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Come garantire il welfare senza andare in bancarotta

2 Set

Garantire il Welfare senza mandare la Nazione in bancarotta non è mai stato difficile, salvo che in Italia, dove si è poco considerata la prevenzione del disagio sociale, cioè formazione e meritocrazia.

Scolarizzazione+della+popolazione+italiana

Ed essendo il ‘disagio’  una forte base di consenso per i cristiano-sociali, i socialisti e i comunisti è andata a finire che da noi, in termini di Welfare, esiste solo il diritto ‘pro capite’  (propr. «per ogni testa») che garantisce ai cittadini in condizione di indigenza o di difficoltà sociale un ‘reddito’ stabile nel tempo e scarsamente condizionabile, anche se il beneficiario conduce uno stile di vita inattivo o criminale.  

Il diritto ‘pro quota’ (propr. «per la parte a ciascuno spettante»), viceversa, comporta che a questi cittadini pervenga un ‘reddito’ che varia a seconda della situazione economica generale e del numero dei beneficiari, cosa che induce il beneficiario ad essere partecipativo e proattivo.

Il Welfare ‘pro capite’ è la tipica misura emergenziale volta ad assicurare un minimo essenziale durante una fase di transizione socio-industriale; il Welfare ‘pro quota’ è la tipica misura infrastrutturale volta ad assicurare una vita dignitosa a chi non è in grado di essere produttivo.

Nel primo caso lo slogan è ‘nessuno sarà lasciato indietro’, nel secondo il proverbio dice che ‘senza denari non si cantano messe’.

Ovviamente, per non mandare in bancarotta una Nazione ed evitare che l’ozio e il degrado si diffondano, ma anche dare a tutti una chanche di vita onesta ed operosa c’è da trovare un equilibrio tra il ‘pro capite’ ed il ‘pro quota’.

Ad esempio, potremmo stabilire che l’entità complessiva di sussidi e servizi ‘pro capite’ che arrivano ad una famiglia ‘indigente’ non sia superiore al reddito medio di un operaio. Per reddito, in questo caso,  intendiamo quanto arriva dagli altri contribuenti ai beneficiari sia in termini di sussidi economici ed esenzioni sia quando equivalente in termini di accesso privilegiato a servizi e abitazioni.

E, magari, i Comuni potrebbero introdurre la rotazione delle case popolari con contratti 4+4 anni, come tutti i comuni mortali, e legiferare un sussidio abitativo per chi ha diritto senza dovergli trovare casa tramite intermediari (costosi e talvolta criminali). 

Altrimenti, se c’è da perdere la casa popolare superando un certo reddito, chiunque deciderà di restare a dove è …

Chissà come sarebbe oggi l’Italia se la Politica si fosse presa la responsabilità ogni anno di legiferare le aliquote per i sussidiati e le tasse per i contribuenti, mettendoci la faccia e spiegarci perchè, spendendo qualcosa in formazione, chi è beneficiario di sussidi e di ‘redditi’ pagati dagli altri contribuenti non può essere impiegato da Regioni e Comuni per la manutenzione e il ripristino del degrado urbano e ambientale.

Demata

Pensioni, esodati? Solo parole al vento e lacrime da coccodrillo

16 Ott

Le ‘pensioni non si toccano’ fu uno degli slogan della campagna elettorale della sinistra di base italiana ai tempi di Fausto Bertinotti. Sembrava una bella cosa, ma poi abbiamo scoperto che era una fregatura: chi in pensione restava intatto, chi in procinto aveva da aspettare e per chi futuro nulla sarebbe rimasto.

La riprova arriva in questi giorni:

  1. niente agevolazioni per i lavoratori precoci;
  2. niente scivoli per gli invalidi gravi;
  3. quattro centesimi di ‘opzione donna’;
  4. esodati poi si vedrà;
  5. zero opzioni per anticipare.

Intanto, Tito Boeri – neo direttore dell’Inps – resta inascoltato e nè istituzioni nè sindacati hanno finora presentato un esposto uno per acclarare cosa ne sia stato dei miliardi e miliardi che mancano all’ex Inpdap e alle tante Casse assorbite dall’Inps.

E, se la CGIL piange lacrime da coccodrillo dopo aver affondato le proposte di Boeri e di Damiano, va da se che Poletti proprio non sembra interessato alla previdenza come all’assistenza: oggi è ministro, ma ieri era  Coop …

Renzi? Per ora ha dato lavoro nelle scuole a quasi centomila suoi coetanei, ha salvato i privilegi iniqui del catasto e di chi vive nei centri storici, ha lasciato in piedi la Cassa Integrazione, mentre per i (ne)fasti di Roma ha finora scucito almeno un miliardo di euro e mentre l’Europa presta quasi 2.000 miliardi di euro alla Grecia.

Aggiungiamo che i Cinque Stelle intervengono su tutto ma non riguardo le pensioni od il salario minimo ed anche il Centrodestra e persino l’estrema Destra non mostrano interesse alla questione.

Inutile ricordare che qualcuno aveva sbagliato metodo e conti per le pensioni – specie se apicali – come è comprovato dall’intervento corrrettivo di Maroni, come anche che i dati sul livello di istruzione dei maschi e sulla sottoccupazione femminile sono la riprova dei danni prodotti dall’assenza di un welfare organico e rigoroso e di percorsi professionalizzanti (Mafia Capitale docet) .

Eppure, basterebbero qualche dozzina di miliardi e dei sindacati ‘come quelli degli altri paesi avanzati’ per sbloccare la questione. I miliardi ci sarebbero pure, quel  che manca da noi sono dei sindacati ‘normali’, cioè in grado di gestire fondazioni ed enti benefici, Cda assicurativi, case per anziani eccetera.
L’organizzazione del dissenso, come sentivamo in tv tempo fa? Quella compete ai partiti, mica ai sindacati …

Demata

La grande bugia (che accomuna Berlinguer, Prodi e Renzi)

24 Mar

Quando avevo 20 anni, Enrico Berlinguer annunciò i ‘sacrifici’, che equivalsero a dire che noi giovani diplomati e laureati dovevamo aspettare per salvare il lavoro dei padri di famiglia con le medie e le scuole professionali.

Quando ne avevo 40, furono Romano Prodi a spiegarci che il lavoro era finito, ce lo dovevamo inventare creativamente, ma che il mondo restava solidale, così c’era pure da pagare welfare e pensioni dei nostri padri

Adesso che vado per i 60, Matteo Renzi mi spiega che va sacrificato il lavoro dei padri di famiglia diplomati e laureati, mettendoli per strada da anziani, per dar lavoro a giovani senza una professione, preavvisandomi che costoro non verseranno mai abbastanza contributi neanche per se stessi grazie alle leggi sul lavoro precario che Antonio Bassolino emanò.

Dico … ma – visto come è iniziata la ‘storia’ e la quantità di ‘balle’ che lo ‘stesso partito’ ha riservato ad un’intera generazione, almeno Renzi potrebbe rivolgersi ai padri di famiglia del 1977, che costituiscono quasi il 30% dei residenti e versarono tutto pre-inflazione e pre-contributivo, anzichè a quelli del 2007, che sono si e no il 10% e bene o male hanno versato il giusto?

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Il Jobs Act e i giovani

7 Mar

Facciamo finta di essere un giovane, uno qualunque purchè ‘vero’, non di quelli ultratrentenni con prole a carico che ci propinano i media, ma qualcuno tra i 17 ed i 25 anni che vorrebbe lavorare, farsi una strada ed una famiglia, conquistandosi la sua pensione a sessant’anni, forse anche un tot prima.

Facciamo solo finta, che lo sappiamo che per uno così proprio non c’è spazio qui da noi, ma facciamolo. E mettiamo che il giovanotto o la signorina di turno decidano di informarsi su come funzioni il sistema del lavoro in diversi paesi europei.

Senza troppi ghirigori vengono subito a galla molte differenze tra l’Italia e il resto dell’Europa, ad esempio:

  1. i Jobs Act si occupano prevalentemente di tutele per chi resta disoccupato o si ammala o viene discriminato o vuole reinserirsi o eccetera, il nostro no. Anzi, le tutele si applicano solo a chi permane con lo stesso datore di lavoro;
  2. di tutte queste tutele altrove se ne occupa il corrispettivo dell’Inps italiano, dato che altrove esiste ancora la ‘previdenza sociale’ mentre da noi è una Public Company del ramo assicurativo in condizioni di palese monopolio
  3. il datore di lavoro ed il dipendente come il disoccupato sono tutelati da norme semplici, praticamente dei regolamenti, e da una giustizia veloce, piuttosto che da lunghe enunciazioni di diritti e formule giuridiche.

I sondaggi raccontano che i ‘veri giovani’ sostengono Renzi per il Jobs Act. Vedremo …

Cosa ne sarà d questi ‘contratti tutelati’ se dopo Natale quale sentenza del lavoro o qualche quesito costituzionale oppure un atto di bilancio (c’è sempre il Fiscal Compact …) andranno a riaprire la questione?

Infatti con i 300 milioni del fondo specificamente costituito (Asdi) non ha trovato impiego a due anni dal licenziamento basta appena per 20.000 persone per un anno. Come una dozzina di mesi ancora potrà durare il blocco delle pensioni di Fornero e la mattanza fiscale di Monti. E poi, cosa accadrà?

E’ forse per questo che le banche non ci credono e tengono duro sui mutui casa ai ‘lavoratori a tutela crescente’? E l’Inps? Quando toccherà all’Inps di essere risanato e riportato agli scopi originari di ‘spesa’ e non di ‘cassa’?

Da oggi i nostri giovani, veri e meno veri, hanno un Jobs Act grazie al quale chiunque cambi ditta un paio di volte in cinque o sei anni – magari per migliorare – si ritrova ‘ancora precario’ a quaranta per finire esodato a cinquanta …

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Referendum pensioni respinto: in arrivo danni elettorali inestimabili per il PD e altri guasti per l’Italia

22 Gen

La Corte Costituzionale ha bocciato la proposta di referendum abrogativo delle norme introdotte sulle pensioni da Elsa Fornero come ministro del Welfare.

Molti attendono le motivazioni della sentenza della Corte che verranno depositate solo tra qualche settimana e tanti prevedono che ci sarà riferimento all’articolo 75 della Costituzione che non ammette il referendum per leggi tributarie e di bilancio, ma potrebbe non essere così.

Infatti, sarebbe davvero molto difficile spiegare ai cittadini  come sia possibile in termini costituzionali che i risparmi dei lavoratori possano entrare a far parte del bilancio dello Stato. E come sia possibile – se la Corte motivasse così – dovrannno spiegarlo i nostri politici affamati di voti ai 18enni pre crisi, oggi venticinquenni senza lavoro e con i genitori cinquantenni allo stremo.
Specialmente se dall’altro lato ci fosse la generazione pre-1952 con le pensioni d’oro e i loro figli pre-1980 che almeno la casa di proprietà ed una da affittare spesso e volentieri ce l’hanno.

lavoratori anziani senior

Probabile che i serbatoi elettorali di alcuni territori e strati sociali alzeranno, nel segreto dell’urna, l’asso di picche al Partito Democratico, fosse solo in ragione delle note posizioni di Giuliano Amato, oggi giudice costituzionale, ieri autore della riforma – poi ripresa da Dini e Maroni – che allungò oltre ogni aspettativa il sistema retributivo che ci dissangua, e delle poco note posizioni di Camusso e CGIL, che tacciono, invece di sostenere il referendum, come tacciono sul reddito di cittadinanza.
E, probabilmente, andranno altrove tanti elettori ‘moderati’ di un eventuale Partito del Nazareno, che – guarda caso – coinciderebbe più o meno con le forze poltiche che sostennero Monti, in quanto i ‘segati’ della Fornero, figli disoccupati inclusi, rappresentano almeno 4 milioni di voti, forse sette, già nell’immediato.

Intanto, annotiamo che anche mia suocera ottantenne e ‘de sinistra’ ormai afferma che ‘Salvini è razzista, ma ha ragione’ e che è facile immaginare cosa pensino in blocco gli statali il cui padrone si è appropriato dei loro sacrosanti risparmi per la vecchiaia.

Andrà a finire molto male questa storia delle pensioni procastinate ad libitum … anche perchè lasciare questa Inps al palo, senza riformarla e/o senza ri-finanziarla, è davvero contro tendenza: il sistema previdenziale pubblico, da un decennio, si è sostituito a Banca d’Italia nel ‘prestare’ soldi allo Stato. L’Inps per certi versi è (era) una banca, o meglio una ‘cassa’ – ma è l’unica che non ha beneficiato finora di ampie trasfusioni …

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Job Act, perchè è un falso problema?

28 Nov
Il Job Act risolve il blocco delle grandi ristrutturazioni industriali che sono de facto impedite dalla cassa integrazione inventata da Romano Prodi per la Maserati (statale) degli anni ’70.
Serve solo a questo e dovrebbe chiamarsi qualcosa tipo ‘Re-Industry Act’. Detto così sarebbe una favola … ovviamente accompagnato da un Job Act vero che introduce il salario minimo e da un Welfare Act che separa la previdenza contributiva da quella sociale.
Il Job Act risolve l’annosa quaestio delle ristrutturazioni industriali e settoriali: tutto qui.

Quanto allo Statuto dei Lavoratori ‘violato’, va anche ricordato – ma nessuno lo fa – che un lavoratore licenziato con due anni di indennità ottiene almeno 25.000 euro che costituiscono la somma minima necessaria per diventare dei piccoli imprenditori, ovvero liberarsi dal lavoro salariato. Ovviamente, a patto di vivere in uno Stato che facilita la libertà di impresa ….
Inoltre, in un paese normale quasi tutti iniziano a versare contributi a 18 anni circa, la previdenza è privatizzata e a 53 anni molti sono prossimi alla pensione anticipata con l’80%.
Dove sono gli ammortizzatori sociali? Dove il salario minimo? Dove lo sblocco del turn over?
Chi critica il Job Act dimentica che si parla di flessibilità occupazionale, ma non si riforma previdenza e welfare in modo corrispettivo (leggasi ministri Poletti e Padoan).
A proposito, a far due conti su tempi e procedure, è abbastanza probabile che andrà a finire che i decreti attuativi li redigerà il governo prossimo futuro …

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Lavoro, salari e istruzione in … un paese di licenze medie

22 Set

In Italia gli scolari tra i 7 e i 14 anni passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, eppure le competenze da Firenze in giù sono anche fortemente inferiori alla media europea (circa 200/500), arrivati alle superiori il tasso di abbandono scolastico è al 17,6% (media UE  12,8%) , i diplomati 21,7% (media UE 35,8%)

Nell’Unione europea il 36% di giovani tra i 30 ed i 34 anni ha concluso con successo il percorso universitario (+8% rispetto al 2005 secondo Eurostat), l’Italia annovera un misero 21,7%, a fronte di un preciso obbiettivo UE di raggiungere il 40% di laureati entro il 2020. Inutile dire che attualmente l’Irlanda laurea il 51,1% dei suoi giovani, Gran Bretagna è al 47,1%, la Francia al 43,6% e la Spagna al43,1%, mentre la Polonia arriva al 39,1% e la Germania segue al 31,9%, come anche che … spesso e volentieri si tratta di lauree tecniche e scientifiche.

Andando alle politiche del lavoro e del welfare, è evidente che la questione ‘scolarità degli italiani’ è ragguardevole: siamo un paese di licenze medie dove solo un cittadino su cinque consegue un diploma, per altro di bassa qualità, e solo uno su venti ha una laurea.

Giocoforza va che i primi non possano generare redditi lordi mediamente superiori ai 16.000 euro annui, i secondi forse potrebbero attestarsi – a fine carriera – sotto  i 30.000 annui, i terzi oltre i 40.000 ed entro i 70-80.000: un paese povero di risorse umane qualificate non potrebbe permettersi di più con i propri lavoratori dipendenti.

Se andiamo a vedere i redditi e le pensioni, però, in Italia non va affatto così: gli stipendi di chi lavora sono più alti e ancor di più, in proporzione, lo sono le pensioni.
Difficile prevedere che tutto questo possa durare ancora per molto, mentre – dopo accorati e ventennali appelli – sembra che si appresti un’Europa non solo delle banche ma anche del lavoro, della PA e della previdenza/sanità, attraverso la prassi dei costi standard.
Trecento milioni di abitanti e centinaia di migliaia di imprese e amministrazioni bastano e avanzano per stimare quale sia il valore in euro del lavoro, delle pensioni, delle casse, dei servizi sanitari, delle scuole eccetera.

Dicevamo dei bambini italiani tra i 7 e i 14 anni che passano a scuola 8.316 ore, contro una media dei Paesi Ocse (2011) di 6.732 ore, mentre spendiamo solo il 4,2% del PIL nell’istruzione e obblighiamo il personale scolastico a lavorare a vita, con alunni e famiglie che progressivamente si ‘adeguano’ al clima ddi microillegalità diffusa.

Per far ripartire la scuola italiana basterebbe una sola annualità di quanto versiamo nel vaso di pandora della Sanità italiana.
Una spesa eccezionale inferiore ai 100 miliardi su cinque anni – molti meno di quanti abbiamo dissipato inutilmente finora – per creare scuole digitali (30 miliardi?), ripianare i buchi nell’ex Inpdap e ripristinare per i docenti un sistema di pensionamento anticipato (45 miliardi?), dotare le scuole di autonomia vera e dirigenti a pieno titolo, laureare tutti i docenti, informatizzarli per davvero e fargli imparare almeno una seconda lingua.

Abbiamo da raddoppiare il numero di laureati (e di diplomati) in sette anni …

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Lavoro, economia, dignità umana, le riforme e … i dettagli che mancano

22 Set

“In queste ultime settimane nelle case degli italiani ritorna un assillante messaggio trasmesso giorno e notte dai tg di ogni rete e di ogni tendenza : il lavoro e l’abolizione dell’art.18. … Già oggi si contano a migliaia le persone licenziate e cassintegrate: chi non ce la fa si toglie la vita, i giovani se possono vanno all’estero, altri entrano nella criminalità per sopravvivere.
… Parlassero pure di lavoro nelle ovattate e distaccate aule del potere, ma un’economia che non rispettasse più la dignità della persona sarebbe già morta nel suo nascere e già morte sono le sue prospettive future.”

Questo un recente e fotografico commento di un noto opinionista romano, Corrado Stillo, che ben delinea quale sia lo smarrimento di tanti italiani dinanzi alle notizie – piuttosto confuse a dire il vero – che arrivano dai media riguardo il lavoro in Italia.

Nessuno dei nostri media ha dato particolare enfasi a:

  1. la norma vigente in Italia è unica al mondo, a fronte di diritti dei lavoratori piuttosto scarsi a confronto degli altri paesi europei
  2. la cassaintegrazione (che garantisce il salario ma non il lavoro) non ottempera all’art 4 della nostra Costituzione, per il quale “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro” e soprattutto “promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, cosa ben diversa dal creare una massa di inoccupati salariati (cassaintegrati), una schiera di disoccupati periodici sussidiati (edilizia, agricoltura, manifatture) e un gulag di ‘senza diritti’ fatto di casalinghe e giovani, cui si sono aggiunti i precari odierni ormai di mezza età
  3. l’economia non si occupa della dignità della persona. Al massimo la mercifica, con il beneplacito di tutti, dato che nessuno oggi sa più come affilare una lametta, rammendare un abito, produrre sapone o cibo da se, costruirsi un tetto che non sia un gazebo da assemblare. In una società che produce in eccesso (è così da 100 anni circa) il ‘valore’ primario è lo scambio in se (di cui il denaro è codicillo e simulacro) e non l’Uomo e cosa possiede per le proprie necessità … dato che – come detto – oggi tutti viviamo nel lusso sfrenato se confrontati con coetanei di 30-40 anni fa
  4. non è il lavoro che rende una persona degna, anzi non sembra contribuirvi in alcun modo se non incrementando il ciclo frustrazione-desiderio. Il lavoro è uno scambio di prestazioni per denaro o altre utilità. Altro è l’essere operosi e contribuire al bene comune, di cui la nostra Costituzione fa menzione
  5. molti di noi credono che stiamo parlando del sistema ‘amerikano’, capitalista, materialista, liberista, che cancella identità, diritti e tradizioni, fatto sta che, al di fuori della previdenza sociale per le fasce a rischio, uno Stato dell’Unione Europea non gestisce direttamente il lavoro, la previdenza, la sanità e l’istruzione: è per questo che l’Inps, le ASL, le scuole, gli Enti, le Università, i Musei, le Aziende eccetera sono stati – almeno nominalmente – privatizzati o resi autonomi, nei primi anni 2000
  6. il problema del ‘lavoro’ non sta nel ‘capitale’, ma nella ‘fabbrica’ e nella sua gerarchia (Klein e Chomski definiscono il lavoro come uno spazio ‘a democrazia limitata’, figuriamoci dove bisogna adeguarsi alle ‘macchine’ e ai ‘mercati’, ben più esigenti dei ‘padroni’ del tempo che fu
  7. una società equa, ma anche economa, dovrebbe prevedere il turn over (non il pensionamento) degli operai dopo 15-20 anni di quella vita. Ed a ben vedere, nel resto dei paesi europei troviamo (tanta) gente che a 20 anni faceva l’operaio, a 30 il tassista o il franciser, a 40 imprenditore, a 50/55 è felicemente a riposo …

Morale della favola: cosa ci sarebbe di male se un dipendente licenziato ‘per esuberi /tagli’ del personale incassasse 20-30mila euro in contanti, con cui avviare un’attività e ‘liberarsi dalla fabbrica’?
E dove sarebbero gli svantaggi, se potesse contare COMUNQUE su un salario minimo, su un sistema previdenziale e sanitario a capitale pubblico ma erogato da privati e su quel minimo di contrasto dell’illegalità e del degrado che attrae investimenti (scambi) ovvero ‘lavoro’ e ‘piccola impresa’?

In Olanda come in Germania o Giappone e USA, e persino in Spagna o forse domani anche in Cina, funziona che in caso di licenziamento non c’è reintegro, eccetto la vessazione, ma in compenso c’è un indennizzo abbastanza congruo (una o due annualità) e non sono pochi quelli che si ‘mettono in proprio’. Chiaramente a condizione che nel loro paese la spesa pubblica non metta in ginocchio la nazione, portandola alla recessione e alla stagnazione …

Piuttosto, ritornando alle opportunità che lo Stato italiano dovrebbe promuovere … se in una regione smobilità un comparto perchè la globalizzazione sta progressivamente ripristinando le centralità europee e mondiali preottocentesche, cosa diciamo alla gente? Che li cassaintegriamo tutti per 40 anni e poi … amen, un paese di vecchi dove si vende la merce sotto costo?

E’ vero, “un’economia che non rispettasse più la dignità della persona sarebbe già morta nel suo nascere e già morte sono le sue prospettive future.”
E’ esattamente quello che ha fatto l’Italia dimenticandosi dei giovani, delle donne, delle famiglie, delle periferie, della meritocrazia, dell’innovazione e – tra i tanti esempi possibili – tutelando per anni l’occupazione di Alitalia con centinaia di milioni annui di costi a carico del MEF, devastando le città con enormi agglomerati di case popolari destinate – spesso – a persone che un lavoro vero non l’hanno mai trovato, almeno stanto ai ‘requisiti’, mantenendo in piedi un carrozzone RAI con decine e decine di canali , sedi e dipendenti, rivalutando le pensioni da lire ad euro in base al potere d’acquisto e non alla rivalutazione effettiva, destinando miliardi di euro alla cassaintegrazione a carico dell’Inps ma senza reintegrare le somme … eccetera eccetera.

Detto questo, c’è un’unica critica veramente fondata verso la riforma del lavoro di Matteo Renzi – sia per quanto riguarda l’economicità complessiva sia per quanto relativo alla dignità umana – per il fatto che non prevedere una contemporanea riforma del sistema previdenziale, ovvero salario minimo e condizioni per l’anticipazione del pensionamento.
Questa carenza incrementa le ansie degli italiani ed andrebbe chiarita prima possibile, ma è presumibile il governo stia aspettando perchè, da quello che si è letto sui giornali negli ultimi anni, i sindacati pensano di potersi ancora opporre strenuamente a difesa dello status quo pensionistico vigente.

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IMU: Alemanno trova la soluzione?

10 Mag

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato che le domande di anticipazione di liquidità superano l’importo delle disponibilità del Fondo dedicato agli Enti locali dalla Cassa depositi e prestiti. Parliamo di un fabbisogno stimato in sei miliardi di euro a fronte di soli quattro distribuiti su due rate per l’esercizio corrente e per quello del 2014.

Dunque, sono ancora aperti i nodi per i quali si dovette intervenire d’urgenza, un anno e mezzo fa, proclamando Mario Monti a salvatore della Patria e lasciando Elsa Fornero libera di usare il Welfare per salvare la cassa.

Se qualcuno cerca il ‘tesoretto di Mario Monti’ è meglio che lasci perdere, anzi sarebbe bene che si preparasse al peggio: la Corte dei Conti ha bocciato il DL Sviluppo, la Legge di Stabilità e, persino, la fiscalità che Monti e chi lo sosteneva hanno voluto.

Le norme di carattere fiscale “risultano prive di clausole di salvaguardia per fronteggiare il minor gettito rispetto alle stime”.  La legge di Stabilità “viene svuotata della sua componente fondamentale, non si realizza la manovra.” Il Decreto Legge per lo Sviluppo costituisce “un provvedimento disorganico, che reca i più disparati interventi; molti emendamenti approvati in sede parlamentare sono privi di relazione tecnica o registrano un visto negativo”.

Per il resto, “coperture improprie”, “gettito non affidabile”: un’ennesima voragine nei conti pubblici?

Intanto, la ‘pacificazione’ passa attraverso il taglio dell’IMU (voluto da Berlusconi) ed il rinnovo della Cassa integrazione speciale (voluta dalla CGIL), mentre è più che evidente che non la copertura finanziaria, andando avanti con questo metodo, non c’è.
L’IVA non aumenta, forse, ma, di sicuro, non cala, eppure c’è recessione. L’Irperf viene lasciata libera di crescere in balia della malasanità e della malagestione, come se non contribuisse ad aumentare il carico fiscale di tutti.

E, per non farsi mancare nulla, anche i parlamentari del Movimento Cinque Stelle scoprono che vivere a Roma con seimila euro al mese è difficile, chissà come faranno i residenti che vanno avanti con 1.000-4.000 euro mensili per nucleo familiare …
Dunque, niente interventi sui costi della Casta o della P.A., i piccoli comuni e le Province son tutti lì, la magistratura ha avuto il periodico aumento stipendiale, i nostri media neanche più ricordano che i mercati e gli stati esteri ci guardano ancora con attenzione, sorpresa e sospetto.

Tornando all’IMU, c’è l’esempio della Giunta di Roma Capitale, presieduta dal sindaco Alemanno, che ha dato il via libera all’esenzione totale dal pagamento dell’Imu sulla prima casa per le famiglie con un reddito Isee non superiore a 15.000 euro.
La copertura finanziaria sarà assicurata dai maggiori introiti garantiti dalla rivalutazione delle rendite catastali degli immobili situati nelle zone di pregio di Roma, che rappresentano il 7,49% delle prime case.  La stima di incremento di gettito derivante dalle nuove rendite in base alle stesse aliquote IMU dello scorso anno è di un gettito di 116,2 milioni di euro. In questo modo, non saranno penalizzate le attività produttive, come, viceversa, sembra prevedere il decreto al vaglio del Governo Letta.

Saranno 376.000 le  famiglie romane, in particolari situazioni di disagio economico-sociale, che beneficieranno di questi provvedimenti di solidarietà sociale.

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IMU, non IMU ed il paese senza meraviglie

2 Mag

Giorni fa, italiani e mercati tiravano un respiro di sollievo: è fatto, l’Italia ha un governo, che, forse, durerà pià di una stagione o di un anno, chissà. Tra l’altro, l’ultima cosa che si poteva pensare di Enrico Letta è che fosse un uomo da passi avventati, come quello del ‘salasso’ per le esauste finanze italiane, che zero IMU e tanta cassa integrazione apporteranno, insieme alle risorse che comunque servono per intervenire in aiuto di tanti esodati e disoccupati, che le politiche del Lavoro dell’ultimo anno hanno dimenticato.

Fermo restante che è ingiusto ed iniquo far pagare l’IMU sulla prima casa a chi rientra nelle fasce ISEE, che i redditi bassi devono pagare tasse locali proporzionate e che se si tratta di attività con ricavi sgravi ed esenzioni vanno ben valutati in funzione della crescita locale, va detto anche che a ‘voler mobilizzare 20 miliardi’ per alleviare la pressione fiscale ed alimentare l’occupazione si potrebbe fare ben altro.

Ad esempio, con previsionalità di minori entrate equiparabili a quella dell’IMU, si potrebbe ridurre l’IVA, almeno in alcuni settori, di un punto – non solo lasciarla così com’è – e rilanciare consumi e produzione . Come anche si potrebbero ‘aggirare’ alcune norme antiprotezionistiche dell’Unione, introducendo norme che consentano ai Comuni di modulare imposte e tributi in modo che abbiano effetti positivi sulle economie locali.

Allo stesso modo, se si vuol far ripartire le grandi aziende, oltre agli sgravi ed aiuti, servono contratti di lavoro molto diversi da quelli di cui si sente parlare dai nostri sindacati, che vogliono mantenere l’organizzazione verticistica che li ha resi parte della Casta ed arbitri dei destini italiani.
Contratti che diano spazio alle scelte ed ai benefit locali, in un quadro nazionale di regole, ma anche di intese che permettano – secondo un modello molto affermato nei paesi ‘veramente’ industriali e sperimentato con successo in Italia dall’Olivetti che fu – a fondazioni ed enti benefici alimentati dalle aziende di sostenere il benessere del territorio dove operano.

Una piccola rivoluzione, che riporterebbe la politica al ruolo ed al livello (alto) che le compete: in nessun paese al mondo, salvo quelli comunisti, esistono dei raprresentanti sindacali che sforino così tanto dal loro ruolo di lobby rappresentativa di interessi di una parte, ormai neanche maggioritaria, dei cittadini che producono.

Un mondo produttivo che è relativamente in crisi nei settori coperti dalle casse integrazione che tanto CGIL-CISL-UIL difendono a spada tratta. I disoccupati di oggi sono manovali, camerieri, banconisti, piccoli artigiani, precari con famiglia a carico, casalinghe con la laurea, giovani con la terza media che stazionano in sala giochi. Ditte individuali.
Dunque, non c’è da prendere atto che oggi come 30 anni fa i nostri sindacati continuano a distinguere tra un’illicenziabile pubblica amministrazione, gli occupati/disoccupati da cassa integrare, gli altri lavoratori.

Anche in questo caso ci si aspettava qualcosa di diverso. Ad esempio, formazione e riconversione professionale, non solo aiuto sociale. Anzi, visto che il reddito minimo è tutto ancora da discutere (abbatterebbe lo sfruttamento del lavoro nero, mettendo nei guai una parte del made in Italy), perchè non condizionare aiuti e sussidi all’inserimento in programmi sociali di riprofessionalizzazione e riqualificazione? Dicono che il turismo è il futuro dell’Italia e lo dicono proprio i vari Monti e Prodi …

E qui arriviamo al dunque: dove trovare i soldi per ripartire.
Certo, ci sono i tagli, ci sono gli sprechi, ci sono le caste, c’è l’evasione fiscale come c’è la mafia. Tutti obiettivi a lungo termine, che solo un governo forte e di longevo può sperare di affrontare con successo. Il buco Sanità? Indiscutibile con quasi 100 parlamentari che arrivano dal settore …

Ma, se parliamo di soldi, c’è il Demanio, con coste e luoghi ameni che attendono solo di essere valorizzati, c’è l’INPS, tirchio con i deboli e benefattore con i potenti, ci sono sedi ministeriali e degli enti locali del tutto inutili, mal dislocate e onerose. C’è Equitalia, che se vale quel che dice di valere – potrebeb essere effettivamente privatizzata privando il MEF di un ignobile ruolo di gabelliere e privando gli esattori del ruolo ‘istituzionale’ e degli accessi ai nostri dati personali di dubbia costituzionalità.
C’è la questione degli interessi maturati sui mutui, specie quelli ultradecennali, e l’evidenza che da un lato sono enormi, con la conseguenza che è crollato il settore, e che anche un’aliquota minima dell’1% sgli utili porterebbe nelle casse dello Stato enormi quantità di liquidità. Una questione che potrebbe essere affrontata nel corso della soluzione del caso Cassa Depositi e Prestiti o nel riparto – che prima o poi avverrà – di Finmeccanica e RAI.

In questo momento, il Governo Letta ha un’ampia maggioranza parlamentare, ma – mettendo insieme il 20% che non ha votato, il 18% che è andato a M5S, il 3% della Lega e di SEL con il 2% di Ingroia – viene fuori che quasi la metà di italiani è molto lontana dal sentirsi rappresentata.
Diciotto milioni di elettori – uno più uno meno – ai quali si aggiungono i tanti che hanno votato PD-Monti-PdL, ma stanno lì, diffidenti, a guardare … come, a guardare, c’è l’Europa, aspettando qualche passo falso del buon Enrico Letta che, forse, è già avvenuto.

Dunque, basta giochi di palazzo, si inizi a parlare di politica economica e del lavoro e, se si vuole placare il malcontento e smetterla con la politica ‘urlata’, si dia al Movimento Cinque Stelle un ruolo importante nella Convenzione per le Riforme, visto che con il 25% alla Camera è fuori da tutte le cariche istituzionali e da tutte le commissioni che contano. A furia di occupare sedie e poltrone, s’è lasciato il trono fuori le mura …
Aggiungere nanismo politico ed altra arroganza all’iniquità e all’incapacità ed all’avidità già dimostrate sarebbe un errore ferale per la politica e la governabilità italiane.

Mario Monti spiegava – giorni fa in televisione – che ‘loro’ prefriscono non confrontarsi con un certo mondo, come se fosse tutto composto da ignoranti od urlatori, ma che, comunque, ‘accettano i suggerimenti’.
Il Professore, a dire il vero, di suggerimenti che arrivavano ‘da noi comuni mortali’ ne ha accettati davvero pochi. Speriamo che Enrico Letta, almeno un’oretta in Rete al giorno, magari anche su siti non italiani, la trascorra e che, ancora quarantenne, non si sia già tagliato fuori dal (caotico, ma spietato) dibattito globale … smettiamola di dimenticare che dietro 100 tweet su una pagina di un politico, ci sono migliaia di ‘popolani’ che borbottano, centinaia di notizie unofficial, studi e statistiche ben accreditati.

Se le folle urlanti sono preludio di fatti infausti, e siam d’accordo, questa Politica preferisce forse vivere in un ‘mondo a parte’ e che si continui a ridergli dietro, visto che Crozza è più seguito dei telegiornali, ormai, e che l’immagine dell’Itala è putualmente deturpata?
Vogliamo continuare a vivere degli spiccioli che forse Angela Merkel concederà ‘per il bene dell’Europa’? E per quanto ancora?

originale postato su demata