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Bagnoli (Napoli), ricchezza buttata al vento

26 Nov

Napoli – partendo dallo Stadio San Paolo ed arrivando fino al Lago Fusaro, passando per Bagnoli, Pozzuoli, Baia, Bacoli e Cuma, estendendosi fino a Monte di Procida e Procida – ha ancora un territorio relativamente ‘intatto’ e di una bellezza spettacolare, chiamato Campi Flegrei.

Un territorio che aveva posto dei limiti al proprio sviluppo sia grazie alla prima legge paesaggistica d’Italia sia a causa della presenza di due ‘ingombranti’ fabbriche  (Italsider e Eternit) e del ‘campus scolastico’ del fu Banco di Napoli, destinato a base militare NATO.

Campi Flegrei per siti di interesse

Un’area servita da tre linee di metropolitana, con un porto per traghetti come quello di Pozzuoli e due o tre porticcioli turistici (in prospettiva) a Bagnoli, Baia, Procida e fino ad Ischia, un vulcano visitabile come La Solfatara, uno stadio, un ippodromo e un palasport, spiagge, scogliere e ritrovi a go go., un’enclave di musicisti, artisti ed acculturati, che da sempre vive lì, in quella che negli Anni ’70 era la West Coast italiana.

Campi Flegrei Mappa5-800

Aggiungiamo un tot di laghi vulcanici dall’alone misterioso e tanti tanti reperti greci e romani, tra cui il mitico Antro della Sibilla Cumana e la misteriosa Grotta di Seiano od il Tempio semisommerso di Serapide e tant’altro ancora.

casina vanvitelliana fusaro

Più sedi universitarie, centri di ricerca, un ospedale generale e tante cliniche, l’area storica di Bagnoli con la sua archeologia industriale e le sue palazzine d’inizio Novecento, il Rione Terra di Pozzuoli, evacuato e mai recuperato, che affaccia direttamente sulla baia ed il porto.

Un territorio che nei decenni si è dimostrato meno afflitto degli altri da fenomeni criminali e che, in termini di ‘rifiuti nocivi’, ha ‘solo’ il problema dell’amianto dell’Eternit, per il quale c’è una sentenza di primo grado che condannava a 16 anni del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis De Cartier, ex vertici della multinazionale, per disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Sentenza finita però in prescrizione.

Bagnoli-2

Ci sarebbe anche da monitorare l’itticolutra, visto cosa hanno scaricato i Casalesi a Giugliano e Pianura che sono limitrofi a quell’area, ma qualunque costo d’investimento sarebbe ampiamente ripagato dai ricavi nell’arco di decenni e secoli, grazie alla bellezza mozzafiato dei luoghi, alle già buone infrastrutture, alla possibilità – visto che vi si accede solo tramite Tangenziale e Via Domiziana – di creare un ‘quartiere europeo’ SAFE a Napoli per turisti e visitatori, di cui già Goethe segnalava l’esigenza.

Una chiave strategica, se si pensa che dallo sviluppo turistico di Bagnoli e dei Campi Flegrei ne verrebbe anche il decollo del turismo in tutta Napoli senza alterare ‘usi, costumi e territorialità’ di un’antica metropoli.

Politecnico Napoli

Las Vegas, creata dal nulla cinquant’anni fa, oggi vale un PIL di 100 miliardi di dollari per circa 600.000 abitanti.
Napoli, con gli investimenti e gli interventi normativi giusti, potrebbe generarne almeno il triplo entro vent’anni, senza tener conto dell’apporto che ne riceverebbero le attuali attività produttive locali.

La ripresa non può che ripartire da dove si è toccato il fondo.

campi flegrei baia arco felice

Las Vegas nacque grazie ad un establishment statunitense che volle ‘risolvere’ il problema Cosa Nostra – accettando l’esistenza di un’area ‘franca’ ben circoscritta – e da ‘famiglie’ e padrini stanchi di vedere la proprie mani lorde si sangue e i propri figli seppelliti prima del tempo per qualche faida o vendetta, dopo essere cresciuti nella violenza intrinseca di quelle piccole Kabul che sono le aree di spaccio o i ‘quartieri fortino’ dei boss.

Il problema non è la Camorra, non in termini assoluti, dato che – dinanzi al disastro epocale ed il danno causato alla propria gente, oltre che l’attenzione mediatica mondiale ormai attratta – non dovrebbe altro che badare ad ‘evolversi’ verso business meno infamanti e illegali dei rifiuti tra i campi e della droga a cielo aperto di Secondigliano. L’opportunità di investire in modo legale enormi risorse ormai ‘pulite’ da anni e anni di reinvestimenti legali tramite società come tante altre sarebbe imperdibile ed imperdonabile.
Las Vegas esiste anche e soprattutto perchè nel 1946, Bugsy Siegel – emissario di Cosa Nostra – aprì il famoso primo hotel casinò di Las Vegas, il Flamingo Hotel, con un progetto di urbanizzazione che fu inizialmente preventivato a 1’500’000 di dollari dell’epoca, ma alla fine arrivò a costare sei milioni.

sant'angelo ischia

Mentre gli USA hanno sempre mostrato una certa pragmatica lungimiranza, in Italia accade, ad un anno di distanza dalla partenza dell’ultimo contingente di militari, che la base NATO di Bagnoli – che ha un valore immobiliare quasi inestimabile – sia lì, ferma, in  attesa di Godot o, meglio, del sindaco De Magistris e della Fondazione Banco di Napoli per l’assistenza all’infanzia, proprietaria dell’enorme resort.

Solo il primo dicembre prossimo la base riaprirà – eccezionalmente – i suoi cancelli ai cittadini, questo è tutto. Ci sarà Edoardo Bennato e tanti (noti e meno noti) artisti e musicisti del posto.
Tutto qui: nessuno (per ora) si lagna di un enorme impianto con edifici, campi sportivi e aree verdi da un anno non ‘rende’ più i cinque milioni di euro che la NATO versava per l’affitto.
E che – se assorbito nel patrimonio pubblico nei costi gestionali – di sicuro aggravierebbe notevolmente le casse del Comune di Napoli senza portare nè i migliaia (decine?) di posti di lavoro nè i ricavi che deriverebbero da un piano complessivo per i Campi Flegrei.

Ne abbiamo già un esempio nell’ipotesi di Parco urbano della Mostra d’Oltremare, per altro ‘adiacente’ all’ex base NATO, i cui costi di manutenimento andranno a cadere tutti sul ‘pubblico’, mentre finalizzarlo a primo nucleo di ‘area turistica SAFE’ sarebbe un presupposto essenziale per portare ricchezza e lavoro a Napoli.

Mostra-Oltremare

E se il Comune di Napoli si fa attendere – mentre congettura ipotetiche e costose ‘restituzioni’ delle aree e delle infrastrutture’ ad una cittadinanza stremata da decenni di disoccupazione, disinvestimento e malaffare – dalla Provincia non si ode eco, forse perchè dal 1 gennaio 2014 si dovrà parlare di Città Metropolitana, di cui faranno parte tutti i comuni della ex provincia (ndr. tanto per cambiar tutto per non cambiar nulla).

Il problema non è la Camorra, non semplicemente: Las Vegas ce lo insegna. Specialmente se – dinanzi al disastro epocale ed il danno causato alla propria gente, oltre che l’attenzione mediatica mondiale ormai irrimediabilmente attratta – non dovrebbe altro che badare ad ‘evolversi’ verso business meno infamanti e illegali dei rifiuti tra i campi e della droga a cielo aperto di Secondigliano.
Piuttosto la questione è – evidentemente – nella mentalità di coloro che hanno scelto di restare piuttosto che emigrare. Infatti, non si comprende come sia possibile che dagli architetti, dagli ingegneri e dagli economisti partenopei non si levi un coro unanime per uno sviluppo urbanistico che tenga conto di come la democratica Parigi, la beneamata Barcellona e persino la piccola Firenze abbiano deciso di trasformare in un’enorme area cultural-intrattenente i propri gioielli metropolitani.

Dunque, a voler far conto sulla politica del momento, i napoletani possono attendere. Anzi attendono da tempo, visto che, dinanzi alla scelta di candidati che le segreterie di partito gli propinano, ormai sono anni che si registrano astensionismi che hanno raggiunto anche al 70% degli elettori. Anche Luigi De Magistris, eletto a furor di popolo secondo i media nazionali, in realtà doveva constatare l’opposizione o l’indifferenza di sette napoletani su dieci, all’atto delle elezioni a sindaco.

E può attendere l’Italia che avrebbe davvero bisogno di un ‘crocevia mondiale dell’intrattenimento’ e del conseguente PIL napoletano incrementato di diverse centinaia di miliardi di euro, senza tener conto delle minori spese per welfare e della minore aggressività e diffusione dei fenomeni criminali.

Sfogliando il maggiore quotidiano italiano, La Repubblica, sembra che la priorità ‘turistica’, per l’Italia e anche per Napoli (o Agrigento), è la creazione nel bel mezzo di Roma Capitale – molto fantasiosa, visto che andrebbe nel bel mezzo dei palazzi del potere e dell’asfittico e caotico traffico  – di un parco archeologico romano che vada a far concorrenza a quello di Pompei ed a quello che dovrebbe già esistere da tempo, ai Campi Flegrei …

Senza ingenti e lucrativi investimenti e senza la ripresa di almeno una parte del Meridione ci vorranno almeno due o tre generazioni per ripianare l’enorme debito che affligge lo Stato italiano. Ammesso che ci si riesca: 1.000 miliardi di euro son tanti davvero, se il Paese è incravattato dalla pressione fiscale, dall’irresolutezza della politica e dalla stagnazione strisciante.

E quel che succede nella Napoli di Luigi De Magistris (o meglio NON succede) con immobili e territori di pregio, che andrebbero messi a ricavo e non ad ammortamento, ne rende esemplarmente la prospettiva economica generale dell’Italia.

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Mexican Narco Insurgency: una mattanza da capire

11 Mag

Due anni fa, pubblicavo “Narcoguerra: chi e come“, riportando che in un paio di anni v’erano stati più di 20.000 morti senza ottenere particolari attenzioni. Oggi, lo fa Saviano e la cosa richiama attenzione.

Non so se Roberto Saviano sia riuscito anche a parlare di Mexican Narco War o della Mexican Narco Insurgency oppure delle gravissime responsabilità del Partito Democratico Rivoluzionario nella crescita del potere dei Narcotrafficanti o di altri coinvolgimenti ben più imbarazzanti.

Un report del 2010 valutava che dai 19 ai 29 miliardi dollari vengono trasferiti dagli Stati Uniti al Messico, per essere riciclati attraverso gli acquisti in contanti di terreni, alberghi di lusso, automobili e altri beni di fascia alta.

Denaro che arriva nei modi più svariati, dal corriere individuale al container pieno zeppo, come racconta il servizio di Reuters.USA di qualche tempo fa. Denaro che è usato anche per corrompere politici e forze di polizia statunitensi.

 La maggiore difficoltà è data dal fatto che, in Messico, il 75% dell’economia formale e informale opera attraverso operazioni in contante e questo, nonostante le restrizioni nelle compravendite e negli atti notarili, facilita enormemente il lavoro dei contabili dei Narcos.
Joaquim “Chapo” Guzman, capo del Cartel de Sinaloa con una taglia da 1,5 milioni di dollari sulla testa, era stato inserito prima della cattura al 41esimo posto della classifica degli uomini più ricchi del pianeta stilata  da Forbes.

Guzman, che si ritiene avesse un “fatturato” di 19 miliardi di dollari solo per quanto riguarda le spedizioni di cocaina, importata dalla Colombia, verso gli Stati Uniti negli ultimi otto anni, si è reso responsabile o istigatore di  traffico di esseri umani e di organi, tonnellate di mariuana prodotta in loco, corruzione e terrore, rapimenti, riscatti ed estorsioni, migliaia di morti. Gli analisti stimano, inoltre, che Chapo Guzman avesse il controllo di almeno 3500 società operanti fuori dal territorio messicano, in USA come in Europa o Sudamerica.

 Anche se non così ricchi, anche gli altri boss (suoi “eredi” o rivali) godono di un potere enorme, che travalica i confini dello stato messicano. Come Nazario Moreno González “El Más Loco”, capo del cartello La Familia, che si professa “filosofo New Age” ed ha scritto il “manuale spirituale” del culto de La Santa Muerte.

Oppure come  Heriberto Lazcano Lazcano, “mitico” leader degli Zetas,  veri e propri paramilitari che – dopo essere cresciuti al soldo del Cartel del Golfo – hanno dichiarato guerra a tutti, quando,  dopo la morte di Arellano Félix, boss del cartello, Guzman provocò la scissione tra Tijuana e Sinaloa, approfittando dello sfaldamento de La Familia, indebolita dal trasferimento di Osiel Cárdenas Guillen in un carcere federale USA.

Una guerra, la Mexican Narco War, che vide le bande l’un l’altra antagoniste e che ha già provocato (dal 2007 al 2009) più di 23mila morti.

Una guerra feroce, quella dei signori della droga messicani, dopo l’indebolimento dei cartelli “storici”, dunque, che da anni preoccupa Stati Uniti ed Europa, vista anche l’infiltrazione, specialmente degli Zetas, nei nostri paesi.

Adesso, a contrasto del duro ed incisivo intervento voluto dal Presidente Calderon, siamo alla Mexican Narco Insurgency,  alla Narcorivoluzione.

Una battaglia che coinvolge ormai territori vastissimi e con continue rappresaglie da parte dei Narcos contro giornalisti, donne, persone prese a caso, interi villaggi.

I morti, dal 2007, si sono praticamente raddoppiati e, oggi, siamo ad una media di circa 25.000 morti l’anno, di cui molti torturati, straziati ed esposti.

Una mattanza cui si oppne con notevole coraggio il Partito d’Azione (liberali), che ha posto fine al monopolio politico, iniziato nel 1929, da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e poi, a partire dal 1980, della sua “costola”, il Partito Democratico Rivoluzionario, che è il principale responsabile della libertà d’azione con cui si sono affermati i Narcos, nel corso dell’ultimo decennio.

Storie terribili (link esterno) come quella di Jessica Leticia Peña Garcia, una ragazza di 15 anni desaparecida un anno fa e riconosciuta dalla madre dai resti di abbigliamento trovati in un cimitero clandestino nella Valle di Juarez nella Sierra de San Agustin in Praxedis. Con sua madre ce ne sono altre, che aspettano di identificare le figlie da quell’ammasso di crani ed ossa.

Storie infami, come quella della strage di ragazzi delle superiori (13 morti) ad opera di una dozzina di narcotrafficanti che aprirono il fuoco all’impazzata contro una abitazione dove si svolgeva una festa studentesca. Era il 31 gennaio del 2010, a Ciudad Juarez, e le forze dell’ordine, seppur allertate in tempo, giunsero a strage conclusa e le famiglie dovettero trasportare da sole i feriti perchè le ambulanze non arrivavano. Poco tempo prima una strage di 18 giovani e numerosi feriti in un attacco ad un centro di riabilitazione per tossicodipendenti.
Come anche, Ciudad Juarez è tristemente famosa per le centinaia di omicidi di donne che si contano ogni anno nel suo territorio.


Detto questo, c’è solo un’altra cosa da dirsi: perchè solo ora i media italiani ed il buon Saviano si accorgono della Narco Insurgency messicana e decidono che è il caso che la si conosca anche in Italia? Perchè non farlo due anni fa?

Forse perchè, come riportava Vatican Insider di La Stampa il 26 aprile scorso, durante i Vespri, “Benedetto XVI ha strigliato l’episcopato connivente con i Narcos” e “lanciato un messaggio di speranza: La malvagità e l’ignoranza degli uomini non frenano il piano divino della salvezza, il male non può fare tanto”. Il monito è rivolto sia all’interno della Chiesa, sia all’esterno, cioè ai leader di terre che “soffrono a causa della povertà, della corruzione, della violenza domestica, del narcotraffico, della crisi di valori, della criminalità, della emigrazione che divide le famiglie”.

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Narco guerra in Messico: chi e come

13 Giu

Un recente report valuta che dai 19 ai 29 miliardi dollari vengono trasferiti dagli Stati Uniti al Messico, per essere riciclati attraverso gli acquisti in contanti di terreni, alberghi di lusso, automobili e altri beni di fascia alta.

L’incapacità del governo messicano di intercettare le complesse operazioni di riciclaggio è spesso citata come il maggiore insuccesso dell’offensiva contro i cartelli, lanciata dal presidente Felipe Calderon quando ha assunto l’incarico nel dicembre 2006.
Una guerra, la Mexican Narco War, che ha già provocato (dal 2007 al 2009) più di 23mila morti.

 John Morton, funzionario dell’U.S. Immigration and Customs Enforcement, presentando lo studio frutto dell’impegno congiunto dei governi di USA e Messico, ha precisato che il governo statunitense e messicano non hanno fatto abbastanza per rallentare il flusso di denaro.

Denaro che arriva nei modi più svariati, dal corriere individuale al container pieno zeppo, come racconta il servizio di Reuters.USA di qualche tempo fa. Denaro che è usato per corrompere politici e forze di polizia, i cartelli di fornitura con le armi, pagare i fornitori in Sud America, e nutrire gli stili di vita sontuosi di molti signori della droga.

“Dobbiamo minare completamente le organizzazioni come le imprese, e per fare questo dobbiamo individuare, limitare e sequestrare i loro profitti”, promette il gruppo di lavoro intergovernativo, ma la maggiore difficoltà è data dal fatto che, in Messico, il 75% dell’economia formale e informale opera attraverso operazioni in contante e questo, nonostante le restrizioni nelle compravendite e negli atti notarili, facilita enormemente il lavoro dei contabili dei Narcos.

Joaquim “Chapo” Guzman, capo del Cartel de Sinaloa con una taglia da 1,5 milioni di dollari sulla testa, è stato inserito al 41esimo posto della classifica degli uomini più ricchi del pianeta stilata  da Forbes.

Guzman, che, ricordiamolo, è solo uno dei tre o quattro “protagonisti” della Mexican Narco Insurgency,  avrebbe, secondo Forbes, un “potere” paragonabile a quello del Dalai Lama e di Alì Khamaeni, rispettivamente 39esimo e 40 esimo. Si ritiene che sia da addebbitargli un “fatturato” di 19 miliardi di dollari solo per quanto riguarda le spedizioni di cocaina, importata dalla Colombia, verso gli Stati Uniti negli ultimi otto anni.

Poi, c’è il resto:  traffico di esseri umani e di organi, tonnellate di mariuana prodotta in loco, corruzione e terrore, rapimenti, riscatti ed estorsioni, migliaia di morti.

Gli analisti stimano, inoltre, che Chapo Guzman abbia il controllo di almeno 3500 società operanti fuori dal territorio messicano, in USA come in Europa o Sudamerica.

 Anche se non così ricchi, anche gli altri boss godono di un potere enorme, che travalica i confini dello stato messicano. Come Nazario Moreno González “El Más Loco”, capo del cartello La Familia, che si professa “filosofo New Age” ed ha scritto il “manuale spirituale” del culto de La Santa Muerte.

Oppure come  Heriberto Lazcano Lazcano leader degli Zetas,  veri e propri paramilitari che, dopo essere cresciuti al soldo del Cartel del Golfo, hanno dichiarato guerra a tutti, quando Guzman ha provocato la scissione tra Tijuana e Sinaloa.
Los Zetas, l’ala “militare”, divenuta potentissima dopo la morte di Arellano Félix, boss del cartello, e lo sfaldamento de La Familia, dopo il trasferimento del capo, Osiel Cárdenas Guillen, in un carcere federale USA.

Una guerra feroce, quella dei signori della droga messicani, dopo l’indebolimento dei cartelli “storici”, dunque, che da anni preoccupa Stati Uniti ed Europa, vista anche l’infiltrazione, specialmente degli Zetas, nei nostri paesi.

Un amaro successo per il presidente Calderon, che ha avviato una decisa politica di contrasto della criminalità, dopo aver vinto di misura le elezioni presidenziali nel 2006, che sancivano definitivamente l’affermazione del Partito d’Azione e ponevano fine al monopolio politico, che durava dal 1929, da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e poi, a partire dal 1980, della sua “costola”, il Partito Democratico Rivoluzionario, che è il principale responsabile della libertà d’azione con cui si sono affermati i Narcos, nel corso dell’ultimo decennio.

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