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Sisma Nepal e … se accadesse a Roma?

27 Apr

A Roma dormiamo sonni tranquilli? Si, più o meno gli stessi di quelli coloro che abitano a 70 km dall’epicentro del sisma in Nepal.

C’è, a dire il vero, la ‘molto rassicurante’ classificazione di Roma in zone sismiche che racconta come nelle aree territoriali dei Municipi:

  • V, VI, VII, VIII, IX, X, XI e XII – Zona 2B – possono verificarsi terremoti abbastanza forti
  • I, II, III, IV, XIII, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX e XX – Zona 3A – può essere soggetta a scuotimenti modesti.

I primi dubbi li lanciava l’autorevole il Time – nel giugno 2012 – con un approfondimanto firmato da Stephan Faris: “Can an Earthquake Bring About the Fall of Rome“?

Infatti, a meno di 100 km da Roma c’è  l’Abruzzo, che negli ultimi 7 secoli è stato colpito da almeno 11 terremoti di intensità superiore al IX grado (Scala Mercalli-Cancani-Sieberg).
Inoltre, lo stesso Lazio è stato interessato da forti terremoti, nella parte estrema meridionale  (1349 X e 1654 X) e in quella nord-orientale (1298 X, 1639 X e 1695 IX), più quelli avvenuti in Abruzzo (1461 X, 1703 X) e Umbria (1703 XI)
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“La sismicità capitolina, pur se limitata e caratterizzata da intensità massime intorno al VI-VII grado della scala MCS, ha infatti da sempre rappresentato un serio pericolo per l’integrità dei monumenti millenari, spesso  trascurati e lasciati senza manutenzione. Ancor più gravi sono i rischi legati alle scosse “risentite”, con epicentri localizzati nei Colli Albani, nel Mar Tirreno e perfino nell’Appennino Centrale che, nonostante disti circa tra i 60 ed i 120 km da Roma, rappresenta la sorgente sismogenetica principale capace di provocare danni anche sensibili nella capitale.” (28 aprile 2014 10:59 – Redazione MeteoWeb)

“Il problema è acuito da due fattori fondamentali, uno geologico ed uno ingegneristico. La maggior parte di Roma è costruita su depositi alluvionali olocenici del Tevere e dei suoi affluenti. La valle del Tevere è larga oltre due km, ma esistono altre zone edificate su materiali soffici, non consolidati e dalle scadenti proprietà geomeccaniche (Valle della Caffarella al terminal “Ostiense”, Grotta Perfetta, Viale Giustiniano, Valle di Vallerano, ecc.). In condizioni particolari questo tipo di terreni, soprattutto le sabbie, può essere soggetto ad amplificazione dell’onda sismica (liquefazione, densificazione, ecc.) e quindi aumentare a dismisura la potenza distruttrice del terremoto. Nell’area che va da Ponte Milvio alla Magliana è stato calcolato che gli effetti delle scosse possono amplificarsi anche fino a due volte e mezzo rispetto alle altre zone capitoline. ” (Prof. Enzo Mantovani (docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – Università di Siena)
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Se il problema ‘geologico’ è grave, quello derivante dall’enorme espansione urbanistica, spesso sregolata, dè ancor peggio.
Secondo un recente studio dell’Anaci (Associazione nazionale amministratori condominiali) a Roma almeno il 35% degli edifici non possiede il certificato di abitabilità.

“Da un secolo, esattamente dal 1915, quando si verificò il terribile terremoto di Avezzano, l’urbanizzazione di Roma è stata abnorme e noi non sappiamo come si potrebbero comportare i “nuovi” edifici in caso di un forte sisma appenninico, con magnitudo ben superiore a 6.0. Non lo sappiamo per il semplice motivo perché ignoriamo le caratteristiche costruttive degli edifici stessi e crediamo di non andare lontani dalla realtà asserendo che probabilmente non vi esistono particolari accorgimenti antisismici.” (Enzo Mantovani – Giampiero Petrucci)

“Il problema vero è che sull’Appennino centrale possono verificarsi terremoti molto più forti, fino a magnitudo 7 com’è accaduto nel 1915 ad Avezzano. In quell’occasione a Roma non ci furono morti, ma molti danni distribuiti su gran parte della città, soprattutto in alcune zone che poi abbiamo individuato come le valli alluvionali“.
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Dopo il terremoto di Messico City, si capì che questi terreni erano in grado di amplificare lo scuotimento del suolo in occasione di terremoti anche lontani. Molte zone di Roma sono costruite sui terreni alluvionali, a partire dalla valle del Tevere che va da Prati a piazza Venezia fino a San Paolo ed è larga oltre 2 chilometri, fino a una serie di valli affluenti da est, non riconoscibili dalla morfologia perchè ormai completamente urbanizzate, come la valle della Caffarella in corrispondenza del terminal “Ostiense”, la valle di Grotta Perfettta e il Viale Giustiniano Imperatore. E poi ancora la Valle di Tre Fonrtna e la Valle di Vallerano. Queste zone sono state intensamente urbanizzate soprattutto negli ultimi 20-30 anni. Non possiamo purtroppo sapere come si comporterebbero tutti gli edifici lì costruiti, perchè non conosciamo le caratteristiche costruttive degli stessi edifici.
Sostanzialmente il rischio sismico, a Roma come in tutt’Italia, dipende dal fatto che non siamo in grado di fare la stima della vulnerabilità degli edifici, anche se sappiamo quali aree possono amplificare lo scuotimento. Noi possiamo fare una mappatura dei terreni che possono amplificare lo scuotimento, ma manca la parte ingegneristica e strutturistica che è quella più importante, i morti sono sempre causati dalle modalità costruttive degli edifici.” (Fabrizio Marra, geologo e ricercatore dell’Ingv)

“Il principale rischio sismico viene dall’Appennino: quando forti terremoti, di magnitudo 7, colpiscono l’area al confine tra Lazio e Abruzzo, anche Roma ne risente gravemente. Nel 1915 per fortuna non è successo nulla di gravissimo, ma Roma non era com’è oggi. Oggi è molto più amplificata proprio su quei terreni alluvionali e non consolidati che amplificano lo scuotimento del suolo. Proprio in quelle zone, il terremoto di L’Aquila è stato sentito in modo più significativo che altrove, ed era un magnitudo 6. Secondo me bisognerebbe valutare proprio questo aspetto sugli edifici, come ho già spiegato, per stare più tranquilli. Pensate che sul Viale Giustiniano Imperatore qualche anno fa alcuni edifici costruiti male, con fondazioni inadeguate per quei terreni inconsolidati perchè alluvoinali, si sono addirittura inclinati e alcune persone sono state evacuate dalla loro abitazione …”

Il terremoto della Marsica del 1915 come quello dell’Irpinia del 1980 confermano che l’Appennino Centrale può scatenare sismi nell’ordine del VII grado (MW) con danni anche molto gravi anche a distanze superiori ai 50 chilometri, se parliamo di terreni allluvionalli e di edifici costruiti male.

Anche il terremoto di Haiti del 2010 era del VII grado … il numero di vittime è stimato in 222.517 morti. L’entità dei danni materiali provocati dal sisma è ancora sconosciuta. Secondo la Croce Rossa Internazionale e l’ONU, il terremoto avrebbe coinvolto più di 3 milioni di persone.

Demata (blogger since 2007)

Europa 2020: nel Lazio c’è tanto da fare

20 Feb

1959842_10152168796154034_2121530092_nArriva Europa 2020 (PSR del Lazio 2014 – 2020), la strategia per la crescita economica e sociale dei Paesi dell’UE lanciata dalla Commissione europea nel 2010, che individua 3 priorità – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva – mira a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e competitività.

La Regione Lazio, nel corso del 2013, aveva avviato le attività finalizzate alla predisposizione degli strumenti operativi, in particolare l’analisi di contesto socio-economico dell’agricoltura regionale e la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PSR 2014-2020.
E, proprio in questi giorni, ha aperto un sito apposito (link) dove si legge “fino al 28 febbraio, grazie ad una pagina web dedicata, raccoglieremo le osservazioni di chi vuole contribuire. Quando aumenta la partecipazione e la condivisione, si prendono decisioni migliori“.

Beh, la pagina web dedicata è questa (link) e di spazio per la ‘consultazione on line’ proprio non ce n’è … ma si precisa che “la consultazione online è aperta sia ai componenti del Tavolo di Partenariato che a tutto il pubblico interessato“. A scartabellare un po’, si scopre un file excel destinato a soggetti che abbiano un “ruolo svolto in relazione allo sviluppo rurale” con tanto di Ente di appartenenza o qualifica professionale.

Peccato che l’agroalimentare sia quello che mangiamo e quello che spendiamo. Forse, tra ‘tutto il pubblico interessato’ ci sono anche i cittadini. O no?

Un disguido, una frase fraintendibile, ma, parlando di ‘crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’ dell’agricoltura nel Lazio, c’è ne sarebbe da discutere anche come cittadini /consumatori e non solo come operatori.

Come, ad esempio, per gli unici olii d’oliva DOP del Lazio, il Sabina e il Canino, noti per il loro pregio e coltivati su un’area equivalente almeno alla provincia di Siena. Prodotti eccellenti che trovano poca traccia come commercializzazione su internet, di sicuro non sono venduti nei supermercati laziali e, con tanti ulivi in bella vista, non sembrano contribuire particolarmente alla leva fiscale regionale …

Sempre in termini di ‘anomalie’ sarebbe da ricordare almeno quella dei tanti (troppi?) vini DOC del Lazio, quasi uno per campanile e di blasone diverso, come raccontano i nomi: Aleatico di Gradoli, Aprilia, Atina , Bianco Capena superiore, Castelli Romani , Cerveteri , Cesanese di Affile DOC , Cesanese di Olevano Romano DOC , Circeo , Colli Albani , Colli della Sabina , Colli Etruschi Viterbesi, Colli Lanuvini superiore, Cori , Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Frascati, Genazzano, Marino, Merlot di Aprilia, Montecompatri Colonna , Nettuno, Orvieto , Roma, Sangiovese di Aprilia, Tarquinia , Moscato di Terracina, Trebbiano di Aprilia, Velletri , Vignanello , Zagarolo superiore‏  

Quale possa essere la loro ascesa ed affermazione sui mercati è presto detto, se c’è da competere con intere province, come il Chianti o il Montalcino, od aree regionali, come per i vini californiani e spagnoli.
Intanto, i contributi (soldi pubblici) per questa bella lista di vini li spendiamo …

Il tutto senza tenere conto che esistono anche i costi sanitari non irrilevanti per le patologie da consumo alcolico, mentre il Ministero per le Politiche Agricole e l’Assessorato regionale del Lazio per  Agricoltura e Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca – sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica – non mancano di patrocinare eventi come “La cultura del vino in Italia” nel Complesso del Vittoriano, in un paese che evita di scrutare il fenomeno alcolismo, ma che nel 1965 vedeva oltre 120 litri di vino come consumo pro capite annuale tra i maschi (bambini inclusi) e che nel 1994 presentava percentuali allarmanti tra le donne di alcune regioni ed oggi conta nel Lazio il 22,1% di bevitori maschi ‘a rischio’  (Rapporto Istisan 2012).

E c’è la questione dei costi dei prodotti sui banchi dei supermercati, con una “filiera del commercio che finisce per avere sempre la stessa conseguenza: a rimetterci è il consumatore che va a comprare. «C’è un ricarico del 200% in media, ma con punte anche del 300%», affermano alla Coldiretti sulla base di un loro studio“, mentre ” il Mercato Ortofrutticolo di Fondi è molto più di un mercato. E’ una città, 335 ettari, 120 aziende, 2 mila produttori locali, 800 milioni di fatturato l’anno. E’ il più grande mercato italiano, il secondo in Europa dopo quello di Parigi.” (Flavia Amabile – La Stampa).

Ce ne sarebbero di cosa da ‘consultare’, visto che lo scopo di un governo regionale dovrebbe essere quello di garantire, innazitutto, che la merce che arriva ai cittadini sia di buona qualità ed a prezzi decenti.

Anche in questo caso, come per il frammentato e opaco mercato dell’olio e del vino laziali, Roma e il Lazio dovrebbero badare alla “competitività” che – guarda caso –  è tra le priorità  di Europa 2020.

Frammentato anche in Regione Lazio, dove la ‘Programmazione Comunitaria’ è affidata ad un ufficio (Dirigente Roberto Aleandri), le ‘Politiche di mercato e l’organizzazione delle filiere con progettazione integrata’ ad un altro ufficio (Dirigente Stefano Sbaffi), la ‘Promozione, comunicazione e servizi per lo sviluppo agricolo’ ad un altro ancora (Dirigente Cristiana Storti) …

Non è in discussione la professionalità dell’Assessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca Sonia Ricci, che è stata amministratrice e direttore generale di alcune aziende agricole fino alla nomina di Zingaretti, oltre a essere impegnata politicamente sin da giovanissima.

Ma la sfida di Europa 2020 passa una volta sola e troppi interessi localistici e micragnosi hanno pesantemente influenzato – finora – la nascita di un’immagine e la conseguente affermazione di un ‘prodotto laziale’, come viceversa avviene per tutte le regioni limitrofe. Persino nel piccolo Molise.

Cerchiamo, dunque, di scoprire su quali scaffali e quali tavole finisce l’olio sabino, dopo essere stato venduto (si spera). Proviamo a sviluppare due vini due che abbiano abbastanza ‘forza produttiva’ per sviluppare campagne di marketing massive.
Miglioriamo la filiera e facciamo in modo che i prezzi dell’ortofrutta a Roma siano più bassi per i consumatori e i ricavi più alti per i produttori … forse spenderemmo meno in Welfare e aiuti all’agricoltura, mentre la gente sarebbe più ottimista.

originale postato su demata