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Basta impunità: arriva la riforma Cirielli

20 Ott

Dal 23 marzo 2018 pende alla Camera dei Deputati una proposta di integrazione dell’art. 27 della Costituzione. In quattro anni e mezzo c’era tutto il tempo per discuterla con una maggioranza di Centrosinistra, soprattutto perché si tratta dei “Diritti e doveri dei cittadini” ed in particolare dei “Rapporti civili”.

Si tratta della norma costituzionale che garantisce che la responsabilità penale è personale, l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, la pena, che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, non è ammessa la pena di morte.

La proposta di proposta di Legge costituzionale arriva dagli On. Cirielli, Lucaselli e Zucconi, per integrare l’attuale art. 27 prevedendo che la pena “assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale. La legge determina, secondo princìpi conformi alle disposizioni di cui al presente articolo, le finalità e le modalità delle misure di sicurezza.”

La questione di cui dovrà discutere il Parlamento è se la pena:

  • è esclusivamente il mezzo per riaffermare il principio di giustizia violato dal reo («teoria della retribuzione»)
  • ha lo scopo di dissuadere gli altri consociati dal violare le norme dell’ordinamento. Tale funzione è attuata intimidendo i consociati stessi con la minaccia di quel male che è, appunto, la pena («teoria della prevenzione generale»
  • deve impedire che il reo, in futuro, delinqua nuovamente. Tale effetto può essere realizzato con la rieducazione, la dissuasione o la neutralizzazione del condannato («teoria dell’emenda»).

Perché?

Perché è evidente a tanti e da molti anni ormai che

  • affinché il processo rieducativo possa avere corso senza tradursi in una imposizione coercitiva nei confronti del destinatario, occorre che vi sia la « disponibilità psicologica » di quest’ultimo
  • la rieducazione non è da sola sufficiente ad esaurire tutte le funzioni che oggi la sanzione relativa alla responsabilità penale deve assolvere
  • i risultati poco confortanti dell’ideologia della risocializzazione hanno indotto gli studiosi a parlare di una vera e propria «crisi dell’ideologia rieducativa»
  • l’aumento della criminalità ha prospettato la necessità di valorizzare l’efficacia deterrente della sanzione penale è la disapprovazione sociale
  • la forte disapprovazione sociale è il fattore che favorisce e stabilizza l’identificazione della maggioranza dei cittadini con il sistema di valori protetto all’ordinamento giuridico.

C’erano 4 anni di tempo per discuterne e risolvere, ma evidentemente per PD e Cinque Stelle … i Rapporti Civili tra i cittadini non sono così urgenti. Ed è anche così si perdono le elezioni.

Serviranno a qualcosa le bocciature che partono dal Campo Largo, annunciando che avremo “meno rieducazione e più punizione in nome della sicurezza“? (LINK)
No, non è detto.
Con la “riforma Cirielli” potremmo avere più semilibertà e braccialetti elettronici – dal lato di chi effettivamente si impegna per reinserirsi nella società – come avremo pene più dure per chi è recidivo o irriducibile.

Quel che è certo è che – con riforma o senza riforma dell’art. 27 – servono nuove carceri e di diversa tipologia, tanto mancano sia quelle più soft che quelle più dure, ma anche quelle ‘normali’: l’epopea degli indulti (ben 23 nei primi 45 anni della Repubblica) è finita nel 1990 con buona pace di quello – molto controverso – del 2006.

Demata


Renzi e le riforme che farà

14 Feb

I dati delle elezioni del 1992 furono l’ultimo atto della Prima Repubblica ed in essi è sugellato alla Storia il quadro – ferale ma bellamente ignorato – di una egemonia di consensi tanto ‘riformista’ quanto poco  ‘di apparato’, visto che i consensi ‘a sinistra’ videro, alla Camera, Occhetto (PDS) fermo a 6,3 milioni di voti, il PSI di Craxi a 5,3 e il PRC a 2,2 milioni, i Verdi poco oltre il milione.

Da lì prese avvio la Seconda Repubblica, erano almeno 14 milioni di voti, dopo 20 anni – nel 2013 – erano poco più di 10 milioni …

L’odierna Sinistra Ecologia e Libertà è riuscita a dilapidare un patrimonio di oltre 3 milioni di voti (PRC + Verdi nel 1992), divenuti meno di un milione nel 2013, mentre alle ultime elezioni tedesche Linke e Grunen – nonostante la batosta – hanno assommato comunque il 20% delle preferenze. Praticamente quanto oggi raccolto dal Movimento Cinque Stelle …

Quanto al Partito Democratico, oggi raggiunge circa 10 milioni di preferenze, più dei sei del 1992, ma molto meno di quanto raccogliessero PDS e PSI. In Italia, come in Germania per l’odierna SPD, quella che risulta determinante è l’incapacità di attrarre il voto moderato e di formulare strategie di politica economica.

Jean Ziegler – allorchè cadde il Muro di Berlino ed ebbe inizio la Globalizzazione – preannunciò questa crisi della ‘sinistra’, sia in ragione dell’ampio spread di diritti, tutele e benefit di cui godono i lavoratori europei (ma non nel resto del mondo) sia perchè la fine dei ‘blocchi ideologici’ avrebbe affievolito il ‘legante’ che finora aveva accomunato ceti medi e ‘dananti della terra’.

Enrico Letta poteva essere il protagonista di questo cambiamento, traghettando le istituzioni (e la Sinistra che ne ha fortemente condizionato l’attuale status) verso un sistema di governance che permetta la cosiddetta ‘alternanza’ senza escludere le minoranze di una certa entità e verso un  Progetto Italia che non pensi solo a consolidare il denaro ma anche e soprattutto a farlo circolare.

C’era da far la voce grossa in Europa – con ottimi alleati in Gran Bretagna, Francia e Strasbourg – e c’era da por mano alla ridondante questione romana (INPS, Alitalia, debiti comunali, legge sui rifiuti, Bankitalia, vendite e concessioni demaniali, eccetera), c’era da dar respiro ad un’Italia che produce e arranca, senza che vi sia almeno un termine prefissato per misure (ndr. quelle di Monti e Fornero) che non possono essere ragionevolmente durevoli, e c’era da dar speranza a quanti – troppi – non hanno il lavoro, la cura o la pensione che gli spetterebbe con le tasse che ci fanno pagare.

Enrico Letta non l’ha fatto e, in mancanza di altri parlamentari proponibili, arriva Matteo Renzi.

Per fare cosa?
L’agenda è già scritta dagli errori e dalle esitazioni di chi l’ha preceduto, ovvero dall’urgenza:

  1. risolvere il brutto pasticcio delle pensioni e del conseguente blocco del turn over e dell’innovazione
  2. alleggerire l’impianto dei contratti nazionali e della filiera negoziale, per facilitare gli sgravi fiscali, il sistema di premialità, gli accordi locali, la flessibilità sull’export
  3. riformare la legge elettorale in modo che sia garantita l’alternanza, ma anche la democraticità, ovvero le minoranze politiche di rilievo ed il federalismo
  4. riformare -per riequilibrarlo con il nuovo parlamento – il livello apicale della governance (sindacati, CSM, INPS, Bankitalia, Regioni, Provincie e Comuni)

Il passaggio politico più difficile non è il primo – come qualcuno cerca ancora di convincerci – ma l’ultimo, visto che cambiare sistema elettorale per davvero e pervenire ad un parlamento diverso per accesso e poteri significa dover mutare tutto quello che a Roma è immutabile da un secolo e passa: la Pubblica Amministrazione.

Non sarà difficile sbloccare previdenza, lavoro e investimenti, incassando consensi prima e dopo le elezioni europee. E non dovrebbe essere difficilissimo concertare una legge elettorale.

Vedermo, però, se Matteo Renzi riuscirà a riportare nei limiti sostenibili quell’antico Male che si impossessò di Roma nell’arco di soli 10-15, già negli anni di poco precedenti la Breccia di Porta Pia … ma potrebbe farcela.

Serviranno l’azzeramento delle prebende, gli scivoli pensionistici, l’innovazione tecnologica, la meritocrazia e il controllo di gestione: tutte cose che i Sindacati confederali italiani avversano come fosse il fumo negli occhi …

Dunque, a prescindere da Renzi, riuscirà l’Italia a dotarsi di un partito riformista?

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La fine del governo Letta (pre)annunciata dai media

13 Feb

Lucia Annunziata, dall’Huffington Post, scrive di ‘crisi drammatica, gestione ridicola’.

Come non darle torto, dinanzi ad un Partito Democratico che si presenta alle elezioni con SEL e candidando Pierluigi Bersani, per poi governare con Enrico Letta e il Nuovo Centrodestra – un partito che ancora non c’è – e adesso, in soli 12 mesi, proponendo l’avvicendamento con Matteo Renzi – che non è un parlamentare – e con una porta aperta al Movimento Cinque Stelle ed un’altra per Forza Italia.

Come non darle ragione, se l’immobilismo di Enrico Letta – rispetto al tracciato montiano e cencelliano che ha adottato – non lascia altre alternative all’Italia che Matteo Renzi e le sue promesse di attivismo riformatore, visto che proprio le opposizioni (Berlusconi, Salvini, Casaleggio) non disdegnerebbero la soluzione.

Sarà per questo che  “il Presidente Napolitano da parte sua aggiunge a questo percorso, insieme privatistico e confuso, il paletto di un nonchalant “parlare di elezioni è una sciocchezza“, se come sembra esistono le premesse per una legislatura riformatrice.

Per Matteo Renzi, come fu per Mario Monti, esiste il problema del “distacco totale da qualunque mandato elettorale” ed, infatti, Lucia Annunziata ha gioco facile per ricordare a tutti che “non c’è bisogno di essere costituzionalisti per dire che è arrivato il momento di dichiarare che siamo di fronte a una crisi del governo, che c’è un presidente del consiglio sfiduciato sia pur non in aula ma via media e streaming del suo partito ed altri, e che è in corso una sorta di auto-mandato esplorativo.”

Ben memori di come avvenne il subentro di Mario Monti, “è necessario, obbligatorio direi, dunque che questa successione torni nell’unico luogo autorizzato a gestirla: il Parlamento. Che la crisi venga ufficializzata e affrontata con mozioni, discussione pubblica, e voto. Ritornando poi sul tavolo di Napolitano per consultazioni ufficiali ed eventuale nuovo incarico.”

Ma per Enrico Letta andare in Parlamento ed ufficializzare una crisi di governo – ovvero seguire l’invito di Lucia Annunziata – già sarebbe uno smacco e l’anticamera delle dimissioni …

Intanto, in questi minuti, il Corriere della Sera titola “Governo, l’ultima mediazione del Pd , la La Repubblica “Delegazione dem offre a Letta l’Economia” , La Stampa “Renzi tenta un’ultima mediazione” , Sole24Ore “Da Letta buona analisi ma non le risposte attese“.

Proprio oggi, Toni Servillo, alla Scuola Normale di Pisa, ha dichiarato: «A me sembra che siamo vittime di un secondo dopoguerra morale: credo che il problema del Paese sia sostanzialmente morale. Nonostante Tangentopoli, le stragi di mafia, vere e proprie tragedie nazionali, la questione morale continua a essere una questione irrilevante».

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L’immobilismo di Letta e la forza di Matteo Renzi

12 Feb

Erano mesi che ad Enrico Letta si chiedeva una ‘svolta. Forse dal primo giorno  di governo, certamente da quest’estate, quando s’era capito che la maggioranza ‘teneva’ nonostante le vicende giudiziarie di Berlusconi e che il Movimento Cinque Stelle non era in grado di promuovere e, soprattutto, concertare con gli altri partiti le riforme che chiede.

Ma Letta non l’ha fatto.
Si è affidato alle ‘direttive montiane’ (ndr. il sacro tabù europeo conclamatosi nel Fiscal Compact) in attesa di ‘sistemare’ Bankitalia, Finmeccanica, Alitalia, Cassa Depositi e Prestiti, INPS e poco più, (e)seguendo il tracciato cencelliano indicato dalla ‘old school’ del Partito Socialista (ndr. i vari Giuliano Amato, Bassanini e Cicchitto).

E così è accaduto che Letta proseguisse sulla via recessiva tracciata da Mario Monti, con una Camera in cui praticamente tutti i deputati eccetto quelli di Scelta Civica hanno fatto campagna elettorale, promettendo la riduzione della pressione fiscale e gli interventi per l’occupazione e il welfare.
Così accentuando ed attirando i fulmini su un sostanzialmente incolpevole Presidente Napolitano – ma forse intempestivo  – per la caduta del governo Berlusconi (ndr. secondo la Corte dei Conti anche a causa di azioni speculative internazionali) e la nomina di Mario Monti, legato a Goldmann Sachs e Bilderberg, prima a senatore a vita e poi a capo del governo.
Altrove si sarebbe parlato di Caudillo …

Ed è accaduto che la spesa pubblica continuasse a crescere, mentre la ripresa industriale stenta anche nel raccogliere le briciole della (ri)crescita altrui e mentre scopriamo che gli esodati sono almeno il doppio (ndr. come previsto dalla CGIA allorché Elsa Fornero estrasse l’asso di picche sulle pensioni) e che già da quest’anno le pensioni sono andate del tutto in stallo in un Paese dove circa la metà dei lavoratori pubblici ha più di 50 anni (dati ARAN 2009) e dove la disoccupazione e il precariato degli under40 è da record.

Dunque, a seguir le prediche dei ‘padri fondatori dell’Europa’ – alcune giuste, altre datate, altre ancora dimostratesi errate – il buon Enrico si è ritrovato al capolinea.
Anche perchè – in meno di 12 mesi di governo – si è ritrovato con troppi i ministri per i quali si sono richieste le dimissioni (Idem, Alfano, Cancellieri, Carrozza), mentre i Presidenti di Camera e Senato entravano più volte – per inesperienza dei lavori parlamentari probabilmente – suu questioni prettamente ‘politiche’.

Di qui l’esigenza di una leadership di governo ‘forte’, che esprima una ‘politica del fare’, che si serva di quei tecnici che l’Italia ha ancora, a volte isolati nella ‘notorietà’ di una vita blindata (ndr. vedi il caso Ichino), a volte ai margini di un sistema di carriere clientelari fondate sul mantenimento dello status quo.

Matteo Renzi ha queste caratteristiche ed ha la capacità di dialogare con Forza Italia, che – a prescindere dalle vicende giudiziare di alcuni leader – è comunque la maggiore aggregazione di elettori di Centrodestra, sia in Italia sia per quanto riguarda gli italiani in UE.

E, se avrà la premiership, Renzi dovrà dimostrare subito la sua forza, perchè in estate ci sarà da varare una manovra finanziaria diversa da quelle degli ultimi due anni e da subentrare nella presidenza UE.
C’è da fare una legge elettorale, ma non basta, se poi regolamenti e prebende restano intatti …

… se la macchina ‘pubblica’ impiega anni per attuare banali norme di spesa e intervento (ndr. nell’attuale un finanziamento impiega di media oltre cinque anni da quando viene legiferato in Parlamento a quando viene messo a consuntivo dall’amministrazione erogante), se i processi restano interminabili ed aleatori, se le scuole e le università non iniziano a formare gli italiani con lo scopo di primeggiare, se continuiamo a voltarci dall’altra parte dinanzi ai malati e agli invalidi, pur sapendo di che malasanità e di quale welfare parliamo, se le Authority non hanno poteri e gli ispettori che sopralluogano scarseggiano, se si denuncia un buco di 31 miliardi nell’ex-Inpdap (ndr. i soldi dei lavoratori) senza dire che è stato creato dal MEF (ndr. lo Stato) sotto forma di anticipazioni, se tra finanziamenti  pubblici, reti pubbliche e sistema di raccolta pubblicitaria abbiamo una pessima informazione, se non viene risolta la sabauda questione delle concessioni demaniali e degli affitti pubblici, per non parlare della dispersione sull territorio delle sedi direzionali, se ci ostiniamo a costruire costosi bombardieri che (per ora) mal funzionano mentre scuole, strade, ferrovie e reti profonde cadono a pezzi, se i sindacati continueranno a far proteste senza portare proposte, se non si interviene sulla malasanità con i dati allarmanti che arrivano da anni e decenni, eccetera eccetera …

Tutte cose per le quali ci sarà da spendere (1-200 miliardi nel biennio?), se si vuole raccogliere occupazione giovanile, innovazione e spinta alla crescita. E ci sarà da farsi qualche ‘nemico’ se si vuole tagliare in prospettiva (3-400 miliardi nel quadriennio?) per ottenere trasparenza, efficienza, equità, gestione responsabile.
Magari, assumendo un ruolo da protagonisti nella politica europea, dove da tempo la Gran Bretagna e i Paesi Scandinavi sollecitano una posizione italiana meno filogermanica e più attenta – a ben vedere – agli interessi nazionali e mediterranei.

Matteo Renzi è riuscito a rottamare il vecchio PCI e l’anziana DC in casa propria, mentre dialoga con Forza Italia e non dispiace ad una parte dei M5S, avanzando tra l’altro proposte di buon senso di riforma su questioni cruciali.
La forza c’è, ‘si può fare’. Bisognerà vedere se basterà e, soprattutto, se sarà accompagnata dalla solidità delle soluzioni.

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L’amletico Enrico Letta e l’Europa che va a cambiare

4 Feb

Dinanzi alla lentezza e alle esitazioni del governo Letta è difficile non correre con la memoria agli Anni Venti tedeschi,  alla debolezza congenita del governo di Gustav Stresemann, che – tra l’altro – ad Enrico somigliava un bel po’.

Gustav Stresemann (premier tedesco 1929) – Enrico Letta (premier italiano 2013)

E, come per Weimar, anche per il nostro attuale governo la debolezza non è causata nè dalla congiuntura economica, nè dalla pochezza del panorama politico, nè da una carenza di voti o di consensi.

Enrico Letta può contare alla Camera su una larga maggioranza del Partito Democratico, mentre al Senato solo un accordo con Forza Italia garantirebbe ampiamente la stabilità necessaria.
Un accordo ‘perfetto’ non solo nei numeri al momento del voto, ma soprattutto in conto del fatto che Scelta Civica si sta liquefacendo e che Pierferdy Casini riabbraccia Silvio Berlusconi, dopo lo sdoganamento di Renzi sulla legge elettorale.

Le urla dei Grillini contro la Casta? Da verificarne l’esistenza – sempre nel 2018 – dopo aver posto un limite a benefit e prebende del pubblico impiego e dell’Alta Dirigenza.
La diffidenza dei mercati? Vedremo se sarà tale tra tre anni dopo aver riformato il sistema giustizia, garantendo la conclusione in sei mesi di un processo per frode od un debito, ed il sistema fiscale e autorizzativo, affinchè chi investe possa avere un bilancio previsionale accettabile … in banca.
I mal di pancia della Sinistra e della CGIL? Da verificarne la sussistenza – nel 2018 sia chiaro – dopo aver (ri)legiferato le riforme di Cesare Damiano e dopo aver rilanciato l’occupazione pagando i debiti pubblici.

Il consenso in Italia e in Europa?
Iniziamo ad affermare che Mario Monti ed Elsa Fornero hanno prodotto norme da rivedere con urgenza e che il Fiscal Compact è insostenibile … tenuto conto che “Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, insieme alla Francia, dovrebbero smettere di fare finta di non avere un interesse in comune da tutelare. Questi paesi hanno i voti necessari per forzare un cambiamento. La Bce oggi non sta rispettando gli obblighi previsti dai trattati e non solo per il target del 2%, dato che nei trattati non si parla solo d’inflazione, ma anche di crescita e di occupazione.” (Ambrose Evans Pritchard – International Business Editor of The Daily Telegraph – 9.11.2013)

Non farlo significherà avallarre il malcontento e la rabbia, oltre che mantenere  in una condizione di debolezza internazionale l’Italia, che è – a ragione o per eccesso – una vera e propria ingovernabile Cleptocrazia agli occhi di tanti stranieri.

“Essere, o non essere, ecco la questione: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine.(The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark – William Shakespeare – 1602)

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Italia corrotta e cattiva pagatrice?

4 Feb

Il 50% della corruzione europea è Made in Italy, con un volume di ‘affari’ nell’ordine dei 50 miliardi di euro.

Una corruttela che passa attraverso un sistema di reato, di giudizio e di sanzione a dir poco farraginoso – secondo l’UE fatto ad arte – che poggia su una percezione radicata: l’80% degli italiani è convinto che ‘con le mazzette si ottengano risultati, che il sistema vada così.

Più o meno il 2% del nostro PIL, 10  volte il gettito dell’IMU, quanto basterebbe per pensionare tutti a Quota 96 e garantire un salario minimo, … per sanare i debiti della pubblica amministrazione.

Anche in questo caso l’UE ha da ridire ed anche in questo caso dopo attese decennali. Arriverà una multa milardiaria per l’Italia e continueremo a strangolare aziende e sviluppo, incrementando la quota di disoccupati o esodati.

L’indicazione che arriva dall’Europa è – dunque – quella di semplificare e attualizzare il sistema dei reati e delle pene, ma soprattutto i sistemi ispettivi della Pubbliche amministrazioni. Inoltre, arriva anche una precisa indicazione a ‘spendere’, almeno saldando i debiti dovuti alle imprese ed alimentando ripresa e occupazione, oltre agli effetti della Riforma Fornero che vanno contenuti.

Intanto, i nostri Politici ci raccontano che la ripresa può essere alimentata dalla lotta ‘all’evasione’ ed agli ‘sprechi’: sembra che non servano riforme strutturali.

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La leggenda della spending review

4 Mag

Difficile scrivere qualcosa di serio in giornate in cui cronaca, informazione e governance decidono di darsi all’intrattenimento ed al varietà. Stiamo parlando della spending review.

Innanzitutto, con “revisione della spesa”, si intende quel processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione della spesa pubblica che annualmente la Gran Bretagna attua da tempo. Come riporta l’apposito sito istituzionale britannico, “The National Archives” (of spending review), la “revisione di spesa” fissa un piano triennale di spesa della Pubblica Amministrazione, definendo i “miglioramenti chiave” che la comunità si aspetta da queste risorse. (Spending Reviews set firm and fixed three-year Departmental Expenditure Limits and, through Public Service Agreements (PSA), define the key improvements that the public can expect from these resources).

Niente tagli, semplicemente un sistema di pianificazione triennale con aggiustamenti annuali, che si rende possibile, anche e soprattutto, perchè la Camera dei Lord e la Corona britannica non vengono eletti, interrompendo eventualmente il ciclo gestionale o rendendosi esposte (nel cambio elettorale) a pressioni demagogiche o speculative.

Di cosa stia parlando Mario Monti è davvero tutto da capire, di cosa parli la stampa ancor peggio.

Venendo al super-tecnico Enrico Bondi, la faccenda si fa ancor più “esilarante” a partire dal fatto che, con tutti i professori ed i “tecnici” di cui questo governo si è dotato (utilizzandoli molto poco a dire il vero), è necessario un esterno per fare la prima cosa che Monti-Passera-Fornero avrebbero dovuto fare per guidare il paese: la spending review e cosa altro?
Il bello è che, dopo 20 anni di “dogma” – per cui di finanza ed economia potevano occuparsene solo economisti, matematici e statistici (ndr. i risultati si son visti) – adesso ci vuole un chimico (tal’è Enrico Bondi) per sistemare le cose, visto che sono gli ultimi (tra i laureati italici) ad avere una concezione interlacciata dei sistemi, una competenza merceologica e, soprattutto, la capacità di fornire stime affidabili con sveltezza.

Dulcis in fundo (al peggio non c’è mai fine) l’appello ai cittadini a segnalare sprechi.

Quante decine o centinaia di migliaia di segnalazioni arriveranno? Quanti operatori serviranno solo per catalogarle e smistarle? Quale è il modello (se è stato previsto) con cui aggregare il datawarehouse delle segnalazioni?

E quanto tempo servirà per un minimo di accertamenti “sul posto”? E chi mai eseguirà gli accertamenti?
Quante di queste segnalazioni saranno doverosamente trasmesse alla Magistratura, visto che nella Pubblica Amministrazione italiana vige ancora l’obbligo di denuncia, in caso di legittimo dubbio riguardo reati?

Una favola, insomma.
Beh, in tal caso, a Mario Monti preferisco Collodi: fu decisamente più aderente alla realtà italiana.

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L’agenda politica di maggio

2 Mag

Arriva il mese di maggio, quello maggiormente funesto, insieme all’autunno, per governi iniqui e regimi infausti. Niente paura, siamo in Italia, l’andamento è lento.

Giorni fa, si accennava alle “provincie” ed al nulla di fatto delle Regioni, nella non riposta speranza che Mario Monti si attenesse a tempi, leggi e promesse. Ed infatti, salvo una BCE (ovvero Mario Draghi?) che suggerisce di “accorpare” anzichè eradere, nulla s’è detto o s’è sentito.

Intanto, l’agenda c’è, l’ha fissata Monti stesso per decreto, ed è scaduta.

Non a caso, a fissare il viatico dei 30 giorni futuri, arrivano segnali di insofferenza dal Senato, dove una leggina “salva pensioni d’annata” è caduta su un emendamento della (nuova)Lega con 124 voti a favore, 94 contrari, 12 le astensioni.

Esiste, almeno al Senato, una “maggioranza” diversa dall’attuale non disponibile (in parte) a votare le mattanze sociali della Fornero o gli F-35 di Finmeccanica, ma propensa a legiferare in favore di minori prebende per la Casta e minore spesa pubblica?

Sarebbe interessante saperlo e, forse, lo sapremo a breve, con quello che c’è da votare in Parlamento.

Una “congiuntura interessante”, perchè un cambio di passo di Mario Monti – con rimpasto di governo, visto che stragiura da mesi che “i conti sono a posto” – rappresenterebbe un’ottima via d’uscita per Mario Monti, Giorgio Napolitano ed i partiti per restare saldi in sella mentre si avvia la tornata elettorale del 2013, per licenziare qualche ministro “ingombrante” e, soprattutto per noi, metter mano a quello che spread, default e speculatori hanno interrotto: la nascita della III Repubblica.

Del resto, i tempi sono pronti.

Tra qualche giorno conosceremo gli esiti delle elezioni locali e gli pseudomaghi di partito consulteranno le loro sfere di cristallo e detteranno alleanze e strategie.

Tra un mese circa esploderà (è il caso di dirlo) il “panico” da IMU, che verrà incassato anche da enti che la legge ha già cassato, pur senza attuare. E dopo un po’, con la chiusura delle scuola, le grandi città inizieranno ad esser piene di gente disoccupata e ragazzini senza meta, mentre le località turistiche dovranno aspettarsi i minimi storici.

Entro luglio bisognerà capire come uscire dallo “spremiagrumi fiscale impazzito” che Prodi, Visco, Padoa Schioppa, Tremonti e Monti hanno creato in questi 20 anni, portando la leva fiscale sul “cittadino onesto” ben oltre il 60% del PIL da lui prodotto.

Da settembre, forse prima, saremo in campagna elettorale per le politiche e bisognerà trovare soldi da spendere per rattoppi e ripristini, se i partiti vogliono le urne piene.

Dulcis in fundo, l’idea – cara ad una certa Roma – di riaggregare intorno Pierferdinado Casini la vecchia Democrazia Cristiana ed i comitati d’affari d’altri tempi, sembra inabissarsi dopo le esternazioni del leader dell’UDC ed il proseguire delle sue frequentazioni con Totò Cuffaro, detenuto per mafia a Regina Coeli. Dopo il fondo il “de profundis” con l’ennesima caduta del Partito Democratico che votava a favore delle “pensioni d’oro”, mentre il PdL sosteneva l’emendamento di Lega e IdV.

Mario Monti non sembra un uomo da “cambio di passo”, come non sembra anteporre l’italianità a tutto tondo, quella “popolare” come quella “laica”, agli ambienti bocconiani e “protagonisti” dai quali proviene.

Ma, d’altra parte, sono già sei mesi sei che l’Italia non ha un ministro dell’economia a tempo pieno, quello del welfare sembra quasi che levi ai poveri per dare ai ricchi, agli esteri “vorremmo vincerne una”, alla giustizia serve sempre, da 20 anni almeno, una legge per snellire, semplificare, accelerare le procedure giudiziarie, dateci un ministro delle infrastrutture che faccia costruire o manutentare qualcosa.

Mai dire mai, però. Il trasformismo è un’arte italiana.

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Il debito non è pubblico: è dello Stato

20 Apr

Ferdinando Imposimato, 76 anni portati bene, è il Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Nella sua lunga carriera si è occupato della lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro (1978), l’attentato al papa Giovanni Paolo II (1981), l’omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet, e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.

Di seguito, sono riportati ampi stralci di una lunga disanima pubblicata dal “cittadino” Ferdinando Imposimato sulla sua pagina Facebook, che dovrebbero davvero far riflettere non solo l’Italia – lo “Stato” italiano non i cittadini esausti – ma l’Unione Europea tutta.

“Il debito non e’ pubblico: e’ dello Stato. Riguarda il complesso delle spese sostenute dallo Stato, che costituiscono un insieme da definire con precisione: investimenti diretti quali grandi opere pubbliche, infrastrutture nei settori strategici, costate cento volte piu’ di quello che sarebbe stato giusto spendere.”

“Il debito pubblico e’ cresciuto enormemente per alimentare la corruzione e finanziare la criminalita’ organizzata, che si e’ aggiudicata il 90 per cento degli appalti di grandi opere pubbliche.
E non e’ giusto che quel debito debba essere pagato da poveracci che di quelle spese non hanno goduto minimamente.

“Non sono state costruite scuole pubbliche, non sono stati creati fondi per i non abbienti, non sono state sostenute le piccole e medie imprese, non sono stati migliorati i servizi pubblici, non sono stati assicurati salari tali da garantire una vita libera e dignitosa.”

Nella voragine-debito bisogna inserire i fondi per gli appalti con spese dilatate a dismisura a favore delle imprese del post terremoto, la costruzione di grandi ed inutili infrastrutture per i mondiali di nuoto del 2009, la moltiplicazione per mille delle spese per le autostrade e l’Alta Velocita’, il pagamento dei debiti contratti dall’Alitalia, e gli investimenti indiretti come i finanziamenti pubblici dei partiti (usati anche per acquisti di immobili privati), crediti agevolati, le assunzioni clientelari nelle Autorithy, la pletora delle burocrazie inutili nelle Regioni, nelle provincie e nei comuni, oltre che nel Parlamento italiano. Fino alle spese per gli impegni militari in Afghanistan, in Iraq e in Libano.

Tutte spese che non producono alcun vantaggio per la comunita’ nazionale nel suo insieme, ne’ assicurano la pace nel mondo.”

“Intanto la crisi travolge milioni di persone, i dati testimoniati dalle ricerche della Caritas sono drammatici: piu’ di 8 milioni di poveri e un aumento del 20 per cento della poverta’ tra i giovani sotto i 35 anni. E le speranze di lavoro si riducono sempre piu’. “

“Nessuno ci dice la verita’ su quello che sta accadendo e sui nuovi sacrifici che ci vogliono imporre con il pretesto di dovere ridurre il debito pubblico, con il pericolo del fallimento, della bancarotta che travolgerebbe solo i piu’ deboli.”

“Il movimento degli indignati e’ stato oggetto dell’attacco di persone estranee ad esso, ed e’ stato ingiustamente delegittimato dalla violenza di pochi mascalzoni, che sono i principali alleati di questa maggioranza, responsabile di una politica scellerata e ingiusta. Noi siamo solidali con le Forze dell’Ordine e condividiamo la loro protesta, ma sarebbe un errore confondere i delinquenti che hanno sconvolto Piazza San Giovanni e altre vie di Roma mediante aggressioni e incendi, con coloro che stavano protestando pacificamente.”

“Orbene una minoranza di teppisti non puo’ oscurare le ragioni del dissenso. Essi fanno solo gli interessi di questo Governo che se ne deve andare a casa.

I movimenti, nell’assenza dei partiti, sono oggi i protagonisti di una democrazia diretta, mobilitano milioni di cittadini a sentirsi protagonisti e a spingere il governo verso scelte che non penalizzino ancora una volta i poveri e i diseredati.”

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broken English version Italy? A cleptocracy, as a Supreme Court judge wrote

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Eroi civili? No, colonnelli

20 Apr

Piercamillo Falascia, su Libertiamo, scriveva ieri che “rispetto al 2001 abbiamo meno dipendenti pubblici, ma stipendi molto più sostanziosi, senza peraltro un corrispettivo aumento della produttività degli stessi. All’interno del mare magnum del pubblico impiego ci sono ovviamente situazioni molto sperequate, con sfacciati fannulloni ben remunerati accanto ad autentici “eroi civili” sottopagati.

Una descrizione dello stato dell’arte essenziale ed impeccabile che ci indica la “strada” della ripresa e del rilancio: gli “eroi civili” sottopagati.

Perchè nessuno, neanche il Governo Monti, il Presidente Napolitano, il Governatore BCE Draghi non ne vanno a caccia onde servirsi della loro competenza e del comprovato senso dello Stato?

Forse perchè bisognerebbe ricercare curriculum molto diversi da quelli “graditi” all’establishment e molto meno portentosi di quelli cui la famiglia Fornero è abituata.

Quali, dunque, i profili degli “eroi civili” sottopagati?

Parliamo di laureati tecnici spesso ex studenti lavoratori, nella dirigenza pubblica con esperienza almeno ventennale nel settore, lungo servizio in territori di mafia o disagiati, qualche incarico di elevata responsabiità finito nel dimenticatoio a “lavoro compiuto”, militanza pregressa nel sociale, conflittualità lavorativa con sindacati ed enti locali, zero condanne.

Sono i cinquantenni, i cinquantenni  ex-giovani degli Anni Ottanta, che, avendone le capacità, hanno avuto le carriere bloccate da un sistema antimoderno e simil-mafioso, dove cooptazione e negligenza hanno regnato sull’innovazione e la buona volontà.

Una generazione che non ha mai avuto un posto al sole, dato che il Boom economico era finito ed i pregiudizi ottocenteschi dei Sessantottini erano diventati dogmi.

Un’Italia di “colonnelli” e non di “generali”. L’Italia di coloro che sono “emersi” per bravura e capacità e che per onestà e tenacia sono stati discriminati.
Gli unici in grado di prendere in mano le cose quando in un Paese che si risveglia dopo 20 anni di cleptocrazia ed azzeramento democratico.

E non saranno i i partiti logori nè l’antipolitica arraffona a dar loro spazio. Avrebbe dovuto farlo Mario Monti, ma i ministri di cui si è voluto circondare erano di tutt’altro avviso, come stiamo vedendo.

Come andrà a finire non è dato saperlo, ma, male che andasse, una cosa è certa: gli “eroi civili”, i “colonnelli” della democrazia, hanno carisma, coraggio e competenze. I “generali” proprio no.

Che ora, dunque, il dado venga tratto, che il Call Up!” si inizi, che un nuovo partito nasca.

Come? Permettendoci di vedere uniti da una “missione” e da un programma i vari personaggi di primo piano “inspiegabilmente” destinati ad essere un “numero bis”. Imposimato, De Magistris, Saviano, Baldassarri, Lanzillotta, Gabanelli, Aprea, Cirielli, lo stesso Gianfranco Fini od il coraggioso Giuseppe Lumia, forse Maroni, forse Zagrebelski, forse Santoro e Fazio o Mentana … lo stesso Giorgio Napolitano o Luca di Montezemolo?

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