lazio, dove le ‘liste civiche’ stanno traslocando in massa nel partito, svuotando direttivi accademici ed associativi di rappresentanza ed autorevolezza, nella mera speranza di convogliare nuove filiere di consenso ad un partito che a Roma sembra contare su meno di 7.000 iscritti e centomila votanti alle primarie …
Oppure, in Campania, con Raffaele Cantone –  magistrato e presidente dell’Autority nazionale anti-corruzione – che avrebbe rifiutato la candidatura renziana, perchè “non sarebbe serio mollare tutto adesso e cominciare un lavoro da governatore”. Promoveatur ut amoveatur?

Massacro come la stramba idea di isolare Alfano e i neopopolari o cannibalizzare Scelta Civica e le forze libdem.

Un San Valentino di sangue per la democrazia italiana, specialmente se le prossime elezioni – Renzi o altri che siano – dovessero consegnarci un Parlamento blindato con una maggioranza insormontabile, che legifera ‘dai corridoi della politica’ asservendo il voto parlamentare a mera ratifica.

E, comunque, non si può pensare di dare un futuro ad una nazione votando frettolosamente delle ‘toppe’ (tali sono gli emendamenti) per riformare una Costituzione con l’80% degli italiani che non fa riferimento a quel 60% di parlamentari eletti – come tutti gli altri – in base ad una legge elettorale incostituzionale, ma che sono oggi la maggioranza della Camera.

Non ne verrà nulla di buono, il vento genera tempesta.

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Senato e Titolo V: senza riforme l’Italia in stallo

3 Giu

In Gran Bretagna, i parlamentari  (Camera dei comuni) sono 650 – Members of Parliament – eletti dal popolo a suffragio universale e con il sistema maggioritario.
Esiste anche la House of Lords (Camera dei Lord) con 826 membri totali di cui 92 sono ereditari e 709  a vita, che ha compiti di revisione della legislazione emessa dall’Esecutivo, controllo sulla legislazione europea, funzioni costituzionali e dibattimentali su questioni politiche e giudiziaria. Una sorta di corte/camera costituzionale allargata e trasparente, di cui fa parte anche l’alto clero anglicano.

L’Assemblea Nazionale francese è formata da 577 deputati, eletti in un collegio elettorale uninominale a doppio turno, 346 senatori sono eletti a suffragio indiretto da circa 150.000 grandi elettori: sindaci, consiglieri comunali, delegati dei consigli comunali, consiglieri regionali e deputati.
Il Senato ha praticamente gli stessi poteri dell’Assemblea Nazionale, ma a causa della lunghezza del mandato, della relativa minore importanza rispetto all’Assemblea, alla possibilità di cumulare cariche elettive locali con il mandato di senatore, è considerato come un buon ripiego per politici a fine carriera o come mezzo di rientrare nella politica attiva per i candidati all’Assemblea Nazionale che non sono stati eletti.

Il Bundestag (trad. Dieta federale) è il parlamento federale tedesco composto da 630 deputati, eletti con un sistema misto: per metà in collegi uninominali con il sistema maggioritario plurality e per l’altra metà con il sistema proporzionale del quoziente.
C’è anche il Bundesrat (trad. Consiglio federale), un organo costituzionale legislativo, composto dai 69 delegati dei governi dei vari Länder. Ha funzioni di revisione costituzionale e di iniziativa legislativa in materia federale.

In Spagna, il Congresso dei Deputati è composto da 350 membri, eletti in ogni circoscrizione elettorale, a cui viene attribuita una rappresentanza minima iniziale ed un numero addizionale di seggi in base alla popolazione. Sono, poi, 208 senatori sono eletti direttamente dal corpo elettorale con suffragio universale nel Senato delle Autonomie.
La Costituzione attribuisce al Congresso una notevole autonomia rispetto al Senato, tra cui il poter conferire e ritirare la fiducia alle Corti Generali nel Governo e dirimere i conflitti che sorgono tra le Camere durante l’elaborazione e l’approvazione delle leggi.

In breve:

  • Spagna, un eletto dal popolo ogni 80.000 abitanti. 588 politici nelle ‘Camere’. Senato  a suffragio universale di limitata importanza
  • Germania, un eletto dal popolo ogni 117.000 abitanti. Un parlamentare – di cui l’11% non eletto direttamente – ogni 99.000 abitanti. 699 politici nelle ‘Camere’. Senato di ‘delegati’ con funzioni di revisione costituzionale e iniziativa federale
  • Italia, un eletto dal popolo ogni 63.000 abitanti. 944 politici nelle ‘Camere’. Senato  a suffragio universale equiparato alla Camera
  • Francia, un eletto dal popolo ogni 113.000 abitanti. Un parlamentare – di cui un terzo non eletto direttamente – ogni 63.000 abitanti. 916 politici nelle ‘Camere’. Senato  di ‘delegati’ equiparato alla Camera, ma di limitata importanza
  • Gran Bretagna, un eletto dal popolo ogni 97.000 abitanti. Un parlamentare – di cui tre quinti non eletti direttamente – ogni 37.000 abitanti. 1476 politici nelle ‘Camere’. Senato di ‘delegati’ con funzioni di revisione costituzionale e legislativa.

Detto in altri termini, solo l’Italia con la Francia ha un Senato eletto effettivamente equiparato alla Camera dei Deputati, ma in Oltralpe al posto degli elettori troviamo dei Grandi Elettori con un ricambio triennale.
Anche in Spagna è eletto dal popolo come in Italia, ma ha una rilevanza minore per legge.
In Germania, è una ‘commissione di lavoro allargata’ dei Lander, in Inghilterra un’ampia rappresentanza di Lord, in ambedue i casi i compiti sono principalmente revisori.

In parole povere – al vaglio delle carte costituzionali dei vari stati europei da parte di di noi posteri –  se il Senato ha gli stessi compiti e i medesimi poteri della Camera dei Deputati, invece di dedicarsi alla revisione di leggi e trattati, lo Stato non funziona bene: decide con lentezza, spende con dissolutezza.
Stop.

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Senato incostituzionale e deriva democratica … in pillole

28 Apr

Da circa un mese, a sinistra, ha iniziato a levarsi un brusio di presunta incostituzionalità della riforma elettorale che Matteo Renzi sta promuovendo. Brusio che nella ‘pausa pasquale’ sembra essersi trasformato in clamore.
Ma di cosa si tratta?

Vannino Chiti, il promotore del disegno di legge ‘alternativo’ – che piace agli tanti senatori attuali tra cui i Cinque Stelle, precisava, giorcni fa, che “noi proponiamo che i senatori siano eletti dai cittadini con una legge di tipo proporzionale e le preferenze, in concomitanza con le elezioni per i Consigli regionali. In democrazia se chiamati dal consenso dei cittadini a svolgere una funzione, è virtù non sovrapporre incarichi. La modalità di elezione è legata alle competenze del nuovo Senato. Secondo la proposta del governo parteciperà alle modifiche della Costituzione, alle nomine dei giudici costituzionali, del Csm, all’elezione del Presidente della Repubblica. Per il resto darà pareri. Avremo così un Senato senza funzioni di garanzia reale, tanto più necessarie dal momento che la Camera sarà eletta con una legge fortemente maggioritaria.”

“C’è stata – afferma Stefano Rodotà – una regressione culturale profonda. Si cancella il Senato, si compone la Camera con un sistema iper maggioritario, il sistema di garanzie salta. Il risultato – conclude – sarebbe un’alterazione in senso autoritario della logica della Repubblica parlamentare che sta in Costituzione. E dovremmo stare zitti?”

«Per ciò, si dovrebbe andare oltre il bicameralismo perfetto, non per umiliare ma per valorizzare: eliminare il voto di fiducia, ma prevedere un ruolo importante sugli argomenti “etici”, di politica estera e militare, di politica finanziaria che gravano sul futuro. Altro potrebbe essere il controllo preventivo sulle nomine nei grandi enti dello Stato, sul modello statunitense. Sarebbe uno strumento di lotta alla corruzione e di bonifica nel campo dove alligna il clientelismo. Insomma, ci sarebbe molto di serio da fare», questo il pensiero di Gustavo Zagrebelsky.

Le maggiori divergenze, tra la proposta del governo e quella dell’on Chiti e altri, stanno nella composizione e nei compiti del nuovo senato, nei compensi dei senatori, nel rapporto con le Regioni. Tutto, insomma.

 Infatti, nella proposta del governo, si prevedono in totale 127 (più 25 senatori ‘a vita’) senatori, che saranno i Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, i sindaci dei Capoluogo di Regione e di Provincia autonoma saranno anche senatori, più, per ciascuna Regione, due consiglieri regionali e due sindaci scelti dai rispettivi consigli.
I difetti della proposta di Renzi & co. stanno nel fatto che il ‘nuovo senato’ potrebbe riunirsi con relativa continuità e che si creerebbe un forte cumulo di cariche pubbliche (visti i compiti già attribuiti ai suoi componenti). Una sorta di ‘dopolavoro comunale’ come sottolineava, con una delle sue solite battute ad effetto, Silvio Berlusconi.

Per Chiti e gli altri senatori che hanno sottoscritto la proposta il Senato rimarrà elettivo, con rappresentanti scelti direttamente dai cittadini in contemporanea con le elezioni regionali.
«La riforma del governo è pasticciata. E forse lo è perché si sarebbe dovuti partire da una riflessione circa i nuovi compiti che il Senato deve svolgere e da lì intervenire sulla sua composizione, come effetto conseguente, e non viceversa. Si è scelta però la strada più facile da comunicare», questo il pensiero di Andrea Pertici, senatore PD di ‘area civatiana’.
C’è però, da rilevare che – votando su base regionale come oggi, ma con soli 100 senatori eletti sul territorio italiano (uno ogni circa 300.000 elettori) – sussiste la difficoltà a realizzare la proporzionalità che la Costituzione prevede, come già si verifica per le elezioni europee, nonostante l’accorgimento dei ‘macrodistretti regionali’, per il caso delle firme minime da raccogliere in Val d’Aosta.

Votare alle regionali dei consiglieri appositamente demandati a svolgere il compito senatoriale, potrebbe essere un passaggio utile a comporre il mosaico. Qualcuno ne aveva scritto tempo addietro, tra l’altro.

 Andando ai ‘poteri’, il nuovo Senato di Matteo Renzi rappresenta le istituzioni territoriali di cui si compone (Autonomie), può proporre delle modifiche alle leggi approvate dalla Camera, vota le leggi costituzionali, mentre lo Stato ritorna ad avere la competenza esclusiva per le norme generali per: governo del territorio, protezione civile, produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia, grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale.
Secondo la proposta minoritaria del PD appoggiata dai Cinque Stelle, il Senato dovrà esaminare e votare anche le leggi elettorali, i trattati europei e i provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona, ma non vi sarà nessun cambiamento rispetto alla normativa vigente e la Conferenza Stato-Regioni allargata resterà invariata.

In questo caso i ‘difetti’ pendono quasi tutti dal lato della proposta Chiti, visto il permanere di una ‘terza Camera’ – la Conferenza Stato-Regioni – che continuerebbe ad occuparsi della bassa macelleria con inefficacia ormai proverbiale, mantenendo un Senato di ‘eletti’, impegnato in compiti che potrebbero essere, saggiamente e celermente, demandati al parere preventivo della Corte Costituzionale, per provvedimenti che comunque vengono vagliati nella loro costituzionalità dal Capo dello Stato.

Il Senato di Renzi, viceversa, potrebbe essere tenuto regolare le materie di competenza regionale “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale”, e può anche devolvere ad una o più Regioni la funzione legislativa, “anche su richiesta delle Regioni e per un tempo limitato”.
Fermo restante che il nuovo senato avrebbe comunque il potere di richiedere alla Camera di modificare sia le norme generali sia le leggi elettorali, i trattati europei e i provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona, come anche quello di richiedere comunque l’intervento della Corte Costituzionale.

Dunque, come al solito, restano alcune domande aperte.

Perchè gli eminenti professori del PD insorgono contro la deriva autoritaria, se il problema vero è solo nella ‘formula elettorale’?
E perchè il Movimento Cinque Stelle appoggia la proposta Chiti, ovvero il mantenimento dello status quo, con il rischio che, cadendo il governo, si vada ad elezioni con la solita ‘carica dei 300’, indennità comprese?

Ma, soprattutto, perchè  le due o tre anime del Partito Democratico non riescono a trovare una soluzione decente al banale quesito di ‘come individuare circa 100 senatori su circa 40 milioni di elettori’?
Forse perchè la rapida evoluzione delle bozze e la disponibilità al dialogo – tipica di un metodo moderno e in real time – viene confusa con altro, come ben chiarisce l’ultraottantenne Stefano Rodotà all’Huffington Post: “Ho letto pochi testi così sgrammaticati. Non mi pare neppure emendabile. Vedo poi che cambia continuamente. Ma questa disponibilità a cambiare mi pare soprattutto un segno di debolezza culturale e di approssimazione istituzionale“.

Peccato che questo possa anche suonare, con una mentalità od un’età diverse, come ‘ci siamo tenuti in contatto e le abbiamo proposte tutte, ma sono pervenute solo critiche e silenzi’

Leggi ancheSenato SI, Conferenza Stato Regioni NO. Perchè?

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M5S game over, Renzi missione compiuta?

27 Feb

In Italia, i tre maggiori partiti sono guidati da personaggi (Renzi, Grillo e Berlusconi) che non fanno parte del Parlamento. A dire il vero, forse non dovremmo parlare dei ‘maggiori’ partiti, ma dei ‘partiti’, visto che uno sbarramento all’8% potrebbe cancellare  UDC / Scelta Civica, Fratelli d’Italia e SEL, come anche la Lega non esiste in 2/3 dell’Italia.

Partiti (PD, M5S e PdL) che neanche s’è ben capito come funzionino in termini di democrazia interna, visto che tra i Democratici non c’è segretario o premier che resista un anno uno, che senza Beppe Grillo e il suo portale Cinque Stelle dovrebbero riorganizzarsi da zero, che l’esodo di NCD è dovuto anche al peso dei Berluscones nel partito.

Intanto, Obama  benedice Matteo Renzi, lo spread si mantiene ai minimi, la Germania non è più mordace. Perchè?

Perchè ‘questa sinistra’ piace. All’estero piace.
E non parliamo solo della benedizione del Time, del 2009, quando Mattteo Renzi venne definito da Jeff Israely come l’Obama italiano, “un praticante cattolico  che rappresenta la speranza di cambiamento dei Democratici”.

Mette spalle a muro Roma con suoi debiti e il suo degrado … mentre c’è da privatizzare sul serio l’AMA e mentre la lungimirante Gaz de France – Suez che ha acquistato e occupato il suo bel palazzone (già dei sindacati …) sul Lungotevere ggià da una decina d’anni …

Rinuncia a realizzare opere pubbliche (in toto, in parte o delegando) come per la TAV in Val di Susa, per i No Canal a Milano, per la gestione mediatica della Terra dei Fuochi e del pentito Carmine Schiavone, per i gasodotti in Puglia: meno tensioni sociali e lauti affari per i territori adiacenti (Francia, Milano est, ciclo dei rifiuti emilromagnolo, Molise) …

Parla di scuola strizzando l’occhio agli edili, di università guardando al turismo degli scambi culturali, di lavoro pensando alle Coop, di Sanità con nostalgia per le mutue, di ‘rottamazione’ ma non di pensionamenti.

Ma, soprattutto, quel che piace (all’estero) di Matteo Renzi e del nuovo corso populista (ndr. visitare una scuola alla settimana rievoca i fasti totalitari di Benito e Josip) è la possibilità di frantumare il ‘polo’ Cinque Stelle ed incassarne parte dei cocci alle prossime elezioni.

Missione sostanzialmente compiuta: se 18.000 voti on line possono defenestrare quattro senatori eletti, la democrazia non è tra noi.
Se, poi, Beppe Grillo riesce a commentare «così si terranno i 20 mila euro al mese», siamo ben oltre. Non a caso i Cinque Stelle espulsi ed i ‘dissidenti’ parlano di «fascisti» e «cannibali», mentre i media annunciano il ‘rischio scissione’.

Forse non ‘fascisti’ – anche se giubilare un parlamentare è da Neolitico – ma se non ‘cannibali’, probabilmente ‘dilettanti’, visto che una giubilazione /scissione è la cosa politicamente meno opportuna, se sul tavolo di Renzi c’è il piano nomine di 350 nuovi manager, dalle Poste a Eni, in cui, per la prima volta da 12 anni, un governo di centrosinistra deve decidere i vertici delle aziende di Stato. Ecco la fretta di ‘avvicendare’ Enrico Letta …

Figuriamoci, poi, a regalare alla maggioranza di Renzi al Senato quei 20-30 senatori che servono per formare un governo di ‘sinistra’ anzichè di ‘larghe intese’ e che – se restassero nel M5S – dovrebbero dire addio alla politica in un anno o due, vista la riforma che si prevede per il Senato e la debolezza dimostrata dal Cinque Stelle a livello regionale e di radicamento dei parlamentari al territorio.
Secondo La Repubblica, “Pippo Civati, per dire, già si lecca i baffi: l’area del nuovo centrosinistra è a quota 23 senatori” … e, secondo buon senso, nel giro di un anno buona parte dell’anima ‘di sinistra’ dei M5S sarà in un modo o nell’altro ritornata all’ovile. Cosa ne sarà del resto dei Grillini, è difficile dirlo, ma non è improbabile che Lega e Fratelli d’Italia non possano recuperare qualche punto in percentuale …

Ormai la frittata è fatta, i Cinque Stelle hanno scelto tra l’essere forza ‘parlamentare’ – in cui le decisioni escono dal gruppo degli eletti – ed il rimanere un esperimento di net-democracy – dove il consenso si coagula in questioni ridotte ai minimi e mutevoli termini di un click.
D’altra parte, è dato di fatto che i Cinque Stelle non siano riusciti ad aggregare – in quest’anno di legislatura – una think tank di esperti (blogger o accademici che siano) per sostenere il lavoro dei parlamentari.

Game over, caro Beppe. Chi troppo vuole, nulla stringe.

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La Sinistra di Matteo Renzi e i dati sul lavoro USA

9 Dic

Matteo Renzi vince le Primarie del PD, mentre – dal 2005 ad oggi – la platea dei votanti alle primarie passa dai 4,3 milioni del 2005 ai soli 2,5 milioni (sedicenni inclusi) di oggi.

“Io capitano, fine degli inciuci”, intona il neosegretario, come se nel ‘suo’ Comune di Firenze non ce ne siano.
“Cambiano i giocatori”, come se fosse lui a deciderli e non gli elettori (ndr. come ha ribadito la Corte Costituzionale). E “anche il sindacato deve cambiare”, ma “è la fine di una classe dirigente, non della Sinistra”.

A quale Sinistra e a quale Sindacato faccia riferimento Matteo Renzi è presto detto: parliamo di Obama e degli Stati Uniti. Mica di microeconomia e di equo-solidale, come vorrebbe Ignazio Marino, o di Meridione e rilancio industriale, come senso civico e giustizia sociale suggerirebbero.

Dal Washington Post di sabato apprendiamo che “l’economia americana ha aggiunto 203.000 posti di lavoro nel mese di novembre, secondo i dati del governo pubblicati venerdì mattina, aumentando le speranze che la ripresa è pronta per il decollo.

Il rapporto del Dipartimento del Lavoro ha anche mostrato che il tasso di disoccupazione è sceso al 7 per cento, il livello più basso degli ultimi cinque anni. Il calo riflette una ripresa nelle assunzioni piuttosto che una riduzione della forza lavoro, che ha spinto verso il basso il tasso di disoccupazione nei mesi precedenti. Si stima che circa 455.000 persone sono entrate nel mercato del lavoro nel mese di novembre.”

Come? Flessibilizzando e parcellizzando il lavoro on demand, con buona pace delle organizzazioni sindacali statunitensi. E lo stesso sta chiedendo di fare la SPD tedesca, mentre appoggia sottobanco la richiesta di infrazione per surplus contro la sua stessa Germania.

Visto cosa accadeva (e accade) nelle fabbrichette cinesi in Toscana, l’idea – per quanto efficace – non è del tutto rassicurante, specie se ricordiamo che mezzo paese è Gomorra, che Roma vive di servizi offerti ai propri cittadini, che il Triveneto è una zona ‘fiscalmente opaca’ e i dati denunciano da molti anni orari settimanali ben superiori alle 40 ore.

Basta un click per votare, ma non per governare.
Molti ravvisano una certa somiglianza tra Berlusconi, Grillo e Renzi, sia nell’uso dei media sia nel concetto che hanno di ‘premiership’. Probabilmente possiamo aggiungere una certa ingenuità … o la facilità con cui si promette.

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Perchè il PD perde voti?

29 Nov

Arriva tramite l’osservatorio Questioni primarie, in collaborazione con l’edizione online della rivista Il Mulino e il coinvolgimento dell’Osservatorio sulla comunicazione politica dell’università di Torino, l’analisi di Candidate & Leader Selection dell’elettorato e del voto alle Primarie PD, nella recente edizione ‘Bersani – Renzi’.

C&Ls Dati Primarie PD Partecipazione

Un primo dato, certamente significativo e poco incoraggiante, è quello del 58,3% di tutti i tesserati ha partecipato a più di 5 volte ad attività di circolo, ovvero incontrandosi di media una volta ogni due mesi.
Molto poco, neanche un dibattito od una conferenza al mese, specie se si considera il consistente divario tra gli iscritti ‘ante PD’ e quanti aggregatisi dopo il 2007: il 45% dei primi partecipano a ‘cinque o più’ iniziative/manifestazioni all’anno, il 20% dei secondi dichiara di non partecipare ‘mai’.
Gli altri partiti – a livello di circoli e manifestazioni – non vanno affatto meglio, ma possono contare anche su altri fattori aggregativi – che la fin dal vecchio PCI sono stati considerati ‘ricreativi’ – come associazioni (centrodestra), forum-blog (M5S),  centri sociali (estrema destra/sinistra), presenza sul territorio (Lega, Autonomie).

Il dato si conferma e diventa abnorme, se consideriamo che, alle Primarie 2012, gli elettori/iscritti conobbero il Renzi-pensiero tramite ‘televisione e radio’ (> 40%), con percentuali infime per quanto relativo l’informazione ‘di partito’, ‘sindacale’, ‘associazionistica’.
Un elettore/iscritto che si forma un’opinione in larga parte tramite la televisione, che si confronta con i ‘compagni’ ogni due-tre mesi (40-50%), salvo chi non si vede mai (10-20%), che vota un partito diverso (uno su 5/10) se il proprio candidato alle Primarie PD non vince.

I dati di C&Ls non descrivono una base elettorale ‘propositiva, inclusiva e partecipante’.
Parlare di ‘partito di massa’ o ‘popolare’ è molto difficile se molti ‘iscritti’ siano andati al voto delle Primarie conformando la propria opinione a quanto visto o sentito in televisione e alla radio.

Dicevamo dei ‘defezionisti’, di coloro che votano per un partito diverso dal PD se il proprio candidato alle Primarie PD non vince. Sono uno su cinque – almeno in termini potenziali – e , dal 2007 ad oggi, hanno costituito un’emorragia di voti ‘importante’. Almeno del 3-5% dei voti.

E’ luogo comune credere che questi siano elettori che abbandonano il PD perchè ‘vogliono qualcosa di sinistra’.
I dati di C&Ls smentiscono questo luogo comune: la propensione per il Centro e la Destra è rilevante.

C&Ls Dati Primarie PD Defezionisti

Primarie del PD che – se avevano da principio lo scopo di aggregare diverse forze politiche di diversa estrazione e, nel corso degli anni, anche quello di pre battage elettorale – sembrano essere un vero e proprio boomerang verso i ‘simpatizzanti’, che nel 2013 sono arrivati quasi al 50% tra incerti e defezionisti.

C&Ls Dati Primarie PD SImaptizzanti

L’analisi della base elettorale fatta da C&Ls non sembra però chiarire nè quale sia l’elettore 2.0 del PD (quello che ne garantirà un futuro) nè che fine faccia l’emorragia di voti che affligge la sinistra italiana dal 2007.

C’è da prendere atto, però, che i voti eventualmente perduti dal Partito Democratico non vanno certamente a sinistra: non sono stati nè Bertinotti nè Vendola ad avvantaggiarsi, ma lo hanno fatto l’Italia dei Valori di Di Pietro, la Lega di Maroni, le Cinque Stelle di Beppe Grillo.

Dopo Tangentopoli, la sinistra italiana ‘non comunista’ non è mai riuscita a coinvolgere e raccogliere  intorno a se più di un terzo dell’elettorato:

  • 2013 Bersani (PD) circa 8,6 milioni di voti
  • 2008 Veltroni (PD) 12 milioni di voti
  • 2006 Prodi (L’Ulivo) 12 milioni di voti
  • 2001 Rutelli (DS + DL) 11,5 milioni di voti (proporzionale)
  • 1996 Prodi (PDS + PPI) 10,5 milioni di voti (proporzionale)
  • 1992 Occhetto (PDS)  6,3 milioni di voti (+ PSI 5,3 + PRC 2,2 milioni)
  • 1987 Natta (PCI) 10,5 milioni di voti (+ PSI 5,5 milioni)

E’ nei numeri la chiave dell’arcano: la Sinistra italiana post Tangentopoli (e post Guerra Fredda) si è liberata di 2-3 milioni di ‘voti di protesta’ e di ‘duri e puri’ confluiti nella Lega e nelle Autonomie, nell’astensionismo, nel comunismo millenaristico, ma non è riuscita ad attrarre nè l’elettorato  moderato (socialisti e popolari ‘di base’) nè l’elettorato meridionale, irrimediabilmente deluso dalle esperienze di Bassolino e Loiero.

Risultato? Mancano all’appello quei 4-7 milioni di elettori che fanno la differenza tra maggioranza e opposizione e che nessuna legge elettorale – per quanto infame – può compensare se non in modo figurativo.

Il tentativo di pervenire ad un ecumenismo populista tramite l’alleanza ulivista di Romano Prodi e la fusione con i giovani democristiani /cattolici di base delle ‘regioni rosse’ (Renzi, Bindi, Fioroni, Franceschini) è stato probabilmente il maggior fattore di ‘rigetto’ verso la trasformazione socialdemocratica ed l’ammodernamento del partito.

A venti anni dalla fine della Prima Repubblica, il Partito Democratico non riesce a darsi un’immagine diversa da quella di un consociativismo oligarchico e populista tra ex comunisti ed ex democristiani. Ed, intanto, una parte dei suoi ex o potenziali elettori – milioni e milioni di cittadini – non vota per i diversi partiti di estrema sinistra o partecipa alle manifestazioni ‘antagoniste. Anzi, passando al M5S od alla Lega, questa parte dell’elettorato opta per proposte affatto ‘di sinistra’ su immigrazione, europeismo, giustizia, fiscalità, istruzione eccetera. Per non parlare di chi – alle amministrative – non trova altra opzione che votare Alemanno, Moratti o Caldoro.

Non è affatto un caso che Epifani, segretario del PD, annunci il “consesso dei socialisti europei a febbraio in Italia per la prima volta. Lì sono le nostre radici” ed i cattolici insorgano con l’ex segretario del Ppi, Pierluigi Castagnetti, che reclama come “il Pd abbia mai deliberato di aderire al Pse”, e l’ex sindaco di Viterbo, Giuseppe Fioroni, che parla di “un blitz pericoloso e grave”, del venir “meno l’atto fondativo del Pd”, che “lo scioglimento della Margherita è annullato di fatto”.

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Alba Dorata: rischi per l’Italia?

4 Nov

In Grecia sale la tensione, dopo l’attentato alla sede di Alba Dorata, con due morti e diversi feriti, che fa seguito ad attentati a giornalisti e uffici avvenuti nel 2013. Una tentata strage attuata proprio mentre la Grecia cercava di fare piazza pulita dei suoi neonazisti e con il solo scopo di gettare in paese nel caos e non per ‘vendetta’, visto che l’omicidio del rapper antifascista era scaturito da una lite da bar e non da un complotto.

In una sua lunga disanima, Harry van Versendaal – noto editorialista della versione inglese del quotidiano greco I Kathimerini – invita non solo la Destra neonazista, ma anche la Sinistra antagonista a “sviluppare una comprensione più inclusiva della violenza, condannandola in ogni sua forma: sia essa razziale, sessuale o politica“.

Un invito che andrebbe esteso anche all’Italia, dove i nostri media in questi anni ci hanno poco o punto informati sull’escalation anarco-insurrezionalista e della sinistra radicale, cui fanno da contraltare (come a Weimar) i neonazisti di Alba Dorata.

Intanto, in Italia non possiamo di certo dire che stiamo al sicuro da rischi simili, ma, nel nostro caso,  di neonazisti o neofascisti non è che se ne vedano tanti come in Grecia. Anzi, all’ennesimo anniversario mussoliniano c’erano forse 5.000 nostalgici.

E’ la minaccia anarco-insurrezionalista che rimane «estesa e multiforme», in grado di tradursi in una «gamma di interventi» che può comprendere anche «attentati spettacolari», questo il report dei servizi segreti nella Relazione annuale consegnata al Parlamento nel marzo 2013.
La sola nDrangheta, secondo il rapporto Eurispes 2008, avrebbe un giro d’affari di 44 miliardi di euro annui e potremmo stimare in almeno 150 miliardi annui il PIL (ndr. attivo o passivo?) derivante da attività crimine organizzato. Il disastro ambientale campano, le fabbrichette della moda o le rivolte degli immigrati schiavizzati comprovano una dimensione ‘messicana’ dei rapporti tra governance nazionale, sistema produttivo e cartelli locali.

La nostra governance – a differenza di quella spagnola – non è riuscita a far altro che congelare il debito interno e quello estero, mentre il Parlamento è in ostaggio di una legge elettorale indecente e di un’informazione pubblica che Freedom House nel suo report annuale considera ‘semilibera’, collocandoci alla stregua degli stati ex-satellite dell’URSS (Ungheria, Romania, Bulgaria, Serbia eccetera) o delle traballanti repubbliche africane (Egitto, Tunisia, Benin, Namibia eccetera).

Indice di Competitività UE 2013

Aggiungiamo che un malgoverno durato 150 anni ha ormai creato e sigillato tre aree geografiche ben distinte: un Settentrione con una produttività paragonabile a quella tedesca, un Meridione ormai ridotto a vicereame ispanico (come il Messico, Columbia e quant’altri), un Centro che sopravvive – oggi come ieri – di speculazioni finanziarie e immobiliari in nome del ‘paesaggio italiano’ e della ‘bona fidae’.

PIL pro capite UE 2009
Tenuto conto dell’irriducibilità di Silvio Berlusconi e di Matteo Renzi nell’anteporre una visione personale all’interesse generale, oggi, come durante la Guerra Fredda, l’Italia sta andando a porsi al centro di una serie di ‘affari internazionali’, di cui un ‘assaggio’ sono state le montagne russe dello spread del 2011.

Dunque, se la Grecia prendesse fuoco, l’Italia potrebbe non esserne esente.

In assenza di un sufficiente numero di ‘fascisti’, per ora, la furia del ‘tanto peggio tanto meglio’ non avrebbe che prendersela con le istituzioni – che non sono nè i partiti nè gli speculatori – e con chi le difende, a danno di gran parte della popolazione, che è ‘moderata’, ‘conformista’, ‘populista’ …

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Enrico Letta: ci vorrebbe una marcia in più

29 Ott

Se il Presidente traballa sotto le scelte ormai ristrette ed obbligate e se Grillo esagera, temendo un crollo dei consensi, Enrico Letta di sicuro non esulta.

Il bersaglio di Renzi e dei suoi alleati è lui ed in gioco c’è la Presidenza del Consiglio italiana nel semestre europeo, durante la quale un atteggiamento ‘disobbediente’ dell’Italia potrebbe portare effimeri benefici per la nazione, ma solidi accordi europei per le regioni ‘rosse’ e tanti piccini interessi della profonda provincia italiana.

L’idea può non sembrare del tutto balzana, almeno a vedere i risultati elettorali per la provincia di Trento dove il PD (21,5%) regge mentre Lega, PdL e M5S crollano. Peccato che gli autonomisti del PATT (17,7%) siano diventati ormai una forza comparabile allo stesso Partito Democratico.

Dunque, lo scenario più probabile è sempre lo stesso: se si andasse ad elezioni anticipate, la maggioranza al Senato resterebbe aleatoria, a meno che non si verificasse un notevole astensionismo o le opposizioni dovessero presentarsi divise e frammentate.

In ambedue i casi la stabilità diventerebbe una chimera. Ma, allo stesso modo, lo è, se la Camera dei Deputati dovesse continuare ad inseguire i fantasmi giacobini del ’68 e non decidersi a riformare quanto c’è da riformare, senza ricadere in un autolesionismo ‘di lotta e di governo’.

Tanti dicono che la colpa è delle banche, ma sarebbe bene capire quali, visto che in Grecia va agli stranieri la colpa di aver corrotto i politici e dissanguato la nazione. In Italia, non avremmo che da prendercela con due note banche ‘di sinistra’ nostrane, più l’uso scellerato di Cassa Depositi e Prestiti e dell’INPS.
Purtroppo, fronda renziana o meno, la faccenda della decadenza di Silvio Berlusconi andava presa di petto. Tanto comunque lascerà una parte dell’elettorato scontento per la clemenza e un’altra parte si lagnerà per la severità, qualunque sarà l’esito del voto parlamentare.
Di sicuro, dinanzi all’emergere di nuove forze politiche e sindacali, sarebbero servite le norme che la Costituzione prevede da 60 anni e che non abbiamo fatto sulla democrazia nelle associazioni e sulla pacificità dei cortei. Come sono evidenti le falle nel sistema giustizia, visto il ‘via vai’ di interpretazioni sui destini di Silvio Berlusconi e tanti altri condannati meno abbienti di lui.
In due parole, un Paese che arranca perchè la propria Costituzione andava riformata quasi dieci anni fa, quando si discusse se ricorrere ad una Costituente od una Bicamerale.

Il passato non ritorna e, sia che voglia inseguire l’anima forcaiola del Paese o assecondare quella moderata, Enrico Letta non ha altra scelta che rimettere in moto l’Italia: quella di ‘congelare l’instabilità’ per salvare il sistema finanziario è stata la mossa di Mario Monti.
Adesso c’è da riformare il sistema di governo che ha portato a questa disfatta nazionale.

E per farlo serve un leader carismatico, non un ‘signor qualcuno’ con l’aria dell’amministratore delegato, nel caso di Letta, o dell’imprenditore di provincia, come per Renzi.

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Grillo, Napolitano e le ragioni di nessuno

29 Ott

Grillo attacca Napolitano – “Da 60 anni in politica, un furbo” – e Letta, dimentico della spada di Damocle della decadenza del Cavaliere, parla di “Attacco assurdo, vuole instabilità”.

L’instabilità la vuole chi non procede sulla strada delle riforme che già dal 2011 erano annunciate e ormai nel 2013 non sono ancora realizzate.
Dal contenimento della spesa pubblica alla modernizzazione della pubblica amministrazione, dal nodo cruciale di Cassa depositi e prestiti alla pletora di aziende di stato e di concessioni demaniali fino all’enorme e spesso inutile patrimonio immobiliare pubblico. Come anche per la riforma elettorale, quella della giustizia o del welfare, per non parlare della sanità o del ruolo dei docenti, come dell’esercito di dipendenti ‘pubblici, ma precari’ di cui non si sa che fare, se restano in servizio quelli più anziani, spesso restii ad innovazioni e semplificazioni.

E’ la totale stasi della governance politica che rende l’Italia instabile e se c’è un rilievo da sottoporre al nostro Presidente della Repubblica è quello di recepire lo stallo come una condizione ineluttabile.
Viceversa, il Paese ha bisogno di un New Deal, di un ‘sogno di ripresa’, di una speranza di cambiamento.

Doveva essere Mario Monti a fornire la ‘scintilla’, ma sappiamo come è andata e quale sia stata la disdetta di Re Giorgio che l’aveva prescelto. Poteva essere un ‘governo per le riforme’, quello di Enrico Letta, piuttosto che tornare alle urne con una legge, il Porcellum, che proprio non va.

Forse – a posteriori – era meglio un governo tecnico per la legge elettorale fin dal 2010, quando Napolitano esitò per la prima volta.
Ma dargli del ‘furbo’ no, proprio non si può.

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Vincere le Primarie per perdere il Paese

28 Ott

C’è un motivo che dovrebbe indurre tutti gli analisti a dubitare di un successo politico del Partito Democratico nel breve o medio periodo.

Almeno 20 milioni di italiani vive in aree notevolmente urbanizzate della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia, del Lazio, della Campania e della Sicilia.
Cittadini che producono la maggior parte del PIL nazionale e del gettito fiscale, che hanno bisogno di innovazione tecnologica, semplificazione, leggi chiare e giustizia rapida, servizi locali flessibili, una P.A. ‘leggera’.

Non nascono in questi territori metropolitani e non ne rappresentano gli umori e le istanze Enrico Letta, Renzi, Bindi, Finocchiaro, Bersani, Prodi, D’Alema, Marini, Franceschini, Vendola, Boldrini, Landini, Ferrero, Damiano, Fornero (che era al governo ‘in quota riformista’, ricordiamolo), Fioroni, Marino eccetera eccetera.
Arrivano dalle ‘città metropolitane’ Civati, Veltroni, Mario Monti, Epifani, Camusso, Barca, Zingaretti e pochi altri.

Sarà anche per questo che i nostri governi non riescono a ‘volare alto’ e la nostra Sinistra resta sempre ancorata a ‘modelli patriarcali e paternalistici’. Un’Italia che vive nella perpetuazione del mito dello slow food e del paesaggio italiano, anzichè della modernità, della produzione industriale, della rivoluzione digitale eccetera eccetera?

Il Partito Democratico è un partito fortemente conservatore oppure no?

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