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Azione? A Roma non è Calenda

26 Ott

Carlo Calenda ha iniziato la sua ascesa elettorale a Roma, dove si è proposto sindaco con Azione, alleandosi con Italia Viva. Dopo un anno è ora di fare un bilancio di quanto abbia ‘fatto la differenza’, non lui, ormai leader nazionale, ma Azione a livello locale.
Ed i conti non tornano.

Differenza che non c’è stata almeno per quanto riguarda l’approvazione dei Bilanci comunali e municipali, disposta in tutta fretta dal Sindaco Gualtieri ed immediatamente avallata dai Consiglieri di Azione, anche se erano anni che i conti non tornavano a dire di tutti.

Un assegno in bianco alla Giunta di ‘campo largo’, a cui faceva seguito il voto favorevole per nominare Virginia Raggi a Commissario Expo 2030, come se non fosse stata dileggiata e vituperata fino al giorno prima. Non con il senno di poi, ma per coerenza verso gli elettori.

Dopo di che nessun reclamo nè rimpianto da parte di Azione per il fallimento progressivo di tutte le promesse elettorali (persino quelle del PD che è al potere) sia in termini di miglioramenti, visto che stiamo tale e quale a prima, sia come buon governo, se continua a prevalere la spesa massimalista e redistributiva.

Del resto, l’unica chance per il PD di mantenere il controllo della Regione e del Comune più sussidiati del mondo è quella del Campo Largo con i Cinque Stelle e i Comunisti: qui lo sanno anche i bambini … inclusi gli elettori e gli eletti di Azione.

E Carlo Calenda allora? Sta di fatto che a Roma può contare solo sui renziani di Italia Viva.

Innanzitutto, ce lo mostra il dato elettorale: i consiglieri municipali eletti recentemente non si sono dimostrati dei collettori di voti ‘motu propriu’, allorché candidati nei collegi uninominali. Neanche quelli raccolti a mani basse al seguito del candidato sindaco.

Poi, la presenza sul territorio, dove il divario è eclatante.
E’ di oggi la notizia che lo storico e grande Mercato di Val Melaina è “ospitato” su un terreno dell’Inps dove era stato traslocato dal Comune che però non ha mai acquisito il terreno e che dunque non lo può regolamentare. “A rimetterci gli operatori, costretti a lavorare in ambienti precari senza tutti i servizi che un mercato così, tra i più grandi e apprezzati del quadrante nord della città, fulcro e vanto del quartiere, meriterebbe. Intorno discariche, parcheggiatori abusivi, mercatino del rovistaggio e incuria. “
Dal 1998, ventiquattro anni or sono.

La domanda imbarazzante (per il Campo Largo) perché il III Municipio (guidato dalla Sinistra) e il Comune (guidato dai Cinque Stelle) abbiano impiegato gli ultimi cinque anni anni per (non) regolarizzare questa situazione e solo con Gualtieri (e il PD + Calenda) si è arrivati ad una … mozione per la regolarizzazione della situazione.

Ad attivarsi pensate siano i due consiglieri municipali di Azione candidati di recente come deputati e senatori? No, a sollevare lo scandalo sono i consiglieri comunali di Italia Viva, Valerio Casini e Francesca Leoncini. (LINK)

Sempre di oggi è la notizia che “Roma vuole le Tampon Box“, per contrastare l’impossibilità di fronteggiare economicamente le esigenze igienico sanitarie imposte dal ciclo mestruale, prevedendo in alcuni luoghi della città l’installazione di distributori automatici di assorbenti gratis, a cominciare dalle scuole superiori.

La proposta arriva dal Municipio di Garbatella e verrà estesa agli altri consigli municipali della città. Bella idea ma anche in questo caso c’è una domanda imbarazzante per Azione.

La promotrice dell’iniziativa è la consigliera municipale Caterina Benetti di Azione, ma i Municipi proprio non hanno nè competenza nè potere di spesa nè di autorizzazione/concessione per quanto riguarda le scuole superiori.

Voi, prima di fare proposte, avreste verificato che un assorbente costa circa 15 centesimi Iva esclusa, mentre aggiungendo il costo e il funzionamento del distributore non costa meno di 20 cent, anche a prezzo politico, come alla Statale di Milano dove esistono dal 2020?
Se foste stati degli amministratori pubblici vi sareste preoccupati di individuare innanzitutto un budget e una spesa annua per i contribuenti … prima di votare una proposta?

Dunque, due approcci e due collocazioni molto diversi, da cui la domanda “alle prossime e incombenti elezioni regionali come si schiererà Azione nel Lazio?”
Azione Lazio distruggerà l’alleanza nazionale con Italia Viva per conquistare qualche assessorato insieme a PD, Sinistra e Cinque Stelle oppure si confermerà un partito di chiara identità liberale?
E come reagiranno i grandi agglomerati politici europei se vi sarà defezione?

Demata


Elezioni 2022: i vincitori

27 Set

Certamente, Giorgia Meloni è la match winner di queste elezioni, con uno spread di consensi oltre il 3.000% (cioè 6 milioni di voti) ed un’avanzata di parlamentari oltre il 1.000% (da decine a centinaia).

In seconda posizione si colloca Giuseppe Conte che alla sua prima candidatura politica fa bottino di quel che resta dei Cinque Stelle, cavalcando promesse che non manterrà certamente, stando fuori dal governo.

Infine, c’è Carlo Calenda che è riuscito nella “missione impossibile” di sostenere e ampliare il bastione parlamentare social-liberale e riformista, dopo l’affossamento di Monti e Renzi da parte del ‘campo largo’ PD / M5S / CGIL.

Ma quali sono le prospettive?

La “decisionista” Giorgia Meloni lascerà intatto il Reddito di Cittadinanza che sembrerebbe essere stato il fattore vincente per Giuseppe Conte nelle regioni meridionali afflitte dalla povertà e, allo stesso tempo, intenderà applicare il potere prefettizio nella gestione del PNRR, in modo da ripristinare i servizi pubblici meridionali e dare sollievo a quel 50-65% di imprenditori e lavoratori, che non si sono riconosciuti nella politica da decenni allo stallo lì al Sud?

Il “temporeggiatore” Giuseppe Conte innescherà un gioco al rialzo e ne cavalcherà le tensioni, per tentare un logoramento e comunque ridurre l’inevitabile declino di un elettorato senza altra leadership che il leader, quando – alle prossime amministrative – ci sarà da presentare amministratori locali esperti e competenti, dato che (a differenza da chi fa le leggi) pagheranno di persona per i propri errori?

L’ “innovatore” Carlo Calenda riuscirà a non farsi fagocitare dalle dinamiche del Centrosinistra e dalla forza gravitazionale del PD, assumendo e sviluppando una posizione autonoma e pienamente liberale (dem, rep o social che sia) sulla gestione fiscale, sulle autonomie e sulla concorrenza come per la scuola, la sanità, l’assistenza e la previdenza?

Soprattutto, a pesare sui destini dei tre winner (la prima ‘decisionista’, il secondo ‘temporeggiatore’ ed il terzo ‘innovatore’) c’è una importante incognita: il Presidente Mattarella intenderà portare avanti il proprio mandato fino all’età di 89 anni oppure le sue potenziali dimissioni peseranno come una spada di Damocle sulla prossima legislatura?

Demata

Elezioni 2022, vincono gli astenuti, Letta tiene, Salvini crolla, Meloni trionfa. Cosa cambia?

26 Set

Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento ha votato il 63,91% degli aventi diritto, cioè circa 30 milioni di elettori per la Camera e poco più di 27 per il Senato.
Il 36% degli italiani (uno su tre) non si è riconosciuto nei partiti e nei candidati proposti.
Congratulazioni a Giorgia Meloni, ma l’Italia ha innanzitutto scelto il dissenso (e starà a lei riconquistarla).

Rispetto alle elezioni del 2018, il dato grezzo mostra che la coalizione Dem / Verdi SI / +Europa è riuscita a mantenere il proprio elettorato (che ha risposto prontamente all’appello ‘antifascista’, as usual) o, comunque, a riassorbirne le perdite.
Fatto sta che nel 2013 – con Bersani e Renzi, opponendosi ai Cinque Stelle e senza “allerta antifascista” – di voti il PD ne aveva presi quasi 3 milioni in più.

Andando ai risultati di coalizione, sorgono diversi quesiti:

  • il Campo Largo immaginato da Zingaretti e Conte avrebbe potuto superare il Centrodestra? Probabilmente no: Conte vince correndo da solo
  • preferire il centro di Azione IV (lasciando Verdi SI alla coalizione a Cinque Stelle) avrebbe aiutato il PD nell’attrarre il voto moderato e dell’Italia che produce?
    Certamente si: i risultati di oggi dimostrano che un’alleanza PD Azione IV raccoglie più voti
  • la responsabilità della debacle della Lega è tutta di Matteo Salvini?
    Probabilmente si: è lui che fece e lasciò il governo con l’allora sconosciuto (ed oggi potente) Giuseppe Conte ed è con lui che ha staccato la spina al governo Draghi

In altre parole:

all’appello manca un 10% di elettori rispetto alle medie storiche e certamente non sono quelli che da sempre votano ‘a destra’ o ‘a sinistra’; è venuto meno il centro moderato e produttivo

Giorgia Meloni ha conquistato il Parlamento, adesso deve conquistare gli italiani, specialmente quel 10% che si è astenuto, ma “conta” nelle imprese e negli uffici

il Centrosinistra ‘storico’ (PD e alleati) regge ma più di tanto non va con le sue priorità ‘sociali’ e ‘redistributive’, a meno di non cascare nel populismo come ai tempi del PCI

il dimezzamento dei voti per la Lega e per i Cinque Stelle dimostrano che un conto sono i Social, un altro i Media e un altro conto ancora sono le piazze quando poi si va alle urne

l’esito del voto capitolino (dove il Campo Largo ‘piace’) e quello (inverso e negativo) delle ‘province meridionali e insulari’ (con Napoli a capintesta) impone una seria riflessione politica nazionale ed internazionale

dulcis in fundo, a quel 10% ‘produttivo’ che si è astenuto il governo Draghi piaceva (magari non troppo, ma andava), come era stato per quelli tutt’altro che populisti di Monti, Renzi, Prodi e – prima ancora – Craxi e Spadolini; un’Italia rimasta senza un partito da oltre 20 anni?


Chiunque che sarà a capo della Res Publica italiana dovrà scegliere se correre dietro al Popolo ‘populista’ o lasciar lavorare i Liberti ‘professionali’ oppure lasciar arricchire i Senatori monopolisti e ‘sovranisti’.
Come al solito a Roma dal 2.700 a.C.

A.G.

Le ragioni di un’Italia in fuga dal Centrosinistra

22 Set

La vera domanda di queste elezioni è: al di sotto di quanti voti si parlerà di ‘disfatta’, se il dato è che Centrosinistra e M5S nel 2018 raccolsero collettivamente quasi 19 milioni di voti alla Camera?
Più di 10 milioni di voti (cioè circa il 35% dei votanti con il 35% di astensione) sarà una sconfitta ‘sopportabile’, anche se è un vero e proprio dimezzamento, oppure sarà riconosciuto come un punto di non ritorno della ‘centralità’ socialdemocratica maggioritaria?

E, mentre c’è chi ancora si diletta nel rilevare simpatie e trend nei Social da suggerire ai candidati, a debacle annunciata andiamo a vedere di cosa si tratta nella Realtà quotidiana, cioè ‘perchè’ la gente è attratta da certi riferimenti e non da altri.

A proposito di Sicurezza e Libertà private, in Italia in un anno si verificano 4 furti in casa ogni 1.000 abitanti, sembra molto poco, ma se si conta che in una casa di media ci stanno 3 persone, già siamo arrivati a 12 vittime ogni 1.000 residenti, che significa il 6% in cinque anni.
E non è poco.

A proposito di Istruzione e Innovazione (cioè Lavoro e Impresa), in Italia, 30 anni dopo il Progetto Brocca e le riforme a seguire che smantellarono la scuola di Giovanni Gentile, la situazione è grave: circa un terzo degli italiani comprende solo semplici testi, quasi la metà non sa fare i conti, pochissimi si aggiornano, tanti giovani stanno alla sala giochi.
Cosa che li rende molto esposti a truffe e fake news, oltre che a destinarli a professioni poco retribuite.

Riguardo i diritti universali, è emblematica la situazione attuale del Lazio – storicamente a governance ‘cattocomunista’ – dove 1/3 della popolazione ritiene di vivere in una realtà degradata, con stili di vita non di rado insalubri, e dove è complicato ottenere giustizia, ma può anche mancare l’acqua potabile e c’è poca speranza per chi è solo e/o anziano.

A parlare di Ambiente (e Rifiuti), sempre nell’esempio Lazio, vediamo che siamo ancora al piede di partenza con destinazione onerosa dei rifiuti in altre località e una qualità dell’aria non ottimale, nonostante la bassa densità demografica, l’esposizione a venti marittimi e l’esistenza di boschi e foreste.

Questi i motivi per cui il Centrosinistra perderà le elezioni e gli italiani, anche se le tre compagini (PD, Azione/IV e M5S) supereranno tutte e tre il 10% dei voti … dato che forse il 35% o forse oltre il 40% dei votanti si asterrà, trasformando un 6% in 10, un 9% in 14 o un 16% in 21 … sembra uno scioglilingua, vero?

A.G.

Sondaggi elettorali: vincere non significherà governare

28 Lug

Secondo le intenzioni di voto, a 2 mesi dalle elezioni politiche 2022 del 25 settembre, rilevate dal sondaggio Swg per il Tg La7, il 25 settembre vedremo Fratelli d’Italia primo partito al 25%, ma il dato più interessante è un altro.

Quanto ‘vale’ la maggioranza uscente?
Potrebbe riproporsi a stretto giro in un Parlamento senza più premio di maggioranza, magari in primavera, dopo un inverno freddo e in crisi con i rating che incalzano?

Ebbene, secondo SWG – La7, il Pd arriva al 23,2%, la Lega cala al 12,4%, Forza Italia resiste al 7,1%, Azione/Più Europa sale al 6% e Italia Viva resta stabile al 2,9% come i Verdi si attestano al 3,6%.

Totale, senza il partito di Giuseppe Conte, 55,2%.
Aggiungendo i Cinque Stelle, previsti all’11,1%, addirittura si arriverebbe al 66,3% dei parlamentari.
Una larga maggioranza.

Questo per i collegi proporzionali, ma cosa accade in quelli uninominali?
Il patto della coalizione prevede che vada a Fratelli d’Italia il 45% dei collegi uninominali vinti dalla Destra, che corrisponde il 25-35% del totale dei seggi.
Anche in questo caso, Fratelli d’Italia finirebbero ‘sotto’ in caso di ribaltone.

Resta solo da chiedersi se alla Lega ed a Forza Italia ‘convenga’.
Basta rileggere le cronache della crisi di governo appena conclusasi per constatare che tante resistenze alle riforme del PNRR arrivavano dal Centrosinistra e dai Cinque Stelle, non più di tanto dalla Lega e da Forza Italia, che – tecnicamente – non si sono pronunciate contro Draghi, bensì astenute dopo lo strappo interno del Campo Largo PD-M5S.

In altre parole, la ‘sicurezza’ è il cavallo di battaglia di Salvini che ricorre Meloni, ma il Centrodestra di Giorgetti e Moratti rappresenta elettori che vogliono maggiore concorrenza e più efficienza pubblica, non solo nelle concessioni o nei processi che bloccano innovazione e crescita, ma anche nelle associazioni e nei progetti che fagocitano quel che serve per innovazione e crescita.

Intanto, vincendo la Destra di Meloni, potremmo ritrovarci un Centrosinistra parlamentare finalmente depurato dalle componenti populiste, tanto minoritarie quanto sussidiate.
E con questi numeri, anche senza qualche ribaltone, sembra davvero ambiziosa l’idea che – in quattro e quattr’otto – Fratelli d’Italia da ‘partito del 6% fisso’ si rivelino essere un’esperta e compatta forza di governo.

Chissà che sorprese ci riserverà il 2023.

A.G.

Calenda e il 20% che non basta

23 Lug

Carlo Calenda, l’uomo nuovo e fuori dagli ‘schemi’ della politica italiana, annuncia l’obiettivo del 20% auspicando una convergenza ‘repubblicana’ centrista.

In concreto, diciamo che il 20% di 244 deputati eletti con il proporzionale fa 49 seggi in Parlamento, praticamente un deputato di centro eletto per ognuno dei 49 collegi elettorali.

Dunque, un eletto di Centro per collegio è un risultato ‘minimo’, visto che tra l’altro si coalizzano Calenda, Di Maio, Carfagna, Renzi, Della Vedova e magari Tosi, Gelmini chissà.

E non basterebbe a formare un governo con quel che resta del PD dopo essersi ‘allargato’ in territori alieni.
Specialmente se almeno una parte del Centro si professa ‘Repubblicana’, cioè in antitesi ai Dem.

Repubblicani atlantisti per l’Agenda Draghi alleati con i Cristiano democratici che hanno lasciato Forza Italia ma non il PPE?
Si può fare, non è molto diverso dalla Francia con Macron e non era troppo diverso con la prima Grosse Koalition in Germania.

Ma a maggior ragione ci sarebbe da puntare a ben più del 20% che il buon Calenda annuncia: in altre parole quanti mesi ancora durerà il sostegno dei Centristi alle giunte del PD (vedi Roma …) o della Lega (vedi la Lombardia)?

Questa è la vera ‘sfida’ dopo che Berlusconi ha annunciato la politica economica che porterà avanti la Destra post-fascista e che – seppur regressiva – è certamente attrattiva per ampie parti della popolazione, ormai allo stremo: pensionati, casalinghe, padroncini, invalidi.

Quel che c’è da chiedersi è quanto consenso “oltre il 20%” arriverebbe ai Centristi, se conducessero una campagna elettorale da veri Repubblicani, cioè ‘aggressiva’ in opposto ai totem della Sinistra quanto ‘di buon senso’ contro i radicalismi della Destra?

Questa è l’unica domanda reale a questo punto, in cui iniziano a delinearsi sondaggi e liste di candidati.
Vincerà solo il capolista in ogni collegio elettorale oppure si punta a maggiori opportunità, sfondando il muro del 20% al proporzionale?

Calenda contro la Lega e Draghi in nome del PD +LEU ?

17 Mar

Stamane Carlo Calenda ha diffuso un video in cui chiede all’Italia “un potentissimo scostamento di bilancio“, minacciando “le conseguenze sociali“.
Ci vuole un Commissario straordinario per gestire l’insieme di queste cose“: facile a dirsi, ma di cosa dovrebbe occuparsi non è ben chiaro.
Il Commissario dovrebbe occuparsi della “inflazione molto alta” e “controllare i prezzi”, ma anche “aiutare imprese e lavoratori” fino “allo stoccaggio dei cereali ed ai rigassificatori”.

In altre parole Carlo Calenda – con il suo accorato appello – chiede di statalizzare il sistema di mercato interno italiano, sia per le risorse sia per l’occupazione sia per le assicurazioni, bypassando le politiche regionali come l’azione di governo e l’attività parlamentare, ponendo a capo un ‘uomo solo al comando’ con il compito primario di espandere il Debito pubblico per contrastare il Mercato.

Insomma, non dovremmo approntare misure sociali e fiscali per sostenere la crisi derivante dai cambiamenti epocali in corso, ma sottoscrivere nuovi debiti pur di non cambiare più di tanto. Dove portino questo tipo di scelte è ben evidente nel grafico storico del Debito italiano.
In colore verde si può ben notare come l’Italia, rinunciando all’innovazione 15 anni fa per non intaccare gli interessi pregressi, ha arrestato la crescita del PIL, mentre – in colore rosso – si vede come sia esploso il Debito pubblico, spacchettandosi in 19 regioni.

Un potentissimo scostamento di bilancio, peggio di quello avvenuto per la pandemia in questi ultimi due anni? E a quanto ammonta la proposta di Calenda: altri 300 miliardi di debiti con l’UE (18% PIL)? Magari, 500 miliardi (50% PIL)? Con un debito 2 volte quel che produciamo … è come abdicare alla sovranità.

Eppure, proprio Carlo Calenda si era candidato a Roma come a sindaco del risanamento e dell’innovazione, in contrapposizione al Partito Democratico, ai Cinque Stelle e a Fratelli d’Italia, che – in questi anni con le loro politiche consociative (regionali e comunali) – hanno ‘gestito’ finanze e servizi capitolini fino al limite di ‘non ritorno’ che tocchiamo con mano.

Poi, Calenda le elezioni le ha perse e Azione s’è ritrovata a dover scegliere se fare l’opposizione contro il consociativismo che cannibalizza Roma oppure farsene una ragione e … aggregarsi alla comitiva.

Mesi dopo, i fatti romani raccontano come è andata a finire:

  • ci si aspettava una strenua e competente battaglia sull’approvazione dei Bilanci disastrati di Comune e Municipi, cioè come ce li hanno lasciati Cinque Stelle e Roma Futura. Viceversa, sono stati approvati a tempo di record, forse per la prima volta nella storia di Roma ab urbe condita
  • avremmo dovuto conoscere fatti e nomi dei fallimenti della Giunta Raggi, quanto meno per porvi rimedio. Nulla di fatto, si avviano manutenzioni e ripristini ma non è dato sapere quale è l’obiettivo pubblico futuro, neanche per i trasporti che potrebbero rivelarsi troppo pieni o troppo vuoti
  • avrebbero dovuto annunciarci ‘lacrime e sangue’ alla Winston Churchill o almeno “bambole non c’è una lira” alla Nino Taranto. Invece, si sono insediati annunciando a senatori e plebei che si attingeva al PNNR per sistemare il pregresso e il ‘de poche’, non la resilienza, il contingente e, magari, anche gli investimenti, cioè il futuro
  • c’erano le opportunità del Giubileo, dell’Expo e del PNNR, se a coordinarli Roma avesse scelto degli economisti di provata esperienza internazionale come Giuseppe Sala a Milano. Viceversa, hanno scelto l’ex presidente del Municipio III (quello del TBM Salario e della speculazione di Talenti-Casal Boccone) in quota Leu, Virginia Raggi (quella della funivia a Roma Nord eccetera) in nome dei Cinque Stelle e per il Giubileo … un ex consigliere del PD ma eletto sotto la lista di Azione.

E, se questa è Azione a Roma Capitale, in questi mesi Carlo Calenda ha fatto anche delle scelte di livello nazionale:

  • ha deciso la federazione tra Azione e +Europa senza alcuna consultazione del partito e/o della base elettorale, anche se questo comporta una precisa presa di pozione sul diritto di famiglia, sulla procreazione e sulla religione
  • +Europa (e Azione) hanno sostenuto fin dai primi momenti di crisi in Ucraina l’esigenza di ‘sanzioni dure per isolare Russia’. Anzi, Calenda chiedeva persino di “isolare il partito di Conte e di Di Battista che flirtava con Putin”, pur potendo prevedere le conseguenze delle sanzioni, dato che per tre anni è stato Viceministro dello sviluppo economico con delega al commercio estero,

Intanto, proprio i Bilanci approvati di recente (e molto rapidamente) dimostrano che nè Roma Capitale nè la Regione Lazio hanno le risorse finanziarie, infrastrutturali e umane per compiere in un anno quel che non si è fatto in dieci (… figuriamoci il PNRR) e, Carlo Calenda si è accorto dell’inflazione galoppante, cioè che … le sanzioni da lui sollecitate contro la Russia sono ‘contro’ il Commercio internazionale (della Russia), dunque anche noi.

E cosa fa Carlo Calenda, federato con i liberali europei di Alde / +Europa e parlamentare europeo di Renew Europe fondata dai demoliberali francesi e tedeschi?

  • Va a battere cassa allo Stato, dopo aver sollecitato le sanzioni, pur essendo consapevole che l’esposizione del debito pubblico italiano è molto peggiore di Germania e Francia e che è l’UE che “garantisce” per almeno 1/3 del nostro debito.
  • Propone l’istituzione di un “potere forte” a Commissariamento del ministero ad hoc, quello dello Sviluppo Economico, ed un incardinamento amministrativo davvero complicato, vista la sovrapposizione sulle Regioni e sui Comuni.

Non dubitiamo che Calenda sia un sincero democratico e certamente ha una solida formazione in legge, ma allora perchè chiedere un Commissario Straordinario con i poteri … del dittatore per attingere alla ‘possiede’ alla Res Publica come facevano i tribuni plebei, anima della Repubblica e … del Fascismo come del Comunismo?

Visto che il ministero dello sviluppo economico è affidato a Giancarlo Giorgetti della Lega, è possibile che Carlo Calenda si faccia avanguardia del PD romano, con annessi moVimenti e comitati, i quali – dopo i mal di pancia per le norme anti-spreco inserite da Draghi nel PNRR – si ritrovano a dover innovare (anzichè ‘gestire’) una capitale paralizzata dal basso livello di istruzione e reddito, come denuncia da anni proprio l’osservatorio #MappaRoma con dati diffusi dalla CGIL Roma e Lazio il 16 giugno 2021?

Demata

Il Pd del “dopo Renzi” e il labirinto irrisolto dal 1992

12 Mar

Image5Solo pochi giorni fa il Partito Democratico ha capito che se un proprio leader annuncia di lasciare, poi deve farlo per davvero, specie se nel 2017 l’annuncio arrivava dopo tre anni di governo sprecati e dopo una bizarra riforma strutturale.

Poteva accadere già nel 2000, ma non accadde e Massimo D’alema rimase al vertice del partito, dopo aver dato le dimissioni da premier, in seguito alla sconfitta alle elezioni regionali ed al brutto pasticcio della riforma del Titolo V della Costituzione, che ancora oggi comporta l’innaturale trasferimento del comparto assicurativo sanitario alle ‘politiche’ regionali, mentre vengono dilapidate – in certi territori – l’IVA e le accise benzine che impennano la nostra fiscalità.

L’altro ieri, con le dimissioni di Matteo Renzi, il Partito Democratico ha iniziato un percorso e non è detto che lo porti a termine, se la questione rimarrà sul singolo Matteo Renzi o sull’entourage, invece che sul metodo.

Il primo candidato ad ereditare la segreteria Dem – dove nessuno è mai riuscito al completare il mandato di quattro anni previsto dallo statuto – è Graziano Delrio, ex Partito Popolare Italiano, ex sindaco di Reggio Emilia e ministro delle infrastrutture e dei trasporti dal 2015, prima nel Governo Renzi e poi nel Governo Gentiloni.
A parte l’episodio di Cutrò, proprio sotto il suo dicastero le cronache italiane sono diventate una quotidiana denuncia sullo stato delle strade, delle reti su ferro, dei mezzi di trasporto e non è detto che un ruolo più politico e meno esecutivo possa dirgli meglio.

C’è, poi, l’ipotesi di un ‘traghettatore’, con una ‘reggenza’ affidata a Maurizio Martina, in politica fin dal liceo e dal 2014 Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dei Governi Renzi e Gentiloni, con delega ad Expo.
Sappiamo tutti come stiamo messi con le frane, gli incendi, i migranti irregolari ed il lavoro nero nei campi e quanto ci costa l’agroalimentare in termini di PIL, tasse, sussidi e spesa diretta delle famiglie. Alle regionali in Lombardia, dove nasce e vive il ministro, il Centrosinistra ha perso circa 600.000 voti dal 2013 al 2018.

E, come da tradizione, ci sarebbe un ‘capitan futuro’ pronto a subentrare – almeno negli umori della base – cioè Nicola Zingaretti, dal 2012 Presidente della Regione Lazio e, precedentemente, parlamentare europeo molto attivo nella difesa della manifattura italiana e nell’accesso a fondi strutturali e programmi comunitari.
Con buona pace dei ‘soldi europei’ e della triste fine che spesso hanno fatto in Italia, noi posteri sappiamo anche che il Lazio è sempre più indebitato (se consideriamo anche i derivati e le ‘controllate’), mentre antisismicità ed accesso alle cure hanno portato la regione alla ribalta internazionale, ma in negativo, con il risultato che oltre 300mila voti migrati dal 2013 ad oggi dal PD laziale verso il Movimento Cinque Stelle.

In parole povere – pur essendo Del Rio, Martina e Zingaretti dei politici senza pendenze, blasonati e competenti – sono anche i volti di un Partito Democratico che non riesce a chiarirsi definitivamente ‘a sinistra’, evitando puntualmente lo scontro con i sindacati, mentre si allontana dal ‘ceto medio’ dei consumatori e degli assistiti, soccombenti sotto il peso dei servizi inefficienti e della burocrazia obsoleta.

Non è solo Matteo Renzi che ha fallato, bensì un apparato di partito che ha ritenuto che si potesse amministrare senza governare, nella prodiana convinzione che l’Europa fosse il toccasana di tutti i mali italici.

L’Unione Europea è, viceversa, una locomotiva e non si può stare tutta la vita aggrappati al predellino nè è piacevole viaggiare sempre più spesso nel vagone di coda, sempre che il treno non passi lasciandoci alla stazione.

Che sarà Delrio o Martina o qualcun altro (magari Carlo Calenda, ex Scelta Civica) a far da segretario, speriamo tutti (amici, nemici ed indifferenti) che il PD faccia almeno durare il proprio segretario tutti e quattro gli anni previsti dallo statuto: l’Italia ne guadagnerebbe di sicuro in stabilità.

Quanto al resto, è nei fatti che in queste elezioni il PD ha convinto solo 15% dell’elettorato attivo (7,5 milioni di voti, 22% dei votanti), cioè più o meno come 26 anni fa con il PDS di Achille Occhetto alle elezioni del 1992 (6,3 milioni di voti pari al 16% dei votanti e al 14% dell’elettorato attivo).

Il nuovo segretario del PD avrà l’arduo compito di cambiare il partito in pochi mesi, ripensando il progetto iniziatosi nel 1992, dopo il trauma della spaccatura con la Sinistra di PRC (2,2 milioni di voti pari al 5,6% dei votanti e al 5% dell’elettorato attivo).
Una frattura che è stata ignorata per venti anni trasformandosi in una falla che ha alimentato il Berlusconismo ed in una frana a favore dei populisti come Lega e Cinque Stelle: il forte ancoraggio a settori sociali e finanziari ‘resistenti al cambiamento’ ha assicurato tanto una buona rendita per un ventennio quanto, poi,  trovarsi punto e a capo?

Demata